Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 154
aprile 1988


Rivista Anarchica Online

Autogestione a Marly
di Pons / Luque / Duboc / Mazel

"Molte cose che si sono fatte a Marly sarebbero potute accadere anche altrove in Francia, se solo la stampa avesse parlato di noi". Lo sostiene Jean Levy, in quest'intervista realizzata da Suzanne Pons, Marie Laure Luque, Catherine Duboc e Corinne Mazel e pubblicata sul n. 12/13 (inverno'82/'83) della rivista "Autogestions".

Puoi parlarci della nascita del liceo autogestito di Marly?

Credo che non posso più parlare di Marly come avrei fatto un anno fa. Dopo Marly, sono stato presso l'iniziativa di Parigi; dunque le mie risposte andranno sicuramente ad accavallarsi.
Ho iniziato la mia attività di insegnante nel 1973 in un liceo classico della periferia parigina ed in capo ad un anno di lavoro avevo veramente la sensazione di fare un mestiere da pazzi. Vedevo che mi sciupavo così come gli studenti e non ero del tipo di quelli che attendono "la grande Rivoluzione o Riforma" di chissà qual ministro. A quell'epoca mi ero interessato molto al liceo di Oslo e all'esperienza di Summerhill; sempre allora, avevo conosciuto le scuole parallele di Parigi.
Nel mese di gennaio 1977, ci siamo riuniti tutti i mercoledì, un gruppo da 20 a 25 ragazzi e ragazze, di seconda, prima ed ultima classe e ci siamo messi a parlare di scuola: che si faceva a scuola? che cosa non vi si faceva? perché non si amava la scuola? che cosa c'era stato d'altro in Francia e all'estero? ecc. ecc. E verso il mese di giugno, forse perché era tempo di esami, il gruppo ha espresso il desiderio di fare qualche cosa.

Al livello delle istanze del mercoledì, delle conversazioni, c'era una reciprocità o una separazione tra studenti e docenti?

Come prof, tentavo di avere un rapporto differente. Ho continuato in quegli incontri ad essere un adulto e loro dei ragazzi, ad essere uno che si sforzava di giocare a sua volta alla non-direzione e che non si esimeva di essere "talvolta" direttivo fin quando non fosse sopraggiunta la non-direttività.
Quei mercoledì, c'era un'atmosfera molto bella che non aveva nulla a che spartire con la scuola; la gente si soffermava sino a tardi, si esprimeva molto, si instauravano dei rapporti di comunicazione reali. Quando entravo in quella sala io mi zittivo ed essi si sentivano talmente a loro agio che avevano voglia di parlare. Io non parlavo loro in modo neutro ma con l'idea che ciò che sarebbe uscito da quelle riunioni non sarebbe stata la mia scuola, dove sarebbero venuti a iscriversi passivamente, ma una scuola fatta tra me e loro, "me con loro".
Nel 1977, in Francia si era sotto Giscard, ed un liceo autogestito accettato nel Sistema Educativo Nazionale rappresentava un progetto assolutamente irrealizzabile. Da qui l'idea era di fare una scuola parallela. E inoltre, la volevo gratuita. Perciò occorreva trovare un locale gratuito e dei docenti volenterosi.
Un animatore di Marly ci offrì un piccolo salone in cattivo stato. Stavo con una compagna prof di filosofia che era entusiasta del progetto; si partì allora con dei mezzi limitati: due docenti e 7 o 8 studenti.
Allora, si cominciò nel 1977/78, anno che ho sempre detto anno 0 poiché quell'anno gli studenti che si aggregarono non erano tutti descolarizzati. Io ero docente a La Celle-Saint-Cloud dove mi guadagnavo da vivere e dove tenevo a rimanere poiché ho sempre voluto restare dentro le istituzioni.
Quell'anno 0 è stato assolutamente necessario affinché arrivasse l'anno 1; l'anno 1 è nato dalla volontà degli studenti che, durante l'anno 0, si sono detti che l'anno successivo "avrebbero veramente fatto la loro scuola".
C'era un insegnante esterno per materia ed una quindicina di giovani descolarizzati. Era la prima volta che un gruppo di studenti decideva di preparare il loro bac in autogestione, al di fuori del sistema educativo nazionale. Gli insegnanti venivano a riunirsi volontariamente con gli studenti molto poco, più o meno una volta alla settimana o due. Partendo dall'idea che ciò che è catastrofico in un liceo tradizionale era il fatto che il prof sta sempre alle costole dello studente, che questi non ha mai il tempo di pensare da se stesso, di lavorare da solo, la mia idea era che gli studenti si autogestissero il loro programma. In altri termini, che il lavoro fosse in un primo tempo autonomo e che poi, in un secondo momento, i docenti animassero la sintesi collettiva del lavoro.
La pedagogia era profondamente autogestionaria e gestita da coloro che ne usufruivano in prima persona. In una scuola, l'utente principale è lo studente, ed il docente deve essere l'animatore di questo auto-apprendimento o di questo itinerario di apprendimento.
C'era anche autogestione dell'istituto (anche se non era un istituto ufficiale) nella misura in cui si tenevano degli incontri mensili tra insegnanti e studenti. Io avevo con loro una riunione settimanale che si chiamava "analisi istituzionale". È lì che sono sopravvenute le crisi, perché di crisi, ce ne sono state.
Alcuni lasciavano la scuola per molto tempo, altri si ritrovavano soli; alcuni appena arrivati, volevano fare della scuola uno spazio di vita.
Saltuariamente, venivano alcuni genitori ad osservarci; c'era un incontro con loro una volta all'anno ma gli studenti non ci tenevano ad incontrare i loro genitori a scuola, e noi pure visto che c'erano molti conflitti tra di loro.
Il terzo anno, uno studente ha voluto fare una classe di prima a Marly; ha cercato dei compagni, e l'anno seguente c'era una classe di prima e una di ultima. L'anno scorso, ci sono stati tanti studenti interessati, di cui alcuni provenienti da Parigi, che si sono divisi in due gruppi geografici; un gruppo s'è installato a Marly ed un gruppo a Parigi, quest'anno, perché avevano sentito che a Marly non li si poteva accogliere tutti; si sono tutti trasferiti a Parigi e si sono installati in una casa occupata dove sono stati espulsi recentemente, ne ha parlato pure Le Monde senza specificare di quale scuola si trattasse. È deplorevole, poiché questi ragazzi che realizzano nei fatti ciò che c'è nel rapporto Schwartz vengono trattati come abusivi perché non trovano istituti ad accoglierli.
Con l'arretramento, penso che la scuola di Marly sia stata più autogestionaria di Summerhill o del liceo di Oslo. Credo che potrebbe essere un modello interessante per risolvere la crisi dell'istituzione, per lottare contro il fallimento scolare nelle scuole di quartiere.

