Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 161
febbraio 1989


Rivista Anarchica Online

Questi fantasmi
di Carlo Oliva

Alla fine, suppongo, ci spiegheranno con abbondanza di argomentazioni come lo straordinario comportamento del dottor Egidio De Luca, funzionario del Ministero di Grazia e Giustizia, quello che s'è inventato, martedì 3 gennaio, un classico rapimento con "gambizzazione" ad opera di un nucleo delle Brigate Rosse (anzi, delle "Nuove Brigate Rosse"), sia stato dettato da considerazioni affatto private. Già nel momento in cui scrivo, le ipotesi non mancano: spaziano dal "disturbo di personalità con note di rigidità paranoide" ("Corriere della Sera", 7 gennaio, p. 7) alla necessità di occultare, a scanso di guai, l'intervento di "esponenti della malavita", interessati alla restituzione di un ingente somma di denaro ("Repubblica", 9/10 gennaio, p. 16).
La grande stampa, ora come ora, è disposta a tutto, anche se di questo strano burocrate, in fondo, parla con reticenza. Di fatto, uno che è stato via via direttore di sezione al Ministero di Grazia e Giustizia, funzionario della Direzione Generale degli Istituti di prevenzione e di pena, addetto alle pubbliche relazioni nel gabinetto del Ministro, addetto al Cerimoniale diplomatico del Ministero degli Esteri e al servizio speciale per gli interventi nei Paesi in via di sviluppo, nell'amministrazione pubblica è un pezzo abbastanza grosso: per chi professa a priori rispetto per lo stato e i suoi devoti servitori, l'alternativa tra il considerarlo uno psicolabile o un ladro non è gradevole.
Forse qualche elemento di verità si è perso per via: tutti, per esempio, glissano un po' sul perché, a fine '86, il poveraccio sia stato rimosso dagli Esteri e rispedito alla Giustizia, nel ruolo non eccelso di vicedirettore a Rebibbia. Anche sui suoi rapporti con l'agente di custodia coinvolto non tutto è chiarissimo: all'inizio ne hanno parlato come di una guardia del corpo, poi hanno detto che era lì per aiutare il capo in un trasloco e infine si sono lasciati andare ad allusioni varie sull'intensità della sua devozione per lui. Ma è inutile fare della dietrologia, anche per non calunniare un cittadino che, poveretto, si è comunque beccato una pallottola nel femore e, checché oggi si scriva in tema di debiti di gioco, cattive compagnie e favori imbarazzanti ("Corriere della Sera", Ibid.) resta innocente fino a prova contraria.
Chi vivrà vedrà.

Riflessi condizionati
Il problema, però, non è quello della piaggeria della "grande" stampa verso il potere e del parallelo disprezzo che ostenta per i diritti del cittadino. Di questo vecchio vizio bifronte dei nostri giornali, in fondo, si potrebbe citare quotidianamente abbondanza d'esempi. Il malinconico episodio è indizio di una sindrome più specifica: rinvia una tipica situazione di "nostalgia del terrorismo". Con precisione pavloviana, il corpo speciale reagisce a ogni stimolo facendo scattare veri e propri riflessi condizionati.
Questi riflessi, naturalmente, non si esauriscono nei titoli dei giornali, anche se , a posteriori è abbastanza divertente andarli a rileggere (ma, forse, "divertente" non è la parola esatta). Il modo con cui la stampa ha trattato la notizia rappresenta un caso classico d'inettitudine professionale (nessun controllo, scarsa conoscenza del fenomeno su cui scrive, tendenza a sfruttare gli stereotipi in uso), ma deve ben esserci un clima generale in cui questa inettitudine germina e prospera. Ne fanno parte le dichiarazioni di politici, funzionari e magistrati. Ne fa parte anche la fiducia un po' ebete con cui i cittadini in buona fede accolgono la notizia che le br sono ancora sul piede di guerra.
I titoli, comunque. Mercoledì 4 gennaio, la notizia arriva tardi ma tutti, ovviamente, la danno in prima. Nessun dubbio: "Le Br sparano ancora", secondo "la Repubblica", "Le Br sparano" per "Il Messaggero", eccetera. Semanticamente più audace il "Gambizzato dalle Br vicedirettore di Rebibbia" del "Giornale". Un po' banale l'"Agguato br a Tivoli" dell'"Unità". "La Stampa", saggiamente, si attiene ai fatti: non rinuncia a un "Gambizzato a Roma dirigente di Rebibbia", ma precisa in occhiello "Da tre giovani che gridano: Siamo le nuove Br".
Solo il "Corriere", dimostra un po' di prudenza e titola di un agguato "di probabile matrice terroristica": farà ammenda il giorno dopo, nei servizi. Scontato l'invito a "non abbassare la guardia" della "Voce Repubblicana" e di altri portavoce dell'emergenzialismo laico-forcaiolo. I commenti, per la verità, sono un poco più cautelosi. Chi sa qualcosa di problemi e terminologie del terrorismo (alcuni inquirenti compresi), sa anche che quel "nuove" del "siamo le nuove Br" crea una montagna di difficoltà. Ma tanto, chi li legge i commenti?
Giovedì 5, le prime pagine sono tutte dedicate all'aggressione americana alla Libia. Siccome la si considera un colpo di coda di Reagan, che non impegna gran che il futuro, si azzarda persino qualche critica all'odioso episodio.
Venerdì 6, Epifania di Nostro Signore, arrivano le smentite. Sono in taglio basso, e rivelano una certa ovvia tendenza a minimizzare. "Repubblica" è futile e brillante: "Macché Br, ha inventato tutto".
"L'Unità", al solito, ci va giù di piatto: "Arrestato il vicedirettore di Rebibbia", (in sommario la classica "clamorosa svolta nelle indagini"). Il "Corriere", più audace, si sbilancia in taglio medio: "Manette al vicedirettore gambizzato di Rebibbia".
Sabato 7 gennaio, Noblesse oblige, il "Corriere" insiste sul taglio medio ("Non volevo più lavorare a Rebibbia"), ma in ribattuta avanza una prima ipotesi di difesa: "Quella torva follia di burocrate". Gli articoli, s'è visto, sono a pagina 7 . "Repubblica", con maggior senso della propria responsabilità ideologica, non si muove dal taglio basso: "Per me Rebibbia era l'inferno e così inventai l'agguato Br".
Gli articoli sono a pagina 19. Gli altri si ripartiscono, con poca inventiva, secondo i due modelli.
Domenica... Beh, domenica dalle prime pagine è sparito già tutto. Lunedì sul "Corriere" c'è qualcosina a pagina 9. E questo è quanto, finora.

