Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 161
febbraio 1989


Rivista Anarchica Online

Il non-piano di Kropotkin
di F. B.

Nato a Mosca nel 1842 da una ricca famiglia nobile, Pietro Kropotkin si arruola ventenne, ma prende a interessarsi sia di geografia sia di problemi sociali. Abbandonato l'esercito, nel 1871 si reca in Svizzera ed entra in contatto con gli ambienti anarchici. Rientrato in Russia, viene arrestato (1872), ma 4 anni dopo riesce a fuggire e riparare in Inghilterra. Scrive numerosi libri, letti da intere generazioni di militanti operai e socialisti. Nel '17 torna in Russia e si schiera con la rivoluzione. Ne critica però la degenerazione autoritaria imposta dai bolscevichi. Muore nel '21 ed i suoi funerali, seguiti da centomila persone, sono l'ultima grande manifestazione anarchica in Russia. Il suo pensiero, pur pesantemente condizionato dalla cultura positivista, presenta molti spunti d'attualità. Come dimostra anche questa scheda sulle sue concezioni urbanistiche.

Nel libro "Campi, fabbriche, officine", Kropotkin cerca di sfatare il luogo comune secondo il quale la nuova evoluzione tecnologica ed industriale necessita di una sempre più alta concentrazione a livello produttivo, che si concretizza con l'aumento delle fabbriche di grandi dimensioni ed il nuovo fenomeno della concentrazione urbana ed il conseguente spopolamento delle campagne.
"Le due attività sorelle dell'agricoltura e dell'industria non furono sempre così estranee l'una all'altra come lo sono oggi... i villaggi ospitavano allora una molteplicità di industrie e gli artigiani della città non abbandonavano l'agricoltura... ma poi, con l'avvento delle turbine, del vapore e lo sviluppo della meccanica, si spezzarono i legami che una volta vincolavano la fattoria all'officina... Si condannarono così alla sparizione tutti quei settori dell'industria che un tempo solevano prosperare nelle città e si deprecò nell'industria tutto ciò che non somigliava alla grande fabbrica". Kropotkin inizia così un'indagine e una analisi di quella che noi oggi chiamiamo "economia sommersa" e forme economiche alternative alla concentrazione industriale per grandi complessi e monopoli.
Egli osserva che esistono due vaste categorie di queste piccole industrie (lavoro a domicilio e attività artigianali): le industrie che si trovano nei villaggi, in connessione con l'agricoltura e quelle esistenti nelle città e nei villaggi senza nessuna connessione con la terra.
Al tempo di Kropotkin sono poche in Inghilterra le piccole industrie sopravvissute in connessione con il lavoro dei campi, ma centinaia di botteghe e piccole officine si riscontrano nei sobborghi e nei bassifondi delle grandi città e grandi masse di popolazione di diverse città si procacciano da vivere con una molteplicità di attività artigianali.
Nella sua analisi Kropotkin scopre anche l'esistenza di una massa di forme intermedie, a seconda dei legami più o meno stretti che continuano a sussistere con la terra. Prosegue affermando che in Russia, in Francia, in Germania e in Austria milioni e milioni di lavoratori vivono in piccoli villaggi e svolgono un'opera di integrazione tra lavoro industriale o artigianale e coltivazione della terra.

