Rivista Anarchica Online
La scienza arrogante
di Fabio Terragni
Le domande che l'ingegneria
genetica suscita sono legate alla sfera dell'etica. Quali interessi
militari si celano dietro molte delle ricerche in corso? Quali sono
le priorità cui dare spazio con l'ingegneria genetica? Il problema del controllo delle
scelte tecnologiche.
Vorrei cominciare con la citazione di
una psicologa che ha lavorato in Gran Bretagna. Nel corso di una
testimonianza sulla storia del DNA ricombinante questa psicologa
disse: "... a rischio di essere scacciata dall'aula dalle risate
di queste menti superiori, io penso che essi siano stati sopraffatti
dall'angoscia metafisica provata davanti alle loro stesse capacità
di trastullarsi con i mattoni di cui è costruita la vita.
Questa angoscia metafisica è simile a quella provata da
Oppenheimer davanti all'esplosione della prima bomba atomica. Quando
questa angoscia si trasferì all'opinione pubblica, scoppiò
un vero e proprio inferno". Di questa breve citazione mi interessa
sottolineare due elementi: il primo è quello della percezione
del rischio legato a queste nuove tecniche, mentre la seconda è
una sensazione che va oltre e che definirei di natura sostanzialmente
etica. Quando nel 1973 all'università
di Stanford venne annunciata la possibilità di intervenire sul
DNA, la reazione della comunità scientifica internazionale fu
di timore: immediatamente ci si rese conto della possibilità
di creare nuove specie di microrganismi, di batteri nel caso
specifico, agenti di malattie per l'uomo e per l'ambiente, che non
potevano essere controllati con i metodi fino ad allora noti. Il
risultato di questa inquietudine fu la famosa moratoria che si
produsse tra il 1974 e il 1975 fino alla conferenza internazionale
svoltasi in California, in cui vennero per la prima volta messe a
punto delle norme per la sicurezza in laboratorio. In seguito tutto
riprese come prima, ma ci furono diverse contestazioni verso i
laboratori soprattutto da parte delle autorità locali, mentre
la paura si era già diffusa tra l'opinione pubblica. A quattordici anni da quel 1973 le
domande che suscita l'ingegneria genetica sono sostanzialmente legate
alla sfera dell'etica. Dove si incontra il limite invalicabile e,
soprattutto, qual è questo limite? Quali sono le cose che si
possono e non si possono fare? Questi limiti sono di natura
esclusivamente tecnica?
Al principio fu il supertopo
Per rendere espliciti questi problemi
occorre fare alcuni esempi chiarificatori. L'ingegneria genetica si
basa sulla possibilità di mescolare due pezzi di DNA
provenienti nella maggior parte dei casi da specie diverse. Nel 1983
alcuni scienziati americani riuscirono ad inserire un gene umano
all'interno di un topo, agendo sull'uovo fecondato con un
procedimento di microiniezione. Il frammento di gene umano era così
presente non solo nelle cellule somatiche del topo, ma anche in
quelle germinali, che presiedono alla riproduzione: la modificazione
dell'apparato ereditario era quindi permanente. Il "supertopo"
fu solo il primo di una lunga serie di animali transgenici creati nei
laboratori. A questo punto occorre porsi alcuni
interrogativi. È lecito
intervenire sull'identità di una specie che, come si sa, si
basa (nella maggior parte dei casi) sulla non fertilità
incrociata, introducendo elementi estranei nel suo patrimonio
genetico? Si può affermare l'esistenza di una sorta di
ingegneria genetica naturale a livello di microbiologia, ma essa è
a livelli estremamente limitati. Ancora, abbiamo noi il diritto di
intervenire con un'operazione transgenetica sulla vita di un altro
animale? Noi andiamo infatti ad intaccare quel delicato equilibrio
che presiede all'espressione del patrimonio genetico. La
brevettabilità delle nuove specie create dall'ingegneria
genetica è stata inoltre sancita il 16 aprile scorso
dall'Ufficio federale americano per i brevetti, con tutte le
implicazioni di carattere industriale che ne derivano.
Rispetto alla specie umana si pone il
problema di quello che viene definito il "trapianto genetico
germinale", cioè l'intervento genetico a livello delle
cellule germinali. L'opinione della comunità scientifica
internazionale è di non arrivare a questo tipo di intervento,
ma come si sa le soglie etiche sono molto deboli. C'è già
chi propone, in sede di fecondazione in vitro, di fecondare un uovo e
di dividerlo in due facendo crescerne uno e congelando l'altro. Il
passo seguente sarebbe quello di analizzare il primo uovo, verificare
la presenza di malattie genetiche e, di conseguenza, farlo crescere o
sostituirlo con l'altro. Queste tecniche ci mettono però anche
in grado di determinare altre condizioni, come l'altezza, ma anche i
caratteri della differenza sessuale: è possibile diagnosticare
in modo precoce se il futuro nato sarà maschio o femmina. Ciò
permette un intervento selettivo anche a questo livello. Esiste poi la possibilità di
sequenziare lo stesso genoma umano, attraverso il progetto finanziato
dal Dipartimento dell'energia americano, lo stesso che finanziò
il progetto Manhattan sulla bomba atomica. Quali tipi di interessi militari si
celano dietro questi progetti? Quali sono le priorità cui dare
spazio con l'ingegneria genetica? I bisogni medici sociali e
ambientali che emergono soprattutto nel terzo mondo o, come sta
succedendo oggi, altre priorità, altri spazi e altri mercati?
