Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 154
aprile 1988


Rivista Anarchica Online

Freie Schule = scuola libera
di Antonella Jadresko

Lottare per ottenere il riconoscimento statale? Rinunciare in partenza alla validità legale del proprio corso di studi? Quali rapporti avere con le istituzioni? Questi ed altri problemi si sono posti a chi in Germania in questi anni ha dato vita ad esperienze pedagogiche alternative.

Il panorama tedesco, molto vario, ci dà la possibilità di confrontare concretamente più indirizzi e maniere diverse di sentire esigenze comuni. Se pur diversi tra loro questi "modi" di sentire hanno delle matrici comuni rintracciabili nei movimenti studenteschi degli anni '60/'70 e più specificatamente nei tanti scritti teorici sulla pedagogia libertaria e non.
In quegli anni in particolare giungeva l'esperienza concreta del Free School Movèment americano che, pur non essendo autenticamente anarchico, subì l'influenza degli scritti di Leone Tolstoj e di Goodman. Tralasciando l'analisi storica dobbiamo però almeno citare la scuola di Leone Tolstoj Jasnaja Polijana (1819-1862) e la Scuola Moderna di Ferrer, che più di altre realizzazioni sono state e lo sono tutt'oggi, valido punto di riferimento e partenza, vere cattedrali nel deserto. L'esigenza di didattiche diverse, capaci di aiutare l'individuo a crescere autonomamente, ha trovato recente espressione nella realizzazione, all'interno di una scuola pubblica, di una classe elementare "antiautoritaria" (Francoforte 1970 "Rödelheimer Projekt"). Il Rödelheimer Projekt svanì presto nel nulla a causa dell'ostruzionismo statale, ma spinse genitori, insegnanti, studiosi... ad unire le loro forze per realizzare scuole "diverse", diverse nei principi, negli scopi da raggiungere, nelle componenti pedagogiche e didattiche.
Nascono così la Glockseeschule (1972) e la Freie Schule Frankfurt (1974) che inaugurano quella che è comunemente denominata la "prima generazione". Pochi anni dopo nascono la Freie Schule Bochum, le due scuole di Berlino Kreuzberg e Tempelhof, la Kinder Schule Bremen (seconda generazione), e ancora la Freie Schule Braunschweig, la Kinderschule Hamburg, la Freie Schule Marburg e altre (terza generazione - anni '80 -).
Queste scuole, altri gruppi in formazione... si incontrano dal 1978 due volte l'anno per scambiarsi opinioni, discutere problemi, realizzare progetti comuni, elaborare itinerari socio-pedagogici, etc. etc. Le scuole sopra citate non esauriscono certo l'intero panorama; tuttavia sono le più efficienti, le più attive e funzionali, quelle che a differenza di altre hanno lottato o lottano per il riconoscimento statale; riconoscimento che non è mai stata un'esigenza "sentita" ma piuttosto indotta e consequenziale agli atti di ostruzionismo mossi dallo stato alle scuole e alle famiglie. Le scuole venivano periodicamente convocate in tribunale e tassate, i genitori erano costretti a pagare ammende per la mancata frequenza del figlio nella scuola pubblica, gli anni di frequenza nelle scuole libere non venivano riconosciuti, pertanto, chi vi aveva ad esempio frequentato le elementari non poteva accedere alle medie pubbliche e così via.

