Rivista Anarchica Online
Vicolo cieco
di Paolo Finzi
"Il socialismo di stato ha
portato la rivoluzione in un vicolo cieco. Il socialismo deve essere
anarchico". Così recitava il testo di un
manifesto del '68. Gli avvenimenti dell'Europa Orientale ne
costituiscono un'ulteriore conferma. Il tentativo di auto-riciclaggio
dei partiti comunisti. Prosegue la nostra sottoscrizione
straordinaria per sostenere la ripresa anarchica all'Est.
Ma l'avete visto l'ambasciatore rumeno
in Italia, intervistato dal TG2 poche ore dopo la notizia
dell'avvenuta esecuzione di Ceausescu? Lui, proprio lui che fino a
qualche giorno prima di sicuro aveva alle spalle della sua scrivania
la foto del Conducator, lui che fino a qualche giorno prima era a
capo di una centrale di schedatura e di spionaggio ai danni dei suoi
compatrioti residenti all'estero, come istituzionalmente è
qualsiasi ambasciata (tanto più se di un regime poliziesco e
persecutorio qual era quello comunista rumeno). Con il candore di una
verginella manzoniana, l'ambasciatore dichiarava di sentirsi un uomo
finalmente libero, di essere fiero di poter rappresentare a testa
alta il nuovo potere democratico insediatosi a Bucarest, ecc...
Sia chiaro. Non abbiamo niente di
personale contro questo ambasciatore, non ricordiamo nemmeno come si
chiama, né la cosa ci interessa. Come lui, decine di altri
ambasciatori dei regimi dell'Est europeo saranno fieramente rimasti
al loro posto, "fedelmente" servi del nuovo potere.
Se abbiamo voluto citarlo, è
solo perché dietro la sua serena faccia tosta intravediamo il
dato di fondo delle recenti vicende che hanno sconvolto l'Europa
comunista. Questo dato - che ai più appare scontato,
irrilevante - è la continuità del potere, dello stato.
Come in Italia nel '45
Il Palazzo non è mai rimasto
senza inquilini, a Varsavia come a Bucarest, a Budapest come a Praga.
È proprio sul Palazzo che si è concentrata la
spasmodica attenzione dei mass-media occidentali, attentissimi a
cogliere qualsiasi segnale proveniente dalle "nuove" classi
dirigenti. Le virgolette, peraltro, sono d'obbligo, dal momento che
le vecchie classi dirigenti comuniste, in parte spazzate via
dall'ondata di rinnovamento che si è progressivamente andata
estendendo praticamente a tutta l'Europa orientale, in parte hanno
tentato (non senza successo, pare, almeno finora) a
"riciclarsi""presentandosi come una componente
indispensabile per il "rinnovamento", la "perestrojka",
ecc...
L'ambasciatore rumeno a Roma non è
che il rappresentante (scelto da noi) di quella sterminata classe di
burocrati di ogni ordine e grado, di funzionari dello Stato e del
Partito, dei "fedeli servitori del Potere", che - appunto -
in quanto tali, ritengono loro compito e loro missione il restare
comunque abbarbicati al Potere, qualunque esso sia. È
la classica "fedeltà" dei carabinieri italiani, "nei
secoli fedeli" a chiunque comandi: alla monarchia come alla
repubblica, al fascismo come alla democrazia.
Quanto sta accadendo in questi mesi
all'Est richiama alla mente mille altre "transizioni" da un
regime all'altro, ovunque nel mondo. A noi, in particolare, ricorda
l'Italia del '45, quando un apparato statale fascistizzato e fascista
dalla punta ai piedi si riscoprì, dopo il 25 aprile,
antifascista e democratico. Più che con considerazioni morali
o moralistiche sull'opportunismo della gente ed in particolare della
burocrazia, ci pare più fecondo analizzare questi fenomeni
partendo dalla legge (quasi fisica) dell'immanenza del Potere.
