Rivista Anarchica Online
Nascere in Comunidad
di Sivia Ribeiro
Nel corso dell'incontro
internazionale "Anarchica", svoltosi lo scorso autunno a
Lione, Silvia Ribeiro ha presentato questa relazione. Partendo da alcune considerazioni
sull'impostazione della vita associata ed in particolare del problema
dei ruoli nella Comunidad del Sur (di cui Silvia ha vissuto sia la
prima fase in Uruguay, sia quella attuale in Svezia), spiega il
significato e le azioni concrete che vengono messe in atto quando una
donna è incinta, quando partorisce, nella prima fase di vita
del nuovo venuto.
La maggior parte delle tendenze che, in
un modo o nell'altro, hanno messo in discussione l'ordine esistente,
hanno finito con il restare intrappolate nella rete immaginaria che
l'ordine stesso tende. Le ragioni vanno ricercate nel fatto che,
nell'intento di progettare una trasformazione radicale, si parte da
immagini che provengono dal vissuto. Ciò limita lo sforzo
creativo, che finisce così con il non andare oltre un
riaggiustamento delle strutture preesistenti.
La trasformazione, così, si
limita ai livelli superficiali.
Un esempio efficace ci è dato da
una delle strutture più antiche del dominio, qual è
quella basata sulla disuguaglianza sessuale: perfino a quei movimenti
che sembravano averla messa in discussione.
Certo, il movimento femminista e in
generale delle donne ha modificato la situazione della donna - in
quanto tale - nella società ed ha anche valorizzato alcuni
ruoli tradizionalmente femminili. Ma per scoprire se ciò abbia
davvero provocato un maggior grado della sua liberazione in quanto
donna ed in quanto essere umano, e se parallelamente si sia riusciti
a trasformare questa struttura di dominio, è necessario
interrogarsi sui risultati delle lotte di questo movimento. O
perlomeno, data l'impossibilità di affrontare qui l'argomento
con la necessaria profondità, è necessario appuntare la
nostra attenzione su alcuni aspetti.
Ma quale liberazione?
Le rivendicazioni del movimento
femminista si sono dirette principalmente verso una maggiore
integrazione della donna nel mercato del lavoro salariato, una
maggiore integrazione nelle strutture del potere politico ed
aziendale, il tutto accompagnato da un precoce affidamento dei figli
ad istituzioni statali o parastatali.
L'integrazione della donna nel mercato
del lavoro avviene soprattutto nel settore dei servizi: si tratta
perlopiù di un'integrazione dal punto di vista economico, nel
senso che ora la donna viene pagata per svolgere quelle stesse
funzioni che prima svolgeva, senza alcuna retribuzione, in ambito
familiare. Il risultato è che la donna - sempre in maniera
minoritaria - ha finito con l'integrarsi nelle strutture di potere,
occupando a volte posizioni di privilegio, oppure nel lavoro
salariato, al servizio cioè dello stato e/o del capitale.
Invece della sua precedente dipendenza dal marito, ora paga le tasse.
In realtà, finisce con il fare più o meno gli stessi
lavori: accudire altri figli, altri uomini, altri vecchi.
Lo stato, d'altro canto, sempre più
assicura tutta una serie di funzioni che prima erano a carico della
donna. Ne è un esempio lampante il campo dell'educazione,
cioè della trasmissione dei valori fondanti del vivere sociale
- per di più a partire da un'età sempre più
precoce.
L'indipendenza ottenuta è
fondamentalmente la "libertà" di competere
individualmente per il potere, di vendere la propria forza-lavoro, di
delegare la propria partecipazione politica (legittimando con il voto
il sistema di dipendenza generalizzata), di affidare nelle mani dello
stato la socializzazione dei propri figli. Tutto ciò ha
significato una progressiva rinuncia alle funzioni che biologicamente
la definiscono come donna.
Come nel mito classico di Edipo, che
nel suo scontro palese con la figura paterna in realtà finisce
con il riprodurla (dal momento che ne occupa il luogo ed i ruoli:
potere e sesso), così - ancora una volta - a scomparire è
la donna. Le condizioni della sua "liberazione" ed
integrazione egualitaria nella società "degli uomini"
dipendono dalla sua capacità di scalare la piramide del potere
e di assimilarsi ai ruoli tradizionalmente maschili. Il settore più
separatista del movimento femminista, anche se è più
duro nel mettere in discussione i valori reali della società
patriarcale, ha il difetto di progettare una società "senza
uomini", cadendo così in una concezione di segno opposto
ma altrettanto sessista.
