Rivista Anarchica Online
Oltre l'immondizia
di Pier Luigi Starace Bertacchi
"Nyamanto" in italiano si
traduce "immondizia". Ed è il titolo di un film del
regista maliano Sissoko: una testimonianza asciutta e dignitosa sulle
condizioni di vita e di sfruttamento della povera gente, anche in
Africa. Al contempo, un atto di accusa
contro la carità pelosa di tanti "benefattori".
In tempi di generale scoraggiamento
di fronte al discorso sulla giustizia sociale, è una sorpresa
che trovo intimamente commovente veder rilanciato con forza genuina
il tema, da una terra molto distante geograficamente e culturalmente,
il Mali. Alludo a "Nyamanton",
"Immondizia", tradotto in italiano con "La lezione
delle immondizie", film premiato, fra altro, a Ouagadougou ed a
Cannes, del giovane regista maliano Oumar Sceik Sissoko. Un film
girato alla macchia, del costo di 30 milioni di lire, usando fondi
destinati ad un documentario più o meno di regime, e con
l'aiuto dell'ente cinematografico jugoslavo per il montaggio. Proprio l'anno scorso, anno di
produzione del film, mi trovavo per la prima volta nel luogo dove è
stato girato, Bamako, la capitale del Mali, e quindi posso aver
qualche titolo se non altro per valutare l'aderenza dell'opera alla
realtà locale. Alla realtà: "Nyamanton"
è un film senza ombra di sussiego, che scruta terra terra, al
livello a cui giace l'immondizia, appunto, per proseguire poi, senza
soluzione di continuità, a scrutare l'immondizia interiore e
sociale; attori e comparse sono gente della strada, neppure un minimo
dettaglio nell'abbigliamento o nel modo di fare li distingue dai
normali abitanti di Bamako finiti nell'obiettivo della cinepresa
quando meno se lo aspettavano.
Ancora adesione alla realtà
mostra Sissoko nel far avanzare il clinamen tragico della vicenda
lungo le tensioni spietate o il singhiozzante umorismo della
quotidianità dei miserabili, senza nulla di costruito, di
letterario, di citato, e men che mai di compiaciuto.
"Vedrete cambierà"
Ecco un'esposizione dettagliata della
trama. Chaka, uno degli innumerevoli
immigrati a Bamako dal villaggio natio, per esercitare quello che la
dichiarazione dei diritti dell'uomo degli USA definisce "la
ricerca della felicità", ha trovato un posto di autista
presso una ricca famiglia locale, che lo retribuisce così bene
da non permettergli di mantenere né la moglie Saran, che
lavora come domestica, né di mandare a scuola i due figli, la
grande, Fanta, di 11 anni, ed il piccolo, Khalifa, di 9. Infatti per poterlo fare occorre
portare da casa un banco. A Saran, che va a pregare il maestro di
tenere lo stesso in aula i bambini, quest'ultimo risponde che la
legge è legge, e che lui non vuole grane col Direttore. I
genitori allora acquistano un banco, contraendo un debito. Per
pagarlo Khalifa dovrà, dopo la scuola, raccogliere immondizie
nei quartieri dei ricchi (i poveri non ne producono, e solò
chi è stato a Bamako sa con quale disperato accanimento viene
conservato e commercializzato il più logoro e lercio sacchetto
di plastica), e Fanta vendere arance per strada. Per il trasporto servono a Khalifa un
carrettino ed un amichetto un po' robusto che lo aiuti a spingerlo:
il noleggio dell'uno e la retribuzione dell'altro significano una
grossa decurtazione preventiva del possibile introito giornaliero.
Introito variante a seconda degli esiti delle umilianti
contrattazioni sulla retribuzione di ogni singolo servizio che
Khalifa deve intavolare con le capricciose matrone dei quartieri
"alti". In quanto a Fanta, a parte l'esiguità
del margine di guadagno sulla vendita delle arance, succede più
d'una volta di perdere la merce, perché rapinata da ragazzi
che hanno meno di lei, o terrorizzata da adulti in vena di gallismo. Così, nelle riunioni serali
della famiglia, quando si attende la cena sdraiati sulla stuoia del
cortile nel primo fresco, Khalifa comincia a capire, quando conta i
franchi guadagnati, quanto poco renda una fatica che gli ha
indolenzito tutto il corpo, e Fanta di essere la più debole in
assoluto nella giungla della strada. Alla domanda brutale dei figli a
Chaka: "Perché?" egli non può che rispondere:
"Vedrete, cambierà". Khalifa osserva il mondo dei ricchi:
la pigra ma insaziabile caccia alle donne da parte del possessore di
un'automobile di lusso, le aspirazioni all'eterna giovinezza della
signora agiata, affidate al maquillage, le contemplazioni televisive
di idioti film di Kung-fu trasmessi dalla televisione di stato. Non mancano altri accenni al mondo dei
poveri, come la scena d'osteria con le intemperanze del lavoratore
ubriaco che cerca così di nascondersi la realtà del
licenziamento: in questa come in molte altre scene più avanti,
Sissoko mette in evidenza la genesi diretta di forme di comportamento
scomposto, e poi addirittura di stati nevrotici, da fattori non
esistenziali né fisiologici, ma sociali. Intanto il banco viene pagato: ma il
lavoro deve continuare, perché sono aumentate le tasse
scolastiche. Una vicina in stato interessante è
presa da un grave malore. Viene trasportata a braccia fino al
"goudron de l'aeroport", una delle pochissime vie asfaltate
di Bamako, che porta dalle alture periferiche (dove abitano i
protagonisti) verso il basso centro della città, dove c'è
l'ospedale. Il marito della gestante e Chaka
fermano un taxi. Il tassista chiede una cifra di mille franchi
superiore alle possibilità del richiedente, e tira via.
