Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 153
marzo 1988


Rivista Anarchica Online

Dietro la regolamentazione
di Andrea Papi

Le leggi antisciopero che stanno per essere varate con l'assenso ed il suggerimento dei sindacati ufficiali puntano al blocco ed alla repressione di qualsiasi spinta dal basso. Il significato del movimento dei COBAS.

In una società che si autodefinisce democratica, quando si vogliono instaurare norme che sono liberticide in modo evidente, si assiste ad una rappresentazione politica che, oltre ad essere carica di vis comica, è anche infarcita di contorsioni e palesi contraddizioni. Il caso in via di definizione della cosiddetta "regolamentazione degli scioperi" ci sembra rispecchi in modo fedele questo copione divenuto ormai classico.
Abbiamo finora assistito a un balletto di dichiarazioni, di prese di posizione poi rinnegate, di atteggiamenti estremamente duri, come di altri all'opposto molto concilianti. Il presidente del consiglio, il solito bonaccione Goria, col suo fare melenso infarcito di banale buonsenso, annuncia leggi antisciopero cercando di tirar fuori il massimo di grinta che gli è stato possibile; poi, sgridato da Craxi, ha cercato di spiegare che non è stato compreso. Il ministro dei trasporti Mannino, con la sua mimica facciale che fa pensare a un mastino antropomorfizzato, prima annuncia con estrema durezza che chi sciopera, rinnegando nei fatti un contratto già stipulato, verrà privato dell'aumento di stipendio, poi il giorno dopo ritira tutto, forse accortosi del poco diplomatico scatto d'ira. I sindacati dapprima invitano esplicitamente il governo ad emanare con una certa fretta norme e sanzioni per frenare il dilagare degli scioperi, poi fanno letteralmente marcia indietro, asserendo che volevano solo dare un consiglio e che sono contrari ad ogni intervento autoritario da parte del governo. Sta di fatto che, consultatisi con esimi giuristi, hanno poi proposto una normativa che ripropone un intervento estremamente limitato sulle future possibilità di scioperare, applauditi con enfasi dal ministro socialista Formica.

Scuole e treni
Ammettiamo che la materia da trattare per lor signori non è semplice, ma nello stesso tempo siamo consapevoli che le prese di posizione, le dichiarazioni e le eventuali future decisioni hanno un loro nesso logico che non ci trova in alcun modo concordi. Per capirci qualcosa, diventa necessario riflettere e cercar di comprendere quali dinamiche e quali interessi si trovino alla base di un simile farfugliamento.
Non è un caso che il marasma sia scoppiato all'interno dell'area dei servizi, in particolare della scuola e dei trasporti. In questa fase infatti, in cui il potere cerca di ricomporre una strutturazione sociale adeguata al livello dei paesi occidentali ad alto tasso di industrializzazione, sia la scuola che i trasporti rappresentano due gangli estremamente vitali per la conduzione economica e politica. La scuola dovrebbe trasmettere il sostrato culturale fondante e sfornare tecnici e dirigenti in grado di inserirsi all'interno dei processi di produzione, del mercato e della conduzione finanziaria; i trasporti devono garantire scambi veloci ed efficienti, sia delle merci che degli esseri umani. Qualsiasi organizzazione sociale oggi non riesce a stare al passo coi tempi se non è in grado di salvaguardare una loro resa adeguata. Secondo gli addetti ai lavori, in Italia soffrono entrambi di inadeguatezze endemiche, trovandosi così particolarmente fragili ed esposti ai frequenti contraccolpi che stanno subendo.
In questa difficoltà strutturale si innestano due problemi non eludibili: il rapporto con l'utenza e la crisi di rappresentanza che stanno attraversando le confederazioni sindacali già da diversi anni. Entrambi i problemi, divenuti convergenti in seguito all'inconciliabilità di interessi scoppiata fra lavoratori della categoria e le dirigenze padronali delle aziende interessate, hanno fatto esplodere il caso in modo tale che il conflitto di lotta sindacale in corso ha assunto dimensioni che vanno ben oltre i confini limitati delle tematiche specifiche delle categorie coinvolte.
Il rapporto con gli utenti, cioè nel caso della scuola gli studenti e le loro famiglie, e in quello dei trasporti tutti i viaggiatori che hanno bisogno di usufruire del treno, dell'aereo, dell'autobus ecc., non è semplice da definire. In caso di sciopero, infatti, ci troviamo di fronte a uno scontro di interessi e a un intreccio di diritti. Se da una parte gli utenti hanno il sacrosanto diritto di usufruire del servizio messo a loro disposizione, dall'altra i lavoratori addetti hanno ugualmente il diritto di scendere in sciopero quando non trovano soddisfatte le proprie esigenze e le proprie richieste. Ma l'attuazione dello sciopero automaticamente impedisce di esercitare il diritto di chi ha bisogno del servizio. Secondo la versione dei dirigenti statali e delle aziende, la colpa di questi disagi sarebbe tutta dei lavoratori che, astenendosi dal lavoro, impediscono ai servizi di funzionare. Ma ciò è falso, perché in realtà si fa sciopero per danneggiare l'azienda, in quanto essa non soddisfa le richieste e i bisogni di chi lavora per lei. Se ne deduce che, se chi comanda non volesse imporsi a tutti i costi da padrone, tentando di umiliare i diritti dei lavoratori, non ci sarebbe la lotta e gli utenti non soffrirebbero per i disservizi. La causa prima dei disagi risiede dunque nel fatto padronale, che vuole imporre i propri interessi a scapito di chi lavora.
In questo senso mi sembra importante e fruttuoso cercare tipi di lotta diversi dallo sciopero, che abbiano come scopo l'identificazione di azioni capaci di danneggiare massimamente l'azienda e pochissimo l'utenza. Il blocco degli scrutini nella scuola e l'applicazione integrale del regolamento, in modo da rallentare al massimo le operazioni richieste, che fu usato quale metodo di lotta dei ferrovieri nei primi decenni del secolo, mi sembrano esempi che mostrano come si possa lottare nei servizi danneggiando soprattutto il padrone e il meno possibile chi ne deve fruire. In questo modo è possibile ottenere la solidarietà dei cittadini, perché non si sentono direttamente colpiti, come avviene nel caso dello sciopero puro e semplice.

