Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 152
febbraio 1988


Rivista Anarchica Online

Cari anarchici, parliamone

Mentre mi accingo a stendere queste brevi note, fiocca tutt'attorno a me la consueta, annuale e ritualista nevicata di auguri, più o meno sinceri, più o meno ipocriti o dettati da "ragioni di stato", più o meno "accalorati" o imbevuti di machiavellismo.
La gente sorride, si scambia locuzioni speranzose, si abbraccia, si bacia e dissimula con sapiente eleganza, la perfidia che muove la mano dell'assassino che alberga in ognuno di noi, pronta a stringere l'ansa del pugnale e ad affondare la lama nella debolezza altrui.
Naturalmente, in quest'orchestrale preoccupazione per le sorti dei nostri simili, non manca l'apporto delle principali voci politiche, che fanno il punto della situazione, comparano e confrontano, rassicurano gli animi sensibili ed inquieti e si autoincensano versando lacrimoni di gioia alla loro abilità di piccoli intrallazzatori di casa nostra, di "trafficoni" di poltrone, di "compromessari" da periferia povera.
Si alza un "Alleluia" corale alla meschinità beffarda, alla farsa casalinga e grottesca, che caratterizza la scena politica italiana.
L'87 è trasvolato verso i lidi della memoria, ma è anno degno di entrare a pieno titolo negli annali delle disfatte memorabili, delle "mazzate sulla capoccia" di quel popolo bue che tristemente consuma sulle pagine dei rotocalchi, attraverso le gesta di vip da quattro soldi, le ultime briciole di quello che comunemente si ha l'ardire di definire dignità di un popolo libero.
Nell'augurio dei politici, si cela l'auspicio che l'88 possa rinnovare il miracolo della presa per i fondelli di quei 56 e rotti milioni di italiani, che ancora una volta si possa consumare il rito della "sottrazione", con piena licenza e approvazione dei più, arraffando l'arraffabile e stornando lo stornabile. Ma non voglio dilungarmi oltre, nella filippica triviale e penosamente banale del "governo ladro" che non giova a nessuno, ma piuttosto, rilevare come l'87 abbia dato credito in particolar modo, ad un establishment politico arroccato alle sue seggiole come un naufrago alla sua zattera. Un establishment che ha ridicolizzato, con eloquenza quanto mai esplicita, uno degli strumenti superstiti di democrazia che ci erano rimasti: il referendum.
La raccolta di firme sulla caccia, sia in ambito nazionale che regionale, è stata respinta e apertamente osteggiata con motivazioni futili e cavillose; il referendum sull'opzione nucleare con le sue parvenze di libera decisione del popolo è stato svuotato, con subdole manovre, del suo autentico significato; quello più specifico, relativo alla vicenda della Farmoplant, addirittura annullato dall'infermità mentale di un TAR che ha trasformato la vicenda in un assurdo: si tenga conto che il 70% dei cittadini di Massa, Carrara e Montignoso si era espresso per la chiusura dello stabilimento inquinante e produttore di pericolosi fitofarmaci. Ma si sa, la salute del singolo cittadino non è cosa che lo riguardi: le ragioni dell'interesse hanno tutte l'autorità per passarci sopra e a maggior ragione sui cadaveri.
È proprio in merito a quest'ultimo referendum, promosso a seguito di un'attiva militanza del gruppo della Lega Ambiente locale affiancato dagli anarchici di Massa e Carrara, che vorrei muovere alcune riflessioni.
Pur conoscendo l'esito della vicenda, rimane il fatto che un momento importante di lotta ha potuto concretizzarsi e ottenere, allargandosi fino a coinvolgere tutti i cittadini, un riscontro a livello sociale e politico di rilievo. È su questo aspetto, infatti, che vorrei sollevare un "j'accuse", sia pur amichevole, alle fila anarchiche.
