Rivista Anarchica Online
Arte al femminile
di Kiki Franceschi
Laura "Kiki" Franceschi,
anarchica, pittrice, affronta i complessi rapporti tra arte e
femminile.
Diversità nella situazione di
uomo artista e donna artista ne ho di sicuro rilevate nella mia più
che ventennale esperienza di lavoro, certamente a livello
sociologico, nel consumo cioè che il pubblico fa del prodotto
artistico, ma talvolta anche nelle scelte estetiche specie ad opera
di artiste femministe. Alcune infatti scelgono un'immagine
sessuale o erotica che è come vista dal buco della serratura.
Altre optano per una realistica o concettuale celebrazione
dell'esperienza femminile in cui nascita, maternità,
domesticità, sono i soggetti ricorrenti. Altre ancora usano
materiali o mezzi della tradizione artigiana femminile, lavori a
telaio, uso di stoffe, collage ed infine c'è chi raffigura
elementi simbolico-astratti come paralleli della sua condizione, del
ruolo: c'è sempre nel quadro qualcosa che racchiude, opprime,
confina. Scrive Rosa Lee in Feminist Review
(n.1, 1987): "La difficoltà per le artiste donne di
trovare il loro mezzo di espressione è nella mancanza di una
conoscenza del proprio corpo e quindi è necessaria una forma
d'arte che riconosca e descriva la sessualità femminile come
una fase iniziale". Molte artiste americane negli anni '70
ci hanno dato una produzione visiva tutta raffigurante il sesso
anatomico con annessi e connessi. Forse l'operazione ha avuto la
funzione di terapia auto-analitica, ma non credo abbia aggiunto molto
alla storia dell'arte contemporanea, o almeno è citabile solo
come fenomeno. Il mio pensiero va invece a Georgia
O'Keffe e alla Nievelson che hanno creato un linguaggio che definirei
trasversale, che prescinde da ruolo e condizione, rivoluzionario,
fatto di carne e sangue, per il loro impegno caparbio e il testardo
amore per l'opera.
Continua estraneità
La donna artista è portata
troppo di frequente ad identificare le difficoltà che ella può
incontrare sulla via dell'affermazione del suo lavoro proprio nel
fatto di essere donna, e allora si involve in atteggiamenti
vittimistici, improduttivi e perdenti. Si hanno così due
reazioni che potrebbero sembrare opposte ma che nascono dalla stessa
situazione: da una parte ripiegamento su se stessa come se ella
rinunciasse al proprio orgoglio, alla coscienza di sé e dei
propri fantasmi, o al contrario assunzione di un comportamento
grintoso e aggressivo, che la porta a confondere arte con potere e
quindi a negarsi e quindi ad accettare il sistema fondato sulla legge
"homo homini lupus". In entrambi i casi il linguaggio
artistico della donna viene ad assumere una funzione speculare e
riproduttiva delle dinamiche di potere ad esso preesistenti. Se
dunque la materialità dominante è quella maschile, la
donna fa propri i modelli e imperativi tipici dell'altro sesso: nello
sport ad esempio le donne si sottomettono a trattamenti ormonali per
fornire prestazioni di tipo maschile. La biologia insegna che quando
i due sessi mirano agli stessi modelli si ha un intensificarsi della
concorrenza che lascia frustrati i rappresentanti di quel sesso che
meno si adatta all'idea del momento. Nella donna artista riappaiono dunque
gli stessi nodi che ingombrano la sua capacità ad esprimere il
proprio malessere condizionato dal ruolo di essere donna. E allora
spesso, per farsi accettare, rinuncia a dar vita alla ricerca e
ripropone modelli già acquisiti e accettati. Cerca il consenso
e il potere e quindi sceglie ugualmente il silenzio, rinuncia alla
sua individualità e ripiega ancora una volta nella negazione
di sé come donna condannandosi ad una continua estraneità. Non è una coincidenza che
l'avvento di una arte contemporanea abbia coinciso con la crescita
del movimento femminista negli anni '70. Per quello che riguarda
l'indagine se esista o meno differenza sessuale nell'arte, direi che
è l'ora di finirla con la sclerotizzante ripetizione di luoghi
comuni e stereotipi che inchiodano al ruolo sia gli uomini che le
donne, da sempre confinati in universi parziali. Ognuno dei due sessi
deve avere un ideale specifico che dovrà condurre ad una
cooperazione per un effettivo superamento dei ruoli. Sono giunta a questa condizione dopo
una riflessione di carattere genetico. La donna, custode del fuoco,
della casa e dei figli ha generato un segno di tipo "stanziale",
- concedetemi l'uso improprio dell'aggettivo che ho derivato dalla
parola "stanza di..." Virginia Wolf - tendente ciò
alla introspezione, all'autoanalisi, che non ha bisogno di ampi
spazi. Le basta una siepe e al di là è l'infinito.
