Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 156
giugno 1988


Rivista Anarchica Online

Una separazione necessaria
di Andrea Papi

Il 13, 14 e 15 maggio, secondo il calendario annunciato, si è svolto a Forlì l'atteso convegno nazionale "Ri/pensare l'antimilitarismo". Farne a caldo un bilancio vero e proprio non è facile e, forse, neppure possibile né giusto. Tenterò perciò più che altro una riflessione, appunto a caldo, per mettere in evidenza alcuni punti ritenuti di rilievo che mi stanno particolarmente a cuore.
Concepito come momento, o meglio avvio, di confronto fra tutte le componenti che si muovono all'interno del variegato universo pacifista e antimilitarista, fin dall'inizio è stato organizzato per sortire questo compito e quest'effetto. Erano stati invitati tutti, individui e associazioni, ad esclusione delle organizzazioni politiche specifiche quali i partiti, con l'unico criterio non selettivo di riconoscersi portatori di messaggi e pratiche inerenti la lotta per la pace e il superamento del militarismo.
Anche se non tutti hanno risposto, la rappresentatività del movimento nel suo complesso sostanzialmente è stata assicurata. Così è diventato in qualche modo un momento senz'altro importante per il salto di qualità ritenuto necessario per uscire dall'impasse in cui si trova l'antimilitarismo, per rilanciare la lotta e l'estendersi di una coscienza collettiva, capace di pervenire ad una società in cui l'esercito e il militarismo siano finalmente considerati un'aberrazione.
Ma se questa adesione c'è stata al livello delle relazioni, non si può dire la stessa cosa per quanto riguarda la partecipazione diretta. Ci è sembrato infatti che la variegata base delle componenti presenti sul suolo nazionale fosse sostanzialmente assente o, comunque, non abbia dato il contributo auspicato al fondamentale momento del dibattito. Le ragioni possono essere tante, ma nel prenderne atto non mi sembra che si possa parlare di disinteresse. Più che altro ho percepito una condizione di attesa, mista a curiosità, quasi a voler vedere come si svolgeranno le cose, un bisogno di rifletterci sopra.
Grossa partecipazione invece degli anarchici, i quali hanno in tal modo dimostrato di essere particolarmente sensibili al bisogno del confronto aperto e sereno, fuori dai denti e a tutti i livelli, con tutti coloro che si pongono su un piano di ricerca alternativa per costruire una società refrattaria alla violenza istituzionale, come pure al ricatto e alla prepotenza delle armi. Una partecipazione attiva e diretta, sia per le relazioni sia per l'insieme dei compagni, che numerosi hanno dato un prezioso contributo al dibattito.
Ma il fronte anarchico si è mostrato chiaramente diviso. Personalmente aggiungo finalmente e per fortuna. L'ho sottolineato anche in un intervento durante lo stesso svolgersi del convegno. Lo scontro che è avvenuto in un certo senso ha sancito e ufficializzalo una radicale, al momento inconciliabile, differenza tra due modi di porsi, di proporsi, di concepire l'azione politica e, a mio modo di vedere, di intendere il senso stesso dell'anarchismo. Sottolineo nuovamente per fortuna, perché ritengo che sia giunto il momento di rendere operativa una separazione che in tutto e per tutto è totale e, per come tende a manifestarsi, ha possibilità quasi nulle di pervenire a un'improbabile ricongiunzione. Bisogna avere il coraggio, finalmente, di dichiarare il divorzio e di seguire ognuno la propria strada, affrontando tutti i rischi connessi al distacco divenuto indilazionabile, se non si vuole franare in nome di un'inesistente unità, di una impossibile e suicida ricomposizione. Ma tutto ciò va realizzato al di fuori della logica delle sconfessioni e delle accuse, proprio perché gli anarchici non hanno né un'ortodossia né un partito da conservare.
Semmai devono rendere validi e operanti i loro principi di libertà.
