Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 167
ottobre 1989


Rivista Anarchica Online

Signor ministro egregio...
di Gianni Buganza

Martedì 19 settembre si è svolto presso il tribunale militare di Roma il processo contro Gianni Buganza, studente universitario veneziano, obiettore totale. Per il suo rifiuto della naja ed anche del servizio civile, è stato condannato a 10 mesi di carcere (il pubblico ministero ne aveva chiesti 16). Gli è stata concessa la libertà provvisoria. In queste pagine pubblichiamo la lettera che Gianni ha inviato al ministro della difesa per chiarire le ragioni del suo rifiuto.

Signor Ministro egregio,
mi chiamo GIANNI BUGANZA, sono nato a Catania l'11 marzo 1963 da famiglia paterna mantovana e sono sempre vissuto tra la provincia di Padova e Venezia che considero la mia città e dove vivo tuttora.
Ho ricevuto da circa un mese la cartolina precetto con la quale lo stato italiano mi notificava l'obbligo di presentarmi il 27 agosto presso la S.A.R.A.M. di Viterbo per svolgervi il servizio militare.
Le rendo noto che io mi dichiaro, mi sono dichiarato e sono un obiettore di coscienza, un non-violento e un pacifico e che di conseguenza non mi presenterò né in quella né in altre caserme e mai, per nessun motivo, svolgerò servizio militare alcuno.
Inoltre come obiettore di coscienza profondamente tale non ho intenzione alcuna di "obiettare di convenienza" aderendo alla legge n. 772 che regolamenta il servizio civile sostitutivo anche perché, come ha recentemente e giustamente scritto il giudice Giovanni Conso motivando l'ultima sentenza della Corte Costituzionale in materia, chi accetta di svolgere questo servizio è soggetto "agli stessi oneri, alla stessa disciplina, agli stessi ordinamenti" degli altri militari.
Le rendo infine noto che essendo cosciente che non c'è nulla di simbolico in questa scelta di dignità e che perciò incorrerò in sanzioni penali, al solo fine di evitare che si rechi danno, discredito e turbamento ai familiari con cui ho vissuto e agli amici con cui vivo (che non devono neanche di riflesso subire nella propria vita, nella propria casa, nel proprio posto di lavoro, tramite i carabinieri, le mie scelte, assolutamente personali come le conseguenze), mi consegnerò spontaneamente, assolutamente solo, inerme e pacifico il 7 settembre prossimo presso una qualsiasi caserma dei carabinieri di Roma, città territorialmente competente in merito.

Contro ogni pallottola
Queste, in parte, le motivazioni.
Io non sono, non sono mai stato e mai sarò un soldato, e mai accetterò di addestrarmi "scientificamente" all'assassinio, di patria o meno che sia, e trovo che il costringermi a questo sia un inaccettabile sopruso alla mia dignità di uomo libero e pacifico e un attentato alla mia persona, alle mie idee e alle mie scelte di vita. Ritengo inoltre che la disobbedienza a delle leggi che ledono la mia libertà di coscienza sia un dovere imprescindibile e un obbligo morale nei confronti di me stesso e nei confronti della mia idea di civiltà e di convivenza.
Sono contro ogni pallottola, pensata, progettata, costruita, da sparare e sparata; contro ogni pallottola di destra e di sinistra, ogni pallottola di stato e ogni pallottola rivoluzionaria, ogni assassinio democratico, reazionario, rivoluzionario, ogni esecuzione "giusta e necessaria", ogni strage rossa, bianca o nera; mi esprimo contro ogni gerarchia assassina di potere e di contropotere, gli ordini di morte, le insurrezioni e le repressioni armate, contro ogni tentativo violento di sottomettere l'uomo ad un'idea, ed una legge, ad un sistema e ad un controsistema. E l'esercito rappresenta il simbolo vivo e operante di tutto ciò di cui ho orrore e disgusto nella società che vivo. Coacervo di valori negativi, l'esercito e la caserma sono il luogo per antonomasia del perfetto annullamento di ogni forma di pensiero ("l'antitesi del pensiero" come lo definiva un amico di ideali come Piero Gobetti), sono il luogo militarizzato dell'obbedienza, della subordinazione, dell'umiliazione, dell'arroganza, dell'istinto di sopraffazione, dell'impunità e sacralità dell'assassinio di stato, del culto della forza, della violenza e del potere, della rinuncia al rispetto per se stessi, del baronaggio, del più becero arrivismo, dell'ottusità, dell'esaltazione della gerarchia, del silenzio innanzi all'ingiustizia, dell'omertà corporativa.