La fecondazione porta con sé una serie infinita di altri
problemi, legati alla possibilità di clonazione o alla
pratica dell'"utero in affitto". Il progredire delle
tecnologie mediche ci pone di fronte a nuovi problemi con profonde
implicazioni etiche: i trapianti, il commercio di organi, la
donazione di organi da parte di viventi. L'eutanasia attiva e
passiva.
Il problema dell'etica
A questo punto ci si deve domandare
che cosa è l'etica e come deve essere affrontata questa
problematica. In due parole si può definire l'etica come la
riflessione su cosa è giusto e su cosa non è giusto
fare. In questo campo ci sono sostanzialmente due tradizioni: una di
tipo religioso-teologico e un'altra di tipo normativo. La tradizione teologica ricerca nei
testi fondamentali qual è l'insegnamento di Dio a proposito di
queste questioni. La tradizione laica affida invece a un'autorità
centrale il compito di definire cosa è giusto e cosa non è
giusto fare, espropriando anche la possibilità di scelta
individuale. Tale tradizione si basa soprattutto
sulla filosofia utilitarista, che stabilisce cosa è giusto e
cosa non è giusto fare in base alla quantità di piacere
che ne deriva. Questa filosofia di tipo
utilitarista-normativa ci porta delle distorsioni che trovano i
propri fondamenti nella forma di razionalità imperfetta che
domina la civiltà occidentale. Credere, sostanzialmente,
all'onnipresenza e alla totalità della logica, come forma di
coerenza interna attenta più alla valutazione dei procedimenti
che alle conseguenze di una certa azione. Un filosofo utilitarista
come Peter Singer, teorico dell'animalismo e molto amato dal
movimento verde, arriva ad approvare la sperimentazione sugli
embrioni in quanto non sofferenti, in quanto non provano dolore. A
questa tradizione hanno fatto riferimento tutte le iniziative
istituzionali nel settore, peraltro assenti in Italia, attraverso
l'istituzione di comitati etici basati su questo tipo di impianto
teorico.
Il problema dell'etica è a mio
parere legato alla sfera della responsabilità e, di
conseguenza, all'agire individuale e collettivo. I problemi etici
dell'agire scientifico implicano l'adozione di una critica di tipo
epistemologico, una critica filosofica. Si tratta quindi di rivedere
i fondamenti del nostro agire scientifico e renderlo confacente al
concetto definito da Batenson dell'"apprendere a posteriori",
concetto che trova anche un corrispettivo straordinario nella
filosofia zen. Si tratta di rivedere fin dall'inizio
i fondamenti del nostro sapere, per la rifondazione di quella che,
mutuando un'espressione di Edgar Morin, si può definire "una
scelta con coscienza". La biologia molecolare è
l'ultima rappresentante di una lunga tradizione scientifica
occidentale che le ha trasmesso un'arroganza di oggettività
rispetto al proprio sapere. E l'atteggiamento è esplicitato da
Monod nel suo libro su "Il caso e la necessità", nel
quale attribuisce alla scienza un agire etico intrinseco, in quanto
presuppone, come atto fondamentale, il dominio della conoscenza: la
politica e l'etica della politica deriverebbero quindi dalla
conoscenza. Bisogna fare una operazione critica di
questo impianto scientifico, che vada a ricostruire una antropologia
della conoscenza che ponga l'uomo al centro dell'agire scientifico.
Un'operazione che riporti l'uomo all'unione tra soggetto ed oggetto,
tra sistema osservato e sistema osservante. Bisogna inoltre
restituire una dimensione storica all'agire scientifico, operazione
quasi sconosciuta in Italia. La scienza viene insegnata nelle
università come sapere rivelato, scorporandola dalla sua
dimensione storica, quindi umana e culturale. L'ecologia deve essere
considerata come una vera "scelta con coscienza", in quanto
riporta ad una relazione complessa uomo-agente conoscente e "oggetto
natura". Per concludere bisogna rinnovare
l'appello all'etica della responsabilità, per restituire
responsabilità anche allo scienziato. Un altro elemento è
relativo all'interazione tra scienza e società. La scienza non
è più quella libera attività dello spirito del
XV-XVI secolo ma un'attività tecnologica che muove migliaia di
miliardi, diventando una specie di paradigma autorinforzante. La scienza per attrarre i
finanziamenti deve sempre di più rispondere ai bisogni della
tecnologia. Si tratta di inserire in questo circolo un elemento non
controllabile che è l'opinione pubblica nella sua accezione
più ampia. Voglio fare riferimento a una sorta di "cibernetica
dello sviluppo tecnologico", in altre parole a una scienza del
controllo di tale sviluppo. Deve essere possibile non solo un
flusso di conoscenze dalle sedi della produzione a quelle della
fruizione, ma anche un'operazione inversa che dall'opinione pubblica
ponga il problema del controllo delle scelte tecnologiche.
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