Rivista Anarchica Online
Dietro la regolamentazione
di Andrea Papi
Le leggi antisciopero che stanno
per essere varate con l'assenso ed il suggerimento dei sindacati
ufficiali puntano al blocco ed alla repressione di qualsiasi spinta
dal basso. Il significato del movimento dei
COBAS.
In una società che si
autodefinisce democratica, quando si vogliono instaurare norme che
sono liberticide in modo evidente, si assiste ad una rappresentazione
politica che, oltre ad essere carica di vis comica, è anche
infarcita di contorsioni e palesi contraddizioni. Il caso in via di
definizione della cosiddetta "regolamentazione degli scioperi"
ci sembra rispecchi in modo fedele questo copione divenuto ormai
classico. Abbiamo finora assistito a un balletto
di dichiarazioni, di prese di posizione poi rinnegate, di
atteggiamenti estremamente duri, come di altri all'opposto molto
concilianti. Il presidente del consiglio, il solito bonaccione Goria,
col suo fare melenso infarcito di banale buonsenso, annuncia leggi
antisciopero cercando di tirar fuori il massimo di grinta che gli è
stato possibile; poi, sgridato da Craxi, ha cercato di spiegare che
non è stato compreso. Il ministro dei trasporti Mannino, con
la sua mimica facciale che fa pensare a un mastino antropomorfizzato,
prima annuncia con estrema durezza che chi sciopera, rinnegando nei
fatti un contratto già stipulato, verrà privato
dell'aumento di stipendio, poi il giorno dopo ritira tutto, forse
accortosi del poco diplomatico scatto d'ira. I sindacati dapprima
invitano esplicitamente il governo ad emanare con una certa fretta
norme e sanzioni per frenare il dilagare degli scioperi, poi fanno
letteralmente marcia indietro, asserendo che volevano solo dare un
consiglio e che sono contrari ad ogni intervento autoritario da parte
del governo. Sta di fatto che, consultatisi con esimi giuristi, hanno
poi proposto una normativa che ripropone un intervento estremamente
limitato sulle future possibilità di scioperare, applauditi
con enfasi dal ministro socialista Formica.
Scuole e treni
Ammettiamo che la materia da trattare
per lor signori non è semplice, ma nello stesso tempo siamo
consapevoli che le prese di posizione, le dichiarazioni e le
eventuali future decisioni hanno un loro nesso logico che non ci
trova in alcun modo concordi. Per capirci qualcosa, diventa
necessario riflettere e cercar di comprendere quali dinamiche e quali
interessi si trovino alla base di un simile farfugliamento. Non è un caso che il marasma
sia scoppiato all'interno dell'area dei servizi, in particolare della
scuola e dei trasporti. In questa fase infatti, in cui il potere
cerca di ricomporre una strutturazione sociale adeguata al livello
dei paesi occidentali ad alto tasso di industrializzazione, sia la
scuola che i trasporti rappresentano due gangli estremamente vitali
per la conduzione economica e politica. La scuola dovrebbe
trasmettere il sostrato culturale fondante e sfornare tecnici e
dirigenti in grado di inserirsi all'interno dei processi di
produzione, del mercato e della conduzione finanziaria; i trasporti
devono garantire scambi veloci ed efficienti, sia delle merci che
degli esseri umani. Qualsiasi organizzazione sociale oggi non riesce
a stare al passo coi tempi se non è in grado di salvaguardare
una loro resa adeguata. Secondo gli addetti ai lavori, in Italia
soffrono entrambi di inadeguatezze endemiche, trovandosi così
particolarmente fragili ed esposti ai frequenti contraccolpi che
stanno subendo. In questa difficoltà
strutturale si innestano due problemi non eludibili: il rapporto con
l'utenza e la crisi di rappresentanza che stanno attraversando le
confederazioni sindacali già da diversi anni. Entrambi i
problemi, divenuti convergenti in seguito all'inconciliabilità
di interessi scoppiata fra lavoratori della categoria e le dirigenze
padronali delle aziende interessate, hanno fatto esplodere il caso in
modo tale che il conflitto di lotta sindacale in corso ha assunto
dimensioni che vanno ben oltre i confini limitati delle tematiche
specifiche delle categorie coinvolte. Il rapporto con gli utenti, cioè
nel caso della scuola gli studenti e le loro famiglie, e in quello
dei trasporti tutti i viaggiatori che hanno bisogno di usufruire del
treno, dell'aereo, dell'autobus ecc., non è semplice da
definire. In caso di sciopero, infatti, ci troviamo di fronte a uno
scontro di interessi e a un intreccio di diritti. Se da una parte gli
utenti hanno il sacrosanto diritto di usufruire del servizio messo a
loro disposizione, dall'altra i lavoratori addetti hanno ugualmente
il diritto di scendere in sciopero quando non trovano soddisfatte le
proprie esigenze e le proprie richieste. Ma l'attuazione dello
sciopero automaticamente impedisce di esercitare il diritto di chi ha
bisogno del servizio. Secondo la versione dei dirigenti statali e
delle aziende, la colpa di questi disagi sarebbe tutta dei lavoratori
che, astenendosi dal lavoro, impediscono ai servizi di funzionare. Ma
ciò è falso, perché in realtà si fa
sciopero per danneggiare l'azienda, in quanto essa non soddisfa le
richieste e i bisogni di chi lavora per lei. Se ne deduce che, se chi
comanda non volesse imporsi a tutti i costi da padrone, tentando di
umiliare i diritti dei lavoratori, non ci sarebbe la lotta e gli
utenti non soffrirebbero per i disservizi. La causa prima dei disagi
risiede dunque nel fatto padronale, che vuole imporre i propri
interessi a scapito di chi lavora. In questo senso mi sembra importante e
fruttuoso cercare tipi di lotta diversi dallo sciopero, che abbiano
come scopo l'identificazione di azioni capaci di danneggiare
massimamente l'azienda e pochissimo l'utenza. Il blocco degli
scrutini nella scuola e l'applicazione integrale del regolamento, in
modo da rallentare al massimo le operazioni richieste, che fu usato
quale metodo di lotta dei ferrovieri nei primi decenni del secolo, mi
sembrano esempi che mostrano come si possa lottare nei servizi
danneggiando soprattutto il padrone e il meno possibile chi ne deve
fruire. In questo modo è possibile ottenere la solidarietà
dei cittadini, perché non si sentono direttamente colpiti,
come avviene nel caso dello sciopero puro e semplice.
