Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 156
giugno 1988


Rivista Anarchica Online

Nascere in Comunidad
di Sivia Ribeiro

Nel corso dell'incontro internazionale "Anarchica", svoltosi lo scorso autunno a Lione, Silvia Ribeiro ha presentato questa relazione. Partendo da alcune considerazioni sull'impostazione della vita associata ed in particolare del problema dei ruoli nella Comunidad del Sur (di cui Silvia ha vissuto sia la prima fase in Uruguay, sia quella attuale in Svezia), spiega il significato e le azioni concrete che vengono messe in atto quando una donna è incinta, quando partorisce, nella prima fase di vita del nuovo venuto.

La maggior parte delle tendenze che, in un modo o nell'altro, hanno messo in discussione l'ordine esistente, hanno finito con il restare intrappolate nella rete immaginaria che l'ordine stesso tende. Le ragioni vanno ricercate nel fatto che, nell'intento di progettare una trasformazione radicale, si parte da immagini che provengono dal vissuto. Ciò limita lo sforzo creativo, che finisce così con il non andare oltre un riaggiustamento delle strutture preesistenti.
La trasformazione, così, si limita ai livelli superficiali.
Un esempio efficace ci è dato da una delle strutture più antiche del dominio, qual è quella basata sulla disuguaglianza sessuale: perfino a quei movimenti che sembravano averla messa in discussione.
Certo, il movimento femminista e in generale delle donne ha modificato la situazione della donna - in quanto tale - nella società ed ha anche valorizzato alcuni ruoli tradizionalmente femminili. Ma per scoprire se ciò abbia davvero provocato un maggior grado della sua liberazione in quanto donna ed in quanto essere umano, e se parallelamente si sia riusciti a trasformare questa struttura di dominio, è necessario interrogarsi sui risultati delle lotte di questo movimento. O perlomeno, data l'impossibilità di affrontare qui l'argomento con la necessaria profondità, è necessario appuntare la nostra attenzione su alcuni aspetti.

Ma quale liberazione?
Le rivendicazioni del movimento femminista si sono dirette principalmente verso una maggiore integrazione della donna nel mercato del lavoro salariato, una maggiore integrazione nelle strutture del potere politico ed aziendale, il tutto accompagnato da un precoce affidamento dei figli ad istituzioni statali o parastatali.
L'integrazione della donna nel mercato del lavoro avviene soprattutto nel settore dei servizi: si tratta perlopiù di un'integrazione dal punto di vista economico, nel senso che ora la donna viene pagata per svolgere quelle stesse funzioni che prima svolgeva, senza alcuna retribuzione, in ambito familiare. Il risultato è che la donna - sempre in maniera minoritaria - ha finito con l'integrarsi nelle strutture di potere, occupando a volte posizioni di privilegio, oppure nel lavoro salariato, al servizio cioè dello stato e/o del capitale. Invece della sua precedente dipendenza dal marito, ora paga le tasse. In realtà, finisce con il fare più o meno gli stessi lavori: accudire altri figli, altri uomini, altri vecchi.
Lo stato, d'altro canto, sempre più assicura tutta una serie di funzioni che prima erano a carico della donna. Ne è un esempio lampante il campo dell'educazione, cioè della trasmissione dei valori fondanti del vivere sociale - per di più a partire da un'età sempre più precoce.
L'indipendenza ottenuta è fondamentalmente la "libertà" di competere individualmente per il potere, di vendere la propria forza-lavoro, di delegare la propria partecipazione politica (legittimando con il voto il sistema di dipendenza generalizzata), di affidare nelle mani dello stato la socializzazione dei propri figli. Tutto ciò ha significato una progressiva rinuncia alle funzioni che biologicamente la definiscono come donna.
Come nel mito classico di Edipo, che nel suo scontro palese con la figura paterna in realtà finisce con il riprodurla (dal momento che ne occupa il luogo ed i ruoli: potere e sesso), così - ancora una volta - a scomparire è la donna. Le condizioni della sua "liberazione" ed integrazione egualitaria nella società "degli uomini" dipendono dalla sua capacità di scalare la piramide del potere e di assimilarsi ai ruoli tradizionalmente maschili. Il settore più separatista del movimento femminista, anche se è più duro nel mettere in discussione i valori reali della società patriarcale, ha il difetto di progettare una società "senza uomini", cadendo così in una concezione di segno opposto ma altrettanto sessista.
La nostra sfida, invece, è mettere in discussione i valori di oppressione e di dominazione presenti nel sistema attuale in tutti i loro aspetti e, al contempo, cercare di recuperare, con un atto cosciente, la capacità persa di dar vita alle relazioni che desideriamo. Il nostro obiettivo è dunque duplice: resistere e creare. Il tutto, tramite il medesimo agire.