Quali sono stati i risultati?

Grosso modo, un 50% di successo al bac. Se ogni anno ci fosse stato uno studente promosso su 10, non penso che avremmo resistito. Ma il fatto di avere la metà degli studenti che riuscivano al bac ci gratificava, anche perché chi non ci riusciva il primo anno passava al secondo.
Ho detto all'inizio che la scuola di Marly era una scuola parallela, ma si è sempre voluto, detto e pensato che fosse più di una scuola: uno spazio dove la gente imparava ad essere, a conoscersi. C'erano alcuni che avevano altri obiettivi che quello di riuscire al bac; volevano ore per raccontare tutto quello che facevano (giornali, radio libera, ecc.).

Qual è il ruolo dell'insegnante nella pedagogia di Marly?

Il docente aiuta lo studente a prendere coscienza del suo programma in modo globale, non esita a fornirgli elementi bibliografici, lo lascia apprendere da sé, collega i discorsi, svela le problematiche soggiacenti. Tutto tranne che un corso magistrale.
Al livello della sintesi collettiva, il docente può avere interesse a rettificare qualcosa che pensa essere un errore e correggerlo; non è un docente nel senso tradizionale del termine: egli rinuncia alla sua dinamica didattica.

Avete tentato di essere riconosciuti dal Ministero, o avete voluto continuare in totale autogestione?

Nel 1979/80, l'esperienza che portavo avanti era considerata sovversiva per il Provveditorato di Versailles. Siamo rimasti clandestini, quantomeno informali sino al 10 maggio 1981; a partire da quel giorno, pensavo di poter proporre l'istituzionalizzazione di una scuola come Marly. Voglio sottolineare che quel che si pratica a Marly si pratica alla luce del sole; e comunque Marly poneva un certo numero di problemi e dei limiti. Il primo limite è che gli studenti descolarizzati si presentavano come candidati liberi e per quelli che seguivano l'insegnamento superiore non era molto semplice. Questo apre un certo numero di orizzonti: le scuole superiori, la preparazione normale, ecc... Non c'è registro scolastico, limite che diviene reale allorché vuoi organizzare il tuo modello, ma che tutti non vedono in questo modo.
Il secondo limite è che in Francia la scuola è obbligatoria e quando non sei scolarizzato, ai tuoi genitori non spetta più l'assegno familiare e non è affatto facile per gli studenti essere coperti dall'assicurazione.
Il terzo limite è quello che ha giustificato la mia partenza per Parigi. A Marly, il numero era forse interessante quando si era in tanti, quando si era in 40 alle riunioni. Ma nella misura in cui uno dei principi fondamentali era la libertà totale per lo studente d'essere presente o meno, questa libertà, quando era esercitata, portava di tanto in tanto a un lavoro indipendente, in cui ci si ritrovava in 3 o 4. Era insufficiente ed è stato quello che mi ha spinto a proporre dal mese di giugno la nascita di un liceo autogestito a Parigi sul modello di Marly, ma con una popolazione scolare, all'inizio, di 100 studenti, che è passata a 200 dato che c'è una proporzione da rispettare tra studenti e docenti. Attualmente, siamo 24 docenti per 150 studenti.