Quei compromessi
Tutto ciò aveva ovviamente negative ripercussioni sulla vita della scuola stessa, il numero dei bambini in età scolare che frequentavano la scuola tendeva ad una diminuzione crescente, e quest'ultima vedeva svanire nel nulla tutti i suoi sforzi, le sue ricerche, i suoi tentativi. Da ciò è nata l'esigenza di rivendicare la loro esistenza e affermare la loro validità pedagogica al pari di altre scuole private o pubbliche. Per essere riconosciute come scuole hanno dovuto accettare dei "compromessi" che consistono essenzialmente nell'insegnamento "obbligatorio" di alcune materie (tedesco, matematica, geografia) e nell'esame di fine corso (licenza elementare o media) indispensabile per poter proseguire gli studi nelle scuole statali. Per il resto queste scuole sono tutte libere di organizzare la propria didattica indipendentemente dalle materie da "insegnare" e nella determinazione dei singoli piani di studio. Ciò più esplicitamente significa che le materie obbligatorie vengono sì insegnate (sarebbe meglio dire apprese...) ma senza seguire gli schemi comuni alle scuole statali e quindi senza costringere di punto in bianco il bambino ad apprendere. Un esempio significativo ci è fornito dalla scrittura; il bambino non è obbligato ad imparare a scrivere ma "impara" a scrivere nel momento stesso in cui ne avverte, per così dire, la necessità e il suo processo di sviluppo intellettivo è in grado di recepirlo. Solo così sono riuscite a non frantumare ulteriormente il processo di sviluppo del bambino e ad incidere con continuità nel sociale.
Ci sono però scuole che non sono dello stesso parere e che quindi continuano la loro lotta quotidiana col sistema senza scendere a "compromessi", convinte che solo in questo modo si possa realizzare una società libera. La posizione più isolata è costituita dagli Indianer, in gran parte punk, che si schierano in assoluto "contro la scuola o qualsiasi pedagogia che indirizzi lo sviluppo del bambino, contro il nucleo familiare in assoluto", rivendicando "il diritto di andarsene di casa a qualsiasi età, la totale indipendenza del bambino da tutto e da tutti".
Personalmente ritengo che anche in una società libera, sia necessaria l'esistenza di una scuola, laddove per scuola si deve intendere uno spazio di mediazione di esperienze e saperi sociali, di scambio, creazione, discussione, scontro; dove i rapporti non sono determinati da meccanismi di potere, dove non esistono regole assolute, programmi precostituiti da svolgere, dove non esistono voti e bocciature, lodi e rimproveri...
Ritengo che l'individuo sia qualcosa in più di un animale, che abbia capacità distinte, possibilità infinite che può realizzare solo con la padronanza di sé, delle proprie capacità, la fiducia in sé e negli altri, la solidarietà, tutte cose che non possono prescindere da itinerari pedagogici, itinerari che non si costruiscono a priori ma di volta in volta, secondo le esigenze e le condizioni, insieme.

