Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 167
ottobre 1989


Rivista Anarchica Online

MIMI Festival '89
di Paolo Cantarutti

Come ogni anno, ecco la cronaca del MlMl Festival - il festival della musica innovatrice che si tiene in Francia. Il "solito" Marco Pandin non c'è andato, quest'anno. E ha chiesto la cronaca a Paolo Cantarutti, del Coordinamento friulano per l'ecologia sociale.

Due sono i motivi che hanno spinto un gruppo di friulani in Provenza, a S. Martin de la Crau (una quarantina di chilometri da Avignone), per il MIMI Festival di quest'anno (6/9 luglio). Primo il programma musicale in rotta di allontanamento dalle tendenze dominanti, solo un gruppo interamente americano, a favore di un dolce disordine di musiche e musicisti francesi, russi, belgi, polacchi, svizzeri, canadesi, jugoslavi, svedesi ecc... A volte anche assortiti all'interno di uno stesso gruppo.
E poi la voglia di respirare l'aria dell'Occitania, terra dei trovadori e dei felibristes, nazione proibita dal supercentralismo del governo francese. E la qualità del paesaggio riempe la mente ed il cuore: campi illimitati, file di alberi a frenare il vento, casolari abbandonati, miniere d'ocra, resti archeologici.
La quantità d'aria che circola intorno alle persone è grande, e porta il profumo dei campi di lavanda fin dentro le città. Il Mistral, il vento che ogni giorno ossigena la Provenza è curiosamente omonimo del più grande poeta provenzale, Federico Mistral. Lo stesso posto dove si è svolto il Festival è molto bello. Un polveroso casolare abbandonato posto sulla riva di un piccolo lago. Intorno solo chilometri di campi seccati dall'arsura, qualcuno di lavanda, altri di girasole. Nelle vicinanze una fabbrica di dinamite, che immagino con un passato di scoppi ed incidenti mortali. "Ogni tanto dal paese si sentiva il boato ed allora sapevamo che la fabbrica si era portata via qualche nostro figlio".

Sperimentali

Paragonabile alla dinamite è stato il concerto nella prima sera del duo Fred Frith/John Zorn. I due tellurici musicisti hanno bruciato le orecchie alla maggior parte dei presenti, situandosi immediatamente aldilà di possibili generi, definizioni, limiti musicali o di altra natura. Il concerto odorava di invenzione oltreché musicale, di uno stile di vita: "essere sperimentali". Dai loro strumenti uscivano in continuazione flussi di musiche possibili immediatamente cancellati da flussi opposti, da direzioni zigzaganti, da linee di fuga.
Alla deriva in assenza di gravità nell'iperspazio di tale musica, ha fatto seguito purtroppo un ritorno all'ordine degli altri pur stimolanti concerti. I francesi Appel a Tous, duo batteria/strumenti elettronici sempre nella prima serata sono riusciti a fuggire dall'improvvisazione canonica soprattutto con alcune bordate di elettronica "concreta".
La seconda serata è aperta dai polacchi Harmonia Viva, trio di fisarmoniche, strumento che sta vivendo un momento di popolarità grazie ad Astor Piazzolla, ma con possibilità creative veramente notevoli (cercatevi i dischi di Pauline Oliveiros). La loro musica è vagamente neoclassica nei momenti più ispirati, diventa ipnotica in quelli meno noiosi.
Seguono i Maximalist dal Belgio, il nome lascia intuire l'area di riferimento della musica minimale. Anche la strumentazione come da copione: due pianoforti, sax, flauti, viole, violini e violoncelli. La musica è parsa più adatta per accompagnare teatro o danza che per concerti dal vivo. È emerso dalla bellezza fredda dei pezzi eseguiti un emozionante trio per tavolini amplificati, suonati con le mani da tre esecutori.
La terza serata ha visto l'incontro al vertice fra un gruppo americano Orthotonics ed uno russo Pop Mekhanika. I primi hanno cantato una manciata di scialbe canzonette, pretendendole oblique ed intelligenti ma invece solo insignificanti. I Russi erano in tre: un pianista classico, un sassofonista be bop e un chitarrista heavy metal.
Cocktail da agitare con dei mimi che comparivano e sparivano dalla scena con improbabili costumi, e che guardavano lontano con tubi e binocoli. Risultato: musica inaudita e divertente.

Barriere e frontiere

Il programma dell'ultima serata era tutto da ballare, quasi una serata danzante. Prima i Nimal, gruppo misto canadese/americano/svizzero/jugoslavo, impegnato a trasformare in rock delle danze balcaniche e viceversa.
Intelligente esempio di come a partire da basi etniche si possa arrivare a parlare un linguaggio planetario, specialmente quando Tom Cora se ne andava a spasso sulle note con il suo violoncello. Poi a chiusura del festival è arrivata la bella sorpresa dei Looping Home Orchestra.
Gruppo svedese che ospitava alla chitarra ed al violino il cittadino del mondo Fred Frith, sulle cui attitudini musicali già vi abbiamo trasmesso. E qui di nuovo e finalmente il respiro si fa più profondo, la linfa scorre dalle radici dentro la terra in un percorso verso l'alto, verso il cielo. Non ci sono barriere da saltare tra pezzi classici, ballate ubriache, sperimentazioni, gighe medioevali, canzoncine per bambini, crudeli improvvisazioni, leggende scandinave. E neanche fra i campionatori elettronici e fisarmoniche, quando l'intensità e l'emozione sono profuse come qui. Tralasciando gli inutili e scontati elogi per iniziative come questo festival, ci piace invece muovere una critica (una sola). Il programma annunciava l'apertura delle barriere e frontiere per un confronto tra le diverse culture. I musicisti invitati purtroppo in molte occasioni hanno dimostrato di essere ancora dietro certe barriere mentali. Refrattari a capire che a volte l'innovazione non è questione di avanguardia o di trasgressione, ma di senso della posizione da cui si opera (Nettuno proprio non ci basta!). Forse per questo motivo il titolo MIMI (movimento internazionale musicisti innovativi) risulta un po' pretenzioso. Ad esempio, una bella astronave sarebbe stato lo strano ascensore di Heiner Muller (The Man in the Elevator - H. Muller/H. Goebbels) di cui vi ha parlato Marco Pandin in uno degli ultimi numeri.
A noi in certe giornate bastava... il Mistral.