Arricchimento non diseguaglianza
Una prima approssimazione nell'analisi della dominazione, basata sulla diseguaglianza nella valorizzazione dei ruoli sessuali, ci porta a constatare che la rappresentazione del "femminile", quando non è assente o negata, gioca a favore dei valori della società patriarcale. (Alcuni esempi: le mestruazioni presentate come qualcosa di "sporco", oppure il parto come una funzione "pericolosa" al punto che il corpo viene affidato a specialisti che si fanno carico di provocare e gestire il parto, appropriandosi dell'atto di "dare la vita"). Questo forse aiuta a comprendere il fatto che la lotta per l'eguaglianza non può che portare ad una riaffermazione dei valori della società patriarcale, nella misura in cui noi non ricostruiamo questa trama immaginaria scomparsa.
L'esperienza del corpo (condizionata biologicamente e radicata nella rete simbolica della cultura) è fondamentale nell'affermazione dell'immaginario socialmente condiviso, cioè - in altre parole - dell'insieme delle rappresentazioni che la società ha di se stessa. Ecco perché è fondamentale interrogarsi ed agire con l'obiettivo di reintegrare e progettare con l'immaginazione queste funzioni femminili nell'ambito della società che vogliamo. Al contempo, è indispensabile che l'integrazione di queste funzioni nel rapporto tra valori e realtà possa portare a riformulare i ruoli che gli uomini e le donne giocano in questa società, partendo da un'uguale possibilità di partecipazione politica economica e creativa, fonte di arricchimento e non di diseguaglianza (e ancor meno di oppressione).
Se, al contempo, la rivendicazione di queste funzioni femminili non si inserisce nell'ambito di un movimento tendente ad un nuovo progetto sociale, le donne - finché rimangono rinchiuse in una dimensione esclusivamente individuale - restano tagliate fuori da una pratica politica, economica ed intellettuale su scala sociale.
Gli asili, per esempio, sembrano liberare la donna da altre funzioni sociali (d'altra parte la socializzazione in famiglia è ancor meno un'alternativa). Eppure, dal momento che si realizza affidando l'educazione allo stato, pone una pesante ipoteca sul futuro e finisce con il legittimare gli stessi valori cui si cerca di resistere.
Abbiamo dunque la necessità di trovare forme di solidarietà, che ben aldilà della ricerca dell'eguaglianza, ci permettano di mettere in pratica altri valori e sperimentare l'affermazione della diversità su di un piano di uguaglianza, in forme sociali che prefigurino il futuro. Dobbiamo fecondare il presente nella prospettiva di un nuovo progetto sociale, inevitabilmente allo stato embrionale, facendo sì che questo embrione contenga tutte le "informazioni".