Nel mio piccolo invece io ho sempre cercato di ispirare la mia vita a valori diametralmente opposti. Perché questa mia è proprio una battaglia di valori, e non blaterata in qualche starnazzante e violenta farneticazione da piazza o da assemblea, ma messa in pratica, di persona, senza mediazioni di sorta. Ho sempre cercato con modestia di essere un uomo di principi, e ora che ho di fronte uno scontro reale di principi assolutamente opposti non mi tirerò certo indietro, anzi. E il mio più radicale rispetto per la dignità e l'unicità di ogni persona, per la più ampia libertà di espressione e di rigoroso rispetto dei diritti umani si unisce alla più profonda indifferenza per l'autorità, e al disprezzo per la gerarchizzazione dell'individuo in qualsiasi istanza sociale ciò venga a verificarsi. Dichiaro così la mia più tranquilla, serena, pacata ma ferma e decisa insubordinazione alla legge militare, ai suoi codici, ai suoi uomini, alle sue gerarchie, al suo sistema di non-valori e al retaggio che tutto ciò lascia nella società civile. Rigetto in toto l'idea violenta e macellaia che l'esercito incarna ed esprime così come mi disgusta e mi opprime ogni altra istanza violenta e coercitiva, di potere o meno che sia, che incontro sulla mia strada. La sensibilità, l'intelligenza, la pietà verso se stessi e verso gli altri, il rispetto, la solidarietà, la dignità non hanno per ovvi motivi niente a che vedere con l'istituzione militare che dunque io rifiuto in ogni sua emanazione, espressione ed autorità di sorta.
Questo solitario impegno si collega e si stringe in un vincolo di fratellanza con tutti gli altri ragazzi che in ogni parte del mondo (con ben altri e più gravi rischi di quelli che corro io) e in ogni sistema politico sono incarcerati per aver rifiutato l'esercito e il servizio militare. Mi accomuna, a quei ragazzi che si oppongono direttamente, senza mediazioni o compromessi, e senza riserve a quell'offesa alla dignità di un uomo che è l'esercito, una lotta non violenta per la libertà di coscienza e il rispetto dei diritti umani che delle frontiere, delle lingue, delle bandiere nazionali non s'importa. Ci accomuna il nostro impegno, la nostra età, la nostra tranquilla e pacifica intransigenza, la nostra visione del mondo e la convinzione che mai, per nessun motivo, saremo disponibili a spararci addosso l'un l'altro.
Sono russi, ciprioti, finlandesi, francesi, tedeschi delle due germanie, greci, israeliani, italiani, norvegesi, spagnoli, turchi, ungheresi, etiopi, guatemaltechi, peruviani, pakistani, siriani, sudafricani, jugoslavi, ma vorrei poterli citare tutti per nome questi miei coetanei: si impegnano in prima persona, pagando duramente, e in tutti i paesi del mondo perché non esistono eserciti buoni ed eserciti cattivi ma solo eserciti. La costrizione è sempre la stessa, la mentalità del potere, la medesima; cambiano, signor ministro, le fogge delle divise, gli inni e il colore delle bandiere ma la vergogna degli eserciti, della mentalità militare, della disciplina a tutti i costi è sempre la stessa dappertutto, con le sue atrocità, i suoi suicidi buoni solo per le statistiche, i suoi morti ammazzati, le sue omertà, i suoi regolamenti.
E non è più pensabile, come dichiarò alla costituente Aldo Moro commentando l'ultimo comma dell'art. 52, non è pensabile che la gerarchia militare soffochi la dignità della persona umana, come troppe volte è avvenuto attraverso i regolamenti di disciplina. Ed è proprio a questi regolamenti e a tutte le regole esplicite ed implicite di costrizione e di disciplina presenti anche ed in forza nella società civile e in quegli stessi movimenti che ad essa dicono, patetici, di opporsi, che io, nel mio piccolo, mai mi disciplinerò. "L'obbedienza non è più una virtù", e per quanto ne dica l'attuale papa guerriero io sto dall'altra parte, quella di don Milani, quella dei liberi, quella dei senza potere e dei senzapatria, e in pratica, non a chiacchiere.

