Rivista Anarchica Online
Signor ministro egregio...
di Gianni Buganza
Martedì 19 settembre si è
svolto presso il tribunale militare di Roma il processo contro Gianni
Buganza, studente universitario veneziano, obiettore totale. Per il suo rifiuto della naja ed
anche del servizio civile, è stato condannato a 10 mesi di
carcere (il pubblico ministero ne aveva chiesti 16). Gli è
stata concessa la libertà provvisoria. In queste pagine pubblichiamo la
lettera che Gianni ha inviato al ministro della difesa per chiarire
le ragioni del suo rifiuto.
Signor Ministro egregio,
mi chiamo GIANNI BUGANZA, sono nato a
Catania l'11 marzo 1963 da famiglia paterna mantovana e sono sempre
vissuto tra la provincia di Padova e Venezia che considero la mia
città e dove vivo tuttora.
Ho ricevuto da circa un mese la
cartolina precetto con la quale lo stato italiano mi notificava
l'obbligo di presentarmi il 27 agosto presso la S.A.R.A.M. di Viterbo
per svolgervi il servizio militare.
Le rendo noto che io mi dichiaro, mi
sono dichiarato e sono un obiettore di coscienza, un non-violento e
un pacifico e che di conseguenza non mi presenterò né
in quella né in altre caserme e mai, per nessun motivo,
svolgerò servizio militare alcuno.
Inoltre come obiettore di coscienza
profondamente tale non ho intenzione alcuna di "obiettare di
convenienza" aderendo alla legge n. 772 che regolamenta il
servizio civile sostitutivo anche perché, come ha
recentemente e giustamente scritto il giudice Giovanni Conso
motivando l'ultima sentenza della Corte Costituzionale in materia,
chi accetta di svolgere questo servizio è soggetto "agli
stessi oneri, alla stessa disciplina, agli stessi ordinamenti"
degli altri militari.
Le rendo infine noto che essendo
cosciente che non c'è nulla di simbolico in questa scelta di
dignità e che perciò incorrerò in sanzioni
penali, al solo fine di evitare che si rechi danno, discredito e
turbamento ai familiari con cui ho vissuto e agli amici con cui vivo
(che non devono neanche di riflesso subire nella propria vita,
nella propria casa, nel proprio posto di lavoro, tramite i
carabinieri, le mie scelte, assolutamente personali come le
conseguenze), mi consegnerò spontaneamente, assolutamente
solo, inerme e pacifico il 7 settembre prossimo presso una qualsiasi
caserma dei carabinieri di Roma, città territorialmente
competente in merito.
Contro ogni pallottola
Queste, in parte, le motivazioni.
Io non sono, non sono mai stato e mai
sarò un soldato, e mai accetterò di addestrarmi
"scientificamente" all'assassinio, di patria o meno che
sia, e trovo che il costringermi a questo sia un inaccettabile
sopruso alla mia dignità di uomo libero e pacifico e un
attentato alla mia persona, alle mie idee e alle mie scelte di vita.
Ritengo inoltre che la disobbedienza a delle leggi che ledono la mia
libertà di coscienza sia un dovere imprescindibile e un
obbligo morale nei confronti di me stesso e nei confronti della mia
idea di civiltà e di convivenza.
Sono contro ogni pallottola, pensata,
progettata, costruita, da sparare e sparata; contro ogni pallottola
di destra e di sinistra, ogni pallottola di stato e ogni pallottola
rivoluzionaria, ogni assassinio democratico, reazionario,
rivoluzionario, ogni esecuzione "giusta e necessaria", ogni
strage rossa, bianca o nera; mi esprimo contro ogni gerarchia
assassina di potere e di contropotere, gli ordini di morte, le
insurrezioni e le repressioni armate, contro ogni tentativo violento
di sottomettere l'uomo ad un'idea, ed una legge, ad un sistema e ad
un controsistema. E l'esercito rappresenta il simbolo vivo e operante
di tutto ciò di cui ho orrore e disgusto nella società
che vivo. Coacervo di valori negativi, l'esercito e la caserma sono
il luogo per antonomasia del perfetto annullamento di ogni forma di
pensiero ("l'antitesi del pensiero" come lo definiva un
amico di ideali come Piero Gobetti), sono il luogo militarizzato
dell'obbedienza, della subordinazione, dell'umiliazione,
dell'arroganza, dell'istinto di sopraffazione, dell'impunità e
sacralità dell'assassinio di stato, del culto della forza,
della violenza e del potere, della rinuncia al rispetto per se
stessi, del baronaggio, del più becero arrivismo,
dell'ottusità, dell'esaltazione della gerarchia, del silenzio
innanzi all'ingiustizia, dell'omertà corporativa.
