Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 160
dicembre 1988 - gennaio 1989


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Gorbaciov, secondo me
di Cornelius Castoriadis

La lotta che si svolge all'interno del partito comunista dell'URSS è, forse, l'indicatore di un fermento sconosciuto. Cornelius Castoriadis, sociologo ed economista, propone un canovaccio sicuramente originale.

Si può descrivere sulla carta l'emergere di un capitalismo burocratico di mercato. La proprietà dello stato (o "del popolo") viene conservata sulle imprese superiori a una certa taglia, mentre le società più piccole potranno essere create da chiunque ne abbia la volontà e la possibilità. I kolchoz vengono sciolti e la terra restituita ai contadini o a cooperative volontarie. Le imprese (statali o private) sono libere di fissare i prezzi, di assumere e di licenziare, di acquistare presso il fornitore meno caro e di vendere al più conveniente. I dirigenti delle società pubbliche vengono nominati (come in Francia o in Italia) dallo stato, vale a dire dal partito. Il personale, direttivo e non, gode di una percentuale come partecipazione a eventuali profitti. Prezzi e salari sono lasciati liberi di raggiungere il loro "livello di equilibrio". Le società redditizie possono reinvestire i loro profitti, quelle in perdita (se non ottengono crediti) devono chiudere. Gli investimenti a lungo termine sono finanziati, con il criterio unico (o essenziale) della redditività, da apposite banche di investimento. La banca centrale e il ministero delle finanze garantiscono l'equilibrio generale manovrando i tassi di interesse e di tassazione. Le spese dello stato vengono finanziate attraverso le imposte (sul reddito, sui profitti e i consumi). Il monopolio del commercio estero viene soppresso, mentre la concorrenza straniera è conservata entro i limiti tollerabili attraverso sufficienti barriere doganali o con una forte svalutazione del rublo.

Senza il sostegno della popolazione
Se si deve trovare una logica dietro ai provvedimenti e alle dichiarazioni di Gorbaciov, essa non può che condurre a questo scenario. Ma questa logica esiste solo sulla carta. Innanzitutto, come passare dal "qui" al lì, dalla unione Sovietica reale di oggi a quella fittizia?
Certo, sulla carta le soluzioni per questo passaggio sono reali, ma presentano notevoli difficoltà. La realizzazione, sia pure graduale, del modello prima descritto, porterebbe a conseguenze drammatiche: massiccia disoccupazione, aumento considerevole dei prezzi al consumo (oggi grandemente sovvenzionati), spostamenti geografici, professionali e sociali. Le misure entrate in vigore nel 1988 (liberalizzazione delle transazioni tra imprese per il 60% delle società), unite al mantenimento dell'attuale struttura dei prezzi (della quale tutti riconoscono la totale irrazionalità) appaiono quindi come incoerenti.
Esse acquisterebbero una logica solo in presenza di una liberalizzazione dei prezzi per tutte le imprese.
Questo porterebbe a ulteriori assurdità senza la possibilità per le stesse aziende di assumere o licenziare il personale.
Nessuna riforma reale può d'altra parte essere attuata, nell'URSS di questo fine secolo, senza il sostegno e la partecipazione attiva di larghi strati della popolazione. Una tale riforma necessiterebbe, per riuscire, di un vasto movimento storico-sociale.
Non solo un tale movimento non esiste oggi in URSS (e, se nascesse, farebbe saltare tutto), ma le misure adottate, quando cominceranno a produrre i loro effetti, non potranno che coalizzare contro di esse proprio coloro che dovrebbero realizzarle, la grande maggioranza dei burocrati e la quasi-totalità dei lavoratori salariati.
La cosa importante è l'impossibilità di verificare a quale modello di società e di regime politico condurrebbe questa economia di capitalismo burocratico di mercato. Le tensioni della sua instaurazione, repentina o graduale, provocherebbero un rafforzamento, non una diminuzione, dei poteri del partito.
Inversamente, il successo delle riforme accrescerebbe la potenza economica, il ruolo, il peso e la visibilità sociale di alcuni strati sociali (contadini agiati, quadri tecnici, scientifici e manageriali, intellighenzia), che prima o poi richiederanno di esercitare la loro quota di potere politico.
A tutte queste contraddizioni si aggiungono quelle risultanti dalla liberalizzazione controllata della vita culturale. Nessuno è ancora riuscito a definire il margine che separa ciò che è lecito fare, nella ricerca della verità, da ciò che rimane vietato. E i segni si moltiplicano, di fronte alle reazioni ostili dei "conservatori" e alla proliferazione di micro-organizzazioni che cercano di approfittare di ogni spazio di agibilità disponibile e sembrano voler mettere in discussione ogni aspetto della vita politica e sociale. Il fuoco del conflitto tra i "modernizzatori" e la grande massa conservatrice della burocrazia (con i suoi rappresentanti nell'apparato), cova per il momento sotto la cenere. Le contraddizioni della politica d'impresa e gli effetti (in primo luogo negativi) che essa produrrà se effettivamente applicata, l'anticipazione dei pericoli che la sua applicazione comporta per l'Impero all'interno e all'esterno delle frontiere (nazionalità asservite, paesi satelliti), non potranno che accenderlo.
Non si può escludere del tutto una ritirata di Gorbaciov verso una sorta di neo-NEP (cioè una Nuova Politica Economica, come la liberalizzazione adottata da Lenin per contenere i disastri della pianificazione), che ridurrebbe un po' le maggiori irrazionalità del sistema, ma ne perpetuerebbe anche i fattori di instabilità. Molto probabilmente, invece, il conflitto sarà risolto con l'eliminazione di Gorbaciov o con la messa a riposo della sua politica. Oppure si assisterà allo scoppio di una rivolta, nel qual caso entreranno in scena l'esercito e la popolazione, oppure uno dei due a turno.
Appare impossibile non vedere negli avvenimenti degli ultimi anni (come, in un altro senso, in tutto ciò che è successo dopo la morte di Stalin) la dimostrazione clamorosa che il totalitarismo sovietico non è un regime fuori dalla storia, ma è pervaso da potenti fattori di cambiamento e, potenzialmente, di spostamento o piuttosto di esplosione.
È impossibile non vedere come l'attuale periodo di allentamento dei bavagli (indipendentemente dalle intenzioni dei suoi autori), se pure dovesse concludersi domani, avrà pur sempre seminato una miriade di semi che avranno molta importanza per la storia della Russia.

(traduzione di Giuseppe Gessa dalla rivista Pouvoirs )