Nemmeno il servizio civile
Quanto, signor ministro, alla questione del mio rifiuto di aderire all'obiezione di convenienza del servizio civile di stato, il problema non merita più di due note.
Non mi sono mai posto l'idea di "optare" per il servizio civile sostitutivo perché non voglio "sostituire" alcunché. Io il servizio militare lo voglio eliminare, non sostituire, e mi sto impegnando proprio per questo. Non riconosco all'istituzione inoltre il diritto di "impormi di scegliere" un'alternativa a qualcosa che neppure concepisco. Anche qui, come per il servizio militare, come per quelle frasi di minaccia alla galera che scrivete nella seconda riga della cartolina precetto, il sintagma è quello di sempre o consenso o repressione. È pleonastico aggiungere, a questo punto, che la cosa semplicemente mi disgusta? Veda, signor ministro, l'antimilitarismo è una scelta pacificamente oltranzista. Antimilitaristi o lo si è o non lo si è, non si può stare nella via di mezzo a seconda del momento, degli interessi personali, del sesso con cui si nasce, delle varie contingenze, di quanto ne soffrirebbe la mamma o la "morosa" (si ricorda, signor ministro, quella poesia di Pasolini dedicata alle madri? Bisognerebbe tappezzarne i muri d'Italia), di cosa ne direbbero i vicini.
Certo: mi sarebbe comodo fare l'obiettore di convenienza. Sotto casa, ben sistemato in qualche biblioteca, poter continuate a studiare e a lavorare alle mie appassionate ricerche d'archivio, certo, mi sarebbe facile ottenerlo e mi sarebbe conveniente.
Ma io al servizio civile riconosco solo la legittimità storica di aver rappresentato un passo avanti, un passo importante in una direzione che si è smarrita. Che si è smarrita ancora una volta, nelle scelte di convenienza di tanti che con l'antimilitarismo delle origini niente hanno a che vedere. Sono diventati anche loro strumenti di una società, per dirla con Montale, nella quale o si è farcitori o farciti.
Con questi obbedienti integrati senza divisa questo mio pur modesto impegno non ha nulla a che fare. Non li sento miei compagni di strada e non li voglio accanto (ripensamenti loro a parte). A loro di eliminare gli eserciti non interessa punto, loro che si fanno strumenti dello stato, loro che dal suo ministero, signor ministro, accettano pure di essere pagati. I figli di papà non sono mai antimilitaristi. Non gli conviene. Troppi soldi nelle tasche, troppi piaceri a cui fare a meno, una riflessione di pace e un impegno concreto in questa direzione è cosa troppo alta per loro, meglio lasciare tutto sulla carta e se non si riesce a farsi lasciare a casa, meglio fare l'obiezione di convenienza allora in qualche ufficio Arci sottocasa, vicino alla mamma e ai propri interessi, poi, adesso che è di un anno soltanto... Mi dispiace, non ci sto. Per dignità e per distinzione.
Quello che in questi anni sotto la patina libertaria e non violenta dell'obiezione si è fatto è uno scempio delle istanze antimilitariste della prima ora.
Questi obiettori - carichi di raccomandazioni e privi di principi - hanno ingrassato con la loro presenza enti locali, sindacati, associazioni paraculturali favorendo coperture economiche scandalose per convenzioni grazie alle quali si violava la legge stessa utilizzando gli obiettori di convenienza in sostituzione del personale pagato. La chiesa, i sindacati, i partiti e le loro patetiche associazioni hanno fatto uso a piene mani di questa "manodopera" non sindacalizzata (infatti disciplinarmente sono militari a tutti gli effetti) usando i giovani precettati dallo stato in nome della leva.
Da tutta questa gente (tra cui molti amici carissimi) non ho mai visto un solo atteggiamento, con i fatti e non a chiacchiere, di critica autentica e concreta nei confronti dell'esercito e nei confronti della subordinazione in qualsiasi modo essa si esprima. In più, molti di questi blaterano di ingiustizia sociale, di progressismo, di disoccupazione, rendendosi conto benissimo di essere stati usati e di aver contribuito con la loro obiezione di convenienza all'ingrossarsi delle file dei disoccupati, quelli veri. Quelli che non sanno come tirare avanti, davvero e non a parole.