La nostra sfida, invece, è
mettere in discussione i valori di oppressione e di dominazione
presenti nel sistema attuale in tutti i loro aspetti e, al contempo,
cercare di recuperare, con un atto cosciente, la capacità
persa di dar vita alle relazioni che desideriamo. Il nostro obiettivo
è dunque duplice: resistere e creare. Il tutto, tramite il
medesimo agire.
Arricchimento non diseguaglianza
Una prima approssimazione nell'analisi
della dominazione, basata sulla diseguaglianza nella valorizzazione
dei ruoli sessuali, ci porta a constatare che la rappresentazione del
"femminile", quando non è assente o negata, gioca a
favore dei valori della società patriarcale. (Alcuni esempi:
le mestruazioni presentate come qualcosa di "sporco",
oppure il parto come una funzione "pericolosa" al punto che
il corpo viene affidato a specialisti che si fanno carico di
provocare e gestire il parto, appropriandosi dell'atto di "dare
la vita"). Questo forse aiuta a comprendere il fatto che la
lotta per l'eguaglianza non può che portare ad una
riaffermazione dei valori della società patriarcale, nella
misura in cui noi non ricostruiamo questa trama immaginaria
scomparsa.
L'esperienza del corpo (condizionata
biologicamente e radicata nella rete simbolica della cultura) è
fondamentale nell'affermazione dell'immaginario socialmente
condiviso, cioè - in altre parole - dell'insieme delle
rappresentazioni che la società ha di se stessa. Ecco perché
è fondamentale interrogarsi ed agire con l'obiettivo di
reintegrare e progettare con l'immaginazione queste funzioni
femminili nell'ambito della società che vogliamo. Al contempo,
è indispensabile che l'integrazione di queste funzioni nel
rapporto tra valori e realtà possa portare a riformulare i
ruoli che gli uomini e le donne giocano in questa società,
partendo da un'uguale possibilità di partecipazione politica
economica e creativa, fonte di arricchimento e non di diseguaglianza
(e ancor meno di oppressione).
Se, al contempo, la rivendicazione di
queste funzioni femminili non si inserisce nell'ambito di un
movimento tendente ad un nuovo progetto sociale, le donne - finché
rimangono rinchiuse in una dimensione esclusivamente individuale -
restano tagliate fuori da una pratica politica, economica ed
intellettuale su scala sociale. Gli asili, per esempio, sembrano
liberare la donna da altre funzioni sociali (d'altra parte la
socializzazione in famiglia è ancor meno un'alternativa).
Eppure, dal momento che si realizza affidando l'educazione allo
stato, pone una pesante ipoteca sul futuro e finisce con il
legittimare gli stessi valori cui si cerca di resistere.
Abbiamo dunque la necessità di
trovare forme di solidarietà, che ben aldilà della
ricerca dell'eguaglianza, ci permettano di mettere in pratica altri
valori e sperimentare l'affermazione della diversità su di
un piano di uguaglianza, in forme sociali che prefigurino il
futuro. Dobbiamo fecondare il presente nella prospettiva di un nuovo
progetto sociale, inevitabilmente allo stato embrionale, facendo sì
che questo embrione contenga tutte le "informazioni".
Montevideo, Stoccolma, ecc...
È in quest'ottica che
desideriamo esporre e "condividere" la nostra esperienza,
con la premessa che non la vediamo assolutamente come una ricetta, né
la consideriamo esente da quelle contraddizioni cui abbiamo prima
accennato. Piuttosto, è una ricerca continua, continuamente
segnata dal fallimento - minacciata dagli aborti spontanei di un corpo
sociale inesperto - e ciclicamente riproposta nella sua capacità
creativa.
Questa esperienza ha avuto origine a
Montevideo (Uruguay) nel 1955, nella "Comunidad del Sur" ed
ha avuto una ripresa dal 1977 in Svezia, dove si sono aggregati altri
compagni svedesi e latino-americani.
