Rivista Anarchica Online
Una separazione necessaria
di Andrea Papi
Il
13, 14 e 15 maggio, secondo il calendario annunciato, si è
svolto a Forlì l'atteso convegno nazionale "Ri/pensare
l'antimilitarismo". Farne a caldo un bilancio vero e proprio non
è facile e, forse, neppure possibile né giusto. Tenterò
perciò più che altro una riflessione, appunto a
caldo, per mettere in evidenza alcuni punti ritenuti di rilievo che
mi stanno particolarmente a cuore.
Concepito come momento, o meglio avvio,
di confronto fra tutte le componenti che si muovono all'interno del
variegato universo pacifista e antimilitarista, fin dall'inizio è
stato organizzato per sortire questo compito e quest'effetto. Erano
stati invitati tutti, individui e associazioni, ad esclusione delle
organizzazioni politiche specifiche quali i partiti, con l'unico
criterio non selettivo di riconoscersi portatori di messaggi e
pratiche inerenti la lotta per la pace e il superamento del
militarismo.
Anche se non tutti hanno risposto, la
rappresentatività del movimento nel suo complesso
sostanzialmente è stata assicurata. Così è
diventato in qualche modo un momento senz'altro importante per il
salto di qualità ritenuto necessario per uscire dall'impasse
in cui si trova l'antimilitarismo, per rilanciare la lotta e
l'estendersi di una coscienza collettiva, capace di pervenire ad una
società in cui l'esercito e il militarismo siano finalmente
considerati un'aberrazione.
Ma se questa adesione c'è stata
al livello delle relazioni, non si può dire la stessa cosa per
quanto riguarda la partecipazione diretta. Ci è sembrato
infatti che la variegata base delle componenti presenti sul suolo
nazionale fosse sostanzialmente assente o, comunque, non abbia dato
il contributo auspicato al fondamentale momento del dibattito. Le
ragioni possono essere tante, ma nel prenderne atto non mi sembra che
si possa parlare di disinteresse. Più che altro ho percepito
una condizione di attesa, mista a curiosità, quasi a voler
vedere come si svolgeranno le cose, un bisogno di rifletterci sopra.
Grossa partecipazione invece degli
anarchici, i quali hanno in tal modo dimostrato di essere
particolarmente sensibili al bisogno del confronto aperto e sereno,
fuori dai denti e a tutti i livelli, con tutti coloro che si pongono
su un piano di ricerca alternativa per costruire una società
refrattaria alla violenza istituzionale, come pure al ricatto e alla
prepotenza delle armi. Una partecipazione attiva e diretta, sia per
le relazioni sia per l'insieme dei compagni, che numerosi hanno dato
un prezioso contributo al dibattito.
Ma il fronte anarchico si è
mostrato chiaramente diviso. Personalmente aggiungo finalmente e per
fortuna. L'ho sottolineato anche in un intervento durante lo stesso
svolgersi del convegno. Lo scontro che è avvenuto in un certo
senso ha sancito e ufficializzalo una radicale, al momento
inconciliabile, differenza tra due modi di porsi, di proporsi, di
concepire l'azione politica e, a mio modo di vedere, di intendere il
senso stesso dell'anarchismo. Sottolineo nuovamente per fortuna,
perché ritengo che sia giunto il momento di rendere operativa
una separazione che in tutto e per tutto è totale e, per come
tende a manifestarsi, ha possibilità quasi nulle di pervenire
a un'improbabile ricongiunzione. Bisogna avere il coraggio,
finalmente, di dichiarare il divorzio e di seguire ognuno la propria
strada, affrontando tutti i rischi connessi al distacco divenuto
indilazionabile, se non si vuole franare in nome di un'inesistente
unità, di una impossibile e suicida ricomposizione. Ma tutto
ciò va realizzato al di fuori della logica delle sconfessioni
e delle accuse, proprio perché gli anarchici non hanno né
un'ortodossia né un partito da conservare.
Semmai devono rendere validi e operanti
i loro principi di libertà.
Nella disamina dello scontro, di cui è
necessario esporre brevemente i termini di contrapposizione, mi scuso
fin d'ora se non mi riuscirà di essere imparziale. Del resto
non credo all'imparzialità, né all'osservazione
oggettiva. Nel caso specifico sono parte in causa, sostenitore di uno
dei due modi d'essere, per cui difficilmente mi riuscirà di
parlarne al di fuori della passione politica che mi distingue.