Altrettanto non a parole, mia modestia, io cerco di impegnarmi nella direzione esattamente opposta. Di battermi a modo mio e come posso, ma sempre in prima persona contro le ingiustizie, quelle militari e quelle sociali, le discriminazioni, le violazioni dei diritti umani, le ineguaglianze, la volontà di potere (o di contropotere), il privilegio dei pochi e le logiche di gerarchia di cui si nutrono. E dicendo questo esigo di non essere minimamente confuso, neanche per sbaglio, con i baronetti di maniera del sedicente contropotere, volgari, ambiziosi e scimuniti snob salottieri, "indipendentini" di sinistra di venti-trent'anni, yuppies gerarchici e senza vergogna della sinistra italica istituzionale e non: questi abili firmaioli d'appelli, questi violenti parolai da piazza mi provocano solo dei conati di nausea.
In questo impegno che ho preso, razionale e determinato (detesto profondamente le utopie) ma pensato e sofferto a lungo, ho presto scoperto, senza che la cosa mi preoccupasse minimamente (nutro per la parola "massa" un fastidio orteghiano), che la mia era una strada solitaria. E mentre passeggiavo da solo in questa direzione gli unici che ho incontrato a gironzolare da queste parti erano gli amici e fratelli anarchici.
Io non sono anarchico. E non sono un anarchico. E loro non mi hanno chiesto chi ero e da dove venivo: sapevano, intuivano che se l'avessero fatto li avrei mandati a quel paese. E in una civiltà del sospetto come questa, che per aprire il cuore ad una persona bisogna chiedergli il curriculum vitae, questo non è poco. Sono loro gli unici su cui possa veramente contare. In qualsiasi momento e persino aprioristicamente. Hanno capito subito questa posizione perché è anche la loro, è parte del loro patrimonio. E a loro va il merito, la lungimiranza, l'intelligenza, la generosità e il coraggio di aver intrapreso e continuato questa battaglia con le loro poche forze ma con tutta la tempra e la convinzione di cui sono capaci (e tutta la galera che sono stati in grado di sopportare), anche dopo l'introduzione del servizio civile sostitutivo di stato comprendendo perfettamente e lucidamente le cose da subito, con il loro non saper fare mediazioni, il loro pacifico e generoso oltranzismo (e naturalmente, anche qui, parlo degli anarchici che poi queste scelte le hanno fatte per davvero e non quelli che le hanno solo chiacchierate).
Neanche loro come me riuscivano ad ipotizzare l'idea di subire un ordine come di darlo. E anche loro, innanzi alla follia militare sceglievano di non pensare alle proprie convenienze, di non chiudere gli occhi, di non voltarsi dall'altra parte ma invece di tenerli bene aperti, e il mostro di guardarlo, guardarlo fisso e bene in faccia.
Quanto tutto ciò irriti profondamente lo stato democratico pluralista è sotto gli occhi di chi vuol vedere. Mesi e mesi di carcere: segregazione, umiliazioni, processi, repressioni volgari e violente: le risposte di sempre, di ogni stato anche sedicentemente democratico e tollerante.
Tra gli scritti antimilitaristi di Tolstoj c'è una lucida pagina sulla quale vorrei attirare la sua attenzione, verificandone la straordinaria atemporalità: "I liberali, i socialisti e tutti gli uomini" - scrive Tolstoj - "che si chiamano avanzati, ammalati dalle loro stesse parole, possono credere che i loro discorsi in parlamento o nelle assemblee, che le loro associazioni, sindacati, scioperi, opuscoli siano cose importantissime, e che invece i rifiuti isolati di portare le armi siano dei fatti poco importanti e che non meritano alcuna attenzione. Ma i governi sanno benissimo ciò che importa e ciò che è indifferente. Essi lasciano volentieri pronunciare discorsi liberalissimi e radicali in parlamento, tollerano le associazioni operaie, le dimostrazioni socialiste, ed anche fanno sembiante di accordare loro qualche simpatia, sapendo bene che il gioco è loro proficuo, perché distoglie l'attenzione dei popoli dal loro solo e vero mezzo di liberazione. Al contrario, mai i governi ammetteranno il rifiuto di servire nell'esercito o quello di pagare le imposte per le spese militari perché sanno che questo rifiuto, svelando la soperchieria governativa, mina la base stessa del potere".