Il ruolo della piccola industria
Le piccole industrie e il lavoro a domicilio sono dunque un mondo che, abbastanza stranamente, continua ad esistere anche nei paesi più industrializzati, fianco a fianco con le grandi fabbriche. Pur trovandosi in condizioni economiche precarie (bassi guadagni, impiego incerto, grossa dipendenza nei confronti dei grossisti) la piccola industria è ben lungi dallo scomparire, dimostrando così una straordinaria vitalità, grandi capacità di modificazione al suo interno e capacità di adattamento a nuove condizioni di lavoro.
In questo senso dobbiamo riconoscere che il culto per il gigantismo industriale ci spinge ad esagerarne le dimensioni effettive: la maggior parte dei beni è ancora il prodotto di una industria su piccola scala.
Negli anni '50 il professor S.R. Dennison fece la stessa constatazione dichiarando: "Su un ampio spettro di industrie l'efficienza produttiva delle piccole unità eguagliava per lo meno, e in certi casi superava, quella dei giganti industriali".
Per meglio capire l'analisi kropotkiniana della "nuova" concentrazione industriale, sull'urbanesimo crescente e l'abbandono delle aree rurali è forse il caso di vedere quali siano i problemi connessi a questo nuovo tipo di produttività come ben evidenzia nel suo articolo Riccardo Mariani (Volontà, n.2 anno 1981).
Agli inizi dell'Ottocento vi è un grande fiorire di un certo tipo di letteratura prodotta a proposito della "metropoli" nel nuovo contesto della Rivoluzione Industriale. Il nuovo sviluppo produttivo presenta caratteri rivoluzionari non solo perché si stanno introducendo nuovi sistemi meccanici di produzione con la relativa serialità degli "oggetti", ma soprattutto perché milioni di persone, fino a quel momento emarginate dalla società e dalla civiltà, entrano in un contesto dal quale erano rimaste escluse nell'arco di molti secoli. Questa nuova popolazione urbana vive in una particolare frontiera, non ben definita, fuori dalla città senza però far parte della campagna: non sono veri agricoltori, non vivono su un podere o fondo rurale, sono talvolta salariati, briganti, banditi, mendicanti, individui insomma che vivono di espedienti, vivono di ciò che la natura concede o di ciò che essi riescono a strappare alle persone.
Improvvisamente questi milioni di persone fanno finalmente il loro ingresso in città, a qualsiasi condizione, dando vita alle grandi bidonville ampiamente descritte. Il problema di fondo per la società, in questo momento, è quello di riuscire a creare un sistema culturale e di riferimenti per queste persone che hanno sempre vissuto al di fuori di qualunque regola sociale, ma anche abituati ad una sorta di "democrazia pratica" esercitata fuori da ogni schema teorico.
Nel frattempo molti sono i nemici dello sviluppo industriale, fra i quali il più determinante è senz'altro la cultura cattolica in Spagna e in Italia. Esiste una vasta letteratura di stampo cattolico che denuncia con tinte disastrose gli aspetti più negativi del nuovo sistema sociale e produttivo. Si parla di degenerazione dei costumi e di fine del mondo ormai imminente. Un'altra corrente invece denuncia gli effetti negativi della vita nelle metropoli senza rendersi conto che non è la città-metropoli che crea in sé individui dissociati o "rivoluzionari": l'immigrato giunge in città già rivoluzionario o, più precisamente, "ribelle". Il nuovo soggetto urbano è dunque un rivoluzionario potenziale poiché ignora o non ha mai accettato le regole vigenti nel sistema istituzionale, urbano o rurale, e infatti ambedue i sistemi lo hanno sempre respinto.
Tutti sono quindi preoccupati dal fenomeno del "rivoluzionarismo" che si va dilatando, che non significa ancora un attacco sistematico ed unidirezionale, ma piuttosto un ribellismo contro tutto e tutti. Diventano quindi numerosissimi i tentativi di integrazione di questi nuovi "cittadini". Un caso esemplare sarà quello di Robert Owen che lotterà contro lo sfruttamento indiscriminato dell'operaio fino al limite delle sue possibilità. Egli stesso imprenditore ridurrà gli orari di lavoro e introdurrà un trattamento più umano nella fabbrica e fuori, scoprendo così che i rendimenti aumentano e migliorano anche i rapporti tra operai e proprietario. Si occuperà poi del tempo libero degli operai adottando un sistema educativo. Crea nuovi spazi abitativi più consoni alle esigenze dei lavoratori, istituisce scuole e corsi di danza per il tempo libero. Ed è qui che accade un fenomeno apparentemente strano: gli operai "fuggono" da Owen perché ritengono che partecipare alle lezioni e ai corsi di danza sia più faticoso che vivere come tutti gli altri operai; anche perché a questa gente si chiede, per lo più improvvisamente, un cambiamento sociale per il quale non sono ancora pronti.