Da una parte l'ipotesi stessa del
convegno, di cui sono stato uno dei propugnatori, che pone il
bisogno, ritenuto sempre più impellente, di uscire
dall'isolamento in cui ci stiamo infognando. Un'apertura identificata
nella logica del confronto e della ricerca di possibili accordi con
forze non anarchiche, che siano però sensibili ai bisogni del
cambiamento e della libertà, al di fuori di ogni
patteggiamento o alleanza partitica. Riteniamo possibile e
auspicabile trovare momenti di contatto con chi non è come noi
anarchico, senza per questo dover rinunciare minimamente ai nostri
principi e alle nostre caratteristiche peculiari. Pretendiamo anche
dagli altri la stessa cosa. Non si può rimanere per troppo
tempo assenti dal più generale dibattito sui nuovi bisogni,
sulla necessità dell'alternativa e sulla ricerca di un nuovo
modo di far politica. Su tutto gli anarchici hanno mille cose da
dire, perché hanno una teoria politica consolidata, un metodo
basato sulla libertà e la proposta di organizzazioni
orizzontali. Possono dare un grosso contributo, come potenzialmente
un grosso scossone al sistema politico imperante.
Rimanerne al di fuori, arroccandosi
all'interno di una impostazione essenzialmente ideologica e
conservativa, vuol dire soprattutto organizzare il proprio suicidio.
Dall'altra parte la proposizione
opposta, di cui nella fase attuale si fa portavoce il gruppo che
ruota attorno alla redazione della rivista "Anarchismo".
Proprio nell'ambito del convegno di Forlì questi compagni,
intervenuti abbastanza numerosi, hanno buttato parecchio veleno sia
contro la nostra ipotesi sia contro le nostre persone, usando in più
di un'occasione epiteti molto pesanti. Si sono mostrati
particolarmente aggressivi, portando la sala a un punto che ha
rischiato di degenerare in una rissa.
Fortunatamente sono stati contenuti,
permettendo sia a loro di esprimere la propria opinione, sia
rispondendo puntualmente a quanto ponevano sul tappeto. E gli si è
detto che il loro modo di porsi e la loro ipotesi di attacco
violento, non solo contro lo stato, ma contro tutti coloro che non si
riconoscono nelle loro proposte, è sempre di più
estraneo ai nostri intenti e alla nostra ipotesi politica.
Personalmente ho risposto che considero
ottocentesca la loro proposta insurrezionalista, a mio parere più
avanguardistica che altro, e assolutista il loro identificare
l'anarchismo in un'unica proposizione, la loro ovviamente,
considerando ogni altro porsi un tradimento o un non-anarchismo. Al
di là della differenza di idee, che penso dovrebbe essere
sempre ben accetta, per me ci troviamo soprattutto di fronte a un
metodo che, in quanto presume di essere l'unico realistico e
veritiero, sfocia nei fatti nell'autoritarismo assolutista. Non
volendo il confronto, al di là delle dichiarazioni, porta
quasi inevitabilmente all'assunzione del bisogno di egemonia. E la
loro aggressione quasi rabbiosa contro chi la pensa diversamente
mostra appunto questo bisogno di egemonizzare. Ecco perché ci
sembra impellente e indispensabile una sana e salubre separazione. Nonostante tutto il convegno è
riuscito. Il dibattito c'è stato e le posizioni espresse hanno
avuto modo di confrontarsi. Non si sono esaurite; ma questo non era
né possibile né auspicabile. Lo scopo di gettare una
prima pietra nell'ambito di un nuovo e diverso modo di porsi
politicamente è stato raggiunto, pur con i limiti connessi più
ad una fase iniziale che ad altro. Da parte dell'organizzazione è
stato preso atto della cosa.
Come pure è stato preso
l'impegno di indire dei momenti organizzativi veri e propri per
portare avanti il progetto, tuttora ancora vago, di realizzare la
collaborazione possibile, nei termini antipartitici e antiideologici
suddetti, con tutte le forze che sinceramente lottano per una società
avulsa dal militarismo.
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