Da oggetti a soggetti
Con questa premessa voglio spiegare il motivo della nostra attenzione verso le scuole libertarie riconosciute; tornando quindi alle esperienze tedesche, vediamo un po' come si esprime questa loro diversità e come si articola la pedagogia libertaria.
Intanto va detto che le scuole considerate vanno grosso modo dalle nostre elementari alle medie, in più ci sono gli asili nido; solo la Freie Schule Bochum accoglie bambini in età tra i 10 ed i 16 anni. Questo significa che le didattiche pedagogiche sono differenziate e che determinati approcci possono risultare validi per alcuni e inutili per altri. Ma al di là delle singole e diversificate realtà, si può scorgere un humus comune nell'ideologia e nelle soluzioni dei problemi di fondo.
Il rapporto docente-discente è, infatti, grosso modo identico e il bambino, il ragazzo, non sono più oggetti della didattica bensì i soggetti. Non esiste alcuna regolamentazione a priori da seguire rigidamente, non esiste in termini di "potere" ed "obbedienza" distinzione tra maestro e alunno, non si è obbligati a studiare precise materie o a discutere di dati argomenti e non altri; esiste un mondo da scoprire insieme nelle maniere magari più strambe e impensabili (come, ad esempio, costruire draghi per vincere la paura che incutono e quella in generale...).
Negli statuti emerge chiara l'idea di una scuola come mediazione di esperienze e saperi, luogo in cui si impara giocando a crescere autonomamente, a scoprirsi senza al contempo restare isolati dal mondo e dai problemi di ogni giorno. Uno spazio di mediazione che non persegue lo scopo di preparare l'individuo alla vita, di renderlo "dinamico", rispettoso delle leggi, utile per lo stato, ma quello di mettere a disposizione esperienze, conoscenze che vengano valutate, "assimilate" secondo i criteri, gli scopi, le esigenze dei singoli.
Tutto ciò si realizza strutturando diversamente i rapporti tra insegnanti, insegnanti e alunni, alunni e famiglie, famiglie e insegnanti; alla base sta la collaborazione reciproca e la partecipazione attiva alla vita della scuola, allo sviluppo dei bambino. In molte scuole tutti i problemi e le trasformazioni vengono affrontati insieme; ad esempio, la scelta del colore delle pareti è fatta collettivamente, con i bambini, perché sono principalmente loro che devono fruire dello spazio, ed al contempo insegnanti e genitori devono evidenziare le differenze concrete nella scelta tra un colore e l'altro.
I piani di studio sono generalmente settimanali e vengono discussi ed elaborati con i ragazzi che possono proporre una ricerca su qualcosa in particolare, al posto di un argomento proposto dal docente, lavorare in gruppi separati su argomenti diversi, astenersi.
In molte scuole poi è consuetudine per gli insegnanti fare una breve riunione ogni mattina, mezz'ora prima dell'inizio delle lezioni, per discutere insieme eventuali problemi, proposte, ecc.; in classe poi ne avviene generalmente un'altra a proposito dei piani di studio, dei lavori, ecc., in cui ogni voce viene ascoltata e valutata collettivamente.
È quindi possibile, all'interno di uno spazio, che ci sia chi scrive e dipinge sui muri, chi prepara una recita, chi costruisce oggetti, chi lavora ad una ricerca; tutte queste cose si realizzano rispettando un minimo le esigenze di tutti. Nella scuola a tempo pieno, il coinvolgimento si estende anche a quelle mansioni extrascolastiche come le pulizie, la cucina, il riordino, ecc... Sia la scelta del tempo pieno che tale coinvolgimento sono strettamente legati e spiegabili con lo sviluppo individuale del fanciullo che deve trovare una propria dimensione di vita, sperimentare il proprio rapporto non solo con gli altri ma anche con i problemi spiacevoli di ogni giorno, con gli oggetti e le situazioni più diverse; per questo ognuno dà il suo contributo in cucina, nelle pulizie, ed anche i genitori sono chiamati in causa e pertanto le loro esperienze di lavoro, le loro attitudini.
Le scuole che non fanno tempo pieno mettono a disposizione uno spazio-giochi per il pomeriggio nel quale anche i giochi non vengono immessi a priori ma a poco a poco, magari su suggerimento dei bambini, e spesso sono progettati o costruiti insieme.
Una pedagogia quindi che non si basa solo sulle attività "intellettuali", ma anche e soprattutto su quelle "manuali", quelle del "gioco, della fantasia, del teatro, della spontaneità"; una pedagogia che parte dalle esigenze del bambino e del ragazzo e che solo successivamente può oggettivarsi.

