Rivista Anarchica Online
Vietato conoscere
di Francesco Ranci
Uno sguardo d'insieme sul dibattito
in corso sulla conoscenza rivela che, dato l'ambito filosofico delle
dispute, praticamente ogni affermazione può far parte di
quadri ideologici rilevanti. Francesco Ranci, redattore della
rivista "Methodologia", affronta alcuni aspetti della
questione.
Da qualche parte, protestano Maturana e
Varela, esiste un tabù: "vietato conoscere la
conoscenza". L'uomo moderno e occidentalizzato si ostina a
considerare quelli che sono i prodotti della sua attività di
percezione e di pensiero come "esistenti di per sé".
La "tentazione della certezza" trionfa, ci spinge a
compiere sempre più cospicui disastri, mettendo in angustie la
consapevolezza della indiscutibile fragilità che caratterizza
i nostri sistemi di credenze.
Questa illusione, di poter raggiungere
una certezza definitiva, dipende in sostanza dal divieto, posto alla
conoscenza, di occuparsi di se stessa.
Bastano alcune elementari esperienze,
continuano i due biologi cileni, per rendersi conto che qualcosa non
funziona nelle teorie attuali sulla conoscenza. Se, per esempio,
portate un'arancia dall'interno di una casa fino a fuori in giardino,
vi renderete conto del fatto che la vostra percezione del colore
arancione non dipende affatto da una particolare lunghezza d'onda
della luce che colpisce la retina, come invece la scienza ufficiale
insegna, perché nei due ambienti le lunghezze d'onda sono
decisamente diverse, e il colore percepito rimane lo stesso.
Piuttosto, secondo Maturana e Varela, bisogna considerare che non
esiste una sensazione in assenza di un organismo che la percepisce.
La realtà viene costruita a partire dalla conformazione delle
nostre mani, dei nostri occhi, in una parola del nostro organismo
biologico.
Quando Maturana e Varela decidono di
enunciare due "aforismi chiave" della teoria
dell'autopoiesi dicono anzitutto, "ogni conoscenza è
azione è ogni azione è conoscenza" (si noti la
circolarità della frase, è fondamentale); e in secondo
luogo, "ogni cosa detta è detta da qualcuno",
intendo significare che anche il linguaggio viene prodotto da
organismi, e che nel biologico in evoluzione nulla deve essere
considerato eternamente fisso.
Autopoiesi e nuova biologia
Il pensiero di Maturana e Varela, o
teoria dell'autopoiesi, è in pratica il tentativo di dare una
continuità e una omogeneità al nostro sapere sul mondo
e su noi stessi, identificandolo con il nostro stesso fare, agire.
L'organismo umano, o meglio la società umana, viene presentata
all'interno di un quadro di riferimento costruito, a partire dalle
origini dell'universo e della vita sulla terra, e ampliato fino a
ricondurre anche le attività del pensiero e del linguaggio
appunto alla "nuova biologia". Questo lavoro, esposto in
forma facilmente accessibile in "L'albero della conoscenza"
(Garzanti, 1987), presenta l'evoluzione come un processo di continua
differenziazione a partire da un tronco unico. Gli esseri viventi
sarebbero caratterizzati da una "organizzazione autopoietica":
cioè una organizzazione che si auto-produce, mantenendo
invariate le relazioni fra gli elementi, la coerenza interna.
L'ambiente e l'essere vivente vanno considerati "operativamente
indipendenti", non è perciò l'ambiente a
determinare le modificazioni delle specie, ma piuttosto esso
"innesca" dei cambiamenti che sono determinati dalla
struttura interna dell'individuo.
Citiamo un brano dove meglio si capisce
l'impostazione generale: "Come osservatori abbiamo distinto
l'unità, che è l'essere vivente, dal suo sfondo
(ambiente) e l'abbiamo caratterizzata con una organizzazione
determinata. Con ciò abbiamo deciso di distinguere due
strutture che vanno considerate operativamente indipendenti l'una
dall'altra, essere vivente e ambiente, fra le quali si realizza una
congruenza (altrimenti l'unità scompare).
In tale congruenza strutturale una
perturbazione dell'ambiente non contiene in sé la
specificazione dei suoi effetti sull'essere vivente, ma è
questo con la propria struttura che determina il suo stesso
cambiamento in rapporto alla perturbazione".
La definizione dell'essere vivente, e
quindi del campo d'azione della biologia, è sempre stato un
problema non da poco. Come racconta Thomas Mann nel "Doctor
Faustus": "a guardar bene, non vi è nessuna facoltà
elementare che sia riservata esclusivamente agli esseri viventi e che
il biologo non possa studiare anche sul modello inanimato".
Dalla biologia, o meglio dalle biologie che si sono succedute nella
storia, sono sempre scaturiti quadri ideologici "pesanti".
Ad esempio dalla genetica, e da Wilson, è scaturita la
"sociobiologia", una versione aggiornata del darwinismo
sociale alla Spencer (che riteneva la civiltà occidentale più
evoluta delle altre e quindi legittimata da leggi di natura a
sopprimerle).
Alla teoria dell'autopoiesi si
ricollega invece il cosiddetto "costruttivismo". Possiamo
prendere affermazioni come "bisogna sostituire la nozione di
scoperta con quella di invenzione" (Von Foerster, "Sistemi
che osservano", Astrolabio , 1987) per caratterizzare questo
orientamento, storicamente legato alla cibernetica.
Si dovrebbe parlare, secondo il punto
di vista costruttivista, di "invenzione del fuoco" e non
più di "scoperta del fuoco", per interpretare il
passaggio dalla situazione storica in cui gli uomini non hanno il
fuoco a quella in cui lo usano. E così via, per tutte le
realizzazioni della scienza.
