Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 152
febbraio 1988


Rivista Anarchica Online

Arte al femminile
di Kiki Franceschi

Laura "Kiki" Franceschi, anarchica, pittrice, affronta i complessi rapporti tra arte e femminile.

Diversità nella situazione di uomo artista e donna artista ne ho di sicuro rilevate nella mia più che ventennale esperienza di lavoro, certamente a livello sociologico, nel consumo cioè che il pubblico fa del prodotto artistico, ma talvolta anche nelle scelte estetiche specie ad opera di artiste femministe.
Alcune infatti scelgono un'immagine sessuale o erotica che è come vista dal buco della serratura. Altre optano per una realistica o concettuale celebrazione dell'esperienza femminile in cui nascita, maternità, domesticità, sono i soggetti ricorrenti. Altre ancora usano materiali o mezzi della tradizione artigiana femminile, lavori a telaio, uso di stoffe, collage ed infine c'è chi raffigura elementi simbolico-astratti come paralleli della sua condizione, del ruolo: c'è sempre nel quadro qualcosa che racchiude, opprime, confina.
Scrive Rosa Lee in Feminist Review (n.1, 1987): "La difficoltà per le artiste donne di trovare il loro mezzo di espressione è nella mancanza di una conoscenza del proprio corpo e quindi è necessaria una forma d'arte che riconosca e descriva la sessualità femminile come una fase iniziale".
Molte artiste americane negli anni '70 ci hanno dato una produzione visiva tutta raffigurante il sesso anatomico con annessi e connessi. Forse l'operazione ha avuto la funzione di terapia auto-analitica, ma non credo abbia aggiunto molto alla storia dell'arte contemporanea, o almeno è citabile solo come fenomeno.
Il mio pensiero va invece a Georgia O'Keffe e alla Nievelson che hanno creato un linguaggio che definirei trasversale, che prescinde da ruolo e condizione, rivoluzionario, fatto di carne e sangue, per il loro impegno caparbio e il testardo amore per l'opera.