Un progetto elastico
Ci sono poi problemi, che chiamerei più specifici, in relazione agli schemi attuali, quali quello della bocciatura, dei voti, l'accesso ad altre scuole (statali). Anzitutto va detto che i bambini ed i ragazzi sono obbligati a frequentare la scuola, ma possono astenersi da quelle lezioni che non li interessano. Tuttavia passato un certo periodo, per certe materie, si cerca di stimolare il ragazzo a partecipare o, nel caso particolare di alcune materie in cui va male, di aiutarlo collettivamente, facendolo inserire in gruppi di studio.
Generalmente ognuno sviluppa, a suo tempo, il desiderio di apprendere e partecipare, ma alcune volte il ragazzo ha dei problemi di fondo, familiari o di interazione, che vengono risolti gradualmente con la collaborazione reciproca. Non esistono voti, nel senso comune del termine, e le singole situazioni vengono discusse settimanalmente con i genitori con i quali si parla e si progetta anche d'altro, e con i ragazzi stessi che, in alcuni,casi, ricevono delle "pagelle" nelle quali figura la loro personalità, quadri chiari che evidenziano difficoltà e partecipazioni.
Appare logico che la bocciatura sia considerata un provvedimento non solo inutile ma dannoso allo sviluppo stesso del ragazzo, in quanto lo costringerebbe a nutrire un interesse che non ha finché non raggiunge gli stessi risultati ottenuti in altre materie. I problemi relativi allo studio di altre materie, come abbiamo già detto, vengono risolti collettivamente formando piccoli gruppi di studio e di recupero.
Per quanto riguarda l'accesso alle scuole statali, molte scuole risolvono il problema preparando precedentemente il ragazzo al passaggio, informandolo chiaramente delle difficoltà e delle diversità che dovrà affrontare (voti, esami, ordini), portandolo nella nuova scuola per osservare quella che sarà la sua nuova realtà, facendogli conoscere i futuri insegnanti, realizzando insieme un progetto di fine corso per la cui realizzazione dovrà servirsi principalmente dello scambio di idee e del contributo di quelli che saranno i nuovi compagni di classe.
Queste sono solo alcune delle "strade" inventate e percorse, poiché sarebbe impossibile elencarle tutte essendo il frutto di un lavoro quotidiano, di tentativi che sono il risultato di mediazioni e sperimentazioni, pur avendo alle spalle un'ideologia chiara.
Ho preferito parlare delle esperienze tedesche attraverso esempi concreti perché ritengo che di pedagogia, di scuola come spazio da costruire ex novo si sia troppo spesso parlato servendosi dell'ideologia dei principi, fermandosi però lì, alle "soglie del mondo". Non vorrei essere fraintesa, l'idea è indispensabile, ma diventa, a parer mio, astrazione nel momento stesso in cui non tentiamo di concretizzarla; un progetto deve essere elastico perché deve fare i conti con la realtà del momento, ma questo non significa rinunciare alle diversità bensì strutturarle gradualmente, realizzando un progetto ad ampio respiro.
Dietro le esperienze tedesche c'è un'ideologia, c'è una informazione pedagogica che dall'800 giunge ai giorni nostri, ci sono dibattiti, studi; non si tratta di esperimenti casuali o di curiosità superficiale, c'è l'idea chiara di costruire una società libera da ogni forma di potere ed oppressione, ma è altrettanto chiaro che l'unica possibilità di realizzarla si esplica per gradi, non con parole ma con i fatti, provando e riprovando finché non si raggiunge un equilibrio che non sarà mai perfettamente stabile proprio perché la vita è trasformazione continua.


"Come tuffarsi nell'acqua gelata"

Ho due bambine rispettivamente di 6 e 7 anni, entrambe frequentano la Freie Schule di Tempelhof (Berlino). All'inizio portai la mia prima figlia in quello che comunemente è definito un "buon asilo", che però riuscì a frequentare a stento per tre anni; ci volle molto tempo prima di riuscire ad ambientarsi, poi imparò a disegnare, a fare piccoli lavoretti ma non sembrava affatto contenta e funzionava proprio come un orologio caricato.
Ho sempre ritenuto che le mie figlie dovessero crescere ciascuna autonomamente, avere contatti con altri bambini, riconoscere le loro necassità; perciò pensai allora che fosse indispensabile toglierle da lì per risolvere una situazione diventata insostenibile non solo per lei ma anche per me; tutto non fu ovviamente deciso dall'oggi al domani e tentai tutte le possibilità prima di arrivare alla definitiva conclusione che quello non era il luogo adatto per farle crescere autonomamente.
La Freie Schule fu all'inizio come tuffarsi nell'acqua gelata, ci son voluti mesi prima di vedere piccoli risultati e anch'io ho avuto le mie difficoltà. Sono trascorsi 14 mesi e i problemi non sono finiti, ma la mia bambina sta cambiando, è più contenta adesso quando disegna o costruisce qualcosa, lo fa perché ha veramente voglia di farlo; ha anche molta voglia di imparare.
Anche la mia seconda figlia frequenta la Freie Schule, lei ha incontrato meno difficoltà anche se è la più piccola della scuola. Per lei sono molto importanti i rapporti con gli altri perché impara a non "rivestire" alcun ruolo in particolare. I bambini della Freie Schule sono diversi da quelli che frequentano le scuole materne ed io ritengo che sia per le mie figlie il luogo adatto per crescere.