Nell'equipe autogestita di Parigi, solo tu vieni da Marly o siete di più?

Un solo docente di Marly partecipa al progetto di Parigi; gli altri non ci sono non tanto per ragioni ideologiche, quanto perché alcuni non erano docenti superiori, e poi altri continuavano ad avere voglia di intervenire a Marly. Qui, il docente dedica 3 o 4 giorni alla settimana agli studenti, mentre al liceo di Parigi è un servizio continuo che richiede molta disponibilità.

Ritieni che l'esperienza di Parigi sia un arretramento rispetto all'esperienza di Marly, nella misura in cui adesso sei molto più dentro nel rapporto prof/ studente?

È una domanda molto difficile e bisognerebbe dire che Marly non ha funzionato così bene come ha dato l'impressione. Molti studenti hanno manifestato più d'una volta la sensazione d'essere smarriti ed il bisogno d'avere una presenza più rilevante degli adulti. Quel che mi sembrava interessante è che i prof erano meno presenti che al liceo, e questo mi sembrava prezioso. Ho potuto dunque coniugare dei progetti intellettuali con una realtà e un vincolo della gratuità.
D'altronde, il bilancio di due mesi di liceo autogestito a Parigi non è semplice; alcuni docenti hanno creato stabilmente un problema di potere. Ciò non impedisce visioni alternative, c'è una ricchezza di riunioni, di comunicazione, e gli studenti non se ne lamentano.
Sono piuttosto io che ho un po' paura. Sono troppo estremista? Vorrei bruciare le tappe, preferirei che il liceo autogestito di Parigi funzionasse con dei docenti un po' meno presenti perché gli studenti hanno la tendenza a lasciar fare loro le cose. Altri mi dicono che se non fossimo presenti, gli studenti semplicemente non sarebbero là. È un'analisi che rimbalza ora di qua ora di là, non vorrei che ne nascesse una gerarchia tra le due esperienze. A Parigi, i genitori erano reticenti all'ingresso dei loro ragazzi in questo liceo; quando tu hai l'idea di cambiare la scuola, hai interesse a fare una scuola alla quale possano aderire i genitori. Il liceo autogestito di Parigi offre alla maggioranza dei genitori l'immagine di un non-liceo perché non è un luogo dove si mettono dei voti, dove c'è un consiglio di classe, dove c'è una disciplina. Da noi non ci sono nemmeno le classi; questo mi consente di dire che a Parigi si è andati più lontano nel senso che si sono fatte "scoprire" le materie: per esempio, un seminario sull'anarchismo può aprirsi ora allo spagnolo, ora alla geografia, alla storia, ecc... Diciamo che il liceo di Parigi, per il suo riconoscimento istituzionale, il suo statuto, la sua dimensione, è un modello che può più svilupparsi in seno al sistema educativo nazionale.

Cosa avresti da dire in conclusione su Marly?

Penso che molte cose che si sono fatte a Marly sarebbero potute sorgere in Francia se la stampa avesse dapprima parlato di noi. In realtà il nostro processo era semplice; trovare 30 mq, dei docenti o meglio degli studenti volenterosi all'ultimo anno, e alcuni liceali che ne hanno abbastanza del liceo. A mio avviso, se non ci fosse stato Marly, non avremmo il liceo autogestito di Parigi. Quello è stato un trampolino, ho imparato a credere ed a sapere che gli studenti potevano fare a meno del prof tradizionale, del preside, dei regolamenti. Per me, Marly è una risposta, una soluzione alla crisi della scuola, alla noia; è anche la prova che i ragazzi non sono tutti contrari all'apprendimento ed al sapere, ma lo sono nella forma che viene loro proposta: sono contrari ad una scuola che non sentono loro. A Parigi, l'uso del tempo, che non si chiama più pianificazione, è determinato da docenti e studenti; a Marly, lo era per lo più dagli studenti, ed era in funzione dell'arrivo di docenti che lo determinavano.
Il mio progetto, sicuro, è politico; ritengo che se si è andati alla scuola napoleonica, si resta napoleonici sino al momento del proprio lavoro, compresi i prof dell'Università che hanno dei bei discorsi autogestionari e che, nella loro pratica, sono spesso dei grandi baroni e dei bonapartisti.