Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 152
febbraio 1988


Rivista Anarchica Online

Al di là degli slogan
a cura della Redazione

Trentadue morti in un mese. Più di uno al giorno. In prevalenza giovani, a volte addirittura bambini. È questo il dato più illuminante della repressione attuata dalle forze armate israeliane in alcuni dei territori occupati all'indomani della "guerra dei sei giorni" (giugno 1967), principalmente nella striscia di Gaza.
I mass-media quotidianamente ci propongono le immagini di manifestazioni represse, di perquisizioni domiciliari, di fermi ed arresti per le strade. I metodi, le armi, vorrei dire le facce stesse dei soldati israeliani assomigliano ai metodi, alle armi, alle facce dei loro colleghi di tutto il mondo. E come potrebbe essere altrimenti?
La nostra solidarietà va, come sempre, a chi sta "dall'altra parte", a chi subisce la brutalità del potere, a chi vede quotidianamente calpestati alcuni dei diritti civili irrinunciabili: innanzitutto, quello alla vita. Solidarietà, dunque, ai giovani, ai bambini, alle donne, agli uomini palestinesi. La nostra simpatia, contemporaneamente, va a quanti - arabi ed ebrei - in Israele sfidano la politica repressiva del governo di Gerusalemme per testimoniare la loro opposizione a quella politica. A chi si oppone all'intolleranza, all'uso della forza, al rifiuto del dialogo internazionale ed internazionalista.
Contrariamente a quanto molti pensano, accesissima - e non da oggi - è in Israele la polemica, che non di rado sfocia in drastiche contrapposizioni ed anche in scontri, tra i fautori e gli oppositori della politica del governo conservator/laburista che ha in Shamir e Peres i suoi due leader. È da questa costante, difficile, quotidiana opera di opposizione e di denuncia della politica militarista e ultranazionalista del governo che sono state realizzate le grandi mobilitazioni pacifiste, come quella - memorabile - che portò 400.000 persone in piazza a protestare contro la complicità delle truppe israeliane nel massacro perpetrato dalle armate cristiano-maronite contro i palestinesi rinchiusi nei campi di Sabra e Chatila. Solidarietà con chi è vittima della politica del governo israeliano, dunque. E solidarietà con chi vi si oppone. È questa, per noi anarchici, una scelta naturale, logica, automatica. Che non va confusa, però, con il sostegno politico alle organizzazioni politico-militari che, in nome della "causa palestinese", portano avanti da decenni una politica che potremmo definire sinteticamente - da "stato senza territorio".
Ci riferiamo innanzitutto all'OLP di Yassir Arafat, rispetto alla quale abbiamo espresso (e motivato) la nostra decisa opposizione.
La confusione tra diritti violati dei popoli e organizzazioni/partiti/quasi-Stati che se ne ergono a "rappresentanti" è un gioco sporco, che denunciammo e contro il quale ci opponemmo anche all'epoca della guerra del Vietnam. La solidarietà con il popolo, i contadini vietnamiti non ci portò mai a solidarizzare con il Fronte di Liberazione Nazionale di Ho-Chi-Min, con i vietcong, con le loro posizioni politiche in campo nazionale ed internazionale.
No all'imperialismo americano, certo: e con forza! Ma anche - contemporaneamente - no al nazionalismo da qualunque parte provenga, no all'imperialismo sovietico e alla sua "solidarietà pelosa". No - più in generale - alla politica degli stati, dei potenti, degli eserciti (anche a quelli di "liberazione nazionale"), nella quale noi anarchici denunciamo da sempre una delle cause principali di divisione, di strumentale contrapposizione ed alla fin fine di sfruttamento dei popoli.
Per quella nostra posizione, assolutamente anomala nel campo di chi si opponeva all'aggressione militare USA nel Sud-Est Asiatico, ci ritrovammo a sostenere durissime polemiche non solo (com'era prevedibile) con numerose organizzazioni di sinistra, ma anche in seno al campo libertario.
Lo stesso ci è accaduto e accade per quanto riguarda la situazione medio-orientale. Gran parte della sinistra ed anche una parte degli anarchici - incapace, a nostro avviso, di staccarsi dalla mitologia di stato marxista - si accontentano di stereotipi, parole d'ordine preconfezionate, analisi sommarie che sono frutto di ignoranza e - quel che è peggio - mancanza di volontà di capire.
Chi conosce un po' l'intricato susseguirsi di avvenimenti nel corso dell'ultimo secolo in (ed a proposito della) Palestina, sa che la drammatica situazione attuale è il frutto - innanzitutto - della politica degli stati, che numerosissimi hanno sempre avuto interessi strategici da difendere, sostenendo ora questo ora quello dei contendenti di turno. Un ruolo (assolutamente negativo) di primo piano spetta poi alle religioni, o meglio ai massimi rappresentanti delle tre grandi religioni monoteiste, per le quali la Palestina è "terra santa" per eccellenza. Né vanno dimenticati gli interessi legati al petrolio, al Canale di Suez, alla navigazione nel Mediterraneo, ecc. - tutte cose che hanno sollecitato il pesantissimo condizionamento di tutte le super-potenze sulle forze politiche in campo.
In un contesto così complesso, gli slogan che si leggono sui muri a firma indifferentemente del Fronte della Gioventù o di organizzazioni più o meno "rivoluzionarie" di sinistra, tendenti a "buttare a mare gli israeliani assassini" (e simili idiozie) non sono che il segno ulteriore della degradazione di chi, incapace di capire, si accontenta di "far politica" a suon di slogan.
Il ritenere "colpevole" tutta la popolazione di Israele o peggio ancora gli ebrei in quanto tali, della brutale repressione attuata dal governo di Gerusalemme, non è solo stupido. Dopo l'abominio della "soluzione finale" tentata dal nazismo nemmeno mezzo secolo fa e di fronte alla rimontante canea antiebraica, qualsiasi confusione ci appare inaccettabile. Da stroncare subito.
Il comportamento della polizia e dell'esercito israeliani - ha scritto sul Manifesto del 3/4 gennaio la scrittrice Edith Bruck - intervenuti con durezza a reprimere le manifestazioni di massa dei giovani palestinesi e le proteste degli israeliani (ebrei ed arabi) con loro solidali, non è diverso da quello delle altre polizie del mondo o di altri eserciti in territori occupati. Equiparare queste forme di repressione, per quanto odiose e sanguinose siano, al nazismo è una vera e propria menzogna storica. Degna di Faurisson, Vergés e degli storici "revisionisti" tedeschi, utile solo a confondere le idee della gente sul nazismo.
Noi siamo d'accordo.