Nel mio piccolo invece io ho sempre
cercato di ispirare la mia vita a valori diametralmente opposti.
Perché questa mia è proprio una battaglia di valori, e
non blaterata in qualche starnazzante e violenta farneticazione da
piazza o da assemblea, ma messa in pratica, di persona, senza
mediazioni di sorta. Ho sempre cercato con modestia di essere un uomo
di principi, e ora che ho di fronte uno scontro reale di principi
assolutamente opposti non mi tirerò certo indietro, anzi. E il
mio più radicale rispetto per la dignità e l'unicità
di ogni persona, per la più ampia libertà di
espressione e di rigoroso rispetto dei diritti umani si unisce alla
più profonda indifferenza per l'autorità, e al
disprezzo per la gerarchizzazione dell'individuo in qualsiasi istanza
sociale ciò venga a verificarsi. Dichiaro così la mia
più tranquilla, serena, pacata ma ferma e decisa
insubordinazione alla legge militare, ai suoi codici, ai suoi uomini,
alle sue gerarchie, al suo sistema di non-valori e al retaggio che
tutto ciò lascia nella società civile. Rigetto in toto
l'idea violenta e macellaia che l'esercito incarna ed esprime così
come mi disgusta e mi opprime ogni altra istanza violenta e
coercitiva, di potere o meno che sia, che incontro sulla mia strada.
La sensibilità, l'intelligenza, la pietà verso se
stessi e verso gli altri, il rispetto, la solidarietà, la
dignità non hanno per ovvi motivi niente a che vedere con
l'istituzione militare che dunque io rifiuto in ogni sua emanazione,
espressione ed autorità di sorta.
Questo solitario impegno si collega e
si stringe in un vincolo di fratellanza con tutti gli altri ragazzi
che in ogni parte del mondo (con ben altri e più gravi rischi
di quelli che corro io) e in ogni sistema politico sono incarcerati
per aver rifiutato l'esercito e il servizio militare. Mi accomuna, a
quei ragazzi che si oppongono direttamente, senza mediazioni o
compromessi, e senza riserve a quell'offesa alla dignità di un
uomo che è l'esercito, una lotta non violenta per la libertà
di coscienza e il rispetto dei diritti umani che delle frontiere,
delle lingue, delle bandiere nazionali non s'importa. Ci accomuna il
nostro impegno, la nostra età, la nostra tranquilla e pacifica
intransigenza, la nostra visione del mondo e la convinzione che mai,
per nessun motivo, saremo disponibili a spararci addosso l'un
l'altro.
Sono russi, ciprioti, finlandesi,
francesi, tedeschi delle due germanie, greci, israeliani, italiani,
norvegesi, spagnoli, turchi, ungheresi, etiopi, guatemaltechi,
peruviani, pakistani, siriani, sudafricani, jugoslavi, ma vorrei
poterli citare tutti per nome questi miei coetanei: si impegnano in
prima persona, pagando duramente, e in tutti i paesi del mondo perché
non esistono eserciti buoni ed eserciti cattivi ma solo eserciti. La
costrizione è sempre la stessa, la mentalità del
potere, la medesima; cambiano, signor ministro, le fogge delle
divise, gli inni e il colore delle bandiere ma la vergogna degli
eserciti, della mentalità militare, della disciplina a tutti i
costi è sempre la stessa dappertutto, con le sue atrocità,
i suoi suicidi buoni solo per le statistiche, i suoi morti ammazzati,
le sue omertà, i suoi regolamenti.
E non è più pensabile,
come dichiarò alla costituente Aldo Moro commentando l'ultimo
comma dell'art. 52, non è pensabile che la gerarchia militare
soffochi la dignità della persona umana, come troppe volte è
avvenuto attraverso i regolamenti di disciplina. Ed è proprio
a questi regolamenti e a tutte le regole esplicite ed implicite di
costrizione e di disciplina presenti anche ed in forza nella società
civile e in quegli stessi movimenti che ad essa dicono, patetici, di
opporsi, che io, nel mio piccolo, mai mi disciplinerò.
"L'obbedienza non è più una virtù", e
per quanto ne dica l'attuale papa guerriero io sto dall'altra parte,
quella di don Milani, quella dei liberi, quella dei senza potere e
dei senzapatria, e in pratica, non a chiacchiere.