Continua estraneità
La donna artista è portata troppo di frequente ad identificare le difficoltà che ella può incontrare sulla via dell'affermazione del suo lavoro proprio nel fatto di essere donna, e allora si involve in atteggiamenti vittimistici, improduttivi e perdenti. Si hanno così due reazioni che potrebbero sembrare opposte ma che nascono dalla stessa situazione: da una parte ripiegamento su se stessa come se ella rinunciasse al proprio orgoglio, alla coscienza di sé e dei propri fantasmi, o al contrario assunzione di un comportamento grintoso e aggressivo, che la porta a confondere arte con potere e quindi a negarsi e quindi ad accettare il sistema fondato sulla legge "homo homini lupus".
In entrambi i casi il linguaggio artistico della donna viene ad assumere una funzione speculare e riproduttiva delle dinamiche di potere ad esso preesistenti. Se dunque la materialità dominante è quella maschile, la donna fa propri i modelli e imperativi tipici dell'altro sesso: nello sport ad esempio le donne si sottomettono a trattamenti ormonali per fornire prestazioni di tipo maschile. La biologia insegna che quando i due sessi mirano agli stessi modelli si ha un intensificarsi della concorrenza che lascia frustrati i rappresentanti di quel sesso che meno si adatta all'idea del momento.
Nella donna artista riappaiono dunque gli stessi nodi che ingombrano la sua capacità ad esprimere il proprio malessere condizionato dal ruolo di essere donna. E allora spesso, per farsi accettare, rinuncia a dar vita alla ricerca e ripropone modelli già acquisiti e accettati. Cerca il consenso e il potere e quindi sceglie ugualmente il silenzio, rinuncia alla sua individualità e ripiega ancora una volta nella negazione di sé come donna condannandosi ad una continua estraneità.
Non è una coincidenza che l'avvento di una arte contemporanea abbia coinciso con la crescita del movimento femminista negli anni '70. Per quello che riguarda l'indagine se esista o meno differenza sessuale nell'arte, direi che è l'ora di finirla con la sclerotizzante ripetizione di luoghi comuni e stereotipi che inchiodano al ruolo sia gli uomini che le donne, da sempre confinati in universi parziali. Ognuno dei due sessi deve avere un ideale specifico che dovrà condurre ad una cooperazione per un effettivo superamento dei ruoli.
Sono giunta a questa condizione dopo una riflessione di carattere genetico. La donna, custode del fuoco, della casa e dei figli ha generato un segno di tipo "stanziale", - concedetemi l'uso improprio dell'aggettivo che ho derivato dalla parola "stanza di..." Virginia Wolf - tendente ciò alla introspezione, all'autoanalisi, che non ha bisogno di ampi spazi. Le basta una siepe e al di là è l'infinito. Un'arte che non ha natura diversa dal sogno, che ne condivide le norme - un'arte verticale.
Il maschio, il babbuino inseminatore, alla continua ricerca di nuovi spazi e nuovi contatti per assicurarsi la continuità della specie, ha dato luogo ad un segno di tipo nomade, sperimentale, curioso, un'arte orizzontale. Accettate per postulato osservazioni di questo tipo, ormai scontate, ma è anche vero che il maschio esprime spesso nell'opera il suo femminile, attraverso un'operazione di scavo, di introspezione, la donna al contrario esprime il suo maschile, cioè l'affermazione di sé nell'opera.
È anche vero che l'artista uomo o donna che sia subisce sempre il fascino della sua opera, come se fosse l'opera a determinare la "Gestalt" della forza creativa, che seleziona la materia per esprimerla. E l'opera è neutra. Nel linguaggio artistico il segno al maschile o femminile è retaggio genetico, patrimonio che appartiene all'inconscio collettivo delle persone.
Al femminile indaga sul vissuto, annega nel ricordo e dalla pulsione della memoria nasce un segno che coinvolge il vissuto ed il vivente, ritma la storia o meglio fa entrare il ritmo della storia nell'opera, ed uno al maschile che rifiuta il confronto al vivente, è più estraniato dalla vita reale perché il maschio cerca il senso della vita al di là e contro la vita stessa.
E in questo è il suo innegabile fatale indirizzarsi all'autodistruzione, in quanto ricerca di sé al di fuori di sé (vedi il messaggio di Marco Ferreri in tutti i suoi film).
Entrambi i segni si compenetrano nella ricerca di un altro linguaggio che però va sempre reinventato al di là della norma del ruolo del sesso.
L'obbedienza non è poesia, scriveva il poeta visivo Eugenio Muccini.
L'arte è dunque trasgressione, cioè capacità di andare oltre il contesto, è anche esplorazione e liberazione perché la vita umana è nella trappola che è diventato il mondo.
Se l'arte si ferma la vita si ferma. Quando si parla di arte, almeno per me, si usano termini che sembrano di un individualismo estremo.
L'arte per me è un'avventura di libertà espressiva che non si esaurisce nel corso di un'esistenza. In arte nulla si crea e nulla si distrugge, il filo di Arianna è sempre ripreso al capo e riavvolto o srotolato a piacimento.
Allora che importanza ha sapere quanto di femminile o maschile ci sia in un'opera? La differenza e la misura è leggibile solo in campo estetico e semiologico. È accettazione del gioco tradizionale delle parti, riaffermare che la cultura ha grossi debiti verso l'arte femminile.
È solo l'artista, uomo o donna che sia, che tiene in mano in filo del "dis-cursum", con la mente rivolta romanticamente all'"ad-venturam". L'avventura artistica non ha sesso né confini, il sesso è una condizione, una trappola che non può imbrogliare la vela dell'artista perché siamo in mare aperto.
L'arte di E. Dickinson, non ha più di femminile di quanto non ne abbia l'opera di un Rimbaud, di un Proust, di un Leopardi. Emma Goldman, l'anarchica, sosteneva (cfr. Anarchia, femminismo e altri scritti, Edizioni La Salamandra) che la donna per liberarsi deve non solo liberarsi dei suoi tiranni esterni, dal ruolo sociale cioè, ma anche dai suoi tiranni interni come le convenzioni etiche e sociali. Non è fuggendo dal ruolo o prendendo coscienza della qualità o della differenza del suo segno artistico che la donna può riaffermare se stessa, ma nel conoscere quello che vuole fare, e quindi lottare per ottenerlo e realizzarlo.
Ecco il senso della trasgressione.
Pertanto bisogna sempre cominciare dalla propria rigenerazione, liberarsi dal peso dei pregiudizi compresi anche quelli al femminile.
C'è un bisogno sempre più grande di ritrovare la propria vita interiore.
La donna, nel suo sogno liberatorio, ha penalizzato per anni l'amore, considerato una faccenda da donne vecchia maniera, ha parlato a lungo di sesso - e questo le ha indubbiamente giovato - ma mettendo da parte i sentimenti come fossero qualcosa di cui vergognarsi, e perfino il movimento delle donne è stato in qualche modo influenzato da questa società così materialista sviluppandosi intorno a temi come lavoro e salario (S. Hite). Si deve porre fine all'idea che essere amata, essere madre sia sinonimo di schiavitù e subordinazione, e che tutto questo sia un impedimento all'espressione artistica della donna.
L'autorità muore dove l'arte incomincia, muore alla soglia dell'estetica ed è il trionfo del pensiero e dell'azione libera. La libertà della donna è strettamente legata a quella dell'uomo ed è col potere che bisogna fare i conti.
Mi piace a conclusione citare una frase tratta dal Fedone di Platone. "Bisogna come incantare noi stessi con queste cose, per questo da tempo protraggo il mito perché il rischio è bello".