Una delega non richiesta
La crisi di rappresentanza dei sindacati invece sta agendo da detonatore, perché favorisce il sorgere di nuove forme di auto-organizzazione della lotta sindacale. Non è azzardato affermare che già da diversi anni le tre confederazioni sono rappresentative delle categorie dei lavoratori solo nominalmente. La loro struttura organizzativa, che nei decenni si è andata affinando, si è burocratizzata e centralizzata a tal punto che i livelli decisionali reali risiedono esclusivamente nei vertici dirigenziali. Tra la base e i dirigenti la distanza è enorme, al punto che i cosiddetti quadri intermedi in più di un'occasione non possono spiegare le decisioni prese in alto loco perché non le conoscono. A chi lavora negli enti pubblici questa situazione è sufficientemente conosciuta: proprio durante la stipulazione degli ultimi contratti di categoria, si è dovuto attendere la firma finale per sapere cos'era stato contrattato. Ciò chiarisce come, dal punto di vista del metodo, i contratti siano sempre meno il frutto di una volontà delle categorie nel loro insieme e sempre di più l'espressione delle scelte politiche generali, volute e stabilite dai vertici dirigenziali.
Ma un altro punto è decisamente antilibertario, cioè che solo CGIL, CISL e UIL siano considerate legalmente rappresentative. Ciò che i loro dirigenti firmano, dopo essersi accordati con la cosiddetta controparte, è a tutti gli effetti valido per tutti i lavoratori della categoria senza distinzioni, al di là della considerazione che questi siano o no iscritti ad uno dei tre sindacati. Si tratta dell'imposizione abusiva della loro rappresentanza a tutto il corpo dei lavoratori. In tal modo vengono assunti al ruolo non delegato di istituzione, con poteri decisionali per chiunque, anche di chi non desidera riconoscersi in loro. In tutta evidenza si tratta di una manipolazione che secondo noi è oltremodo antidemocratica, antilibertaria e del tutto autoritaria.
Eppure, quando sorsero all'inizio del secolo, i sindacati furono concepiti come strumenti di base, secondo la logica consiliare, in cui la delega aveva il valore di portavoce delle decisioni collettive prese nell'ambito delle assemblee. Purtroppo col tempo ha preso completamente piede la concezione e la logica statalista e autoritaria di gestione mascherata da parte dei funzionari di partito. Ora il metodo si è del tutto invertito: prima decidono i vertici e portano a compimento le loro decisioni, poi fanno conoscere alla base cosa è stato fatto. Ne consegue che le assemblee, invece di essere i luoghi deputati a stabilire la linea di condotta, si sono trasformate in momenti in cui i funzionari e quadri intermedi cercano di convincere la base ad accettare senza ribellarsi ciò che è stato definito in alto loco in suo nome.

Un segno dei tempi
Il fenomeno COBAS, che viene continuamente demonizzato, è il segno che il sistema di rappresentanza incarnato dal sindacalismo istituzionale regge sempre meno. I lavoratori hanno finalmente cominciato a ribellarsi. I livelli di rappresentanza devono essere ristabiliti e ridefiniti, mentre è sempre più forte la voce che richiede al tavolo delle trattative una reale delega della base. Noi non sappiamo se i COBAS siano destinati a perdurare; e nemmeno condividiamo l'impostazione troppo categoriale, con punte di corporativismo accentuato, che in essi sta prendendo piede. Ciò che condividiamo e accettiamo caldamente è invece il tentativo di auto-organizzazione su basi consiliari, cercando di togliere ai sindacati ufficiali il potere di decidere per tutti. È un segno dei tempi.
Era ora che si cominciasse a mettere in crisi il ruolo autoritario e istituzionale di CGIL, CISL e UIL, come pure quello conservativo e puramente categoriale dei sindacati autonomi. L'impegno degli anarchici si riconosce appunto nel tentativo di organizzare lotte sganciate dalla sudditanza di ogni organizzazione verticale perché mirano al sorgere di una società realmente emancipata.
Le leggi antisciopero che stanno per essere varate con l'assenso e il suggerimento dei sindacati ufficiali, per noi hanno il significato di bloccare e reprimere proprio questa spinta dal basso, che esprime l'esigenza in sé rivoluzionaria, di ristabilire metodi di lotta e di decisione che appartengano interamente ai lavoratori. Sconfiggere questo piano conservatore e reazionario è attualmente una battaglia importante e irrinunciabile. Dal suo esito dipenderà l'imporsi o meno del tipo di padronato che sta prendendo sempre più piede, sia che si tratti di privati, di tecnocrati di aziende in proprio, di funzionari di stato, o altro. Le lotte dei lavoratori devono tornare ad essere l'espressione dei lavoratori stessi, gestite direttamente da loro.