Susanne, madre di Frauke e Katria


"Ogni bambino ha ragioni diverse"

La Kinderschule è per me, come madre, l'unica possibilità per svegliare al mattino il mio bambino senza fargli venire mal di stomaco e per farlo arrivare puntuale a scuola. Il motivo è semplice: rifiuto l'idea secondo la quale si devono disciplinare i bambini a partire dal sesto anno di età per prepararli a vivere da adulti. Non voglio che i miei bambini smettano di chiedere "perché?", e non solo "perché i pesci vivono nell'acqua?" e "perché devo imparare ad obbedire?".
Secondo la mia opinione è utile anche imparare a leggere, scrivere, far di conto, ma mi chiedo anche come tutto ciò debba essere collegato e appreso. Questo mi spinge lontano dalla scuola statale.
Ogni bambino ha ragioni diverse che lo spingono ad imparare qualcosa; nella Kinderschule lavorano un numero adeguato di adulti, il che consente ad ogni bambino di essere individualmente seguito. A ciò si aggiungono le proposte che nascono dal confronto tra genitori, genitori ed insegnanti, tra insegnanti, insegnanti e bambini, e tra i bambini, grazie a cui si rafforza sempre più l'idea che i bambini debbano imparare secondo le loro necessità.
Penso che le strutture siano, all'inizio, utili perché consentono ai bambini di conoscere quelle necessità di cui, sino ad allora, magari non erano consapevoli; dobbiamo infatti renderci conto che i bambini non sanno così tanto da poter in ogni occasione fare la scelta "giusta". Le strutture devono essere in grado di aiutarli nelle loro scelte, orientandoli, non dirigendoli; può essere un esempio il piano di studi che ogni settimana viene elaborato "ex novo" da bambini ed insegnanti: attraverso la possibilità di strutturarlo e di articolarlo, i bambini si pongono sempre nuovi e fondamentali interrogativi,
I bambini spesso si interessano periodicamente a precise scelte didattiche; per un certo periodo di tempo vogliono solo leggere e quando, secondo loro, sono in grado di farlo abbastanza bene, desiderano magari contribuire più volentieri al progetto-indiani.
Un piano progettato e rinnovato settimanalmente dà inoltre la possibilità ad adulti e bambini di conoscere i loro nuovi interessi ed imparare a formularli; e questo non significa certo che i bambini siano rigidamente regolamentati. I nostri figli non sono astrattamente liberi ma vivono e crescono in un contesto sociale ben definito e fintanto che i fini del nostro contesto non si armonizzeranno tra loro, dobbiamo approfittare di una scuola libera e apportarvi le nostre idee e il nostro contributo.
Queste riflessioni si specchiano anche nell'insicurezza che proviamo in certi momenti e che si esprime attraverso l'apatia, laddove per apatia non si deve intendere pigrizia. Questo "sentimento" ha certamente una sua origine, a volte dipende dalla mancanza di interesse verso il corso o la proposta progettuale; spesso però le radici stanno altrove, siano essi problemi con gli insegnanti, con gli altri bambini, con le situazioni familiari o con difficoltà che hanno a che vedere con cause che non si sa ancora bene quali siano.
Al fine di scoprirne le motivazioni e di elaborarle è indispensabile un lavoro di gruppo tra genitori, bambini ed insegnanti, e qui abbiamo ancora un'altra differenza con la scuola statale: educhiamo i nostri figli anche quando presumiamo di lasciarli sviluppare liberamente!