Nemmeno il servizio civile
Quanto, signor ministro, alla questione
del mio rifiuto di aderire all'obiezione di convenienza del servizio
civile di stato, il problema non merita più di due note.
Non mi sono mai posto l'idea di
"optare" per il servizio civile sostitutivo perché
non voglio "sostituire" alcunché. Io il servizio
militare lo voglio eliminare, non sostituire, e mi sto impegnando
proprio per questo. Non riconosco all'istituzione inoltre il diritto
di "impormi di scegliere" un'alternativa a qualcosa che
neppure concepisco. Anche qui, come per il servizio militare, come
per quelle frasi di minaccia alla galera che scrivete nella seconda
riga della cartolina precetto, il sintagma è quello di sempre
o consenso o repressione. È
pleonastico aggiungere, a questo punto, che la cosa semplicemente mi
disgusta? Veda, signor ministro, l'antimilitarismo è una
scelta pacificamente oltranzista. Antimilitaristi o lo si è o
non lo si è, non si può stare nella via di mezzo a
seconda del momento, degli interessi personali, del sesso con cui si
nasce, delle varie contingenze, di quanto ne soffrirebbe la mamma o
la "morosa" (si ricorda, signor ministro, quella poesia di
Pasolini dedicata alle madri? Bisognerebbe tappezzarne i muri
d'Italia), di cosa ne direbbero i vicini.
Certo: mi sarebbe comodo fare
l'obiettore di convenienza. Sotto casa, ben sistemato in qualche
biblioteca, poter continuate a studiare e a lavorare alle mie
appassionate ricerche d'archivio, certo, mi sarebbe facile ottenerlo
e mi sarebbe conveniente.
Ma io al servizio civile riconosco solo
la legittimità storica di aver rappresentato un passo avanti,
un passo importante in una direzione che si è smarrita. Che si
è smarrita ancora una volta, nelle scelte di convenienza di
tanti che con l'antimilitarismo delle origini niente hanno a che
vedere. Sono diventati anche loro strumenti di una società,
per dirla con Montale, nella quale o si è farcitori o farciti.
Con questi obbedienti integrati senza
divisa questo mio pur modesto impegno non ha nulla a che fare. Non li
sento miei compagni di strada e non li voglio accanto (ripensamenti
loro a parte). A loro di eliminare gli eserciti non interessa punto,
loro che si fanno strumenti dello stato, loro che dal suo ministero,
signor ministro, accettano pure di essere pagati. I figli di papà
non sono mai antimilitaristi. Non gli conviene. Troppi soldi nelle
tasche, troppi piaceri a cui fare a meno, una riflessione di pace e
un impegno concreto in questa direzione è cosa troppo alta per
loro, meglio lasciare tutto sulla carta e se non si riesce a farsi
lasciare a casa, meglio fare l'obiezione di convenienza allora in
qualche ufficio Arci sottocasa, vicino alla mamma e ai propri
interessi, poi, adesso che è di un anno soltanto... Mi
dispiace, non ci sto. Per dignità e per distinzione.
Quello che in questi anni sotto la
patina libertaria e non violenta dell'obiezione si è fatto è
uno scempio delle istanze antimilitariste della prima ora.
Questi obiettori - carichi di
raccomandazioni e privi di principi - hanno ingrassato con la loro
presenza enti locali, sindacati, associazioni paraculturali favorendo
coperture economiche scandalose per convenzioni grazie alle quali si
violava la legge stessa utilizzando gli obiettori di convenienza in
sostituzione del personale pagato. La chiesa, i sindacati, i partiti
e le loro patetiche associazioni hanno fatto uso a piene mani di
questa "manodopera" non sindacalizzata (infatti
disciplinarmente sono militari a tutti gli effetti) usando i giovani
precettati dallo stato in nome della leva.
Da tutta questa gente (tra cui molti
amici carissimi) non ho mai visto un solo atteggiamento, con i fatti
e non a chiacchiere, di critica autentica e concreta nei confronti
dell'esercito e nei confronti della subordinazione in qualsiasi modo
essa si esprima. In più, molti di questi blaterano di
ingiustizia sociale, di progressismo, di disoccupazione, rendendosi
conto benissimo di essere stati usati e di aver contribuito con la
loro obiezione di convenienza all'ingrossarsi delle file dei
disoccupati, quelli veri. Quelli che non sanno come tirare avanti,
davvero e non a parole.
