Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 160
dicembre 1988 - gennaio 1989


Rivista Anarchica Online

Paternalismo/repressione
di Andrea Papi

L'inasprimento legislativo proposto da Craxi e sostenuto da un vasto schieramento repressivo è utile soltanto all'espandersi del mercato clandestino e dei lauti guadagni mafiosi. Più la legge è severa e più i mercanti di morte, invece di scoraggiarsi, si organizzano e riescono ad imporsi con maggior efficacia.

Il problema droga, scatenatosi all'improvviso, sta drogando l'opinione pubblica del bel paese. Intendiamoci, non è sorto ora. Da almeno un ventennio o giù di lì, da consumo trasgressivo di un'élite, collocabile in termini vaghi nel mondo dello spettacolo, degli artisti, dell'aristocrazia abbiente, della cultura dei salotti alla moda, ecc., dapprima lentamente poi sempre più velocemente, è passato ad aree socialmente molto più vaste, fino ad abbracciare l'intera gamma delle categorie sociali. Ma questo dura da un bel po' d'anni.
Ha però conquistato da poco le prime pagine dei quotidiani e i servizi dei telegiornali di regime. Da quando cioè il solito sprinter Bettino, con la solita spettacolare veemenza, ha fatto la sua ultima scappata, appena tornato dal suo viaggio amichevole negli USA, avvenuto subito dopo, quasi in concorrenza, di quello di De Mita in URSS. Le affermazioni sulla droga dei suoi amici reaganiani in qualche modo lo hanno sconvolto, o perlomeno devono avergli messo la fatidica pulce nell'orecchio. Al punto che, appena tornato dal quel viaggio, ha deciso che era diventato urgente risolvere il "cancro" sociale della droga. E lo ha fatto da par suo, sciorinando un'aggressiva lamentela contro questo governo, non più suo, per essere incapace, se non rimedia al più presto, di por freno al superpotere di mafia e camorra nello smercio della droga. Fin qui, direi, nulla di nuovo. Il fatto è che pensa di aver identificato il peccato originale, l'abominevole legge del '75 che, con l'ormai famosa "modica quantità", rende lecito a chiunque di drogarsi.
Come una classica reazione a catena, è iniziata una ridda di colte considerazioni e di autorevoli dichiarazioni che sembra non finire più. Si è quasi formato un risibile steccato tra i sostenitori della punibilità del drogato e quelli che, al contrario, sostengono l'assurdità di questo principio. Occhetto, segretario del PCI, dopo una visita commovente ai centri di riabilitazione, ha denunciato che i drogati sono in parlamento, luogo di frequentazione da lui ben conosciuto. Il radicale Teodori, con una proposta tra il serio e l'ironico, ha chiesto l'antidoping per i suoi colleghi parlamentari. Compatto, il PLI è arrivato a proporre per i drogati il ricovero coatto nei centri addetti alla disintossicazione. Il capogruppo DC Martinazzoli, prendendo le distanze dal suo capo De Mita, ha detto che le multe ai drogati lo fanno solo ridere. Il vice di Craxi Martelli, forse facendo una gaffe, non si è capito bene se condivida fino in fondo il pensiero del suo diretto superiore nel tentare di separare le droghe pesanti da quelle leggere. Insomma il mondo dei big della politica è in tumulto.
Il fatto è che è sempre più difficile conciliare l'apparenza di un atteggiamento democratico-paternalistico, che vorrebbe riuscire ad essere permissivo e comprensivo coi drogati e nel contempo severo e repressivo con chi fa affari attraverso il commercio illegale della droga, con una cultura e una logica squisitamente repressive che ritiene di risolvere ogni problema con scelte decisamente proibizioniste. Ma vediamo di riuscire a districare quest'intricata matassa, alla ricerca dell'identificazione del senso che sorregge tutto questo bailamme.

L'etica dello stato
Mi sembra che il nodo di tutta la matassa sia collocabile nel bisogno sempre più emergente di affermare e definire un nuovo principio etico, di una nuova legittimazione delle strutture del dominio.
Nuovo, s'intende, nel senso di essere approntato giuridicamente ed accettato al livello dell'immaginario collettivo, quale senso comune nell'affrontare le possibilità di soluzione dei problemi che eventualmente sorgano e possano divenire pressanti. È il passaggio da un'etica improntata sulla responsabilità individuale a un'etica che ha come riferimento la scelta istituzionale, cioè un'etica dello stato, capace di diventare il vero e unico legittimato referente di ciò che si può o non si può fare. Il giudizio sul bene e sul male delle scelte individuali in questo modo si sposta da un'etica universale dell'uomo a un'etica universale delle istituzioni, indicate come uniche e vere addette a stabilire cosa va e cosa non va. Non a caso il punto fondamentale su cui tiene duro il cast dirigenziale socialista è il principio di liceità, che dev'essere definito in modo categorico. Lo sostiene lo stesso Martelli nell'intervista al Manifesto di venerdì 11 novembre: "Drogarsi non è lecito, non è permesso, non è consentito. La legge esistente va cambiata soprattutto in termini di principio".
Il problema di fondo diventa dunque cosa lo stato decida che sia lecito o meno. A questa posizione fa eco l'osservatore Romano, organo ufficiale del Vaticano, che a chiare lettere afferma: "Prevenzione e repressione devono procedere insieme, e con il medesimo rigore severo". Ma quella papalina è una posizione più sfumata, senz'altro più sottile. Se infatti alla gerarchia ecclesiastica, istituzione altamente gerarchica addetta proprio alla definizione dei confini tra il bene e il male, va bene la logica dell'etica istituzionale, forse non può condividere che ad esser legittimato in tal senso sia proprio lo stato, istituzione laica. Forse è qui l'origine del dissenso, finora appena sfiorato, tra la chiesa di Roma e la chiesa militante, quella dei don Ciotti per intenderci, impegnata da anni nelle comunità di recupero per tossicodipendenti. Per i cattolici militanti la liceità stabilita dall'istituzione ecclesiastica dev'essere l'interprete dell'etica universale dell'uomo, basata sulla responsabilità individuale. Mentre per i gerarchi ufficiali conta soprattutto la decisione istituzionale.