Ulrike, madre di un bambino della Kinderschule di Brema


Lavorare, giocare, imparare

Ecco la dichiarazione di intenti della Freie Schule di Amburgo.
Ogni bambino stabilisce il tempo da dedicare allo studio: ciò significa che si prende una pausa quando la ritiene necessaria.
I bambini chiedono spontaneamente, quando vogliono, di prendere parte ad un lavoro. Quando non vogliono farlo, cerchiamo di invitarli ma non li costringiamo; in questo caso viene però loro chiesto la ragione e/o eventualmente cos'altro desidererebbero fare. In questo modo mostriamo che nella Freie Schule non devono fare tutti le stesse cose; si impara però che ci sono anche degli "obblighi" da osservare, obblighi che derivano dal vivere con gli altri e che sono indispensabili.
Alla mattina vengono discussi e resi noti:
- le proposte dell'insegnante;
- le proposte dei bambini;
- le proposte del giorno prima da portare avanti;
- i piani per il giorno successivo;
- richieste, desideri dei bambini, esperienze, ecc.
Dal piano giornaliero, vengono ritagliati gli spazi per la colazione (11 ca.) e per il pranzo (12.30 ca.).
Tutte le proposte, sia quelle degli insegnanti che quelle dei bambini, vengono trascritte su fogli di carta poi dipinti nei quali figurano anche i nomi dei bambini che prendono parte all'iniziativa. I fogli vengono poi appesi nel grande Piano settimanale e ogni venerdi ognuno vi dà una sbirciata per vedere cosa, in una settimana, ha imparato a disegnare, fabbricare, suonare cos'ha studiato.
Lavorare, giocare, imparare, non sono per noi concetti separabili, infatti: giocando i bambini possono anche imparare; i conflitti con gli amici possono significare "un duro lavoro". Imparare significa anche: rafforzare la consapevolezza del proprio lavoro, la propria autocoscienza, le capacità critiche, la capacità di risolvere i conflitti, di concentrazione, la curiosità.
Queste e altre sono aree di insegnamento che valgono e sono importanti tanto quanto il sapere in generale; abbiamo infatti constatato che probelmi quali la paura, la disaffezione, ecc., bloccano ogni possibile e produttivo confronto.
Il nostro scopo più importante consiste nel far sentire a proprio agio il bambino: solo attraverso un'atmosfera di sicurezza e fiducia ogni bambino potrà spingersi verso luoghi sconosciuti.


La storia dei porcellini d'India

Tutto cominciò quando Björn e Kim portarono a scuola il loro porcellino d'India. Dopo che tutti ebbero giocato scoppiò il boom: in breve tempo sempre più bambini si fecero prestare dei soldi per comprare porcellini d'India. Alla fine avevamo sette porcellini e tre topolini a scuola; insieme pensammo a un luogo dove sistemare gli animali: Micha propose di metterli in una piccola stanza che fino ad allora era adibita a sgabuzzino.
Dopo averla ripulita e riordinata, Basti costruì un largo recinto che venne sistemato dentro, dietro la porta; sorse allora il problema di come fissare per bene il recinto alla parete, e dopo vari ripensamenti giungemmo infine all'idea di fissarlo con dei tasselli a muro ogni due paletti.
Nel contempo, altri bambini pensarono a come poter coprire il pavimento, e a tal proposito consultammo alcuni libri sulle necessità degli animali; alla fine decidemmo per della sabbia fine che non costava nulla e poteva essere sostituita e pulita facilmente. Oltre alla sabbia, mettemmo nel recinto delle pietro, dei rametti, ciotole per il cibo e l'acqua, scatole di scarpe che dovevano servire da alloggi e una grossa balla di fieno.
Fu allora che si pose un altro problema: "riuscivano a convivere insieme topi e porcellini d'India?". Consultammo nuovamente dei libri ma senza ottenere una risposta soddisfacente. Ad un bambino venne l'idea di mettere nel recinto una gabbia di legno alta 30 cm e larga 50 cm, che qualcuno una volta aveva costruito, con una piccola apertura in modo che solo i topi vi potessero passare. Le finestrelle furono realizzate con fil di ferro. Infine furono sistemati gli animali.
Più tardi vennero altri problemi (cosa e quando mangiano gli animali, quando dormono, cosa significano i suoni che si scambiano, se si capiscono tra di loro) risolti servendosi insieme dei libri e delle informazioni fornite dagli insegnanti.
Con questo esempio, vogliamo dimostrare che le idee vengono, in definitiva, dai bambini quando tendono a realizzarle, come quando mettemmo un letto di verdura alla domanda di Micha su cosa mangiassero gli animali. Un progetto, infatti, non può mai considerarsi completamente realizzato perché i bambini hanno sempre qualcosa da aggiungere, da chiedere, da realizzare, e i giochi si protraggono all'infinito trasformandosi continuamente.

Alcuni bambini della Freie Schule Tempelhof di Berlino