Montevideo, Stoccolma, ecc...
È in quest'ottica che desideriamo esporre e "condividere" la nostra esperienza, con la premessa che non la vediamo assolutamente come una ricetta, né la consideriamo esente da quelle contraddizioni cui abbiamo prima accennato. Piuttosto, è una ricerca continua, continuamente segnata dal fallimento - minacciata dagli aborti spontanei di un corpo sociale inesperto - e ciclicamente riproposta nella sua capacità creativa.
Questa esperienza ha avuto origine a Montevideo (Uruguay) nel 1955, nella "Comunidad del Sur" ed ha avuto una ripresa dal 1977 in Svezia, dove si sono aggregati altri compagni svedesi e latino-americani.
La proposta è quella di mettere in discussione i ruoli sessuali, politici, professionali ed economici, per mezzo di una realizzazione comunitaria e libertaria, in un contesto sociale nel quale idee e pratiche non siano scisse.
Dobbiamo scegliere alcuni aspetti della nostra esperienza che siano particolarmente pertinenti al tema che qui si affronta. Incominciamo allora con il precisare che la partecipazione alla Comunidad è personale, dal momento che essa viene decisa volontariamente, con un atto di libertà individuale non surrogabile da altri legami, come possono essere quelli familiari o affettivo-sessuali.
Per quanto riguarda i compiti concreti e la divisione del lavoro, applichiamo la rotazione, cercando di far sì che tutti partecipino sia ai servizi sia alla produzione. Per quanto riguarda gli incarichi direttamente legati all'educazione (aldilà del fatto che ciascuno educa in tutti i momenti della propria vita, tramite le proprie scelte e la forma di metterle in pratica), la rotazione è limitata, dal momento che cerchiamo che i compagni o le compagne chiamati a tale compito siano il più possibile capaci di trasmettere i valori scelti in comune.
Al tempo stesso cerchiamo di rompere con la diseguale valorizzazione del lavoro intellettuale e manuale, facendo sì che tutti partecipino in un gioco equilibrato che li includa entrambi. Ciò non garantisce che la valorizzazione cambi davvero, né che tutti siano in grado di realizzare indistintamente l'uno e l'altro tipo di lavoro, ma di sicuro aiuta a identificarvisi ed a comprendere "dal di dentro" i differenti ruoli. Non ci sono compiti definiti sulla base del sesso e ciò aiuta la trasformazione individuale ed è in sé un fattore educativo.
Per quanto riguarda l'educazione, riconosciamo tre tipi di paternità (usiamo questa parola in senso generico, dal momento che la nostra lingua, espressione dei valori dominanti, non dispone di un'altra parola che definisca al tempo stesso paternità e maternità): la paternità biologica, che in generale è garantita da "leggi naturali"; la paternità psicologica, per la quale è necessario un gruppo di persone significative accanto al bambino/bambina e la cui forma di funzionamento è legata a forme culturali (cioè non dipende solo dalla natura, ma da relazioni stabilite in questo nucleo primario, che a loro volta riflettano un tipo di socializzazione orientata verso un determinato progetto sociale); infine una paternità culturale, per la quale è necessaria una volontà di cambiamento condivisa dal gruppo, così da trasmettere i fondamenti del progetto sociale nell'azione diretta della vita quotidiana.
La nostra esperienza è quella di cercare di influire sulla paternità/maternità psicologica e culturale, creando forme differenti di socializzazione, non gerarchiche e più ampie della famiglia nucleare, svuotando per quanto possibile di contenuto l'autorità paterna sui figli (intesa come dominio), verificando criticamente i comportamenti interpersonali, ecc...
Per raggiungere delle trasformazioni a livello di paternità/maternità culturale, anche se si è costantemente tesi verso questo obiettivo, non è però sufficiente un gruppo: è necessario il concorso di molteplici esperienze e fattori storici, che convergano verso una trasformazione sociale reale. Solo a queste condizioni le esperienze realizzate precedentemente acquistano il loro contenuto realmente nuovo e possono realizzarsi in tutta la loro potenzialità.
Così, nel corso della nostra esperienza, siamo passati attraverso diverse forme di organizzazione del nucleo primario - i bambini tutto il tempo in comune, o a volte più sotto l'egida dei loro genitori biologici - ma, indubbiamente i momenti più significativi sono quelli accompagnati da una tensione verso il cambiamento nella stessa direzione verso cui tende la società nel suo insieme. Nel periodo in cui i movimenti sociali radicali hanno raggiunto, alla fine degli anni '60, il loro apogeo, le esperienze "interne" alle comunità erano - parallelamente - più ricche e più creative. Specularmente, nei periodi di decadenza di questi movimenti sociali, ne risentiva anche la vita interna delle comunità. Da questo punto di vista, dunque, "l'interno" e "l'esterno" interagiscono favorendo o scoraggiando la sperimentazione.

