Rivista Anarchica Online
Le istituzioni si ri/formano
di Andrea Papi
È
l'argomento all'ordine del giorno per la classe politica. È
l'ultima trovata per vivacizzare un ambiente mefitico come quello del
Palazzo. A sentir loro, sembra che tutto
dipenda da questa riforma istituzionale, che tutti dicono di volere
nell'interesse dell'intera società. Noi, invece, pensiamo che...
I politici di casa nostra soffrono di
crisi d'identità e hanno un po' il fiatone grosso. Da qualche
mese a questa parte si sono accorti, o perlomeno hanno ammesso, che
il rapporto tra la loro professionalità e gli elettori non è
molto gratificante. Da più parti, ormai quotidianamente, gli
esperti di turno si sforzano di analizzare il problema che, secondo
le dichiarazioni ufficiali, occuperà il dibattito politico di
quest'anno: il distacco tra classe politica e paese reale. Perfino
Cossiga, durante il tradizionale discorso di fine anno a reti
televisive unificate, l'ha trattato come tema principale. È
l'argomento di moda. I big e le star dei partiti in passerella fanno
a gara nel proporsi come i salvatori, se non della patria almeno
dello stato, senza risparmiarsi nel denunciare il disfacimento
progressivo cui sembriamo destinati. A meno che, ovviamente, ad
ognuno di loro non venga data carta bianca per porre fine
all'immoralità pubblica dilagante. Le loro parole mostrano una
situazione insostenibile, sempre più degradata e degradante,
alla quale è impellente metter mano con avvedutezza, coraggio
e intelligenza se non si vuol rischiare il caos, o addirittura
l'anarchia che, almeno secondo il punto di vista degli alti
esponenti, sarebbe probabilmente peggio del normale caos. In tutta questa manifestazione di coscienza
partitocratica, tra una dichiarazione e l'altra fa capolino un
aspetto estremamente comico. Ogni leader politico, nel proporsi come
il salvatore, tenta di apparire quasi immune da colpe, riversandole
tutte sulle altre forze politiche non rappresentate da lui. Tra le
righe, quasi quasi si legge che siamo a questo punto perché
non li si è mai voluti ascoltare. Ognuno di loro aveva visto
giusto già da tempo, come pure aveva proposto soluzioni, ma
ogni volta era stato snobbato e trattato come una Cassandra. È
come assistere ad una rappresentazione d'avanguardia, che satireggia
un problema classico del politicantismo di casa nostra.
Proposte comiche
Ma per le nostre orecchie sono ancora
più comiche le proposte, presentate con sfacciato candore di
facciata come soluzioni realmente concrete. Il denunciato distacco
tra le istituzioni e i cittadini che non contano, viene attribuito a
una cronica mancanza di funzionalità delle stesse, dovuta più
che altro a motivi tecnici di definizione e di struttura. In altre
parole, il temuto distacco esiste soprattutto perché i
meccanismi del dibattito parlamentare sono troppo lenti; oppure
perché c'è un numero spropositato di piccoli partitini,
che servono solo a disperdere voti; oppure perché gli
onorevoli votano segretamente e generano il fenomeno dei franchi
tiratori, per cui un numero cospicuo di loro, protetto dalla
segretezza, riesce a non obbedire agli ordini delle segreterie di
partito; oppure ancora perché i sindaci non vengono eletti
direttamente dai cittadini. E via di questo passo. Sembrerebbe che i
cittadini non si sentano coinvolti dal funzionamento degli istituti
di rappresentanza semplicemente perché questi sono organizzati
male. Mentre erano giusti quando furono concepiti, oggi
risulterebbero inadeguati e non più al passo coi tempi. Identificando in queste cause le
ragioni di fondo che portano al malessere istituzionale, appaiono
abbastanza scontate le proposte dei salvatori. Il PSI vuole uno
sbarramento elettorale del 5% dei voti, in modo da ridurre il numero
dei partiti presenti in parlamento, limitandolo di fatto ai più
importanti, assieme alla competenza di una sola camera per
l'approvazione delle leggi. Ciò gli permetterebbe di gestire
meglio i giochi di alleanza all'interno del transatlantico e di
convogliare nel proprio seno una maggiore quantità di voti.
Una buona parte dei democristiani vorrebbe che anche i deputati
fossero eletti come i senatori attraverso una lista unica, indicata
ovviamente dal partito, e che i sindaci dei comuni scaturissero
direttamente dai voti, quali capolista del partito vincente; tutta la
DC è contraria allo sbarramento del 5%, ma propone un diverso
sistema di quorum elettorale. Come è da tempo nel loro
costume, i comunisti non hanno ancora dato indicazioni precise,
eccetto che vorrebbero una sola camera, mentre si sono limitati a
fare valutazioni critiche e di merito. E così ogni singolo
partito si esprime in base alle proprie convenienze. Non a caso i
piccoli sono compattamente contrari allo sbarramento del 5%, perché
ovviamente verrebbero esclusi e inevitabilmente sarebbero assorbiti
dai più grandi. Tutti si stanno dando un gran daffare,
in un giro più o meno visibile di consultazioni, per
accordarsi, definire nuove alleanze o consolidare le vecchie,
riuscire ad imporre le proprie esigenze e la propria linea. Un po' di
scalpore in questo senso ha suscitato il fatto che, al pari degli
altri leader, anche il neosegretario del MSI sia stato ricevuto da
Craxi e che il loro colloquio sia stato giudicato positivo da
entrambi. Mentre appare scontato l'atteggiamento, per ora agnostico,
del PCI: è una cautela utile a non precludersi nessuna
possibilità, a rendersi appetibile sia per i socialisti che
per i democristiani i quali, nella lotta in corso per la supremazia
governativa, si trovano quasi costretti a riconsiderare l'escluso
comunista, nel tentativo di usarlo per calmarsi a vicenda i bollenti
spiriti.