La proposta è quella di mettere
in discussione i ruoli sessuali, politici, professionali ed
economici, per mezzo di una realizzazione comunitaria e libertaria,
in un contesto sociale nel quale idee e pratiche non siano scisse.
Dobbiamo scegliere alcuni aspetti della
nostra esperienza che siano particolarmente pertinenti al tema che
qui si affronta. Incominciamo allora con il precisare che la
partecipazione alla Comunidad è personale, dal momento che
essa viene decisa volontariamente, con un atto di libertà
individuale non surrogabile da altri legami, come possono essere
quelli familiari o affettivo-sessuali.
Per quanto riguarda i compiti concreti
e la divisione del lavoro, applichiamo la rotazione, cercando di far
sì che tutti partecipino sia ai servizi sia alla produzione.
Per quanto riguarda gli incarichi direttamente legati all'educazione
(aldilà del fatto che ciascuno educa in tutti i momenti della
propria vita, tramite le proprie scelte e la forma di metterle in
pratica), la rotazione è limitata, dal momento che cerchiamo
che i compagni o le compagne chiamati a tale compito siano il più
possibile capaci di trasmettere i valori scelti in comune.
Al tempo stesso cerchiamo di rompere
con la diseguale valorizzazione del lavoro intellettuale e manuale,
facendo sì che tutti partecipino in un gioco equilibrato che
li includa entrambi. Ciò non garantisce che la valorizzazione
cambi davvero, né che tutti siano in grado di realizzare
indistintamente l'uno e l'altro tipo di lavoro, ma di sicuro aiuta a
identificarvisi ed a comprendere "dal di dentro" i
differenti ruoli. Non ci sono compiti definiti sulla base del sesso e
ciò aiuta la trasformazione individuale ed è in sé
un fattore educativo.
Per quanto riguarda l'educazione,
riconosciamo tre tipi di paternità (usiamo questa parola in
senso generico, dal momento che la nostra lingua, espressione dei
valori dominanti, non dispone di un'altra parola che definisca al
tempo stesso paternità e maternità): la paternità
biologica, che in generale è garantita da "leggi
naturali"; la paternità psicologica, per la quale
è necessario un gruppo di persone significative accanto al
bambino/bambina e la cui forma di funzionamento è legata a
forme culturali (cioè non dipende solo dalla natura, ma da
relazioni stabilite in questo nucleo primario, che a loro volta
riflettano un tipo di socializzazione orientata verso un determinato
progetto sociale); infine una paternità culturale, per
la quale è necessaria una volontà di cambiamento
condivisa dal gruppo, così da trasmettere i fondamenti del
progetto sociale nell'azione diretta della vita quotidiana.
La nostra esperienza è quella di
cercare di influire sulla paternità/maternità
psicologica e culturale, creando forme differenti di socializzazione,
non gerarchiche e più ampie della famiglia nucleare, svuotando
per quanto possibile di contenuto l'autorità paterna sui figli
(intesa come dominio), verificando criticamente i comportamenti
interpersonali, ecc...
Per raggiungere delle trasformazioni a
livello di paternità/maternità culturale, anche se si è
costantemente tesi verso questo obiettivo, non è però
sufficiente un gruppo: è necessario il concorso di molteplici
esperienze e fattori storici, che convergano verso una trasformazione
sociale reale. Solo a queste condizioni le esperienze realizzate
precedentemente acquistano il loro contenuto realmente nuovo e
possono realizzarsi in tutta la loro potenzialità.
Così, nel corso della nostra
esperienza, siamo passati attraverso diverse forme di organizzazione
del nucleo primario - i bambini tutto il tempo in comune, o a volte
più sotto l'egida dei loro genitori biologici - ma,
indubbiamente i momenti più significativi sono quelli
accompagnati da una tensione verso il cambiamento nella stessa
direzione verso cui tende la società nel suo insieme. Nel
periodo in cui i movimenti sociali radicali hanno raggiunto, alla
fine degli anni '60, il loro apogeo, le esperienze "interne"
alle comunità erano - parallelamente - più ricche e più
creative. Specularmente, nei periodi di decadenza di questi movimenti
sociali, ne risentiva anche la vita interna delle comunità. Da
questo punto di vista, dunque, "l'interno" e "l'esterno"
interagiscono favorendo o scoraggiando la sperimentazione.