Dispiace sottolineare, difatti, la strana diatriba che ha movimentato l'azione pre-referendaria in quell'occasione, soprattutto alla luce del notevole impegno di parte anarchica. Attivisti insostituibili e accusatori ferrei e precisi, essi hanno tuttavia miseramente tergiversato, esternando in pieno quell'insoluta contraddizione che investe la questione del voto, al momento decisivo dell'azione. Da una parte, è ammirevole la granitica intransigenza, l'incontaminabilità intrisa di pura coerenza, ma d'altro canto, proprio in questo caso l'atteggiamento rigido e "tutto d'un pezzo" ha mostrato con evidenza la sua debolezza.
Invischiati nelle pastoie dell'ideologia, gli anarchici non hanno saputo cogliere gli elementi positivi che si andavano delineando e con i quali l'intera vicenda si sarebbe andata trasformando in successo. Forse, è più preciso dire che l'intransigente applicazione di una lettura ideologica della fede anarchica ha offuscato e limitato la lungimiranza strategica contro quel "nemico" che fa della labilità organizzativa del proprio avversario un appunto vincente. In effetti, quale senso ha stringere alla corda l'interlocutore per poi lasciare indefinita la questione? Scuoterlo alla base, metterlo in difficoltà, infastidirlo nel suo percorso, denunciarne gli intenti perversi e la spietata logica che lo muove non è sufficiente: bisogna inchiodarlo alle sue responsabilità, ratificare le conquiste, demarcare con inchiostro indelebile i limiti del suo agire.
In questo compito gli anarchici falliscono, drasticamente categorici come vogliono apparire.
Non voglio inneggiare, sia ben inteso, al compromesso, al patteggio, all'indispensabilità di trattare o di entrare nella logica dei rapporti di forza: ben lungi da ciò!
Non si può trattare con chi, appropriatosi dei tuoi beni, vorrebbe dare una parvenza di legalità al suo comportamento, invitandoti con condiscendenza al tavolo delle trattative. Altresì, non voglio entrare in merito al rifiuto dello strumento elettorale in genere e sulle motivazioni che lo determinano, ma piuttosto sull'applicazione intransigente e categorica del rifiuto, in qualsiasi situazione, di uno strumento, il referendum, che permette di individuare e far esprimere ad una comunità di individui la propria opinione e volontà con precisione.
Il caso della Farmoplant, sembra esemplificativo di come uno strumento agile e facilmente applicabile quale è il referendum, possa raccogliere e rappresentare un'importante espressione globale del parere della popolazione locale su di un dato problema.
Mi pare che siano proprio questi i frangenti, il locale e il decentrato, in cui appare tutta la versatilità e l'indispensabilità dello strumento referendario. L'adozione del meccanismo di voto, in ambiti locali, su piccola scala, per saggiare e rilevare l'autentica espressione della collettività mi pare strada da perseguire, giacché permette a chi è isolato o marginalizzato, a chi non ha le mani in pasta, a chi non è ammanicato con nessuno, a chi non ha la voce grossa o a chi non eccelle in capacità retoriche, di esprimere AL PARI Dl QUALSIASI ALTRO il proprio parere.
Se la linea ideologica e di coerenza anarchica, pone una decisa bollatura sullo strumento elettorale o di sondaggio d'opinione, è altresì vero, che in talune circostanze, esso può rappresentare un valido ausilio per far esprimere fasce altrimenti escluse dai meccanismi di potere esistenti, quali le deleghe, gli interessi di parte, gli accentramenti decisionali, ecc...
L'indubbia valenza positiva desumibile da un uso accorto dello strumento referendario e qui sottolineo accorto intendendone l'applicazione su piccola scala per problemi definibili in ambito locale e quindi soggetti ad un controllo più agevole da parte della popolazione interessata, appare allora evidente e vedrebbe auspicabile la sua adozione su ampio spettro affinché, questioni altrimenti destinate a dibattersi nei giri viziosi e verticistici dell'élite politica, abbiano modo di essere patrimonio e responsabilità di tutti.
Ricondurre, dunque, su quegli aspetti di gestione sociale fondamentali e legati strettamente alla vita e all'interesse di tutta la popolazione, il dibattito nelle strade e nelle case d'ognuno.