Altrettanto non a parole, mia modestia,
io cerco di impegnarmi nella direzione esattamente opposta. Di
battermi a modo mio e come posso, ma sempre in prima persona contro
le ingiustizie, quelle militari e quelle sociali, le discriminazioni,
le violazioni dei diritti umani, le ineguaglianze, la volontà
di potere (o di contropotere), il privilegio dei pochi e le logiche
di gerarchia di cui si nutrono. E dicendo questo esigo di non essere
minimamente confuso, neanche per sbaglio, con i baronetti di maniera
del sedicente contropotere, volgari, ambiziosi e scimuniti snob
salottieri, "indipendentini" di sinistra di
venti-trent'anni, yuppies gerarchici e senza vergogna della sinistra
italica istituzionale e non: questi abili firmaioli d'appelli, questi
violenti parolai da piazza mi provocano solo dei conati di nausea.
In questo impegno che ho preso,
razionale e determinato (detesto profondamente le utopie) ma pensato
e sofferto a lungo, ho presto scoperto, senza che la cosa mi
preoccupasse minimamente (nutro per la parola "massa" un
fastidio orteghiano), che la mia era una strada solitaria. E mentre
passeggiavo da solo in questa direzione gli unici che ho incontrato a
gironzolare da queste parti erano gli amici e fratelli anarchici.
Io non sono anarchico. E non sono un
anarchico. E loro non mi hanno chiesto chi ero e da dove venivo:
sapevano, intuivano che se l'avessero fatto li avrei mandati a quel
paese. E in una civiltà del sospetto come questa, che per
aprire il cuore ad una persona bisogna chiedergli il curriculum
vitae, questo non è poco. Sono loro gli unici su cui possa
veramente contare. In qualsiasi momento e persino aprioristicamente.
Hanno capito subito questa posizione perché è anche la
loro, è parte del loro patrimonio. E a loro va il merito, la
lungimiranza, l'intelligenza, la generosità e il coraggio di
aver intrapreso e continuato questa battaglia con le loro poche forze
ma con tutta la tempra e la convinzione di cui sono capaci (e tutta
la galera che sono stati in grado di sopportare), anche dopo
l'introduzione del servizio civile sostitutivo di stato comprendendo
perfettamente e lucidamente le cose da subito, con il loro non saper
fare mediazioni, il loro pacifico e generoso oltranzismo (e
naturalmente, anche qui, parlo degli anarchici che poi queste scelte
le hanno fatte per davvero e non quelli che le hanno solo
chiacchierate).
Neanche loro come me riuscivano ad
ipotizzare l'idea di subire un ordine come di darlo. E anche loro,
innanzi alla follia militare sceglievano di non pensare alle proprie
convenienze, di non chiudere gli occhi, di non voltarsi dall'altra
parte ma invece di tenerli bene aperti, e il mostro di guardarlo,
guardarlo fisso e bene in faccia.
Quanto tutto ciò irriti
profondamente lo stato democratico pluralista è sotto gli
occhi di chi vuol vedere. Mesi e mesi di carcere: segregazione,
umiliazioni, processi, repressioni volgari e violente: le risposte di
sempre, di ogni stato anche sedicentemente democratico e tollerante.
Tra gli scritti antimilitaristi di
Tolstoj c'è una lucida pagina sulla quale vorrei attirare la
sua attenzione, verificandone la straordinaria atemporalità:
"I liberali, i socialisti e tutti gli uomini" - scrive
Tolstoj - "che si chiamano avanzati, ammalati dalle loro stesse
parole, possono credere che i loro discorsi in parlamento o nelle
assemblee, che le loro associazioni, sindacati, scioperi, opuscoli
siano cose importantissime, e che invece i rifiuti isolati di portare
le armi siano dei fatti poco importanti e che non meritano alcuna
attenzione. Ma i governi sanno benissimo ciò che importa e ciò
che è indifferente. Essi lasciano volentieri pronunciare
discorsi liberalissimi e radicali in parlamento, tollerano le
associazioni operaie, le dimostrazioni socialiste, ed anche fanno
sembiante di accordare loro qualche simpatia, sapendo bene che il
gioco è loro proficuo, perché distoglie l'attenzione
dei popoli dal loro solo e vero mezzo di liberazione. Al contrario,
mai i governi ammetteranno il rifiuto di servire nell'esercito o
quello di pagare le imposte per le spese militari perché sanno
che questo rifiuto, svelando la soperchieria governativa, mina la
base stessa del potere".