La casa dei bambini
Nell'ambito dell'organizzazione
"eco-sociale" che da anni stiamo sperimentando, la "casa
dei bambini" è un elemento fondamentale. I bambini
possono contare su di uno spazio loro proprio, nel quale sono
accuditi/accompagnati da due adulti - una donna e un uomo - in forma
continua (30 ore alla settimana) e da altri membri della comunità
secondo una rotazione (che, come abbiamo prima spiegato, è
limitata).
Ciò favorisce l'indipendenza e
la relazione - la più libera - sia degli adulti sia dei
bambini, al loro interno e tra loro. Ed è di fatto una messa
in discussione dell'autorità oppressiva dei genitori, dal
momento che i bambini si appoggiano mutuamente fra loro contro le
arbitrarietà degli adulti, dal momento che possono contare su
di un proprio spazio autogestionario.
Un altro aspetto basilare di questa
organizzazione "ecologica" è la ricerca di integrare
funzioni di tipo diverso nella stessa area geografica, per esempio la
mensa, la casa dei bambini, la produzione (o almeno parte di essa), i
luoghi comuni di ricreazione ed i servizi. L'idea è di rompere
la segmentazione/specializzazione dei diversi aspetti della vita
sociale, che nelle forme dominanti attuali organizzano la percezione
sociale sottolineando la gerarchizzazione dell'apparato economico,
considerato l'origine esclusiva del piacere e del benessere.
Questa "erotizzazione" di
tutto il corpo sociale potrebbe assicurare una trasformazione
radicale nelle singole relazioni sociali. Nel caso del rapporto
madre/figlio, fin dai primi giorni si può assicurare una forma
fluida, rendendo possibile al tempo stesso che la madre resti legata
alle altre attività sociali, rispettando la relazione
madre/figlio al pari della ricca rete di relazioni che si svolge
attorno e che riteniamo fondante della personalità del
bambino.
Prendendo in esame la situazione della
donna, l'esperienza ci dimostra che la madre ha bisogno di sentirsi
tranquilla ed accompagnata ad un ambiente sociale che le garantisca
appoggio materiale e affettivo e non la emargini in aspetti politici
e sociali, proprio nel periodo in cui, attraverso l'allattamento, può
godere e trasmettere al bambino il senso della fiducia, del rapporto
mutuo e reciproco. Questa situazione non torna a ripetersi mai nella
vita di ciascun individuo (bambino).
D'altra parte è proprio su
questa base che si possono formare uomini e donne che in futuro siano
capaci di immaginare e di creare altre forme sociali che non siano
fondate sulla competizione, sull'estraneità rispetto
all'"altro" o all'"altra", sulla dipendenza
affettiva, ecc... La gravidanza, scelta e legalmente
attribuita alla madre (e al padre), è assunta in comune ed
esplicitamente festeggiata. Ogni gravidanza è un processo
importante per la madre certo in modo speciale, ma in generale lo è
per tutti coloro che "gireranno intorno" a questa nuova
vita. Per esempio, per i bambini è una conferma del fatto che
anche loro furono aspettati e che oggi possono essere protagonisti
del "piacere dell'altro". Ricordo che nella comunità
in Uruguay una compagna raccontò ai bambini (in età
prescolare) che era incinta e tutti i bambini corsero spontaneamente
a baciarle la pancia.
La gravidanza è riconosciuta e
attesa in modo speciale - non come una situazione di debolezza, ma
come una condizione naturale, pregna di molteplici significati, con
determinate esigenze molto individuali. Questo riconoscimento si
riflette sia sul piano materiale (orario di lavoro flessibile,
alimentazione speciale) sia su quello sociale: ciascun bambino/a è
atteso/a con una canzone, scelta caso per caso e cantata in numerose
occasioni prima e dopo la nascita, come per aprire uno spazio al
nuovo essere e sottolinearne l'unicità. Al tempo stesso ciò
è un'espressione di quella che - in termini comunitari - si
definisce la "paternità condivisa".
Il parto, se così decide la
madre, si svolge in casa, con l'assistenza di una levatrice, la
partecipazione attiva del padre e la presenza di altri compagni
sempre rispettando i desideri della madre. Prima del parto, i
genitori realizzano un piccolo corso di preparazione, insieme con
altre copie "gravide".