Libertà di scelta
Il mio punto di vista, ovviamente, è al di fuori di questo dibattito vissuto come insana "filantropia".
Proprio in questi giorni ho rispolverato un articolo scritto dal nostro Malatesta nel '22 su Umanità Nova allora quotidiano. In poche righe affronta un problema che allora in Francia cominciava ad essere grosso: il consumo di cocaina. In quelle poche righe, che ritengo di una sorprendente attualità, riesce a delineare i presupposti fondanti di un'etica e di un agire in grado di affrontare il problema alla radice e, possibilmente, di risolverlo. Personalmente mi riconosco pienamente in quei principi proposti 66 anni fa, quando ancora non si poteva sospettare nemmeno l'entità del problema che abbiamo oggi.
L'inasprimento legislativo, all'insegna della repressione protezionistica, è utile soltanto all'espandersi del mercato clandestino e dei lauti guadagni mafiosi. Più la legge è severa e più i mercanti di morte, invece che scoraggiarsi, si organizzano e riescono ad imporsi con maggior efficacia. Va salvaguardata la libertà e la responsabilità personale di scegliere della propria vita, qualunque sia questa scelta, anche quando ai nostri occhi può apparire suicida o masochista.
Chi, nonostante sia al corrente dei danni che procura, vuole ugualmente intossicarsi l'esistenza con la droga, deve poterlo fare senza subire il ricatto odioso delle leggi o della criminalità, che gli fanno pagare, dall'una e dall'altra parte, dei costi insopportabili. Solo accettando questi presupposti e cercando di renderli operativi nel modo più confacente, sarà possibile mettere in campo qualcosa di veramente utile per cominciare a risolvere il problema droga .


1922 / Malatesta e la cocaina

Sul quotidiano anarchico Umanità Nova (uscito tra il febbraio 1920 e la fine del 1922), Errico Malatesta pubblicava questo articolo dal titolo "Cocaina" sul numero del 30 agosto 1922.


In Francia esistono leggi severe contro chi usa e chi smercia la cocaina. E, come consueto, il flagello si estende e s'intensifica malgrado le leggi e forse a causa delle leggi. Così pure nel resto dell'Europa e dell'America.
Il dottor Courtois Suffit, dell'Accademia di medicina francese, che già l'anno scorso aveva gettato un grido d'allarme contro il pericolo della cocaina, constatato l'insuccesso della legislazione penale, domanda... nuove e più severe leggi.
È il vecchio errore dei legislatori, malgrado che l'esperienza abbia sempre invariabilmente mostrato che mai la legge, per barbara che sia, è valsa a sopprimere un vizio, o a scoraggiare il delitto.
Più severe saranno le pene inflitte ai consumatori ed ai negozianti di cocaina, e più aumenterà nei consumatori l'attrazione del frutto proibito ed il fascino del pericolo affrontato, e negli speculatori l'avidità del guadagno, che già è ingente e crescerà col crescere della legge.
Inutile sperare nella legge.
Noi proponiamo un altro rimedio.
Dichiarare libero l'uso ed il commercio della cocaina, ed aprire gli spacci in cui la cocaina fosse venduta a prezzo di costo, o anche sotto costo. E poi fare propaganda per ispiegare al pubblico e far toccare con mano i danni della cocaina; nessun farebbe propaganda contraria perché nessuno potrebbe guadagnare sul male dei cocainomani.
Certo con questo non sparirebbe completamente l'uso dannoso della cocaina, perché persisterebbero le cause sociali che creano i disgraziati e li spingono all'uso degli stupefacenti.
Ma in ogni modo il male diminuirebbe, perché nessuno potrebbe guadagnare sulla vendita della droga, e nessuno potrebbe speculare sulla caccia agli speculatori.
E per questo la nostra proposta o non sarà presa in considerazione, o sarà trattata da chimerica e folle.
Però la gente intelligente e disinteressata potrebbe dirsi: "Poiché le leggi penali si sono mostrate impotenti, non sarebbe bene, almeno a titolo di esperimento, provare il metodo anarchico?"

Errico Malatesta