Come vede siamo sempre lì. Per
gli antimilitaristi quelli veri, c'è da sempre la stessa casa:
il carcere. Impossibilitato a distogliermi dalla scelta di pace
intrapresa, a imprigionare la mia mente, lo stato democratico,
pluralista italiano riverserà tutto il suo zelante impegno nel
costringere il mio corpo alla detenzione. E mentre io so che quello
che faccio è giusto e dignitoso nei confronti di me stesso e
degli altri, l'istituzione - che è fatta di uomini prima che
di regolamenti - potrà dire lo stesso di se stessa?
Come agli uomini grigi di Ende, a Sua
Potenza lo stato un obiettore non sfugge. Evadessi il fisco per un
paio di miliardi potrei starmene tranquillamente a casa o in
spiaggia, ma un obiettore di coscienza al servizio militare non ha
scampo.
Ad aspettarlo ci sono i carabinieri,
c'è un processo e una sicura e lunga condanna, ad aspettarlo
c'è tutta la capacità coercitiva ed umiliante delle
democratiche, pluraliste, tolleranti carceri militari di stato. Di
tanta e così spessa oscurità... ricorderà
senz'altro, signor ministro, i versi di Céline da "Voyage
au bout de la nuit". E quando il suo stato pluralista mi
condannerà al carcere io avrò già vinto la mia
battaglia contro di voi costringendovi alla violenza e alla
coercizione di fronte alla scelta pacifica di un inerme solo, e
contro me stesso, le mie paure, i miei istinti di autoconservazione,
di sottomissione, di convenienza davanti alla deterrenza psicologica
dello stato.
Queste infamie
È assolutamente scontato
inoltre, che non essendo militare, disposto anche a pagare per questa
scelta, un soldato non lo sarò neanche in prigione, e
scontatamente non accetterò di indossare la divisa di
carcerato militare, di tagliarmi i capelli e la barba come un
militare, di firmare regolamenti e di accettare imposizioni, ordini e
soprusi di sorta. Naturalmente come hanno fatto agli altri obiettori
le democratiche carceri militari tenteranno di riprocessarmi. Ma
come, signor ministro, non è informato? Non è al
corrente che in questo radioso, pacifico e tollerante paese si
affibbiano - incredibile visu - mesi di carcere a chi non fa il
letto e sistema le coperte secondo le norme previste dal regolamento?
Sembra anche a lei impossibile? Viene dà ridere anche a lei?
Ridono meno, mi creda, tutti gli antimilitaristi che hanno sulle
spalle, costretti a scontarle, queste vergognose condanne aggiuntive
(e il tutto nel silenzio e nell'indifferenza più generale).
L'istituzione non è sfiorata dall'imbarazzo e dalla vergogna
di condannare delle persone due volte per lo stesso motivo: per non
voler essere un militare e per continuare a non volerlo essere anche
in carcere.
Che fulgido esempio di rispetto alla
dignità, vero ministro? Queste infamie fanno arrabbiare anche
i tranquilli come me. E quando si hanno di fronte cose del genere si
deve scegliere: o da una parte o dall'altra. E lei ha certamente
capito da che parte sto io.
Ecco dunque a che cosa è
costretto a far ricorso lo stato democratico italiano per umiliare
chi non vuole piegare la testa, chi non vuole dire mai nessun
signorsì, è costretto a ricorrere alla condanna per le
lenzuola, le coperte, le barbe e le divise. La cosa è patetica
quanto preordinata, naturalmente. Lo stato italiano democratico e
pluralista sa perfettamente che questa deterrenza gli serve. Infatti
se tutti i ragazzi della mia età, tranquilli, pacifici e
antimilitaristi si imponessero una scelta radicale di obiezione
riconoscendo se stessi, la loro unicità e dignità, nel
giro di due anni avremmo già sistemato la "questione
militare" con buona pace dei generali e dell'industria bellica
italiana; se non altro, mi creda, per la dirompente forza politica di
duecentomila mammette piagnone.
Per intanto comunque le carceri
militari italiane rimangono lì, come recluso esempio
dell'ideale Ascona di Erich Múhsam (un amico messo in galera
dai socialdemocratici e torturato a morte dai nazisti): "luogo
di raduno di persone che per la costituzione della loro individualità
sono inadatte a diventare mai membri utili della società umana
capitalistica"; ideale del resto, anche quando non recluso - come
scrive bene Roberto Calasso nella postfazione adelphiana all'Unico di
Stirner - da sempre, ovviamente, non meno aborrito da ogni Sinistra
in regola e poliziotta.
