Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 167
ottobre 1989


Rivista Anarchica Online

Vietato conoscere
di Francesco Ranci

Uno sguardo d'insieme sul dibattito in corso sulla conoscenza rivela che, dato l'ambito filosofico delle dispute, praticamente ogni affermazione può far parte di quadri ideologici rilevanti. Francesco Ranci, redattore della rivista "Methodologia", affronta alcuni aspetti della questione.

Da qualche parte, protestano Maturana e Varela, esiste un tabù: "vietato conoscere la conoscenza". L'uomo moderno e occidentalizzato si ostina a considerare quelli che sono i prodotti della sua attività di percezione e di pensiero come "esistenti di per sé". La "tentazione della certezza" trionfa, ci spinge a compiere sempre più cospicui disastri, mettendo in angustie la consapevolezza della indiscutibile fragilità che caratterizza i nostri sistemi di credenze.
Questa illusione, di poter raggiungere una certezza definitiva, dipende in sostanza dal divieto, posto alla conoscenza, di occuparsi di se stessa.
Bastano alcune elementari esperienze, continuano i due biologi cileni, per rendersi conto che qualcosa non funziona nelle teorie attuali sulla conoscenza. Se, per esempio, portate un'arancia dall'interno di una casa fino a fuori in giardino, vi renderete conto del fatto che la vostra percezione del colore arancione non dipende affatto da una particolare lunghezza d'onda della luce che colpisce la retina, come invece la scienza ufficiale insegna, perché nei due ambienti le lunghezze d'onda sono decisamente diverse, e il colore percepito rimane lo stesso. Piuttosto, secondo Maturana e Varela, bisogna considerare che non esiste una sensazione in assenza di un organismo che la percepisce. La realtà viene costruita a partire dalla conformazione delle nostre mani, dei nostri occhi, in una parola del nostro organismo biologico.
Quando Maturana e Varela decidono di enunciare due "aforismi chiave" della teoria dell'autopoiesi dicono anzitutto, "ogni conoscenza è azione è ogni azione è conoscenza" (si noti la circolarità della frase, è fondamentale); e in secondo luogo, "ogni cosa detta è detta da qualcuno", intendo significare che anche il linguaggio viene prodotto da organismi, e che nel biologico in evoluzione nulla deve essere considerato eternamente fisso.

Autopoiesi e nuova biologia
Il pensiero di Maturana e Varela, o teoria dell'autopoiesi, è in pratica il tentativo di dare una continuità e una omogeneità al nostro sapere sul mondo e su noi stessi, identificandolo con il nostro stesso fare, agire. L'organismo umano, o meglio la società umana, viene presentata all'interno di un quadro di riferimento costruito, a partire dalle origini dell'universo e della vita sulla terra, e ampliato fino a ricondurre anche le attività del pensiero e del linguaggio appunto alla "nuova biologia". Questo lavoro, esposto in forma facilmente accessibile in "L'albero della conoscenza" (Garzanti, 1987), presenta l'evoluzione come un processo di continua differenziazione a partire da un tronco unico. Gli esseri viventi sarebbero caratterizzati da una "organizzazione autopoietica": cioè una organizzazione che si auto-produce, mantenendo invariate le relazioni fra gli elementi, la coerenza interna. L'ambiente e l'essere vivente vanno considerati "operativamente indipendenti", non è perciò l'ambiente a determinare le modificazioni delle specie, ma piuttosto esso "innesca" dei cambiamenti che sono determinati dalla struttura interna dell'individuo.
Citiamo un brano dove meglio si capisce l'impostazione generale: "Come osservatori abbiamo distinto l'unità, che è l'essere vivente, dal suo sfondo (ambiente) e l'abbiamo caratterizzata con una organizzazione determinata. Con ciò abbiamo deciso di distinguere due strutture che vanno considerate operativamente indipendenti l'una dall'altra, essere vivente e ambiente, fra le quali si realizza una congruenza (altrimenti l'unità scompare).
In tale congruenza strutturale una perturbazione dell'ambiente non contiene in sé la specificazione dei suoi effetti sull'essere vivente, ma è questo con la propria struttura che determina il suo stesso cambiamento in rapporto alla perturbazione".
La definizione dell'essere vivente, e quindi del campo d'azione della biologia, è sempre stato un problema non da poco. Come racconta Thomas Mann nel "Doctor Faustus": "a guardar bene, non vi è nessuna facoltà elementare che sia riservata esclusivamente agli esseri viventi e che il biologo non possa studiare anche sul modello inanimato". Dalla biologia, o meglio dalle biologie che si sono succedute nella storia, sono sempre scaturiti quadri ideologici "pesanti". Ad esempio dalla genetica, e da Wilson, è scaturita la "sociobiologia", una versione aggiornata del darwinismo sociale alla Spencer (che riteneva la civiltà occidentale più evoluta delle altre e quindi legittimata da leggi di natura a sopprimerle).
Alla teoria dell'autopoiesi si ricollega invece il cosiddetto "costruttivismo". Possiamo prendere affermazioni come "bisogna sostituire la nozione di scoperta con quella di invenzione" (Von Foerster, "Sistemi che osservano", Astrolabio , 1987) per caratterizzare questo orientamento, storicamente legato alla cibernetica.
Si dovrebbe parlare, secondo il punto di vista costruttivista, di "invenzione del fuoco" e non più di "scoperta del fuoco", per interpretare il passaggio dalla situazione storica in cui gli uomini non hanno il fuoco a quella in cui lo usano. E così via, per tutte le realizzazioni della scienza.
Se infatti consideriamo che il fuoco esisteva già, provocato dalle eruzioni dei vulcani ad esempio, si tratterà di una "scoperta", mentre se poniamo caso al fatto che l'uomo non lo sapeva accendere (e quindi non esisteva per lui il fuoco, come lo intendiamo noi oggi) dovremo parlare di "invenzione". L'opzione, poco qualificabile come scientifica, demanda al soggetto qualcosa che era prerogativa unica dell'oggetto. Da ciò può prendere le mosse un'indagine sui residui idealistici caratterizzanti qua e là queste teorie. In effetti, di una o più vere filosofie sembrerebbe trattarsi quando si va a vedere cosa si raggruppi sotto l'egida del "costruttivismo". Perché se è possibile identificare il "costruttivismo" come la proposta di vedere ogni contenuto di pensiero, dal colore "giallo" al fenomeno della "coscienza della propria identità", come il risultato di operazioni, che avranno radici biologiche nel senso che sarebbero da mettere in relazione con la "struttura" del soggetto pensante (perciò la disciplina che si trova al centro della discussione è la "nuova biologia"); è anche possibile, comunque, intendere per "costruttivismo" vari altri punti di vista, accomunati ora da una tradizione comune, ora da motivi particolari.

