Rivista Anarchica Online
Morte a Roma
di Paola Feri
La Morte: singolare tema per un
seminario organizzato dal Gruppo Anarchico Malatesta e curato da
Alfredo Salerni presso la libreria "Anomalia".
Di quale morte si parla: morte
nucleare, morte culturale, morte dell'arte o dell'etica, morte dei
valori, morte di un periodo storico, di una pratica politica, morte
dell'anima o addirittura nell'anima.
Niente di tutto questo, semplicemente
della morte come assenza di vita, di quella annunciata dai medici e
che solo loro hanno il potere di dichiarare.
La morte individuale insomma, quella a
cui nessuno può sottrarsi, quella che per tutti ha uno
sguardo, come ci ricorda Pavese. La morte mia... tua... loro...
questa è la morte affrontata nel seminario (i maligni
potrebbero leggere del seminario) con l'intento di detabuizzarla.
Nel sotterraneo, sede delle riunioni,
si respira un'aria di sottile tensione. Il primo impatto è di
reciproca diffidente curiosità, (ognuno si dice che il
sottoscritto/a è stato mosso/a dalla curiosità ma si
chiede con inquietudine a quale spinta hanno ubbidito gli altri). E
le origini stesse che hanno motivato questa balorda e innocua
curiosità sono occultate dallo stesso manto misterioso con cui
si avvolge la Morte.
Excursus storico del concetto di
morte nel tempo: tutto va bene, la morte naturale
dell'uomo di Neanderthal non ci tocca più di quella violenta
per mano dei Borgia, ascoltiamo con l'aria compita di chi è
motivato culturalmente. È
lontana quella morte, non ci appartiene.
Aspetto esistenziale (angoscia
di morte, atteggiamento individuale di accettazione o rifiuto ecc.):
la gente comincia a dare segni di insofferenza, si muove sulle
panche, scompone le proprie gambe accavallate che fino ad allora ha
lasciato pigramente oscillare avanti e indietro.
Nella discussione che segue possiamo
notare tre tipi di atteggiamenti. I più "razionali"
hanno parlato chiaro: se oggi troviamo il tempo e sentiamo
l'esigenza, se si aprono gli spazi per parlare di questo è
perché viviamo un momento di morte "sociale": nel
'68 un seminario di questo genere sarebbe andato deserto... eppure
ogni giorno eravamo a contatto con la morte per mano dei fascisti o
dello stato, a differenza di oggi. (Il sottotesto intendeva dire il
più delle volte che dobbiamo tornare alle lotte di piazza per
distrarci dall'angoscia).
I più "giovani" hanno
detto che in un mondo dove sono morte le speranze del cambiamento
(c'era una punta di rammarico nel non poter essere dei reduci
nella celebrazione nazionale del ventennale) è giocoforza
pensare alla morte, alla catastrofe collettiva, ad una fine forse
catartica.
Hanno parlato di rovina, catastrofe
collettiva, ma non dei singoli uomini; una morte generalizzata, ben
lontana dalla "propria" morte, quella che giunge al
capezzale, che parla a tu per tu, che non concede l'ultima partita a
scacchi di bergmaniana memoria.
Poi e stata la volta dei più
"emotivi" che hanno parlato del rapporto che hanno vissuto
con la morte per la scomparsa di persone care. Hanno analizzato a
fatica il loro comportamento, le loro sensazioni, le loro reazioni a
volte del tutto irrazionali e codarde. Emergeva la necessita di
collettivizzare la morte, fardello doloroso troppo pesante se vissuto
al singolare.
Insomma, a parte un paio di timidi
tentativi sulla "propria" morte (dai quali la discussione
si è subito allontanata prudentemente), anche da parte di
partecipanti ad un seminario che vuol parlare proprio di questo, si
procede a fatica e l'atteggiamento generale è di fuga. Se i
partecipanti hanno retto bene l'allucinante argomento trattato da
esponenti della "Lega contro la predazione degli organi"
(argomento che ci vede già cadaveri quando ancora respiriamo e
di cui parleremo in una prossima occasione perché ancora in
discussione), il disagio è serpeggiato nuovamente in sala
durante la conferenza su "Distruttività umana ed angoscia
di morte" tenuta da De Marchi, psicanalista di ispirazione
libertaria che per primo ha introdotto in Italia il pensiero di W.
Reich dalle colonne di "Volontà".