Se infatti consideriamo che il fuoco
esisteva già, provocato dalle eruzioni dei vulcani ad esempio,
si tratterà di una "scoperta", mentre se poniamo
caso al fatto che l'uomo non lo sapeva accendere (e quindi non
esisteva per lui il fuoco, come lo intendiamo noi oggi) dovremo
parlare di "invenzione". L'opzione, poco qualificabile come
scientifica, demanda al soggetto qualcosa che era prerogativa unica
dell'oggetto. Da ciò può prendere le mosse un'indagine
sui residui idealistici caratterizzanti qua e là queste
teorie. In effetti, di una o più vere filosofie sembrerebbe
trattarsi quando si va a vedere cosa si raggruppi sotto l'egida del
"costruttivismo". Perché se è possibile
identificare il "costruttivismo" come la proposta di vedere
ogni contenuto di pensiero, dal colore "giallo" al fenomeno
della "coscienza della propria identità", come il
risultato di operazioni, che avranno radici biologiche nel senso che
sarebbero da mettere in relazione con la "struttura" del
soggetto pensante (perciò la disciplina che si trova al centro
della discussione è la "nuova biologia"); è
anche possibile, comunque, intendere per "costruttivismo"
vari altri punti di vista, accomunati ora da una tradizione comune,
ora da motivi particolari.
Dalla cibernetica
all'auto-organizzazione
Hopefulmonster ha pubblicato un saggio
di Varela "Scienza e tecnologia della cognizione", 1987,
che ripercorre le fasi storiche dai primi anni '50, quando è
nata la "cibernetica" fino alle attuali teorie
dell'auto-organizzazione. In America, nel periodo fra le due guerre
ha dominato la teoria comportamentista, che aboliva per principio
ogni analisi delle attività mentali assimilando il cervello ad
una scatola nera (black box); la reazione del dopoguerra è
stata appunto un fiorire di studi neurofisiologici e di ipotesi
riguardanti le procedure cognitive. Sostenute dalle realizzazioni
tecniche quali il radar e il computer, e teoriche come la teoria
dell'informazione, che hanno fornito sia dei modelli più o
meno utili a spiegare il comportamento "intelligente" e sia
una prospettiva generale di confronto continuo tra sistemi naturali e
sistemi artificiali. Non che sul piano teorico questi confronti non
si potessero fare già da prima, è chiaro, ma il
movimento della "cibernetica" (battezzata da Wiener come
"la scienza dei processi di comunicazione e di controllo
nell'animale e nella macchina"), divenuta poi "intelligenza
artificiale", "cognitivismo", "ecologia della
mente", eccetera, è alle origini dell'attuale
"costruttivismo" e di vicende connesse come la "terapia
della famiglia". Anche Ceruti ("La danza che
crea", Feltrinelli, 1989) ripercorre questa storia, dando un
particolare rilievo a Piaget, per il quale la biologia andava
considerata essenziale e preliminare ad ogni psicologia.
Alla fine dei conti, le categorie della
"comunicazione" e del "controllo" sono state
sostituite da quel principio del "feedback" (retroazione)
portato in auge dalla cibernetica, e dalle sue applicazioni anche
alle teorie psico-sociologiche, e derivato in definitiva dal
"regolatore" delle prime macchine a vapore di Watt.
Ma la responsabilità è
nostra
Oggi, specialmente nel campo della
neurofisiologia, la ricerca di "modelli generali" per i
fenomeni stenta parecchio, prende piede allora la riduzione di tutti
i processi a processi storici, e il "costruttivismo" viene
quindi spesso ridotto ad un'ottica di questo tipo. La varietà e la relativa
incongruenza delle posizioni "costruttiviste" sono ben
documentate in tre miscellanee pubblicate da Feltrinelli - "La
sfida della complessità", 1985; "La realtà
inventata", 1988; "Ecologia e autonomia", 1988 - delle
quali è impossibile riportare tutti gli autori e le discipline
coinvolte.
Per quanto riguarda gli aspetti
politici, bisogna anzitutto tener presente che, dato l'ambito
filosofico delle dispute, praticamente ogni affermazione può
entrare a far parte di quadri ideologici rilevanti. Anche le vaghezze
alla Prigogine ("giungiamo ad un universo la cui immagine
comincia ad avere una complessità paragonabile a quella che
viviamo dentro di noi") o alla Lovelock (che ipotizza
l'esistenza di Gaia, un'entità comprendente l'intero pianeta e
dotata della capacità di regolare la propria composizione
chimica) sono variamente utilizzate per legittimare opzioni di genere
ecologico-pacifista con il carisma della scienza (secondo lo schema:
la scienza ci dice com'è la natura, vogliamo andare contro
natura?).
A parte, comunque, questi giochi
d'azzardo - basati sulla libera interpretazione di modelli
matematici, fisici, chimici o biologici per ricavarne ipotesi sulla
politica (come la proposta di Pasquino di applicare la teoria
sistemica ai fenomeni politici) che meriterebbero un discorso più
approfondito - alle ipotesi del "costruttivismo" ha dato un
senso etico rispettabile Von Glasersfeld laddove afferma che "non è
necessario penetrare tanto a fondo il pensiero costruttivista per
rendersi conto che questa concezione porta infallibilmente a rendere
responsabile l'uomo pensante, e lui solo, del suo pensiero, della sua
conoscenza, conseguentemente, anche delle sue azioni.
Oggi che i comportamentisti addossano,
come sempre, tutta la responsabilità all'ambiente, mentre i
sociobiologi vorrebbero scaricarne gran parte sui geni, è
scomoda una teoria la quale attribuisce a noi stessi la
responsabilità del mondo nel quale crediamo di vivere".
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