Nessuna macchina si ferma. Disperato l'uomo issa la moglie in
deliquio in bicicletta, se la lega alla vita, e via per la discesa.
All'arrivo nelle vie dissestate della città, l'uomo sbanda, la
bicicletta viene investita da un'auto, il cui guidatore, solo per non
avere grane, li scodella all'ospedale. La donna viene abbandonata dal
personale su un giaciglio, mentre il marito è costretto a
lasciarla anche lui per la brutale necessità di recuperare la
preziosa bicicletta. Passano alcuni giorni nei quali la
disperazione del futuro padre per il disinteresse dei medici verso la
paziente povera raggiunge punte da nevrosi, finché giunge il
momento del parto: nasce una bimba, ma la madre muore.
Rabbia disperata
La famiglia mutilata e quella di Chaka
si ricompongono presso le loro capanne periferiche: ai singhiozzi
sconvolti di Saran per la morte dell'amica, si contrappone la
presenza dello Stato accanto ai colpiti dalla sventura: un conto
pazzesco da pagare per l'inutile degenza ospedaliera. Di fronte
all'amico senza mezzi ed alla neonata già minacciata dalla
fame, Chaka non ha dubbi: s'impegna a chiedere un prestito, poi un
anticipo sul salario, ed a sacrificare i risparmi dei suoi figli, per
saziare la cieca voracità istituzionale. Quindi va a scuola, chiedendo se è
possibile una dilazione del pagamento delle nuove tasse. Il potere, sotto l'aspetto di un
funzionario sordido ed arrogante, nega, e, alla domanda di Chaka:
"Insomma, che cosa ci fate con i nostri soldi?" risponde:
"Ce li mangiamo, e col resto vi mandiamo in galera". La notte, durante un temporale, Saran
ha degli incubi: vede Khalifa cresciuto finire in prigione per furto,
e Fanta adolescente costretta di notte a vendere l'amore al primo
venuto. Il risveglio non dissipa i fantasmi. I
due piccoli ricevono a scuola la notizia che non potranno ritornarvi,
comprendono che il "cambierà" del padre era una
pietosa bugia per bambini, che il loro destino è di diventare
come i loro genitori. Non resta ora che dedicarsi a tempo pieno
all'immondizia e alle arance, scambiandosi una sola battuta: "Perché
non siamo morti da piccoli?". Resta graffiata nel cuore la rabbia
disperata del ritmo del passo con il quale i due innocenti scendono
dal vuoto di speranza della verde periferia verso il vuoto di
speranza del polveroso centro di Bamako. Forse tutto ciò non
ha bisogno di commenti. Ma uno voglio farlo, per introdurre una
considerazione che mi sta molto a cuore, partendo dalla scena del
sacrificio di Chaka e della sua famiglia per la neonata ed il vedovo. Sissoko mostra nell'atto di questo
sottoproletariato del quarto mondo la difesa suprema di tutto ciò
che i ricchi ed i meno ricchi occidentalizzati hanno distrutto in se
stessi: il senso di responsabilità verso il prossimo. Mentre
la società "in via di sviluppo" verso i
comportamenti cinici della metropoli "civile" calpesta il
prossimo. Chaka arriva a calpestare se stesso ed i suoi piccoli per
il prossimo. Che Sissoko lo abbia o no voluto,
questa scena apre uno spiraglio su una realtà praticamente
inviolata per noi.
Quel diaframma impenetrabile
I materiali che abbiamo a disposizione
per conoscere il quarto mondo - grafici sul regime pluviometrico o
statistiche sulle calorie pro-capite, scoop giornalistici
spettacolari, tesi di laurea in etnolinguistica, il tutto amalgamato
con i luoghi comuni distratti e superficiali del turismo, che viene
fra i dannati della terra per pagare poco e divertirsi molto -
costituiscono forse fonte di profitto e lustro per chi li produce, ma
certamente formano un diaframma impenetrabile ad una conoscenza degna
di questo nome. C'è ancora altro. Ci sono persone che, non importa in
quali organizzazioni, agiscono con responsabilità e sacrificio
verso gli abitanti del Quarto Mondo. Si è creato, direi da
sempre, lo stereotipo per cui tali qualità morali sono
monopolio del mondo industrializzato, ennesimo e definitivo segno
della superiorità morale e civile. Lo stereotipo per cui la
sofferenza del redentore bianco è sublime, fa notizia, fa
storia, quella della vittima non ha qualità, non interessa,
dunque non esiste. Questo stereotipo offende la verità
dell'anima africana più dei negrieri e dei razzisti. Chaka,
nell'atto del suo sacrificio illimitato per il prossimo, ha il
diritto di gridare in faccia a tutti i missionari, i filantropi, gli
educatori di ogni tipo e natura, una volta per sempre: "Quando
voi vi siete trovati in questa situazione? Quando voi avete fatto
questo? Mal che vi vada, voi cadrete sempre bene, noi invece ci
muoviamo sull'abisso senza rete. Eppure rischiamo. Allora, una sola
cosa: se nella vostra 24 ore avete anche la dignità da
regalarci o restituirci, no, grazie: quella l'abbiamo sempre avuta".
|