La casa dei bambini
Nell'ambito dell'organizzazione "eco-sociale" che da anni stiamo sperimentando, la "casa dei bambini" è un elemento fondamentale. I bambini possono contare su di uno spazio loro proprio, nel quale sono accuditi/accompagnati da due adulti - una donna e un uomo - in forma continua (30 ore alla settimana) e da altri membri della comunità secondo una rotazione (che, come abbiamo prima spiegato, è limitata).
Ciò favorisce l'indipendenza e la relazione - la più libera - sia degli adulti sia dei bambini, al loro interno e tra loro. Ed è di fatto una messa in discussione dell'autorità oppressiva dei genitori, dal momento che i bambini si appoggiano mutuamente fra loro contro le arbitrarietà degli adulti, dal momento che possono contare su di un proprio spazio autogestionario.
Un altro aspetto basilare di questa organizzazione "ecologica" è la ricerca di integrare funzioni di tipo diverso nella stessa area geografica, per esempio la mensa, la casa dei bambini, la produzione (o almeno parte di essa), i luoghi comuni di ricreazione ed i servizi. L'idea è di rompere la segmentazione/specializzazione dei diversi aspetti della vita sociale, che nelle forme dominanti attuali organizzano la percezione sociale sottolineando la gerarchizzazione dell'apparato economico, considerato l'origine esclusiva del piacere e del benessere.
Questa "erotizzazione" di tutto il corpo sociale potrebbe assicurare una trasformazione radicale nelle singole relazioni sociali. Nel caso del rapporto madre/figlio, fin dai primi giorni si può assicurare una forma fluida, rendendo possibile al tempo stesso che la madre resti legata alle altre attività sociali, rispettando la relazione madre/figlio al pari della ricca rete di relazioni che si svolge attorno e che riteniamo fondante della personalità del bambino.
Prendendo in esame la situazione della donna, l'esperienza ci dimostra che la madre ha bisogno di sentirsi tranquilla ed accompagnata ad un ambiente sociale che le garantisca appoggio materiale e affettivo e non la emargini in aspetti politici e sociali, proprio nel periodo in cui, attraverso l'allattamento, può godere e trasmettere al bambino il senso della fiducia, del rapporto mutuo e reciproco. Questa situazione non torna a ripetersi mai nella vita di ciascun individuo (bambino).
D'altra parte è proprio su questa base che si possono formare uomini e donne che in futuro siano capaci di immaginare e di creare altre forme sociali che non siano fondate sulla competizione, sull'estraneità rispetto all'"altro" o all'"altra", sulla dipendenza affettiva, ecc...
La gravidanza, scelta e legalmente attribuita alla madre (e al padre), è assunta in comune ed esplicitamente festeggiata. Ogni gravidanza è un processo importante per la madre certo in modo speciale, ma in generale lo è per tutti coloro che "gireranno intorno" a questa nuova vita. Per esempio, per i bambini è una conferma del fatto che anche loro furono aspettati e che oggi possono essere protagonisti del "piacere dell'altro". Ricordo che nella comunità in Uruguay una compagna raccontò ai bambini (in età prescolare) che era incinta e tutti i bambini corsero spontaneamente a baciarle la pancia.
La gravidanza è riconosciuta e attesa in modo speciale - non come una situazione di debolezza, ma come una condizione naturale, pregna di molteplici significati, con determinate esigenze molto individuali. Questo riconoscimento si riflette sia sul piano materiale (orario di lavoro flessibile, alimentazione speciale) sia su quello sociale: ciascun bambino/a è atteso/a con una canzone, scelta caso per caso e cantata in numerose occasioni prima e dopo la nascita, come per aprire uno spazio al nuovo essere e sottolinearne l'unicità. Al tempo stesso ciò è un'espressione di quella che - in termini comunitari - si definisce la "paternità condivisa".
Il parto, se così decide la madre, si svolge in casa, con l'assistenza di una levatrice, la partecipazione attiva del padre e la presenza di altri compagni sempre rispettando i desideri della madre. Prima del parto, i genitori realizzano un piccolo corso di preparazione, insieme con altre copie "gravide".
L'esperienza delle madri/padri precedenti, a sua volta, costituisce un appoggio importante ed un punto di riferimento. La realizzazione del parto in casa (una possibilità, resa più facile in Svezia, dove si può contare sull'assistenza medica che potrebbe rivelarsi necessaria) è una rivendicazione ideologica e personale: riappropriarsi della possibilità di dar la vita, demistificare il parto come questione da specialisti, condividere l'esperienza psichica trascendentale legata dall'inizio di una nuova vita.
Il fatto di aver sperimentato anche parti in clinica, ci permette di apprezzarne le differenze. La partecipazione di altri bambini al parto fa sì che sviluppino un atteggiamento naturale, privo di qualsiasi "mistero" verso il parto e la fisiologia femminile. Pensiamo inoltre che ciò costituisca anche una base migliore per i loro parti futuri e per l'identificazione con il proprio corpo e/o il corpo dell'altro sesso.
Ma l'ambito nel quale di più abbiamo potuto apprezzare le differenze tra il parto in casa e quello in clinica, è quello degli adulti - ed in particolare degli adolescenti maschi. Per loro la partecipazione ai parti ha significato una rivalorizzazione del corpo della donna, del proprio ruolo nella sessualità e nella paternità. Per tutti, i parti sono stati un'esperienza intensa e "meravigliosa" una specie di recupero della possibilità di creare personalmente o in comune, ed un recupero della "naturalità" del parto pur mantenendo la "magia" insita nel dare la vita.