Ciò premesso, resta il fatto -
tutt'altro che irrilevante - che in quasi tutti i Paesi dell'Est, da
decenni compressi da cupe dittature e da partiti unici, si respira
oggi un'aria diversa, ricca di fermenti e di speranze di libertà,
di voglia di incontrarsi, di fare, di sperimentare. In poche parole,
si respira. Situazioni che per decenni sono apparse bloccate,
immobili e immodificabili sia dall'interno che dall'esterno,
improvvisamente si sono sbloccate. I simboli dei vecchi regimi, le
sedi del partito unico (comunista), gli slogan di regime ad ogni
angolo, i noiosissimi mass-media di regime, le sfilate dei pionieri
plaudenti, tutto quanto rappresenta il passato regime comunista è
stato spazzato via, dalla rabbia popolare prima ancora che dai
decreti dei nuovi governanti.
Con il senno di poi - ne accennavamo
sullo scorso numero - gli specialisti, gli opinionisti, i politologi
e gli altri gazzettieri del nostro regime tentano di convincerci che
non poteva che succedere così, che in realtà si era
previsto che, ecc. ecc. .La realtà, invece, è che i
recenti fatti dell'Est europeo hanno colto in gran parte tutti di
sorpresa.
E già solo questa sorpresa
"disturba" i potenti, tutti i potenti - compresi i nostri
democratici. Il fatto che nemmeno decenni di totalitarismo statale e
di martellante lavaggio delle coscienze abbiano potuto estirpare
dalla gente l'istinto della rivolta, e che questa poi sappia
svilupparsi a macchia d'olio, saltando frontiere e cavalli di frisia,
non può non preoccupare chi comunque occupa il Palazzo.
In fondo, è Potere anche quello
democratico. È Stato anche questo "nostro"
democratico. E la
rivolta - come ci ricorda anche il troppo commemorato '68 - non è
necessariamente appannaggio esclusivo dei Paesi comunisti e
"cattivi".
Ma c'è un altro aspetto che ci
preme sottolineare. Ci riferiamo al ruolo svolto da quegli individui,
da quei piccoli gruppi che hanno saputo opporre il loro fermo "NO"
ai regimi dittatoriali, che - senza retorica - hanno voluto
contrapporre al Potere ed alle lusinghe di cui sempre si circonda la
dignità della loro obiezione di coscienza. Questa piccola
minoranza ha pagato prezzi altissimi, ovunque e sempre. Ha conosciuto
carcere ed esilio, disoccupazione e pestaggi, gulag e confino. Di
questa minoranza, di questa infima minoranza, gli anarchici sono
stati una componente, tanto misconosciuta quanto dignitosamente
presente.
È,
questa anarchica, un'opposizione che si sviluppa già dalla
rivoluzione del '17 in Russia, quando la nuova classe dirigente
bolscevica di Lenin e Trotzki iniziò quella politica di
vero e proprio sterminio di qualsiasi opposizione, che poi fu
perfezionata e portata a definitivo compimento da Stalin e (al di
fuori dell'URSS) dai partiti comunisti della Terza Internazionale.
Un'opposizione in carne ed ossa, quella anarchica al bolscevismo, che
sorgeva istintiva dalle ingiustizie e dalle contraddizioni del nuovo
potere sedicente socialista e comunista, ma che aveva anche alle
spalle decenni di pensiero anarchico, di riflessioni sul Potere, di
dibattito e di polemiche con il pensiero marxista.
Le lucide previsioni di Bakunin
È infatti nel dibattito che
oppose la corrente libertaria e quella autoritaria in seno alla Prima
Internazionale a cavallo tra gli anni '60 e gli anni '70 dello scorso
secolo, che si possono ritrovare le ragioni di fondo dell'insanabile
contrasto che ha contrapposto e tutt'oggi contrappone le concezioni
stataliste del socialismo (da quella primigenia marxista, alle
successive tendenze bolscevica, staliniana, socialdemocratica, ecc.)
a quella libertaria rappresentata principalmente dagli anarchici. Ci
basta, in questa sede, richiamare la lucida analisi, sviluppata
dall'anarchico russo Mikhail Bakunin, della "proposta"
marxiana della conquista del Potere e dello Stato da parte dei
rappresentanti della classe operaia. Nel corso di un'accesissima
polemica, che con il tempo andò sempre più
esasperandosi assumendo anche connotazioni personalistiche e comunque
inaccettabili, Marx e Bakunin delinearono con chiarezza il proprio
pensiero. E le pagine che Bakunin, soprattutto in Stato e
anarchia, scrisse per mettere in guardia il movimento
rivoluzionario dalla terribile prospettiva di uno Stato forte, in
mano ad una burocrazia sedicente comunista e rivoluzionaria,
mantengono intatta la loro validità.