Emergenza e ridicolo
Forse non è il caso di scandalizzarci. Di incidenti professionali di questo tipo ne sono capitati spesso, a giornalisti di ogni tendenza e colore. Non vorrei neanche negare che qualche fenomeno di terrorismo possa ripresentarsi inatteso: la capacità di sopravvivenza di alcune strutture clandestine si è rilevata maggiore di quanto si potesse supporre (anche se nessuno ha mai avuto il coraggio di ammettere che questa capacità di resistenza è in contrasto con i giudizi correnti sulle relative organizzazioni).
Il fatto è che quella che una volta si definiva "cultura dell'emergenza" sembra sia stata fatta propria dalla società italiana nel suo complesso. La giurisprudenza premiale, quella che misura condanne e assoluzioni sul metro ideologico delle dissociazioni e dei pentimenti continua a funzionare: con qualche cautela a livello di inchieste capaci di suscitare un po' di clamore (il "caso Sofri" insegna), con implacabile normalità nel solito tran tran carcerario e giudiziale. Non parliamo dei vari processi bis, ter e via dicendo che si celebrano periodicamente per riciclare in vario modo imputati, crimini e comportamenti. Il prossimo marzo alle Assise di Roma dovrebbe avviarsi la più spettacolare di queste strane operazioni: quella che accomuna praticamente tutti gli imputati di terrorismo vagamente connessi con le br (o solo una prima tranche? non ricordo bene) nell'accusa di aver organizzato in Italia nientemeno che un'insurrezione armata.
C'è di più. La situazione dei detenuti o dei latitanti che sono tali in seguito all'imputazione di reati associativi o a condanne per "concorso morale" a fatti commessi da altri, magari dopo anni che loro erano già in carcere, è scandalosa, ma non sembra interessare nessuno. La polemica sull'amnistia sembra ormai conclusa; i discorsi sull'"uscita dall'emergenza" che si portano avanti sono o trascurati o, al massimo, interpretati da un punto di vista premiale (e quindi visti come discorsi di conferma dell'emergenza stessa, di rinuncia a sanare i danni che ha causato alla sfera dei diritti del cittadino).
Certo, sarebbe il caso di rivedere, in qualche modo, almeno le situazioni di palese ingiustizia, e non si vede come si potrebbe farlo altrimenti che rivedendo, anche alla luce delle innovazioni legislative e procedurali, tutta una serie di processi e di sentenze, ma chi se la sente di condurre la necessaria campagna politica?
Insomma, non prendiamocela solo con i giornali e i magistrati. Se da qualche parte è scritto che di fronte al fantasma del terrorismo non si può far altro che confermare lo status quo, senza arrischiare proposte di soluzione o domande indiscrete, perché su di esso sono costruite, in pratica, alcune importanti strutture ideologiche e amministrative, non si vede perché chiunque si consideri per qualche motivo nei guai non debba pensare di ricorrervi per coprire i suoi personali problemi. È appunto quello che fa tutti i giorni lo stato, e lo stato ha sempre ragione, a costo di sfiorare il ridicolo. Il ridicolo passa, ma le leggi d'emergenza restano. Degli imitatori incauti si potrà sempre dire che sono mezzi matti. Anzi, che soffrono di disturbi della personalità con note di fissazione paranoide: suona meglio.