Rivista Anarchica Online
Contro il metodo
di Salvo Vaccaro
La venuta a Palermo di Paul
Feyerabend, noto epistemologo e storico delle scienze, era
un'occasione piuttosto preziosa per verificare quanto fossero
attendibili le reputazioni di cui gode; come si sa, Feyerabend ha
legato le sue fortune con un libro dal titolo Contro il metodo
(tradotto da Feltrinelli) del '79, che recava come sottotitolo
"Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza".
In realtà, Feyerabend si
definiva "dadaista", più che anarchico, volendo con
quel termine significare il suo carattere trasgressivo rispetto alla
comunità scientifica di cui fa parte.
E invero, nell'ambito delle discipline
che lui attraversa disinvoltamente (fisica, filosofia greca, storia
delle scienze), la sua carica innovativa e trasgressiva è
notevole, in quanto tutta la sua ricerca è tesa a far
esplodere confini disciplinari, dogmatismi della ragione, primati
metodologici che si ammantano monopolisticamente di scientificità,
e quindi di inappellabilità. Soprattutto la sua lotta contro
la Scienza, unica e totalizzante, con la S maiuscola, si riverbera
poi nella lotta contro il dogmatismo dello scienziato che pretende di
inventare e rivelare la verità scientifica, anch'essa una e
sacra, quando invece Feyerabend dimostra come storicamente la verità
scientifica è una posta in palio tra conflitti di poteri
istituzionali, tra diversi programmi di ricerca scientifici, tra
diverse opzioni e possibili letture della realtà, che mai si
lascia cogliere da un solo sapere disciplinare, bensì si fa
avvicinare un po' da tutti, senza esaurirsi in essi.
Il reale non è scopribile dalla
scienza, afferma provocatoriamente Feyerabend, secondo cui questa è
solo una macchina predittiva, mentre la conoscenza è un
processo "artistico", per via di metodi plurali e
intuizioni diversificate, il tutto lasciato al gusto ed alla
sensibilità del singolo.
Contro il metodo si rivela quindi un
atteggiamento (più che una teoria, tiene a precisare)
antisistematico che sostituisce la ragionevolezza prudente del
singolo alla protervia efficacia dogmatica di uno stile di
razionalità dominante in occidente.
Ma Feyerabend è anche un
cittadino impegnato a demistificare la centralità della
scienza nei problemi sociali che subiscono il ricatto della
"scientificità" assertoria dei sacerdoti del 2000:
gli esperti. La scienza non ha nulla di decisivo da dire riguardo
scelte pubbliche, afferma Feyerabend, non più delle opinioni
del singolo cittadino; anzi, né l'esperto, né il
politico professionista, in quanto tali, hanno diritto ad avere
l'ultima parola giacché le decisioni riguardanti la
collettività spettano alla collettività nel suo
insieme, e in ciò Feyerabend si rifà esplicitamente al
modello della polis ateniese.
È quindi l'opinione pubblica a
dover decidere ciò che riguarda aspetti etico-politici
dell'organizzazione sociale, e in tale decisione esperti e politici
non hanno o non devono avere alcun privilegio. Purtroppo qui emerge nettamente
l'incredibile e disarmante ingenuità di Feyerabend, che
sottovaluta apertamente la macchina del potere: questa non si muove
lungo percorsi in ultima istanza psicologici, bensì attraverso
regole del gioco e meccanismi di trasmissione di informazioni e
conoscenze che esautorano di fatto il cittadino dalla possibilità
di controllo, e non tanto per la buona o cattiva volontà del
potente di turno o dell'esperto avversario e controparte.
A Feyerabend manca totalmente una
concezione del potere, tipica di qualunque pensiero anarchico, anzi
sembra avallare l'illusione che il ricambio biografico dei singoli
nei posti di responsabilità potrà favorire un reale
cambiamento qualitativo nella società e nell'uso sociale della
scienza.
Certamente, il controllo popolare dal
basso della ricerca scientifica e dell'uso delle tecnologie, che sono
due problemi distinti, è molto più complesso di quanto
lo stesso Feyerabend, da semplice cittadino, non pensi.
Nonostante ciò, però,
Feyerabend non è un accademico, restio al confronto, chiuso
nella sua torre dorata, anzi incarna il tipico intellettuale alla
mano statunitense (sebbene sia di origine tedesca e si divida tra
Berkeley e Zurigo), disponibile al dialogo con tutti, avulso dalle
beghe accademiche nostrane, ingenuo e incantato, nel senso buono del
termine, dalle belle favole di quando la terra era piena di giardini
e di verde, il sole splendeva alto e gli uomini erano felici e beati
(proprio come a Palermo durante la sua permanenza): sebbene dietro...
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