Nei numeri di "A" di questo
inizio di decennio intendiamo dar spazio a questa critica teorica al
marxismo e, successivamente, al leninismo, che del centralismo e
dell'autoritarismo marxista è stato la traduzione teorica e
soprattutto pratica in seno alla rivoluzione russa del '17. In questo
contesto si colloca la ripubblicazione, a pag. 10, del lucido saggio
di Nico Berti (sotto lo pseudonimo di Mirko Roberti) di analisi e di
critica del leninismo - originariamente apparso sul n.68 (ottobre
1978).
Tra le immense responsabilità
che si sono assunti i partiti comunisti, laddove hanno conquistato il
Potere ed anche laddove si sono "limitati" a fiancheggiare
i primi, la più grave è forse quella di aver assestato
un colpo durissimo al socialismo, al comunismo, insomma a tutte
quelle parole e quei filoni di pensiero che alle origini erano
sinonimi di redenzione delle plebi - come si diceva allora -, di
emancipazione del proletariato, di speranza concreta in un nuovo
mondo, più giusto, ecc. ecc.
I comunisti non solo hanno dato il loro
nome a regimi totalitari in cui - secondo le previsioni di oltre
mezzo secolo prima di Bakunin - una ristretta classe di burocrati e
di intellettuali "rossi" ha sfruttato il proletariato in
nome del proletariato, ma hanno anche sistematicamente combattuto,
calunniato ed annientato qualsiasi forma di dissenso, interna o
esterna alla tradizione culturale marxista. Non solo gli anarchici,
ma anche i comunisti consigliari, a volte i trotzkisti, altre
correnti del socialismo autogestionario e federalista sono state
cancellate dalla storia - o quasi. Il monopolio dell'alternativa al
capitalismo l'hanno tenuto per sé.
Ed è logico, terribilmente
logico, che ora che i loro regimi crollino o comunque si modifichino
radicalmente, la loro sconfitta venga considerata una sconfitta di
qualsiasi rivoluzione socialista e comunista, la loro fine venga
"spacciata" - soprattutto dai mass-media occidentali - come
la fine del comunismo e di qualsiasi ipotesi rivoluzionaria.
"Il socialismo di stato ha portato
la rivoluzione in un vicolo cieco. Il socialismo deve essere
anarchico". Così si affermava in un bel manifesto
anarchico del '68. Noi la pensiamo ancora così. Ed il crollo
dei regimi "comunisti" dell'Est ci pare proprio il fondo di
quel vicolo cieco.
Anarchici oggi
In questo contesto, la sottoscrizione a
favore degli anarchici dell'Europa orientale, che abbiamo lanciato
sullo scorso numero e per la quale ci stanno giungendo i primi
contributi, assume un significato particolarmente importante, per il
nostro movimento di lingua italiana. Non si tratta solo di sostenere
i nostri "fratelli" dell'Est (la parola "compagni",
usata per decenni dai regimi comunisti al potere, è
rigorosamente bandita dagli anarchici di quei paesi, non senza
ragione), sull'onda della generale emotività per quel che
accade là.
Nel momento in cui la fine del
comunismo reale sembra far convogliare nel capitalismo e nella
democrazia (magari nella sua versione socialdemocratica, nominalmente
"socialista") le energie, le speranze e la voglia di
libertà di tanta parte della gente, dei giovani, delle donne
di quei Paesi, si tratta di andare - ancora una volta -
controcorrente, di impegnarsi per tenere aperta la speranza, la
riflessione, l'attenzione verso tutti quei fermenti di segno
libertario, autogestionario, anticentralistico ed antiautoritario che
sicuramente il consolidarsi dei nuovi Poteri provocherà. E chi
più degli anarchici, con il loro patrimonio di pensiero e di
lotte (nonostante errori ed ingenuità), può essere
considerato sicuro punto di riferimento per questi fermenti
libertari, per questa voglia di libertà e di utopia che non
vuole morire?
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