Rivista Anarchica Online
Al di là degli slogan
a cura della Redazione
Trentadue morti in un mese. Più
di uno al giorno. In prevalenza giovani, a volte addirittura bambini.
È questo il dato più illuminante della repressione attuata
dalle forze armate israeliane in alcuni dei territori occupati
all'indomani della "guerra dei sei giorni" (giugno 1967),
principalmente nella striscia di Gaza. I mass-media quotidianamente ci
propongono le immagini di manifestazioni represse, di perquisizioni
domiciliari, di fermi ed arresti per le strade. I metodi, le armi,
vorrei dire le facce stesse dei soldati israeliani assomigliano ai
metodi, alle armi, alle facce dei loro colleghi di tutto il mondo. E
come potrebbe essere altrimenti? La nostra solidarietà va, come
sempre, a chi sta "dall'altra parte", a chi subisce la
brutalità del potere, a chi vede quotidianamente calpestati
alcuni dei diritti civili irrinunciabili: innanzitutto, quello alla
vita. Solidarietà, dunque, ai giovani, ai bambini, alle donne,
agli uomini palestinesi. La nostra simpatia, contemporaneamente, va a
quanti - arabi ed ebrei - in Israele sfidano la politica repressiva
del governo di Gerusalemme per testimoniare la loro opposizione a
quella politica. A chi si oppone all'intolleranza, all'uso della
forza, al rifiuto del dialogo internazionale ed internazionalista. Contrariamente a quanto molti pensano,
accesissima - e non da oggi - è in Israele la polemica, che
non di rado sfocia in drastiche contrapposizioni ed anche in scontri,
tra i fautori e gli oppositori della politica del governo
conservator/laburista che ha in Shamir e Peres i suoi due leader. È
da questa costante, difficile, quotidiana opera di opposizione e di
denuncia della politica militarista e ultranazionalista del governo
che sono state realizzate le grandi mobilitazioni pacifiste, come
quella - memorabile - che portò 400.000 persone in piazza a
protestare contro la complicità delle truppe israeliane nel
massacro perpetrato dalle armate cristiano-maronite contro i
palestinesi rinchiusi nei campi di Sabra e Chatila. Solidarietà
con chi è vittima della politica del governo israeliano,
dunque. E solidarietà con chi vi si oppone. È
questa, per noi anarchici, una scelta naturale, logica, automatica.
Che non va confusa, però, con il sostegno politico alle
organizzazioni politico-militari che, in nome della "causa
palestinese", portano avanti da decenni una politica che
potremmo definire sinteticamente - da "stato senza territorio". Ci riferiamo innanzitutto all'OLP di
Yassir Arafat, rispetto alla quale abbiamo espresso (e motivato) la
nostra decisa opposizione. La confusione tra diritti violati dei
popoli e organizzazioni/partiti/quasi-Stati che se ne ergono a
"rappresentanti" è un gioco sporco, che denunciammo
e contro il quale ci opponemmo anche all'epoca della guerra del
Vietnam. La solidarietà con il popolo, i contadini vietnamiti
non ci portò mai a solidarizzare con il Fronte di Liberazione
Nazionale di Ho-Chi-Min, con i vietcong, con le loro posizioni
politiche in campo nazionale ed internazionale. No all'imperialismo americano, certo:
e con forza! Ma anche - contemporaneamente - no al nazionalismo da
qualunque parte provenga, no all'imperialismo sovietico e alla sua
"solidarietà pelosa". No - più in generale -
alla politica degli stati, dei potenti, degli eserciti (anche a
quelli di "liberazione nazionale"), nella quale noi
anarchici denunciamo da sempre una delle cause principali di
divisione, di strumentale contrapposizione ed alla fin fine di
sfruttamento dei popoli. Per quella nostra posizione,
assolutamente anomala nel campo di chi si opponeva all'aggressione
militare USA nel Sud-Est Asiatico, ci ritrovammo a sostenere
durissime polemiche non solo (com'era prevedibile) con numerose
organizzazioni di sinistra, ma anche in seno al campo libertario. Lo stesso ci è accaduto e
accade per quanto riguarda la situazione medio-orientale. Gran parte
della sinistra ed anche una parte degli anarchici - incapace, a nostro
avviso, di staccarsi dalla mitologia di stato marxista - si
accontentano di stereotipi, parole d'ordine preconfezionate, analisi
sommarie che sono frutto di ignoranza e - quel che è peggio -
mancanza di volontà di capire. Chi conosce un po' l'intricato
susseguirsi di avvenimenti nel corso dell'ultimo secolo in (ed a
proposito della) Palestina, sa che la drammatica situazione attuale è
il frutto - innanzitutto - della politica degli stati, che
numerosissimi hanno sempre avuto interessi strategici da difendere,
sostenendo ora questo ora quello dei contendenti di turno. Un ruolo
(assolutamente negativo) di primo piano spetta poi alle religioni, o
meglio ai massimi rappresentanti delle tre grandi religioni
monoteiste, per le quali la Palestina è "terra santa"
per eccellenza. Né vanno dimenticati gli interessi legati al
petrolio, al Canale di Suez, alla navigazione nel Mediterraneo, ecc.
- tutte cose che hanno sollecitato il pesantissimo condizionamento di
tutte le super-potenze sulle forze politiche in campo. In un contesto così complesso,
gli slogan che si leggono sui muri a firma indifferentemente del
Fronte della Gioventù o di organizzazioni più o meno
"rivoluzionarie" di sinistra, tendenti a "buttare a
mare gli israeliani assassini" (e simili idiozie) non sono che
il segno ulteriore della degradazione di chi, incapace di capire, si
accontenta di "far politica" a suon di slogan. Il ritenere "colpevole" tutta la
popolazione di Israele o peggio ancora gli ebrei in quanto tali,
della brutale repressione attuata dal governo di Gerusalemme, non è
solo stupido. Dopo l'abominio della "soluzione finale"
tentata dal nazismo nemmeno mezzo secolo fa e di fronte alla
rimontante canea antiebraica, qualsiasi confusione ci appare
inaccettabile. Da stroncare subito. Il comportamento della polizia e
dell'esercito israeliani - ha
scritto sul Manifesto del 3/4 gennaio la scrittrice Edith Bruck -
intervenuti con durezza a reprimere le manifestazioni di massa dei
giovani palestinesi e le proteste degli israeliani (ebrei ed arabi)
con loro solidali, non è diverso da quello delle altre polizie
del mondo o di altri eserciti in territori occupati. Equiparare
queste forme di repressione, per quanto odiose e sanguinose siano, al
nazismo è una vera e propria menzogna storica. Degna di
Faurisson, Vergés e degli storici "revisionisti"
tedeschi, utile solo a confondere le idee della gente sul nazismo. Noi siamo d'accordo.
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