L'esperienza delle madri/padri
precedenti, a sua volta, costituisce un appoggio importante ed un
punto di riferimento. La realizzazione del parto in casa (una
possibilità, resa più facile in Svezia, dove si può
contare sull'assistenza medica che potrebbe rivelarsi necessaria) è
una rivendicazione ideologica e personale: riappropriarsi della
possibilità di dar la vita, demistificare il parto come
questione da specialisti, condividere l'esperienza psichica
trascendentale legata dall'inizio di una nuova vita.
Il fatto di aver sperimentato anche
parti in clinica, ci permette di apprezzarne le differenze. La
partecipazione di altri bambini al parto fa sì che sviluppino
un atteggiamento naturale, privo di qualsiasi "mistero"
verso il parto e la fisiologia femminile. Pensiamo inoltre che ciò
costituisca anche una base migliore per i loro parti futuri e per
l'identificazione con il proprio corpo e/o il corpo dell'altro sesso.
Ma l'ambito nel quale di più
abbiamo potuto apprezzare le differenze tra il parto in casa e quello
in clinica, è quello degli adulti - ed in particolare degli
adolescenti maschi. Per loro la partecipazione ai parti ha
significato una rivalorizzazione del corpo della donna, del proprio
ruolo nella sessualità e nella paternità. Per tutti, i
parti sono stati un'esperienza intensa e "meravigliosa" una
specie di recupero della possibilità di creare personalmente o
in comune, ed un recupero della "naturalità" del
parto pur mantenendo la "magia" insita nel dare la vita.
Contraddizioni nella pratica
Qualsiasi progetto che tende a rompere
nella pratica con le regole della società dominante, non può
sottrarvisi del tutto. Si trova pertanto in una specie di transizione
tra il fallimento e la possibilità del cambiamento, che a sua
volta richiede una trasformazione globale per potersi consolidare.
Vogliamo qui sottolineare alcune delle difficoltà che abbiamo
incontrato, dal momento che riteniamo che possano essere altrettanto
utili dei successi. Un primo sguardo retrospettivo ci indica che i
nostri figli, nonostante i nostri sforzi, fanno subito propria la
nozione di che cosa significhi essere femmina o maschio in questa
società (soprattutto per quanto riguarda l'abbigliamento, la
scelta dei colori, i giocattoli, ecc.). Al contempo, comunque, hanno
una disponibilità molto maggiore - sia i bambini, sia le bambine
- verso i giochi "mascolini" e/o "femminili" di
quanto abbiano gli altri bambini/e. In un test sui ruoli, sottoposto
ad un gruppo di scolari, non sono apparse differenze significative
nella scelta dei ruoli tra i maschi e le femmine.
Per quanto riguarda gli adulti,
nonostante noi donne della comunità si partecipi alla
valorizzazione che prima abbiamo descritto, c'è una tendenza
ad assumere ruoli "di dominio" ed a ripetere una struttura
di potere, nella quale - ora - il potere è detenuto dalle
donne. Dal momento che la comunità non ha una struttura di
tipo coercitivo (né per mezzo del voto, né di sanzione
economica, né di altro tipo), questa tendenza ci provoca una
serie di conflitti relativi alle esigenze che ci pone il cambiamento
che vogliamo realizzare. Gli uomini dal canto loro, vedendo
messo in discussione il loro ruolo tradizionale (seppure con il loro
consenso), non si decidono a definire un nuovo ruolo e si muovono con
un livello di ambiguità che provoca confusione e, in certi
momenti, è paralizzante. Tutto ciò è venuto
chiaramente alla luce in alcune drammatizzazioni realizzate in quella
che noi chiamiamo la "scuola dei genitori" (a cui
partecipano genitori di altri bambini, che partecipano alle attività
della casa dei bambini).
Va detto, infine, che il terreno è
pieno di macerie o forse il succo della nostra esperienza sta nelle
intenzioni, nella ricerca. Parafrasando Michel Foucault, se il potere
è tollerabile a condizione che mascheri una parte importante
di sé, allora qualsiasi tentativo di portarne allo scoperto i
meccanismi e di creare situazioni che ci permettono di apprendere
l'autogestione della nostra vita, assicurerà una possibilità
in più di liberazione.
(traduzione
di Paolo Finzi)
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