Un'arte che non ha natura diversa dal sogno, che ne condivide le
norme - un'arte verticale. Il maschio, il babbuino inseminatore,
alla continua ricerca di nuovi spazi e nuovi contatti per assicurarsi
la continuità della specie, ha dato luogo ad un segno di tipo
nomade, sperimentale, curioso, un'arte orizzontale. Accettate per
postulato osservazioni di questo tipo, ormai scontate, ma è
anche vero che il maschio esprime spesso nell'opera il suo femminile,
attraverso un'operazione di scavo, di introspezione, la donna al
contrario esprime il suo maschile, cioè l'affermazione di sé
nell'opera. È anche vero che l'artista uomo
o donna che sia subisce sempre il fascino della sua opera, come se
fosse l'opera a determinare la "Gestalt" della forza
creativa, che seleziona la materia per esprimerla. E l'opera è
neutra. Nel linguaggio artistico il segno al maschile o femminile è
retaggio genetico, patrimonio che appartiene all'inconscio collettivo
delle persone. Al femminile indaga sul vissuto,
annega nel ricordo e dalla pulsione della memoria nasce un segno che
coinvolge il vissuto ed il vivente, ritma la storia o meglio fa
entrare il ritmo della storia nell'opera, ed uno al maschile che
rifiuta il confronto al vivente, è più estraniato dalla
vita reale perché il maschio cerca il senso della vita al di
là e contro la vita stessa. E in questo è il suo innegabile
fatale indirizzarsi all'autodistruzione, in quanto ricerca di sé
al di fuori di sé (vedi il messaggio di Marco Ferreri in tutti
i suoi film). Entrambi i segni si compenetrano nella
ricerca di un altro linguaggio che però va sempre
reinventato al di là della norma
del ruolo del sesso. L'obbedienza non è poesia,
scriveva il poeta visivo Eugenio Muccini. L'arte è dunque trasgressione,
cioè capacità di andare oltre il contesto, è
anche esplorazione e liberazione perché la vita umana è
nella trappola che è diventato il mondo. Se l'arte si ferma la vita si ferma.
Quando si parla di arte, almeno per me, si usano termini che sembrano
di un individualismo estremo. L'arte per me è un'avventura di
libertà espressiva che non si esaurisce nel corso di
un'esistenza. In arte nulla si crea e nulla si distrugge, il filo di
Arianna è sempre ripreso al capo e riavvolto o srotolato a
piacimento. Allora che importanza ha sapere quanto
di femminile o maschile ci sia in un'opera? La differenza e la misura
è leggibile solo in campo estetico e semiologico. È
accettazione del gioco tradizionale delle parti, riaffermare che la
cultura ha grossi debiti verso l'arte femminile. È solo l'artista, uomo o donna
che sia, che tiene in mano in filo del "dis-cursum", con la
mente rivolta romanticamente all'"ad-venturam". L'avventura
artistica non ha sesso né confini, il sesso è una
condizione, una trappola che non può imbrogliare la vela
dell'artista perché siamo in mare aperto. L'arte di E. Dickinson, non ha più
di femminile di quanto non ne abbia l'opera di un Rimbaud, di un
Proust, di un Leopardi. Emma Goldman, l'anarchica, sosteneva (cfr.
Anarchia, femminismo e altri scritti, Edizioni
La Salamandra) che la donna per liberarsi deve non solo liberarsi dei
suoi tiranni esterni, dal ruolo sociale cioè, ma anche dai
suoi tiranni interni come le convenzioni etiche e sociali. Non è
fuggendo dal ruolo o prendendo coscienza della qualità o della
differenza del suo segno artistico che la donna può
riaffermare se stessa, ma nel conoscere quello che vuole fare, e
quindi lottare per ottenerlo e realizzarlo. Ecco il senso della trasgressione. Pertanto bisogna sempre cominciare
dalla propria rigenerazione, liberarsi dal peso dei pregiudizi
compresi anche quelli al femminile. C'è un bisogno sempre più
grande di ritrovare la propria vita interiore. La donna, nel suo sogno liberatorio,
ha penalizzato per anni l'amore, considerato una faccenda da donne
vecchia maniera, ha parlato a lungo di sesso - e questo le ha
indubbiamente giovato - ma mettendo da parte i sentimenti come
fossero qualcosa di cui vergognarsi, e perfino il movimento delle
donne è stato in qualche modo influenzato da questa società
così materialista sviluppandosi intorno a temi come lavoro e
salario (S. Hite). Si deve porre fine all'idea che essere amata,
essere madre sia sinonimo di schiavitù e subordinazione, e che
tutto questo sia un impedimento all'espressione artistica della
donna. L'autorità muore dove l'arte
incomincia, muore alla soglia dell'estetica ed è il trionfo
del pensiero e dell'azione libera. La libertà della donna è
strettamente legata a quella dell'uomo ed è col potere che
bisogna fare i conti. Mi piace a conclusione citare una
frase tratta dal Fedone di Platone. "Bisogna come incantare noi
stessi con queste cose, per questo da tempo protraggo il mito perché
il rischio è bello".
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