Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 156
giugno 1988


Rivista Anarchica Online

La casa è di chi l'abita
di Mario Barbani

Cronaca della lotta ingaggiata a Bologna dall'anarchico Mario Barbani contro le autorità comunali. Che volevano sfrattarlo e l'hanno sfrattato, murando la porta della sua abitazione. Ma non hanno fatto i conti con la sua combattività. Ed alla fine Barbani - uno dei primi obiettori di coscienza (1950) ed attualmente gestore del circolo "l'Onagro"- l'ha spuntata.

Alla fine dell'anno 1987 si contavano in Italia oltre 650.000 sfratti esecutivi, mentre l'anno in corso ripropone drammaticamente il problema della casa.
È un problema di emergenza tale che, in teoria, potrebbe far esplodere il malcontento generale in una grande rivolta popolare, eppure, mentre i politici si palleggiano le responsabilità reclamando modifiche legislative e il governo si muove tra proroghe e decreti legge, la rassegnazione degli interessati sembra regnare sovrana.
Appartamenti affittati come seconda casa, affitti ad equo canone con grosse somme versate in nero, posti letto a cifre da capogiro e lotta tra "poveri" per ottenere un punteggio nella graduatoria comunale per avere il "diritto" ad un alloggio, sono problemi che tutti conoscono ma che, nella pratica, pochissimi contestano. Gli innumerevoli sfratti che quotidianamente coloriscono, con la storia che ognuno di essi rappresenta, la cronaca dei giornali, inducono a credere che la crisi degli alloggi possa risolversi solo in tempi lunghi e con una forte ripresa edilizia. Ma la realtà è ben diversa.
Le statistiche ISTAT rivelano che in Italia esiste una disponibilità media di 1,7 vani a testa, mentre in alcune città (come Bologna) la disponibilità è di 1,9. Come dire che una famiglia media di quattro o cinque persone dovrebbe poter disporre di otto o dieci vani. L'occupazione delle case sfitte è ormai un'azione talmente "remota" da sembrare una forma di lotta improponibile. Eppure sono tanti, anche se isolati e poco conosciuti, i fermenti di lotta che si muovono nel sociale e l'azione diretta collettiva e individuale è una delle poche risposte valide al problema della casa.
Questa è la storia della mia lotta.