Contraddizioni nella pratica
Qualsiasi progetto che tende a rompere nella pratica con le regole della società dominante, non può sottrarvisi del tutto. Si trova pertanto in una specie di transizione tra il fallimento e la possibilità del cambiamento, che a sua volta richiede una trasformazione globale per potersi consolidare. Vogliamo qui sottolineare alcune delle difficoltà che abbiamo incontrato, dal momento che riteniamo che possano essere altrettanto utili dei successi. Un primo sguardo retrospettivo ci indica che i nostri figli, nonostante i nostri sforzi, fanno subito propria la nozione di che cosa significhi essere femmina o maschio in questa società (soprattutto per quanto riguarda l'abbigliamento, la scelta dei colori, i giocattoli, ecc.). Al contempo, comunque, hanno una disponibilità molto maggiore - sia i bambini, sia le bambine - verso i giochi "mascolini" e/o "femminili" di quanto abbiano gli altri bambini/e. In un test sui ruoli, sottoposto ad un gruppo di scolari, non sono apparse differenze significative nella scelta dei ruoli tra i maschi e le femmine.
Per quanto riguarda gli adulti, nonostante noi donne della comunità si partecipi alla valorizzazione che prima abbiamo descritto, c'è una tendenza ad assumere ruoli "di dominio" ed a ripetere una struttura di potere, nella quale - ora - il potere è detenuto dalle donne. Dal momento che la comunità non ha una struttura di tipo coercitivo (né per mezzo del voto, né di sanzione economica, né di altro tipo), questa tendenza ci provoca una serie di conflitti relativi alle esigenze che ci pone il cambiamento che vogliamo realizzare.
Gli uomini dal canto loro, vedendo messo in discussione il loro ruolo tradizionale (seppure con il loro consenso), non si decidono a definire un nuovo ruolo e si muovono con un livello di ambiguità che provoca confusione e, in certi momenti, è paralizzante. Tutto ciò è venuto chiaramente alla luce in alcune drammatizzazioni realizzate in quella che noi chiamiamo la "scuola dei genitori" (a cui partecipano genitori di altri bambini, che partecipano alle attività della casa dei bambini).
Va detto, infine, che il terreno è pieno di macerie o forse il succo della nostra esperienza sta nelle intenzioni, nella ricerca. Parafrasando Michel Foucault, se il potere è tollerabile a condizione che mascheri una parte importante di sé, allora qualsiasi tentativo di portarne allo scoperto i meccanismi e di creare situazioni che ci permettono di apprendere l'autogestione della nostra vita, assicurerà una possibilità in più di liberazione.

(traduzione di Paolo Finzi)