Rivista Anarchica Online
Improbabile banchiere
di Fausta Bizzozzero
Immaginatevi un banchiere (Fernando
Pessoa, Il banchiere anarchico, Guanda 1988, pagg. 109, lire
12.000), sì proprio un banchiere (cioè proprio della
categoria dei peggiori ladri autorizzati, dei parassiti più
schifosi), che, dopo una cena raffinata, si accende pigramente un
sigaro secondo il cliché più classico e intavola una
conversazione con un suo commensale. Non sappiamo com'è
fisicamente poiché non ci viene descritto, per cui possiamo
continuare a pensarlo secondo lo stesso cliché: non più
giovane, una calvizie incipiente, colorito rubizzo, la classica
pancetta dell'uomo che dirige i destini del mondo dalla sua
scrivania, la sicurezza dell'uomo d'affari arrivato. L'individuo non avrebbe alcun
interesse per noi, è ovvio, ed anzi susciterebbe un moto di
fastidio quasi fisico se non fosse per l'oggetto della conversazione
e cioè il suo pretendersi anarchico, anzi il suo pretendersi
anarchico coerente e migliore di tutti coloro che anarchici credono
di essere - militanti operai, individualisti, sindacalisti - ma in
realtà non sono. Dice il banchiere: "...loro (sì
loro, e non io) sono anarchici in teoria; io, invece, lo sono nella
teoria e nella pratica. Loro sono anarchici e stupidi, io sono
anarchico e intelligente. (...) loro sono la spazzatura, le meretrici
della grande dottrina libertaria". C'è di che restare allibiti da
questa affermazione categorica, e infatti lo è anche il suo
interlocutore che espone le sue perplessità e chiede
spiegazioni. La nostra curiosità, comunque, non verrà
soddisfatta. Potrà considerarsi soddisfatto il suo
interlocutore o l'occasionale lettore che non sanno nulla d'anarchia
e che quindi potranno apprezzare un discreto esercizio di logica. Noi
no, perché Pessoa - di cui non si possono negare le indubbie
capacità letterarie (cfr. Il Libro
dell'inquietudine, edizione Feltrinelli, e Una sola
moltitudine edizione Adelphi) - costruisce il suo esercizio di
logica su dati sbagliati o incompleti, vale a dire che dimostra di
non conoscere abbastanza la materia - cioè l'anarchia - per
poter dimostrare la sua tesi. Non che questo sia di per sé
una colpa, figuriamoci, il mondo purtroppo è pieno di gente
che non sa neppure cosa sia l'anarchia o al massimo ne conosce i
luoghi comuni più stupidi. Ma diventa una colpa, e una colpa
grave, quando su di esso si pretende di scrivere e dissertare, come
appunto fa Pessoa. Un esempio valga per tutti: il suo improbabile
banchiere raccontando le fasi dell'evoluzione (sic!) che lo ha
portato a decidere di diventare banchiere senza contraddizioni
(fintanto che non venga una rivoluzione può esistere soltanto
la libertà individuale e tale libertà si otterrebbe
solo utilizzando gli strumenti del potere!) ricorda la sua
partecipazione giovanile a un gruppo anarchico e la sua
"illuminazione" quando ha scoperto che anche in quel
gruppo - e in genere nei gruppi anarchici - c'era chi esercitava più
potere degli altri e quindi questo significava l'impossibilità
di lavorare con altri, la necessità di cercare la propria
strada da soli (ma quale strada verso l'anarchia non ci viene mai
detto, o forse è una strada lastricata di azioni e
obbligazioni, magari - perché no? - di miniere del Terzo Mondo
dove la mano d'opera costa niente e la redditività può
essere più elevata). Ora, se Pessoa non fosse morto negli
anni trenta, potremmo suggerirgli di leggere qualche cosina sulla
storia e sull'etica anarchica, potremmo spiegargli che una cosa è
il dominio, il potere istituzionalizzato (cioè riconosciuto) e
tutt'altra cosa è l'autorevolezza, il prestigio, la stima che
a volte fanno sì che un individuo venga più ascoltato
di altri. E che se esiste un luogo al mondo dove comunque sempre
anche la semplice leadership viene tenuta sotto controllo,
contestata, combattuta, osteggiata, attraverso continue dinamiche
interne, ebbene questo luogo è proprio un gruppo anarchico in
cui si riconoscono e si accettano le diversità e le attitudini
legate ad ogni individualità ma nello stesso tempo non si
riconosce mai ad esse alcun potere. E la storia di tutto
il movimento è li a testimoniarlo, se ce ne fosse bisogno. E
chiunque abbia fatto parte di un gruppo anarchico può
testimoniarlo, se ce ne fosse bisogno. Non è certo il caso di Pessoa,
che semplicemente - è evidente - ha voluto divertirsi e
divertire costruendo un esercizio logico-dialettico su un paradosso
piccandosi di riuscire a dimostrare l'indimostrabile. Peccato che
l'esercizio logico non stia in piedi e che non sia neppure
divertente, mentre lo sono decisamente di più gli altri due
racconti che lo seguono e che sono opera di pura fantasia. A ciascuno
il suo mestiere, o no?
|