Nella disamina dello scontro, di cui è necessario esporre brevemente i termini di contrapposizione, mi scuso fin d'ora se non mi riuscirà di essere imparziale. Del resto non credo all'imparzialità, né all'osservazione oggettiva. Nel caso specifico sono parte in causa, sostenitore di uno dei due modi d'essere, per cui difficilmente mi riuscirà di parlarne al di fuori della passione politica che mi distingue.
Da una parte l'ipotesi stessa del convegno, di cui sono stato uno dei propugnatori, che pone il bisogno, ritenuto sempre più impellente, di uscire dall'isolamento in cui ci stiamo infognando. Un'apertura identificata nella logica del confronto e della ricerca di possibili accordi con forze non anarchiche, che siano però sensibili ai bisogni del cambiamento e della libertà, al di fuori di ogni patteggiamento o alleanza partitica. Riteniamo possibile e auspicabile trovare momenti di contatto con chi non è come noi anarchico, senza per questo dover rinunciare minimamente ai nostri principi e alle nostre caratteristiche peculiari. Pretendiamo anche dagli altri la stessa cosa. Non si può rimanere per troppo tempo assenti dal più generale dibattito sui nuovi bisogni, sulla necessità dell'alternativa e sulla ricerca di un nuovo modo di far politica. Su tutto gli anarchici hanno mille cose da dire, perché hanno una teoria politica consolidata, un metodo basato sulla libertà e la proposta di organizzazioni orizzontali. Possono dare un grosso contributo, come potenzialmente un grosso scossone al sistema politico imperante.
Rimanerne al di fuori, arroccandosi all'interno di una impostazione essenzialmente ideologica e conservativa, vuol dire soprattutto organizzare il proprio suicidio.
Dall'altra parte la proposizione opposta, di cui nella fase attuale si fa portavoce il gruppo che ruota attorno alla redazione della rivista "Anarchismo". Proprio nell'ambito del convegno di Forlì questi compagni, intervenuti abbastanza numerosi, hanno buttato parecchio veleno sia contro la nostra ipotesi sia contro le nostre persone, usando in più di un'occasione epiteti molto pesanti. Si sono mostrati particolarmente aggressivi, portando la sala a un punto che ha rischiato di degenerare in una rissa.
Fortunatamente sono stati contenuti, permettendo sia a loro di esprimere la propria opinione, sia rispondendo puntualmente a quanto ponevano sul tappeto. E gli si è detto che il loro modo di porsi e la loro ipotesi di attacco violento, non solo contro lo stato, ma contro tutti coloro che non si riconoscono nelle loro proposte, è sempre di più estraneo ai nostri intenti e alla nostra ipotesi politica.
Personalmente ho risposto che considero ottocentesca la loro proposta insurrezionalista, a mio parere più avanguardistica che altro, e assolutista il loro identificare l'anarchismo in un'unica proposizione, la loro ovviamente, considerando ogni altro porsi un tradimento o un non-anarchismo. Al di là della differenza di idee, che penso dovrebbe essere sempre ben accetta, per me ci troviamo soprattutto di fronte a un metodo che, in quanto presume di essere l'unico realistico e veritiero, sfocia nei fatti nell'autoritarismo assolutista. Non volendo il confronto, al di là delle dichiarazioni, porta quasi inevitabilmente all'assunzione del bisogno di egemonia. E la loro aggressione quasi rabbiosa contro chi la pensa diversamente mostra appunto questo bisogno di egemonizzare. Ecco perché ci sembra impellente e indispensabile una sana e salubre separazione.
Nonostante tutto il convegno è riuscito. Il dibattito c'è stato e le posizioni espresse hanno avuto modo di confrontarsi. Non si sono esaurite; ma questo non era né possibile né auspicabile. Lo scopo di gettare una prima pietra nell'ambito di un nuovo e diverso modo di porsi politicamente è stato raggiunto, pur con i limiti connessi più ad una fase iniziale che ad altro. Da parte dell'organizzazione è stato preso atto della cosa.
Come pure è stato preso l'impegno di indire dei momenti organizzativi veri e propri per portare avanti il progetto, tuttora ancora vago, di realizzare la collaborazione possibile, nei termini antipartitici e antiideologici suddetti, con tutte le forze che sinceramente lottano per una società avulsa dal militarismo.