L'etica del potere
Viene da chiedersi cosa c'entri tutto
ciò con l'allontanamento tra classe politica e paese reale.
Come pure se veramente lor signori siano sinceri nel porre tal
problema e volerlo risolvere. Non c'è nulla di nuovo infatti
nelle analisi che fanno, nei metodi che usano, nelle proposte messe
sul tappeto. I metodi sono quelli ormai consolidatisi, tipici dei
corridoi del palazzo, in cui quelli che contano, a mo' di
consiglieri, stipulano accordi in politichese e mercificano,
scambiandoseli, progetti e idee. L'etica del potere per conservare il
predominio o non esserne esclusi è quella di sempre.
L'analisi, pur leggermente aggiornata, non pone nulla di diverso dal
finto piagnisteo che si sente da parecchio tempo. Quando mai in
questa repubblica c'è stata identificazione tra i cittadini e
lo stato, tra l'operato delle istituzioni e le richieste sociali
poste dal basso? L'unica cosa ora rilevabile è che finalmente
comincia a manifestarsi un certo livello di disaffezione, il che
giustamente tormenta un poco i sonni di chi sta lassù, perché
non sente troppo stabile lo scranno su cui credeva di aver posto
saldamente le chiappe. Per quanto riguarda le proposte,
faccio veramente fatica a capire quale sia il nesso
logico-consequenziale tra il problema identificato e le soluzioni
ipotizzate. Ciò che suggeriscono non mi sembra utile in nessun
modo a superare e colmare il vuoto sentito da lor signori. Essi
lamentano che la gente non li segue, non li capisce e li sente
lontani da propri bisogni. Il che per buona parte è
probabilmente vero. Ne attribuiscono la causa a come sono strutturate
le istituzioni di rappresentanza le quali, a lor dire, non sono in
grado di rendere operanti in modo coerente le richieste e le spinte
che vengono dalla società. Dati questi presupposti, che hanno
un loro effettivo senso, non si capisce però a cosa servano
dei rifacimenti di facciata. Che differenza c'è infatti tra un
sindaco eletto direttamente dai cittadini ed uno, com'è
adesso, scelto in base agli accordi interpartitici, quando poi il
modo di amministrare rimane invariato, dal momento che a decidere
realmente rimangono i giochi di alleanza in seno alla giunta e al
consiglio? Oppure cosa cambierà se i partiti saranno quattro
invece dei nove attuali, quando i giochi parlamentari resteranno gli
stessi ora, anche se aggiornati dai nuovi schieramenti? Oppure ancora
se l'approvazione delle leggi passerà attraverso una camera
sola, mentre la legislatura continuerà ad essere il frutto di
compravendite di palazzo? Come si può facilmente
immaginare la sostanza delle cose rimarrebbe intatta. Il fatto è
che ai nostri politici in realtà non interessa il distacco
che, più o meno marcato, può essersi creato tra loro e
il popolo rappresentato. Al contrario a loro interessa aggiornare i
livelli di rappresentanza politica, adeguandoli ai bisogni di
centralizzazione che i tempi richiedono. Una camera invece di due
comporta un tempo minore di decisione. Il collegio uninominale è
un ulteriore accentramento del potere del partito, che cancella la
già esigua possibilità di partecipazione dell'elettore.
Quattro partiti invece di nove permettono una maggiore possibilità
di giochi politici e allo stesso tempo favoriscono un maggior
afflusso di voti per ognuno di loro, aumentandone il livello di
legittimazione. Una logica dunque che, più che diminuire, di
fatto aumenta il distacco, proprio perché concentra più
potere decisionale nelle mani di un numero più ristretto di
persone, i più forti, appunto. Forse questi signori si illudono,
avendo la possibilità di decidere più in fretta e in
meno, di riuscire a rendere più soddisfatti gli elettori. Il
loro tentativo di accentrare maggiormente gli strumenti di decisione,
serve più che altro ad aumentare il potere di chi già
lo possiede. Tutta la problematica posta è all'insegna del
bisogno di ristrutturazione e di aumento della capacità di
dominio, contrastante con quello di avvicinare la gente comune
all'alta politica. Si tratta perciò di argomenti falsi e
pretestuosi, utili solo ai potentati partitocratici, che già
di potere ne hanno troppo, sia personale che di apparato.
Oltre il distacco
Noi vediamo di buon occhio il temuto
distacco. Temiamo solo che sia minore di quello che ci si vuol far
credere. Purtroppo infatti la disaffezione dalle istituzioni da parte
del cittadino, quando c'è e se c'è, è troppo
passiva. Corrisponde, almeno ci sembra, a un senso legittimo di
disgusto, ma non esprime il desiderio, ancora più legittimo,
di togliere ogni potere e legittimità a quei signori.
Soprattutto non c'è un clima generale per cui quelli che non
contano si vogliano appropriare della possibilità di decidere,
mentre continua ad esserci un lassismo che indica principalmente
disinteresse, senza richiedere di voler intervenire direttamente. Per noi sarebbe auspicabile che, oltre
a portare il distacco alle sue estreme conseguenze, si cominciassero
a creare strumenti di vera decisionalità collettiva, senza
delegare più alle rappresentanze politiche di potere e ai
parlamenti la possibilità di farlo per tutti noi, passando
sulle nostre teste, il più delle volte contro di noi.
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