Rivista Anarchica Online
Un congresso eccezionale?
a cura della Redazione
Del recente congresso del Partito
Radicale, svoltosi a Bologna all'inizio dell'anno, l'elemento più
degno di nota - e, francamente, anche di una qualche ammirazione - è
lo sforzo congiunto di tutto il gruppo dirigente radicale per
convincere l'opinione pubblica che questa volta sì, di un
congresso davvero eccezionale si è trattato. Sulla carta, di elementi a sostegno
non ne mancano. C'è innanzitutto la scelta "transnazionale",
con il dichiarato abbandono dei patri confini a tutto vantaggio di
una scelta europeista ed internazionale. Tant'è vero che i
non-italiani sono maggioranza nel nuovo Consiglio Federale. C'è
poi la tanto sbandierata decisione di non presentarsi alle elezioni
in Italia, con la non secondaria conseguenza di rinunciare (a partire
appunto dalle prossime elezioni politiche) al finanziamento pubblico.
Ed altro ancora. Se fosse la prima volta che ci si
trova dinnanzi a dichiarazioni e scelte così "radicali"
forse potremmo dar loro credito. Ma così non è. Da
quando negli anni '60 ci trovammo a sostenere insieme - noi quattro
gatti anarchici, loro due o tre gatti radicali, più qualche
beat, provo & simili - battaglie di libertà, antimilitariste
ed anticlericali, ne è passata di acqua sotto i ponti. Da
"compagni di strada" nel senso proprio del termine
(pensiamo alle marce antimilitariste, promosse e realizzate insieme
tra la fine degli anni '60 e i primi anni '70) li abbiamo visti, un
po' alla volta, avvicinarsi ed entrare sempre più saldamente
nelle istituzioni, ricercare alleanze tra i partiti veri, abbandonare
l'anticlericalismo, fare a tratti da ruota di scorta alla maggioranza
pentapartita, tirare comunque la volata al PSI di Craxi, ecc... Dal lontano settembre '72 quando,
intervenendo ad un convegno nazionale del movimento anarchico a
Rimini, Marco Pannella parlò dell'opportunità di cessare
con l'esperienza partitica e di confluire con gli anarchici in un
movimento di opposizione libertaria al di fuori delle istituzioni, ne
sono passati di anni. Ne abbiamo visti troppi di salti,
saltelli e capriole: da parte radicale. E allora non ci sfugge che la
decisione di non presentarsi alle elezioni politiche in Italia è
stata presa da un Congresso che, statuariamente, delibera solo per
quanto riguarda l'anno in corso: e nell'88 di elezioni politiche
all'orizzonte non ce ne sono. Né comunque ci può
interessare un astensionismo "tattico", che tutto sommato
serve soprattutto per poter utilizzare i voti radicali come merce di
scambio con Craxi, nell'ambito dei patteggiamenti per la costituzione
del cosiddetto "polo laico" PSI-PSDI-PR. Pronti oggi a sottolineare il loro
disinteresse per il finanziamento pubblico, i dirigenti radicali
farebbero meglio a tacere, perché è proprio questo uno
dei capitoli più squallidi della loro storia. Dopo tanta
battaglia contro la partitocrazia ed il suo immorale
strumento-principe (il finanziamento pubblico dei partiti, appunto),
una volta arrivati nelle condizioni di poterne usufruire, i radicali
hanno cambiato subito opinione. I soldi li hanno intascati tutti e
subito, come gli altri partiti della vituperata partitocrazia. Con il
solo accorgimento (e qui sta tutto il loro squallore) di continuare a
rifiutarli come Partito, per poi intascarli come Radio Radicale. Lo spettacolo della politica e la
politica dello Spettacolo non ci interessano. Il Partito Radicale,
che di entrambi è parte integrante, non fa certo eccezione.
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