Dopo l'esposizione delle due correnti
che dominano il pensiero occidentale, quella innatista (di
origine freudiana che tabuizza il problema - non a caso proprio
Freud, che ha sofferto di questa angoscia per tutta la vita, fa
questa operazione!), e quella ambientalista, sposata dai
liberi pensatori (che liquida il problema salvando l'uomo, di per sé
buono, necessariamente distruttivo per l'ambiente in cui vive), De
Marchi ha esposto la sua teoria che quanto meno apre nuovi orizzonti
ad una ricerca impiantata su meccanismi fino ad oggi inesplorati.
Secondo De Marchi in ogni uomo esiste
l'angoscia di morte non innata (l'angoscia di morte non compare prima
del terzo anno di vita) ma provocata dalla rimozione della morte. Fin
dalla preistoria l'uomo è stato l'unico animale a prendere
coscienza della propria e della altrui morte, mistero intrigante che
ha rimosso con la credenza della prosecuzione della vita. (Sono state
ritrovate tombe dell'epoca neanderthaliana dove accanto al morto sono
state sepolte armi e vivande che testimoniano l'illusione del
proseguimento della quotidianità). La non accettazione della
morte provoca universalmente l'angoscia di morte che gli uomini hanno
cercato di arginare in un primo momento con la religione.
Dalla nascita delle religioni (diverse,
perché nascono in culture diverse), ognuna delle quali
promette l'immortalità ai propri adepti in cambio di fedeltà
e ubbidienza, nasce la distruttività umana. Solo la propria
religione è vera e dunque le altre rappresentano
l'antiverità, il male-demone che deve essere combattuto perché
offende la divinità onorata. Deve essere sconfitto per
mantenere su se stessi lo sguardo benevolo delle proprie divinità
che, in caso contrario, hanno il potere di toglierci l'immortalità
e quindi farci ripiombare nell'angoscia di morte: si deve combattere
(distruttività) per garantirsi l'immortalità a costo
della propria morte (autodistruzione).
Con l'incrinarsi del credo religioso
(il prezzo per garantirsi l'immortalità in alcuni momenti è
diventato ancora più gravoso dell'angoscia di morte!), l'uomo
impaurito e solo ha inventato la certezza politica. I sistemi
totalitari ci sono testimoni: Hitler e Stalin hanno ottenuto
l'adesione delle masse dietro la promessa di "paradisi
terrestri" (tramite atteggiamenti distruttivi e autodistruttivi
delle masse stesse).
Adesso - conclude De Marchi - anche
questa certezza è crollata e l'uomo di fine secolo è
solo, senza nessuna illusione di felicità perfetta, di
immortalità: è solo con l'angoscia di morte. Che lare?
Questo interrogativo non può che
riportarci alla mente il "che fare" che Malatesta pose
circa un secolo fa, interrogativo che dovremmo porci più
spesso. Che fare? L'ipotesi-proposta di De Marchi sta nella presa di
coscienza della nostra rimozione che genera l'angoscia, elemento
scatenante del meccanismo distruttivo e autodistruttivo.
"Prendere coscienza - e qui
cito le parole di De Marchi - che i nemici della propria
felicità e immortalità non sono gli altri umani
ma c'è nella condizione umana qualcosa di intrinsecamente,
drammaticamente umano che ci accomuna tutti... (è
risaputo che nella cella della morte nessuno litiga e che nel
Titanic, quando furono finite le scialuppe di salvataggio - e solo
allora - si danzava, eppure la nave affondava). Questi sono i
segnali che una presa di consapevolezza in cui tutti ci troviamo può
finalmente disinnescare il meccanismo distruttivo. È
importantissimo che il movimento anarchico affronti questi temi ed
abbandoni il clima o di mugugno o di ottimismo a buon mercato che
caratterizzava tante sue riflessioni del passato". Oltre alle
speranze che danno significato alla vita, spetta a questo movimento -
proprio per la considerazione che ha dell'umanità - il compito
di chiedersi anche perché il mondo va in questo modo.
Dopo una militanza quasi ventennale nel
movimento anarchico (interrotta nell'ultimo periodo da un riflessivo
silenzio) e spinta dalla provocazione di questo seminario, mi
interrogo sul nostro ruolo di anarchici oggi: insoddisfatta di
semplicistiche risposte che mi saltano in testa come riflessi
condizionati, le risposte esatte tardano a farsi avanti e la proposta
di De Marchi mi è apparsa, tra quelle ipotizzabili, quanto
meno una delle più allettanti.
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