Una delega non richiesta
La crisi di rappresentanza dei
sindacati invece sta agendo da detonatore, perché favorisce il
sorgere di nuove forme di auto-organizzazione della lotta sindacale.
Non è azzardato affermare che già da diversi anni le
tre confederazioni sono rappresentative delle categorie dei
lavoratori solo nominalmente. La loro struttura organizzativa, che
nei decenni si è andata affinando, si è burocratizzata
e centralizzata a tal punto che i livelli decisionali reali risiedono
esclusivamente nei vertici dirigenziali. Tra la base e i dirigenti la
distanza è enorme, al punto che i cosiddetti quadri intermedi
in più di un'occasione non possono spiegare le decisioni prese
in alto loco perché non le conoscono. A chi lavora negli enti
pubblici questa situazione è sufficientemente conosciuta:
proprio durante la stipulazione degli ultimi contratti di categoria,
si è dovuto attendere la firma finale per sapere cos'era stato
contrattato. Ciò chiarisce come, dal punto di vista del
metodo, i contratti siano sempre meno il frutto di una volontà
delle categorie nel loro insieme e sempre di più l'espressione
delle scelte politiche generali, volute e stabilite dai vertici
dirigenziali. Ma un altro punto è decisamente
antilibertario, cioè che solo CGIL, CISL e UIL siano
considerate legalmente rappresentative. Ciò che i loro
dirigenti firmano, dopo essersi accordati con la cosiddetta
controparte, è a tutti gli effetti valido per tutti i
lavoratori della categoria senza distinzioni, al di là della
considerazione che questi siano o no iscritti ad uno dei tre
sindacati. Si tratta dell'imposizione abusiva della loro
rappresentanza a tutto il corpo dei lavoratori. In tal modo vengono
assunti al ruolo non delegato di istituzione, con poteri decisionali
per chiunque, anche di chi non desidera riconoscersi in loro. In
tutta evidenza si tratta di una manipolazione che secondo noi è
oltremodo antidemocratica, antilibertaria e del tutto autoritaria. Eppure, quando sorsero all'inizio del
secolo, i sindacati furono concepiti come strumenti di base, secondo
la logica consiliare, in cui la delega aveva il valore di portavoce
delle decisioni collettive prese nell'ambito delle assemblee.
Purtroppo col tempo ha preso completamente piede la concezione e la
logica statalista e autoritaria di gestione mascherata da parte dei
funzionari di partito. Ora il metodo si è del tutto invertito:
prima decidono i vertici e portano a compimento le loro decisioni,
poi fanno conoscere alla base cosa è stato fatto. Ne consegue
che le assemblee, invece di essere i luoghi deputati a stabilire la
linea di condotta, si sono trasformate in momenti in cui i funzionari
e quadri intermedi cercano di convincere la base ad accettare senza
ribellarsi ciò che è stato definito in alto loco in suo
nome.
Un segno dei tempi
Il fenomeno COBAS, che viene
continuamente demonizzato, è il segno che il sistema di
rappresentanza incarnato dal sindacalismo istituzionale regge sempre
meno. I lavoratori hanno finalmente cominciato a ribellarsi. I
livelli di rappresentanza devono essere ristabiliti e ridefiniti,
mentre è sempre più forte la voce che richiede al
tavolo delle trattative una reale delega della base. Noi non sappiamo
se i COBAS siano destinati a perdurare; e nemmeno condividiamo
l'impostazione troppo categoriale, con punte di corporativismo
accentuato, che in essi sta prendendo piede. Ciò che
condividiamo e accettiamo caldamente è invece il tentativo di
auto-organizzazione su basi consiliari, cercando di togliere ai
sindacati ufficiali il potere di decidere per tutti. È
un segno dei tempi. Era ora che si cominciasse a mettere
in crisi il ruolo autoritario e istituzionale di CGIL, CISL e UIL,
come pure quello conservativo e puramente categoriale dei sindacati
autonomi. L'impegno degli anarchici si riconosce appunto nel
tentativo di organizzare lotte sganciate dalla sudditanza di ogni
organizzazione verticale perché mirano al sorgere di una
società realmente emancipata. Le leggi antisciopero che stanno per
essere varate con l'assenso e il suggerimento dei sindacati
ufficiali, per noi hanno il significato di bloccare e reprimere
proprio questa spinta dal basso, che esprime l'esigenza in sé
rivoluzionaria, di ristabilire metodi di lotta e di decisione che
appartengano interamente ai lavoratori. Sconfiggere questo piano
conservatore e reazionario è attualmente una battaglia
importante e irrinunciabile. Dal suo esito dipenderà l'imporsi
o meno del tipo di padronato che sta prendendo sempre più
piede, sia che si tratti di privati, di tecnocrati di aziende in
proprio, di funzionari di stato, o altro. Le lotte dei lavoratori
devono tornare ad essere l'espressione dei lavoratori stessi, gestite
direttamente da loro.
|