Come vede siamo sempre lì. Per gli antimilitaristi quelli veri, c'è da sempre la stessa casa: il carcere. Impossibilitato a distogliermi dalla scelta di pace intrapresa, a imprigionare la mia mente, lo stato democratico, pluralista italiano riverserà tutto il suo zelante impegno nel costringere il mio corpo alla detenzione. E mentre io so che quello che faccio è giusto e dignitoso nei confronti di me stesso e degli altri, l'istituzione - che è fatta di uomini prima che di regolamenti - potrà dire lo stesso di se stessa?
Come agli uomini grigi di Ende, a Sua Potenza lo stato un obiettore non sfugge. Evadessi il fisco per un paio di miliardi potrei starmene tranquillamente a casa o in spiaggia, ma un obiettore di coscienza al servizio militare non ha scampo.
Ad aspettarlo ci sono i carabinieri, c'è un processo e una sicura e lunga condanna, ad aspettarlo c'è tutta la capacità coercitiva ed umiliante delle democratiche, pluraliste, tolleranti carceri militari di stato. Di tanta e così spessa oscurità... ricorderà senz'altro, signor ministro, i versi di Céline da "Voyage au bout de la nuit". E quando il suo stato pluralista mi condannerà al carcere io avrò già vinto la mia battaglia contro di voi costringendovi alla violenza e alla coercizione di fronte alla scelta pacifica di un inerme solo, e contro me stesso, le mie paure, i miei istinti di autoconservazione, di sottomissione, di convenienza davanti alla deterrenza psicologica dello stato.

Queste infamie
È assolutamente scontato inoltre, che non essendo militare, disposto anche a pagare per questa scelta, un soldato non lo sarò neanche in prigione, e scontatamente non accetterò di indossare la divisa di carcerato militare, di tagliarmi i capelli e la barba come un militare, di firmare regolamenti e di accettare imposizioni, ordini e soprusi di sorta. Naturalmente come hanno fatto agli altri obiettori le democratiche carceri militari tenteranno di riprocessarmi. Ma come, signor ministro, non è informato? Non è al corrente che in questo radioso, pacifico e tollerante paese si affibbiano - incredibile visu - mesi di carcere a chi non fa il letto e sistema le coperte secondo le norme previste dal regolamento? Sembra anche a lei impossibile? Viene dà ridere anche a lei? Ridono meno, mi creda, tutti gli antimilitaristi che hanno sulle spalle, costretti a scontarle, queste vergognose condanne aggiuntive (e il tutto nel silenzio e nell'indifferenza più generale). L'istituzione non è sfiorata dall'imbarazzo e dalla vergogna di condannare delle persone due volte per lo stesso motivo: per non voler essere un militare e per continuare a non volerlo essere anche in carcere.
Che fulgido esempio di rispetto alla dignità, vero ministro? Queste infamie fanno arrabbiare anche i tranquilli come me. E quando si hanno di fronte cose del genere si deve scegliere: o da una parte o dall'altra. E lei ha certamente capito da che parte sto io.
Ecco dunque a che cosa è costretto a far ricorso lo stato democratico italiano per umiliare chi non vuole piegare la testa, chi non vuole dire mai nessun signorsì, è costretto a ricorrere alla condanna per le lenzuola, le coperte, le barbe e le divise. La cosa è patetica quanto preordinata, naturalmente. Lo stato italiano democratico e pluralista sa perfettamente che questa deterrenza gli serve. Infatti se tutti i ragazzi della mia età, tranquilli, pacifici e antimilitaristi si imponessero una scelta radicale di obiezione riconoscendo se stessi, la loro unicità e dignità, nel giro di due anni avremmo già sistemato la "questione militare" con buona pace dei generali e dell'industria bellica italiana; se non altro, mi creda, per la dirompente forza politica di duecentomila mammette piagnone.
Per intanto comunque le carceri militari italiane rimangono lì, come recluso esempio dell'ideale Ascona di Erich Múhsam (un amico messo in galera dai socialdemocratici e torturato a morte dai nazisti): "luogo di raduno di persone che per la costituzione della loro individualità sono inadatte a diventare mai membri utili della società umana capitalistica"; ideale del resto, anche quando non recluso - come scrive bene Roberto Calasso nella postfazione adelphiana all'Unico di Stirner - da sempre, ovviamente, non meno aborrito da ogni Sinistra in regola e poliziotta.
