Rivista Anarchica Online
Anarchici e rivoluzione russa
Caro Antonio Donno, leggo su "A"
168 il tuo Guerra inutile? Non è però del tema
centrale del tuo intervento che voglio parlare. Mi fermo alla tua
frase sull'ambiguità con cui l'anarchismo europeo avrebbe
valutato la rivoluzione bolscevica, al suo - scrivi - essere rimasto
"imbrigliato negli articoli di fede del totalitarismo marxista".
Non è il caso, in questa sede, di fare lunghe dissertazioni.
Mi sembra però giusto che i lettori di una rivista anarchica
(siano anarchici o no) non si vedano agitare dinanzi agli occhi lo
spauracchio di un anarchismo pieno di ambiguità nei confronti
del bolscevismo. Fissiamo allora alcuni punti. In Italia, ad esempio, in occasione del
congresso dell'Unione Anarchica Italiana del 1° - 4 luglio 1920,
Virgilio Mazzoni tenne una relazione sulla III Internazionale,
dichiarando apertamente di ravvisare nell'Internazionale moscovita
"la lunga mano della vecchia Internazionale marxista,
engelsiana, lassalliana che si veste a nuovo", prospettando il
pericolo di una "nuova dominazione comunista autoritaria" e
invitando i compagni a rifondare l'Internazionale anarchica.
La maggioranza dei congressisti,
Malatesta e Fabbri in testa, si dichiararono d'accordo. Solo un
piccolo gruppo, di cui facevano parte Borghi e Garino, per citare i
più noti, conservò un atteggiamento possibilista nei
confronti di una adesione alla III Internazionale (non a caso Borghi,
il 22 luglio, partiva per la Russia, anche se con delega dell'USI). E
ciò prima, poco prima, del II congresso dell'Internazionale
comunista, cioè prima dei famosi 21 punti.
Certo, allora, di quello che avveniva
in Russia si sapeva poco. Il 24 aprile, su "Umanità
nova", Malatesta si domandava: "Che cosa è questa,
che a noi pare mitica, Terza Internazionale, che trae prestigio dal
fatto di essere stata annunziata dalla Russia in rivoluzione, ma che
è ancora circondata dalla nebbia della leggenda?". In
ogni caso, se alcuni giornali, come "L'Avvenire anarchico"
di Pisa si pronunciavano criticamente, la maggior parte degli
anarchici stava in posizione di attesa, ma senza ambiguità,
vagliando con estrema lucidità le poche informazioni.
Se ambiguità c'era, era tutta da
parte bolscevica, o di quegli anarchici, ad esempio Victor Serge,
passati al bolscevismo. Ambigui erano i messaggi con cui Zinov'ev
cercava di blandire gli anarchici stranieri, in funzione
antiriformista, solleticando (potremmo dire) la loro vanità di
rivoluzionari. Molte illusioni, se non tutte, si erano già
dissolte prima di Kronstadt. Basta leggere "Le Libertaire"
per rendersene conto. Dal dicembre del 1920, soprattutto dopo le
lettere di Lepetit, tragicamente scomparso sulla via del ritorno
dalla Russia, "Le Libertaire" attacca, quasi ad ogni
numero, la dittatura del proletariato e critica spesso Victor Serge.
Nel gennaio del 192l pubblica, con il titolo Des documents. En
voilà, un appello dell'Ufficio esecutivo
anarcosindacalista (si tratta di foto del testo originale
manoscritto, in francese), di cui faceva parte Maksimov, per fare
anche in questo caso un nome conosciuto, nel quale si parla di
"dittatura di un partito" e si invitano i compagni
francesi, o stranieri comunque, a non fare lo stesso errore. Nello
stesso tempo però veniva richiesta solidarietà per la
rivoluzione e non si rimpiangeva certo Kerenskij. L'appello,
dell'agosto del '20, aveva impiegato parecchi mesi per giungere in
Francia. Sempre nel gennaio "Le Libertaire" pubblica un
altro vecchio appello, della Croce nera anarchica russa, in favore
dei compagni in galera. Potrei citare poi le proteste della Goldman e
di Berkman dell'estate del '20. E così via.
Certo vi furono anarchici che
accettarono, magari in via transitoria, diventata poi definitiva, la
dittatura del proletariato. Erich Muhsam, ad esempio, tentò
un'impossibile sintesi Lenin-Bakunin (entrò anche nel '19 nel
KPD, ma vi restò per poco), prontamente controbattuto da
Pierre Ramus che, agli inizi del '20, scriveva: "nel bolscevismo
non c'è un solo principio essenziale di vere idee socialiste
rivoluzionarie di liberazione" ("Erkenntnis und
Befreiung"). Alcuni anarchici russi collaborarono: Novomirskij,
Sandomirskij, Shatov e furono poi spazzati dalle purghe. Ma il
movimento anarchico europeo, nel suo complesso, si schierò
molto presto contro il bolscevismo. Tuttavia, credo che tu sappia
benissimo queste cose. Tu, ma non tutti i lettori di A. E allora,
qual è il problema? Il fatto che gli anarchici, comunque
appoggiarono (e fecero) la rivoluzione e le furono fedeli anche
quando si accorsero della piega che prendevano gli avvenimenti? Ma
poteva, in quegli anni, un rivoluzionario (anarchico o meno)
sottrarsi al fascino della rivoluzione, all'entusiasmo e, perché
no, all'illusione? Gli anarchici non rinnegarono mai la rivoluzione
russa. Solo la ritennero tradita nei suoi presupposti libertari dal
bolscevismo. Probabilmente sbagliarono, attribuendole caratteristiche
che non aveva. E comunque non abbiamo controprove. Ma è certo
che allora tutti i rivoluzionari, di qualunque tendenza, videro nella
rivoluzione russa quello che volevano vedere. Almeno fino al '20-'21.