Dalla cibernetica all'auto-organizzazione
Hopefulmonster ha pubblicato un saggio di Varela "Scienza e tecnologia della cognizione", 1987, che ripercorre le fasi storiche dai primi anni '50, quando è nata la "cibernetica" fino alle attuali teorie dell'auto-organizzazione. In America, nel periodo fra le due guerre ha dominato la teoria comportamentista, che aboliva per principio ogni analisi delle attività mentali assimilando il cervello ad una scatola nera (black box); la reazione del dopoguerra è stata appunto un fiorire di studi neurofisiologici e di ipotesi riguardanti le procedure cognitive. Sostenute dalle realizzazioni tecniche quali il radar e il computer, e teoriche come la teoria dell'informazione, che hanno fornito sia dei modelli più o meno utili a spiegare il comportamento "intelligente" e sia una prospettiva generale di confronto continuo tra sistemi naturali e sistemi artificiali. Non che sul piano teorico questi confronti non si potessero fare già da prima, è chiaro, ma il movimento della "cibernetica" (battezzata da Wiener come "la scienza dei processi di comunicazione e di controllo nell'animale e nella macchina"), divenuta poi "intelligenza artificiale", "cognitivismo", "ecologia della mente", eccetera, è alle origini dell'attuale "costruttivismo" e di vicende connesse come la "terapia della famiglia".
Anche Ceruti ("La danza che crea", Feltrinelli, 1989) ripercorre questa storia, dando un particolare rilievo a Piaget, per il quale la biologia andava considerata essenziale e preliminare ad ogni psicologia.
Alla fine dei conti, le categorie della "comunicazione" e del "controllo" sono state sostituite da quel principio del "feedback" (retroazione) portato in auge dalla cibernetica, e dalle sue applicazioni anche alle teorie psico-sociologiche, e derivato in definitiva dal "regolatore" delle prime macchine a vapore di Watt.

Ma la responsabilità è nostra
Oggi, specialmente nel campo della neurofisiologia, la ricerca di "modelli generali" per i fenomeni stenta parecchio, prende piede allora la riduzione di tutti i processi a processi storici, e il "costruttivismo" viene quindi spesso ridotto ad un'ottica di questo tipo.
La varietà e la relativa incongruenza delle posizioni "costruttiviste" sono ben documentate in tre miscellanee pubblicate da Feltrinelli - "La sfida della complessità", 1985; "La realtà inventata", 1988; "Ecologia e autonomia", 1988 - delle quali è impossibile riportare tutti gli autori e le discipline coinvolte.
Per quanto riguarda gli aspetti politici, bisogna anzitutto tener presente che, dato l'ambito filosofico delle dispute, praticamente ogni affermazione può entrare a far parte di quadri ideologici rilevanti. Anche le vaghezze alla Prigogine ("giungiamo ad un universo la cui immagine comincia ad avere una complessità paragonabile a quella che viviamo dentro di noi") o alla Lovelock (che ipotizza l'esistenza di Gaia, un'entità comprendente l'intero pianeta e dotata della capacità di regolare la propria composizione chimica) sono variamente utilizzate per legittimare opzioni di genere ecologico-pacifista con il carisma della scienza (secondo lo schema: la scienza ci dice com'è la natura, vogliamo andare contro natura?).
A parte, comunque, questi giochi d'azzardo - basati sulla libera interpretazione di modelli matematici, fisici, chimici o biologici per ricavarne ipotesi sulla politica (come la proposta di Pasquino di applicare la teoria sistemica ai fenomeni politici) che meriterebbero un discorso più approfondito - alle ipotesi del "costruttivismo" ha dato un senso etico rispettabile Von Glasersfeld laddove afferma che "non è necessario penetrare tanto a fondo il pensiero costruttivista per rendersi conto che questa concezione porta infallibilmente a rendere responsabile l'uomo pensante, e lui solo, del suo pensiero, della sua conoscenza, conseguentemente, anche delle sue azioni.
Oggi che i comportamentisti addossano, come sempre, tutta la responsabilità all'ambiente, mentre i sociobiologi vorrebbero scaricarne gran parte sui geni, è scomoda una teoria la quale attribuisce a noi stessi la responsabilità del mondo nel quale crediamo di vivere".