Comunque, signor ministro, mi permetta nel mio piccolo di esternare a lei e ai suoi militari la mia umana solidarietà: per quanto la mia sia tutt'altro che agevole, non vorrei essere dalla vostra parte neanche per tutto l'oro del mondo. Condannare alla galera gli inermi pacifici è mestiere brutto, umiliare al carcere e dentro il carcere le persone di coscienza è un mestiere che proprio non vi invidio. Se per il buon Erasmo da Rotterdam la guerra è cosa da animali, l'addestrarsi ad essa ed alle sue logiche umiliando il prossimo persino dopo averlo già messo in galera, forse è proprio cosa di cui solo l'uomo è veramente capace.
Ma nello stato schiacciasassi l'uomo si confonde con i meccanismi, tutto diventa causa ed effetto, quale libertà di coscienza, quali diritti umani, chi non sta alle regole, chi non si adegua al modello imposto deve pagare, altro che storie. E per quanto questo stato terrorizzante (le confido che l'ipotesi del carcere inizialmente mi bloccava le gambe) sia patetico ad atteggiarsi nelle sue caserme ad educatore (mi viene in mente, signor ministro, l'Emile di Rousseau: "Comment se peut-il qu'un enfant soit bien élevé par qui n'a pas été bien élevé lui méme?") il vero pericolo per questa generazione di ragazzi non è questo ma è l'incapacità di scrollarsi di dosso l'istinto autoconservativo a subordinarsi a tutto ciò. E come il simpatico Rambaldo, il cavaliere inesistente di Calvino, si renderanno conto di aver perso ogni voglia di combattere solo quando dovranno farlo sul serio. Più ci penso e più mi convinco che forse aveva ragione il mio amico Cioran, gli uomini dabbene non dovrebbero avere una patria, una patria è una colla, specie quando, materna e terribile, si ricorda di chiamarci a lei per addestrarci all'ammazzamento, alla sottomissione e alla gerarchia. "Valori" che poi naturalmente ci invita ad esportare nella società civile ("siamo uomini o caporali?", ricorderà certamente l'immortale film, vero ministro?), e che incontriamo ad ogni passo, dai capetti da avanguardismo leninista al capo ufficio isterico, dal funzionario di partito al patetico personaggetto locale prostituito alla sua ambizione, o a qualche altro cialtrone che con tutti i mezzi (persino parlando di diritti umani, si pensi lo schifo!) tenta di diventarlo.
Del resto bazzico le questioni giuridiche e giudiziarie da tempo sufficiente per capire che costituzioni e leggi sono ben altro che costituzioni divine (tutt'altro: l'incipit dell'art. 52, quell'orrendo "sacro dovere del cittadino", è stato mutuato tout court dalla costituzione sovietica, figuriamoci) e il diritto, cosa di uomini e da uomini, è perfettibile per assunto. Per cui se le leggi sono sbagliate e liberticide, si cambiano, volendolo fare ed avendone l'interesse.
La speranza che ancora non abbandona l'inerme solitario del sottoscritto è che prima o poi l'ingranaggio si inceppi, che il manovratore comprenda la follia di tutto questo.
I motivi per capirlo ci sono, le stesse risoluzioni internazionali sul diritto alla libertà di coscienza, tutte abbondantemente sottoscritte dall'Italia, si sprecano, e non starò ad enumerarle, sono fin troppe. Ma la prassi è ben altra, come sappiamo; le dichiarazioni di principio sono chiacchiere al vento. E all'esercito democratico pluralista tollerante italiano gli uomini di principi piacciono poco. "Dietro quella cartolina rosa c'è il nostro futuro, rosa": recita la sua più recente pubblicità miliardaria che mi sono appesa in camera. "Lavoriamo tutti i giorni perché la pace duri una vita", farnetica. Ma sulla vocazione di pace dei mitra spianati mi permetta di esprimere - cosa fin troppo facile - qualche leggera perplessità, signor ministro.
Voi siete quelli che Kant prendeva in giro: siete per la pace si, ma quella perpetua.
"Di fronte alle difficoltà della vita ti insegnano a non alzare le mani": giusto ! Ed è esattamente quello che farò, signor ministro, ma senza imbracciare quel fucile mitragliatore che, come da foto, avreste voluto mettermi fra le mani.
Distinti saluti.

Gianni Buganza