Attraverso questa democratizzazione decisionale c'è il tentativo di incentivare, agevolare e focalizzare la partecipazione dei cittadini ai propri fondamentali problemi socio-politici, invalidando quel processo di "escamotage" della volontà popolare che tende ad annullare l'impegno, la presenza e la partecipazione di larghe fasce di popolazione ai problemi reali di gestione.
Lo svuotamento del potere, della portata, e perché no della dignità di esprimere la propria opinione, nonché la consapevolezza di una tale riduttiva "minorazione" sono le condizioni ottimali per distogliere, allontanare e far prevalere un atteggiamento sostanzialmente passivo nei confronti di questioni che richiederebbero, invece, l'intervento responsabile e ponderato della collettività nel suo insieme.
Ciò che viene favorito dalle classi dominanti, ieri come oggi - e ne sia testimone l'eterno ripetersi, lungo la storia dell'umanità, del gioco di potere, dell'oppresso e dell'oppressore, del forte e del debole - è l'esclusione, o più sottilmente l'autoesclusione dal dibattito politico, scoraggiando la partecipazione tramite meccanismi di delega, di accentramento, di burocratizzazione.
Le conseguenze di questo processo di rottura e di assenteismo partecipativo sono, d'altronde, facilmente riscontrabili, con maggior evidenza, nella scissione tra elettori e eletti parlamentari, ma è pure individuabile agevolmente, anche se in misura minore, tra il singolo cittadino e la propria amministrazione locale. È rinuncia, da una parte, a dibattere e a seguire l'andamento delle questioni di gestione della vita del proprio territorio, e dall'altra accentramento del potere decisionale sganciato dal vivo intervento della comunità e con il quale entrano in lizza interessi privati e influenze di parte.
Opinione, da un lato, della gente comune, che si arena nei locali pubblici e nei caffè, dove esprime le proprie idee annaffiandole, un bicchiere dopo l'altro, insieme alla coscienza della propria inutilità partecipativa, dall'altro giochi di schieramenti, intrecci-intrallazzi, alleanze e tresche da basso quartiere che danno ragione e potere decisionale ai delegati in nome di una democrazia da Gran Guignol.
La separazione reale e quasi palpabile tra eletti e elettori, tra politica e quotidiano è un problema d'oggi e si rispecchia proprio in quella crisi che investe tutte le istituzioni e in particolare quelle politiche.
Resta allora il fatto che, in quest'epoca caratterizzata dal manifestarsi di drammatiche contraddizioni, di disgregazioni delle classi tradizionali, dal crescere di emergenze ambientali accompagnate dall'estraniazione di masse sempre maggiori dalle logiche partitiche, s'impone un'opera propositiva e di impegno volto al recupero di quella partecipazione di ognuno di noi alle decisioni riguardanti lo svolgersi degli eventi futuri.
Ciò passa attraverso l'inderogabile necessità di riconoscere il diritto di espressione di ogni cittadino, ma ancora di più, nel rispettarne l'autorità del parere senza nessuna discriminante. Solo se ciò avverrà, potremo sperare che la responsabilità e la maturità del proprio agire e delle proprie scelte quotidiane acquistino spessore e diventino indispensabile bagaglio per un cambio di rotta, un freno e forse una possibilità di salvare il salvabile.
Se un movimento politico verde è andato imponendosi oggi all'attenzione, è perché sono ravvisabili in esso, e nel suo agire, quelle istanze, e perché no, quelle speranze, che i grovigli di serpi in cui si sono trasformati i palazzi della politica possano beneficiare di una ventata di luce e di chiarezza, senza le quali sono destinati a diventare totalmente staccati dalla realtà e dal tessuto quotidiano del popolo.
Portare la politica fuori dai palazzi o portarvi dentro le manguste, comunque sia la riconquista del luogo politico e sociale ha come percorso obbligato la riscoperta delle potenzialità democratiche che strumenti quali i referendum su piccola scala sono in grado di offrire.
È un mio auspicio che quanto detto sopra possa essere di stimolo per una discussione sul tema anche in ambiente anarchico al quale va tutta la nostra stima e apprezzamento per il rigore politico manifestato e il contributo critico offerto al movimento.

John Masnovo (Scarperia)