Comunque, signor ministro, mi permetta
nel mio piccolo di esternare a lei e ai suoi militari la mia umana
solidarietà: per quanto la mia sia tutt'altro che agevole, non
vorrei essere dalla vostra parte neanche per tutto l'oro del mondo.
Condannare alla galera gli inermi pacifici è mestiere brutto,
umiliare al carcere e dentro il carcere le persone di coscienza è
un mestiere che proprio non vi invidio. Se per il buon Erasmo da
Rotterdam la guerra è cosa da animali, l'addestrarsi ad essa
ed alle sue logiche umiliando il prossimo persino dopo averlo già
messo in galera, forse è proprio cosa di cui solo l'uomo è
veramente capace.
Ma nello stato schiacciasassi l'uomo si
confonde con i meccanismi, tutto diventa causa ed effetto, quale
libertà di coscienza, quali diritti umani, chi non sta alle
regole, chi non si adegua al modello imposto deve pagare, altro che
storie. E per quanto questo stato terrorizzante (le confido che
l'ipotesi del carcere inizialmente mi bloccava le gambe) sia patetico
ad atteggiarsi nelle sue caserme ad educatore (mi viene in mente,
signor ministro, l'Emile di Rousseau: "Comment se peut-il qu'un
enfant soit bien élevé par qui n'a pas été
bien élevé lui méme?") il vero pericolo per
questa generazione di ragazzi non è questo ma è
l'incapacità di scrollarsi di dosso l'istinto autoconservativo
a subordinarsi a tutto ciò. E come il simpatico Rambaldo, il
cavaliere inesistente di Calvino, si renderanno conto di aver perso
ogni voglia di combattere solo quando dovranno farlo sul serio. Più
ci penso e più mi convinco che forse aveva ragione il mio
amico Cioran, gli uomini dabbene non dovrebbero avere una patria, una
patria è una colla, specie quando, materna e terribile, si
ricorda di chiamarci a lei per addestrarci all'ammazzamento, alla
sottomissione e alla gerarchia. "Valori" che poi
naturalmente ci invita ad esportare nella società civile
("siamo uomini o caporali?", ricorderà certamente
l'immortale film, vero ministro?), e che incontriamo ad ogni passo,
dai capetti da avanguardismo leninista al capo ufficio isterico, dal
funzionario di partito al patetico personaggetto locale prostituito
alla sua ambizione, o a qualche altro cialtrone che con tutti i
mezzi (persino parlando di diritti umani, si pensi lo schifo!) tenta
di diventarlo.
Del resto bazzico le questioni
giuridiche e giudiziarie da tempo sufficiente per capire che
costituzioni e leggi sono ben altro che costituzioni divine
(tutt'altro: l'incipit dell'art. 52, quell'orrendo "sacro dovere
del cittadino", è stato mutuato tout court dalla
costituzione sovietica, figuriamoci) e il diritto, cosa di uomini e
da uomini, è perfettibile per assunto. Per cui se le leggi
sono sbagliate e liberticide, si cambiano, volendolo fare ed avendone
l'interesse.
La speranza che ancora non abbandona
l'inerme solitario del sottoscritto è che prima o poi
l'ingranaggio si inceppi, che il manovratore comprenda la follia di
tutto questo.
I motivi per capirlo ci sono, le stesse
risoluzioni internazionali sul diritto alla libertà di
coscienza, tutte abbondantemente sottoscritte dall'Italia, si
sprecano, e non starò ad enumerarle, sono fin troppe. Ma la
prassi è ben altra, come sappiamo; le dichiarazioni di
principio sono chiacchiere al vento. E all'esercito democratico
pluralista tollerante italiano gli uomini di principi piacciono poco.
"Dietro quella cartolina rosa c'è il nostro futuro,
rosa": recita la sua più recente pubblicità
miliardaria che mi sono appesa in camera. "Lavoriamo tutti i
giorni perché la pace duri una vita", farnetica. Ma sulla
vocazione di pace dei mitra spianati mi permetta di esprimere - cosa
fin troppo facile - qualche leggera perplessità, signor
ministro.
Voi siete quelli che Kant prendeva in
giro: siete per la pace si, ma quella perpetua.
"Di fronte alle difficoltà
della vita ti insegnano a non alzare le mani": giusto ! Ed è
esattamente quello che farò, signor ministro, ma senza
imbracciare quel fucile mitragliatore che, come da foto, avreste
voluto mettermi fra le mani. Distinti saluti.
Gianni Buganza
|