Rivista Anarchica Online
MIMI Festival '89
di Paolo Cantarutti
Come ogni anno, ecco la cronaca del
MlMl Festival - il festival della musica innovatrice che si tiene in
Francia. Il "solito" Marco Pandin non c'è andato,
quest'anno. E ha chiesto la cronaca a Paolo Cantarutti, del
Coordinamento friulano per l'ecologia sociale.
Due sono i motivi che hanno spinto un
gruppo di friulani in Provenza, a S. Martin de la Crau (una
quarantina di chilometri da Avignone), per il MIMI Festival di
quest'anno (6/9 luglio). Primo il programma musicale in rotta di
allontanamento dalle tendenze dominanti, solo un gruppo interamente
americano, a favore di un dolce disordine di musiche e musicisti
francesi, russi, belgi, polacchi, svizzeri, canadesi, jugoslavi,
svedesi ecc... A volte anche assortiti all'interno di uno stesso
gruppo.
E poi la voglia di respirare l'aria
dell'Occitania, terra dei trovadori e dei felibristes, nazione
proibita dal supercentralismo del governo francese. E la qualità
del paesaggio riempe la mente ed il cuore: campi illimitati, file di
alberi a frenare il vento, casolari abbandonati, miniere d'ocra,
resti archeologici.
La quantità d'aria che circola
intorno alle persone è grande, e porta il profumo dei campi di
lavanda fin dentro le città. Il Mistral, il vento che ogni
giorno ossigena la Provenza è curiosamente omonimo del più
grande poeta provenzale, Federico Mistral. Lo stesso posto dove si è
svolto il Festival è molto bello. Un polveroso casolare
abbandonato posto sulla riva di un piccolo lago. Intorno solo
chilometri di campi seccati dall'arsura, qualcuno di lavanda, altri
di girasole. Nelle vicinanze una fabbrica di dinamite, che immagino
con un passato di scoppi ed incidenti mortali. "Ogni tanto dal
paese si sentiva il boato ed allora sapevamo che la fabbrica si era
portata via qualche nostro figlio".
Sperimentali
Paragonabile alla dinamite è
stato il concerto nella prima sera del duo Fred Frith/John Zorn.
I due tellurici musicisti hanno bruciato le orecchie alla maggior
parte dei presenti, situandosi immediatamente aldilà di
possibili generi, definizioni, limiti musicali o di altra natura. Il
concerto odorava di invenzione oltreché musicale, di uno stile
di vita: "essere sperimentali". Dai loro strumenti uscivano
in continuazione flussi di musiche possibili immediatamente
cancellati da flussi opposti, da direzioni zigzaganti, da linee di
fuga.
Alla deriva in assenza di gravità
nell'iperspazio di tale musica, ha fatto seguito purtroppo un ritorno
all'ordine degli altri pur stimolanti concerti. I francesi Appel a
Tous, duo batteria/strumenti elettronici sempre nella prima
serata sono riusciti a fuggire dall'improvvisazione canonica
soprattutto con alcune bordate di elettronica "concreta".
La seconda serata è aperta dai
polacchi Harmonia Viva, trio di fisarmoniche, strumento che
sta vivendo un momento di popolarità grazie ad Astor
Piazzolla, ma con possibilità creative veramente notevoli
(cercatevi i dischi di Pauline Oliveiros). La loro musica è
vagamente neoclassica nei momenti più ispirati, diventa
ipnotica in quelli meno noiosi.
Seguono i Maximalist dal Belgio,
il nome lascia intuire l'area di riferimento della musica minimale.
Anche la strumentazione come da copione: due pianoforti, sax, flauti,
viole, violini e violoncelli. La musica è parsa più
adatta per accompagnare teatro o danza che per concerti dal vivo. È
emerso dalla bellezza fredda dei pezzi eseguiti un emozionante trio
per tavolini amplificati, suonati con le mani da tre esecutori.
La terza serata ha visto l'incontro al
vertice fra un gruppo americano Orthotonics ed uno russo Pop
Mekhanika. I primi hanno cantato una manciata di scialbe
canzonette, pretendendole oblique ed intelligenti ma invece solo
insignificanti. I Russi erano in tre: un pianista classico, un
sassofonista be bop e un chitarrista heavy metal.
Cocktail da agitare con dei mimi che
comparivano e sparivano dalla scena con improbabili costumi, e che
guardavano lontano con tubi e binocoli. Risultato: musica inaudita e
divertente.
Barriere e frontiere
Il programma dell'ultima serata era
tutto da ballare, quasi una serata danzante. Prima i Nimal,
gruppo misto canadese/americano/svizzero/jugoslavo, impegnato a
trasformare in rock delle danze balcaniche e viceversa.
Intelligente esempio di come a partire
da basi etniche si possa arrivare a parlare un linguaggio planetario,
specialmente quando Tom Cora se ne andava a spasso sulle note con il
suo violoncello. Poi a chiusura del festival è arrivata la
bella sorpresa dei Looping Home Orchestra.
Gruppo svedese che ospitava alla
chitarra ed al violino il cittadino del mondo Fred Frith, sulle cui
attitudini musicali già vi abbiamo trasmesso. E qui di nuovo e
finalmente il respiro si fa più profondo, la linfa scorre
dalle radici dentro la terra in un percorso verso l'alto, verso il
cielo. Non ci sono barriere da saltare tra pezzi classici, ballate
ubriache, sperimentazioni, gighe medioevali, canzoncine per bambini,
crudeli improvvisazioni, leggende scandinave. E neanche fra i
campionatori elettronici e fisarmoniche, quando l'intensità e
l'emozione sono profuse come qui. Tralasciando gli inutili e scontati
elogi per iniziative come questo festival, ci piace invece muovere
una critica (una sola). Il programma annunciava l'apertura delle
barriere e frontiere per un confronto tra le diverse culture. I
musicisti invitati purtroppo in molte occasioni hanno dimostrato di
essere ancora dietro certe barriere mentali. Refrattari a capire che
a volte l'innovazione non è questione di avanguardia o di
trasgressione, ma di senso della posizione da cui si opera (Nettuno
proprio non ci basta!). Forse per questo motivo il titolo MIMI
(movimento internazionale musicisti innovativi) risulta un po'
pretenzioso. Ad esempio, una bella astronave sarebbe stato lo strano
ascensore di Heiner Muller (The Man in the Elevator - H. Muller/H.
Goebbels) di cui vi ha parlato Marco Pandin in uno degli ultimi
numeri.
A noi in certe giornate bastava... il
Mistral.
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