Ma avrebbe potuto essere altrimenti?
In ogni caso, non mi pare proprio che
gli anarchici fossero "imbrigliati negli articoli di fede del
totalitarismo marxista". Innanzi tutto perché il
movimento anarchico non era un blocco unico, ma presentava molte
sfaccettature.
Secondariamente, perché un ampio
filone, quello che si rifaceva a Malatesta, era piuttosto critico sul
mito del proletariato e del mito della coscienza di classe. "Non
esistono dunque le classi, nel senso proprio del termine, perché
non esistono interessi di classe", aveva detto Malatesta nel
1907, al congresso di Amsterdam. Se vogliamo ben più forte era
il mito della coscienza di classe in molti leader riformisti (nei
sindacalisti soprattutto).
Gli operai "coscienti" erano
quelli che pagavano le quote sindacali, che sottostavano alla
disciplina dell'organizzazione, che non scioperavano inutilmente e
senza autorizzazione, che partecipavano alla vita della sezione,
leggevano i giusti libri, ecc. Gli "incoscienti" erano
naturalmente i disorganizzati, o gli anarchici o i sindacalisti
rivoluzionari, quelli che, come scriveva Verzi, segretario della
FIOM, non conoscevano "il segreto" dell'evoluzione
proletaria, né sapevano muoversi in sintonia con il passo
della storia, all'interno della "marcia fatale verso futuri
migliori destini" (è sempre Verzi).
Ti concedo di più sul mito della
violenza rivoluzionaria, che, però, a mio parere non è
riconducibile tout court a quello che tu chiami il totalitarismo
marxista, ma vanta altri illustri precedenti. Altri miti, forse,
avevano una maggior presa sugli anarchici. Non dimentichiamoci però
che essi si muovevano nell'ambito della cultura socialista - il che
ovviamente non vuol dire marxista - e non, salvo rare eccezioni, in
quello della cultura liberale.
Non voglio entrare nel merito delle tue
successive affermazioni. Solo mi stupisce l'uso, da parte di uno
storico sensibile come te, del termine antistorico. Quando i
socialisti e gli anarchici italiani (seppur con diverse gradazioni)
si opposero alla guerra nel 1914-15, l'accusa a loro rivolta dagli
interventisti di sinistra era, in definitiva, di voler stare fuori
dalla storia. La Francia democratica e rivoluzionaria era aggredita,
il Belgio martire (il che per altro era vero), gli imperi centrali
autoritari e militaristi non volevano battersi per quella che sarebbe
stata l'ultima guerra. E dopo ci sarebbe stata la repubblica, la
rivoluzione, ecc. I risultati li conosciamo: la rivoluzione russa, il
fascismo, il nazismo. Pensa a Contro-passato prossimo di
Morselli. Il tunnel sotto le Alpi, l'invasione dell'Italia, la fine
precoce della guerra, gli Stati Uniti d'Europa, Rathenau pronunciato
Ratenò, Lenin in partenza per l'America. Peccato sia solo un
romanzo.
Ma pensa al povero antifascista
confinato, che ne so, a Ponza, a Ventotene, negli anni del maggior
consenso del fascismo, quando era difficile ipotizzarne la caduta;
pensa a Malatesta, a Turati, morti nei primi anni Trenta. Come si
saranno sentiti antistorici. Il buon Arsinov si sentiva tanto
antistorico che tornò in Russia nel 1930 e lì scomparve
in una purga. Banalizzo, lo so. Ma questa faccenda
dei ragionamenti antistorici non mi va giù. Posso anche
condividere alcune tue valutazioni. Anch'io preferisco la vittoria
del liberalismo occidentale, ma penso di avere il diritto di dire che
preferisco il male minore. E continuo a domandarmi che cosa bisogna
fare per non essere antistorici. Bisogna ottenere una "vittoria
storica, inequivocabile'? E se è la "barbarie
totalitaria" a vincere, come ha già vinto in passato per
lunghi periodi, il libertario o anche solo il liberale che cos'è?
E soprattutto, chi giudica?
Ricordiamoci la sicurezza con cui i
fascisti dicevano di essere "nella" storia. O l'alterigia
culturale con i cui i dotti marxisti, fossero riformisti o
rivoluzionari, convinti di interpretare la storia, guardavano gli
anarchici. Quando la sinistra italiana, compresa buona parte del PSI,
si nutriva del mito dell'URSS, gli anarchici di certi miti si erano
già sbarazzati da un pezzo.
Ti ricordi, e chiudo, quando Gramsci,
nel 1920, scriveva che gli anarchici avrebbero dovuto diventare "più
liberi spiritualmente", in breve non essere più
anarchici?
Un caro saluto
Maurizio Antonioli (Milano)
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