Etica e decentramento
Di fronte alla nuova popolazione urbana due sono le posizioni ipotizzate:
- La città è il luogo privilegiato in cui si esercita l'opera di trasformazione sociale proprio attraverso l'attivazione di una lunga serie di accorgimenti, attività particolari, coinvolgimenti di vario tipo, etc. ovvero casette individuali, giardini pubblici, spazi sociali etc.
- In contrapposizione vi è la visione kropotkiniana che ribadisce l'esigenza di creare nuove strutture abitative alla cui gestione collabori tutta la società, a partire dalle sue componenti minime, cioè strada per strada, quartiere per quartiere (autogestione nella città e per la città).
Tutto ciò non solo inteso come atto politico-amministrativo ma come scelta di fondo, scelta etica, che comporta un impianto culturale appropriato.
Una scelta etica che si ricollega al problema del decentramento industriale, alla ricerca di una diversa qualità della vita.
"È necessario decentrare anziché centralizzare, dare un maggior significato al contenuto delle occupazioni anziché suddividerle ulteriormente; creare la solidarietà di gruppo, rendere più soddisfacente il lavoro anziché aspettare che i lavoratori trovino soddisfazione al di fuori di esso. In breve, occorre permettere ai lavoratori di utilizzare le proprie capacità in maniera più completa e di guadagnarsi così veramente da vivere".
Il risultato finale fu che in Inghilterra la rivoluzione non ci fu mai e non certamente a causa della sola gestione urbanistica delle città, ma in gran parte perché la città venne organizzata in modo tale da ridividere ciò che la città stessa aveva unificato. In altre parole si usarono leggi urbanistiche, procedimenti e criteri di sviluppo per creare spazi separati, insomma per provocare separazione e conconcorrenza all'interno di una massa che doveva la sua forza e consistenza fondamentale alla sua compattezza e alla sua "omogeneità".
Il secondo punto su cui si ferma l'attenzione di Kropotkin riguarda l'organizzazione sociale del nuovo spazio urbano ed indica come soluzione la comunità indicando come tale ciò che egli trova già esistente nella società costituita. Tra i modelli esistenti si riferisce in particolare a piccoli villaggi dove si svolge una vita sociale non gestita secondo schemi autoritari o gerarchici. L'esempio più significativo riguarda alcuni villaggi di ex servi della gleba, uomini rifugiatisi nella steppa a seguito di persecuzioni e che sono quindi obbligati a inventare un modo per sopravvivere insieme. In questi villaggi vi è una rotazione delle cariche tecniche e politiche, la gestione della proprietà pubblica, la ripartizione dei prodotti, le relazioni interne al gruppo sociale, l'istruzione, la circolazione della cultura, ecc. (ricordano i kibbutz moderni).
Egli immagina la produzione, la distribuzione e l'organizzazione sociale nelle mani di una federazione di comuni autonomi, ricercava la scomparsa della netta divisione tra rurale ed urbano, tra lavoratori dei campi e lavoratori dell'industria. Prendendo come base la piccola comunità, egli colse l'opportunità di una vita locale più responsabile e più sensibile. Emerge un quadro sufficientemente delineato perché si possa intendere l'idea generale del "piano" urbanistico di Kropotkin, laddove la caratteristica emergente sta proprio nel "non-piano", ma piuttosto nei criteri, nell'alternativa effettuale a quel sistema che pur riconosciuto eternamente "in crisi" viene continuamente proposto e riproposto in infinite varianti che sostanzialmente ripropongono il medesimo principio.