Un sorrisetto ironico
Abito sin dal 1981 in un appartamento a Bologna con un regolare contratto d'affitto stipulato con l' usufruttuaria dell'appartamento stesso, deceduta nel 1985. Alla sua morte il proprietario dell'appartamento era divenuto il comune di Bologna che nel frattempo aveva acquistato l'intero stabile ed ha pensato di "sfrattarmi" in questo modo:
Venerdì 4 aprile 1986, ore 7.30 - squilla il telefono. -Pronto, signor Barbani? - Sì - Le comunico che lunedì mattina provvederemo allo sgombero dell'appartamento - Scusi, ma lei chi è? - Qui è il comune di Bologna che parla, buongiorno. - e mettono giù il ricevitore. Dopo un attimo di smarrimento causato dallo stupore che Palazzo D'Accursio (dove ha sede il comune - n.d.r.) si fosse messo a parlare, mi precipito in comune per chiedere spiegazioni per quella strana telefonata, ma nessuno è in grado di rispondermi anzi, gli uscieri, un po' seccati, mi fanno notare che si tratta sicuramente di uno scherzo visto che alle 7.30 in comune non c'è nessuno dato che gli uffici aprono alle 8.15. Di fronte alle mie insistenze, comunque, un usciere telefona al patrimonio comunale per chiedere conferma. Caso vuole che in quel momento passi davanti a noi la dottoressa Farinatti, dirigente del patrimonio immobiliare. Un usciere la rincorre, bisbiglia indicandomi, e lei guardandomi con un'aria di compatimento, un sorrisetto ironico e le braccia spalancate, come di chi vuole indicare che non può farci nulla, mi dice testualmente: -Beh, tutto normale. Non ha ricevuto la telefonata? Lunedì mattina se ne deve andare.
La mia reazione non è di quelle che si possono definire tranquille, le ricordo che Bologna è piena di case di proprietà del comune vuote e murate e ne elenco qualcuna. Di fronte agli sguardi degli allibiti presenti, la dott. paonazza mi dà un appuntamento per il giorno dopo, alle ore 8 nel suo ufficio.
Il giorno dopo sono puntualissimo. Presento il mio contratto d'affitto stipulato con l'usufruttuaria, ma la dirigente nega l'evidenza dicendo che si tratta di uso e non di usufrutto e sfoglia un fascicolo che ha sulla scrivania per dimostrare la veridicità di quanto va dicendo. Chiedo di poter prendere visione dei documenti in base ai quali lei fa questo tipo di affermazioni, ma lei mi risponde che non mi riguardano. Chiedo come mai il patrimonio non ha mai risposto alla mia raccomandata in cui facevo presente le mie motivazioni, ma lei dice che tutto ciò non le interessa per niente e che comunque c'è un'ordinanza comunale di sgombero nei miei confronti e questa ordinanza può essere ritirata solo dall'assessore all'edilizia o dal sindaco. A quel punto vado in comune e chiedo di parlare con l'assessore che non mi riceve. Chiedo di parlare col sindaco, mi dicono che debbo compilare una domanda e poi si vedrà. Mentre mi accingo a scrivere la domanda il sindaco esce dal suo ufficio e si dirige verso la scalinata. Lo rincorro, lo fermo: "Senti, - gli dico - io sono un cittadino bolognese, abito in una casa di proprietà del comune e lunedì mattina vengono a sbattermi fuori".
Il sindaco afferma che ciò non è possibile e, dietro le mie insistenze, mi riceve. Il succo del colloquio è il seguente: "Io non posso ritirare l'ordinanza però posso sospendere la sua esecuzione per una settimana per verificare come stanno esattamente le cose. Dopo l'incontro con l'assessore all'edilizia e il dirigente del patrimonio potrò dare una risposta. Comunque stai tranquillo perché lunedì mattina non verrà nessuno".
Lunedì 7 aprile, ore 8.30. Il campanello di casa suona insistentemente. La scena sembra una spedizione nazista da caccia all'ebreo.
Davanti alla porta ci sono 4 vigili urbani, un capovigili (non ben identificato) in borghese, 2 agenti di polizia, 10 operai del comune e, in testa a questo drappello, la dott. Farinatti (dirigente del patrimonio) e il suo segretario Sangiorgio.
"Vede signor Barbani – grida la Farinatti - la forza l'abbiamo, apra".
"Se avete la forza - rispondo - usatela" e chiudo a più mandate i due catenacci. Trascorrono dieci minuti abbondanti prima che la porta venga ridotta a pezzi, ho infatti il tempo di farmi un caffè e berlo.
Alle ore 14 è tutto finito. Le orde barbariche, scusate i vigili urbani, se ne sono andati. Dall'appartamento è stato portato via tutto, compreso una sciabola antica che "il vigile?" in borghese ha portato con sé facendo scrivere sulla lista delle "masserizie" sequestrate "spada consegnata alla questura". Alla questura la spada non è mai arrivata, come non è mai arrivata in un magazzino fatiscente in cui è stata messa tutta la mia roba.
Alle ore 15 la porta è murata (in queste cose il comune è veramente efficiente) e viene murata anche la porta di un monolocale sottostante al mio, sempre di proprietà comunale, vuoto da almeno cinque anni.
Ospite precario in casa di un amico cerco di trovare una soluzione.
Venerdì 11 aprile, ore 11. Metto in atto la mia protesta non violenta e mi incateno ad un termosifone davanti alla porta dell'ufficio del sindaco che si trova, quel giorno, al congresso del P.C.I..
L'incombenza spetta al vicesindaco Riccomini che assicura, alla presenza dei giornalisti e del consigliere di D.P. Boghetta, che "lunedì mattina mi farà incontrare col sindaco e l'assessore all'edilizia".
Il lunedì mattina, alle 9.30 mi presento in Comune; non vengo ricevuto, anzi l'assessore dichiara che ci si può incatenare per mesi davanti alla sua porta che non gliene importa niente.
Il pomeriggio dello stesso giorno mi presento alla seduta del consiglio comunale. Imbeni mi vede e mi fa chiamare da un vigile.
Nel corridoio antistante la sala del consiglio, e alla presenza dei numerosi punk (anch'essi appena sloggiati con la forza da un appartamento sfitto da loro occupato) il sindaco recita la parte dello "sbalordito": una serie di malaugurati equivoci e la sua assenza da Bologna in occasione del congresso hanno generato l'incresciosa situazione. "Nel giro di due giorni - afferma Imbeni - ti darò una risposta precisa su tutta la faccenda". La risposta non è mai arrivata.
Mercoledì 23 aprile: azione diretta. Aiutato da due compagni, ai quali va tutta la mia gratitudine, sfondo il muro e torno nel mio appartamento; LA CASA È DI CHI L'ABITA.
Sono trascorsi ormai due anni e nel frattempo ho dovuto intraprendere un'azione legale contro il comune di Bologna in quanto l'ordinanza di sfratto, nonostante l'illegittimità manifesta, non è mai stata revocata. Lo stesso difensore civico, intervenuto nella vicenda, così scrive al sindaco di Bologna in data 31/7/'86: ...È...applicabile al caso l'art. 999 cod. civ., in forza del quale le locazioni concluse dall'usufruttuario continuano, per la durata stabilita, anche dopo la cessazione dell'usufrutto, o, se la durata non è stabilita (come nella specie) per "non oltre il quinquennio dalla cessazione"... quindi esiste un giusto titolo che legittima del godimento dell'immobile da parte del conduttore Barbani, fino al 27 febbraio 1990.
Mi permetto quindi di richiedere una serena e attenta valutazione delle argomentazioni che propongo e l'adozione dei provvedimenti conseguenti, vale a dire l'annullamento d'ufficio, per l'illegittimità manifesta, dell'ordinanza sindacale n.° 41210... Auspico perciò che il Barbani venga reintegrato nel suo diritto di conduttore, senza che sia necessario ricorrere al giudice (...).
In questi giorni, dopo 5 udienze del tribunale, si sta concretizzando l'accordo che il Comune ha proposto stabilendo l'importo dell'affitto a equo canone. Ma il diritto alla casa è al di là di un contratto d'affitto e va sempre e comunque affermato contro la speculazione delle case vuote, dei canoni in nero e delle "buone entrate".
Gli sfratti nelle grandi città non si contano più a centinaia, bensì a migliaia, mentre gli sgomberi forzati hanno raggiunto, in alcuni casi, un aumento percentuale del 400%. A Bologna le case vengono murate, a Milano lo IACP chiede l'intervento del Questore e l'appoggio dei sindacati per far sloggiare gli occupanti "abusivi" mentre a Napoli le case crollano che è un piacere.
Di fronte a un problema così grave è assurdo immaginare che molte abitazioni, pubbliche e private, rimangano vuote. Occupiamole. La soluzione più valida resta ancora l'azione diretta.