Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 152
febbraio 1988


Rivista Anarchica Online

Le istituzioni si ri/formano
di Andrea Papi

È l'argomento all'ordine del giorno per la classe politica. È l'ultima trovata per vivacizzare un ambiente mefitico come quello del Palazzo. A sentir loro, sembra che tutto dipenda da questa riforma istituzionale, che tutti dicono di volere nell'interesse dell'intera società. Noi, invece, pensiamo che...

I politici di casa nostra soffrono di crisi d'identità e hanno un po' il fiatone grosso. Da qualche mese a questa parte si sono accorti, o perlomeno hanno ammesso, che il rapporto tra la loro professionalità e gli elettori non è molto gratificante. Da più parti, ormai quotidianamente, gli esperti di turno si sforzano di analizzare il problema che, secondo le dichiarazioni ufficiali, occuperà il dibattito politico di quest'anno: il distacco tra classe politica e paese reale. Perfino Cossiga, durante il tradizionale discorso di fine anno a reti televisive unificate, l'ha trattato come tema principale.
È l'argomento di moda. I big e le star dei partiti in passerella fanno a gara nel proporsi come i salvatori, se non della patria almeno dello stato, senza risparmiarsi nel denunciare il disfacimento progressivo cui sembriamo destinati. A meno che, ovviamente, ad ognuno di loro non venga data carta bianca per porre fine all'immoralità pubblica dilagante. Le loro parole mostrano una situazione insostenibile, sempre più degradata e degradante, alla quale è impellente metter mano con avvedutezza, coraggio e intelligenza se non si vuol rischiare il caos, o addirittura l'anarchia che, almeno secondo il punto di vista degli alti esponenti, sarebbe probabilmente peggio del normale caos.
In tutta questa manifestazione di coscienza partitocratica, tra una dichiarazione e l'altra fa capolino un aspetto estremamente comico. Ogni leader politico, nel proporsi come il salvatore, tenta di apparire quasi immune da colpe, riversandole tutte sulle altre forze politiche non rappresentate da lui. Tra le righe, quasi quasi si legge che siamo a questo punto perché non li si è mai voluti ascoltare. Ognuno di loro aveva visto giusto già da tempo, come pure aveva proposto soluzioni, ma ogni volta era stato snobbato e trattato come una Cassandra. È come assistere ad una rappresentazione d'avanguardia, che satireggia un problema classico del politicantismo di casa nostra.

Proposte comiche
Ma per le nostre orecchie sono ancora più comiche le proposte, presentate con sfacciato candore di facciata come soluzioni realmente concrete. Il denunciato distacco tra le istituzioni e i cittadini che non contano, viene attribuito a una cronica mancanza di funzionalità delle stesse, dovuta più che altro a motivi tecnici di definizione e di struttura. In altre parole, il temuto distacco esiste soprattutto perché i meccanismi del dibattito parlamentare sono troppo lenti; oppure perché c'è un numero spropositato di piccoli partitini, che servono solo a disperdere voti; oppure perché gli onorevoli votano segretamente e generano il fenomeno dei franchi tiratori, per cui un numero cospicuo di loro, protetto dalla segretezza, riesce a non obbedire agli ordini delle segreterie di partito; oppure ancora perché i sindaci non vengono eletti direttamente dai cittadini. E via di questo passo. Sembrerebbe che i cittadini non si sentano coinvolti dal funzionamento degli istituti di rappresentanza semplicemente perché questi sono organizzati male. Mentre erano giusti quando furono concepiti, oggi risulterebbero inadeguati e non più al passo coi tempi.
Identificando in queste cause le ragioni di fondo che portano al malessere istituzionale, appaiono abbastanza scontate le proposte dei salvatori. Il PSI vuole uno sbarramento elettorale del 5% dei voti, in modo da ridurre il numero dei partiti presenti in parlamento, limitandolo di fatto ai più importanti, assieme alla competenza di una sola camera per l'approvazione delle leggi. Ciò gli permetterebbe di gestire meglio i giochi di alleanza all'interno del transatlantico e di convogliare nel proprio seno una maggiore quantità di voti. Una buona parte dei democristiani vorrebbe che anche i deputati fossero eletti come i senatori attraverso una lista unica, indicata ovviamente dal partito, e che i sindaci dei comuni scaturissero direttamente dai voti, quali capolista del partito vincente; tutta la DC è contraria allo sbarramento del 5%, ma propone un diverso sistema di quorum elettorale. Come è da tempo nel loro costume, i comunisti non hanno ancora dato indicazioni precise, eccetto che vorrebbero una sola camera, mentre si sono limitati a fare valutazioni critiche e di merito. E così ogni singolo partito si esprime in base alle proprie convenienze. Non a caso i piccoli sono compattamente contrari allo sbarramento del 5%, perché ovviamente verrebbero esclusi e inevitabilmente sarebbero assorbiti dai più grandi.
Tutti si stanno dando un gran daffare, in un giro più o meno visibile di consultazioni, per accordarsi, definire nuove alleanze o consolidare le vecchie, riuscire ad imporre le proprie esigenze e la propria linea. Un po' di scalpore in questo senso ha suscitato il fatto che, al pari degli altri leader, anche il neosegretario del MSI sia stato ricevuto da Craxi e che il loro colloquio sia stato giudicato positivo da entrambi. Mentre appare scontato l'atteggiamento, per ora agnostico, del PCI: è una cautela utile a non precludersi nessuna possibilità, a rendersi appetibile sia per i socialisti che per i democristiani i quali, nella lotta in corso per la supremazia governativa, si trovano quasi costretti a riconsiderare l'escluso comunista, nel tentativo di usarlo per calmarsi a vicenda i bollenti spiriti.

L'etica del potere
Viene da chiedersi cosa c'entri tutto ciò con l'allontanamento tra classe politica e paese reale. Come pure se veramente lor signori siano sinceri nel porre tal problema e volerlo risolvere. Non c'è nulla di nuovo infatti nelle analisi che fanno, nei metodi che usano, nelle proposte messe sul tappeto. I metodi sono quelli ormai consolidatisi, tipici dei corridoi del palazzo, in cui quelli che contano, a mo' di consiglieri, stipulano accordi in politichese e mercificano, scambiandoseli, progetti e idee. L'etica del potere per conservare il predominio o non esserne esclusi è quella di sempre. L'analisi, pur leggermente aggiornata, non pone nulla di diverso dal finto piagnisteo che si sente da parecchio tempo. Quando mai in questa repubblica c'è stata identificazione tra i cittadini e lo stato, tra l'operato delle istituzioni e le richieste sociali poste dal basso? L'unica cosa ora rilevabile è che finalmente comincia a manifestarsi un certo livello di disaffezione, il che giustamente tormenta un poco i sonni di chi sta lassù, perché non sente troppo stabile lo scranno su cui credeva di aver posto saldamente le chiappe.
Per quanto riguarda le proposte, faccio veramente fatica a capire quale sia il nesso logico-consequenziale tra il problema identificato e le soluzioni ipotizzate. Ciò che suggeriscono non mi sembra utile in nessun modo a superare e colmare il vuoto sentito da lor signori. Essi lamentano che la gente non li segue, non li capisce e li sente lontani da propri bisogni. Il che per buona parte è probabilmente vero. Ne attribuiscono la causa a come sono strutturate le istituzioni di rappresentanza le quali, a lor dire, non sono in grado di rendere operanti in modo coerente le richieste e le spinte che vengono dalla società. Dati questi presupposti, che hanno un loro effettivo senso, non si capisce però a cosa servano dei rifacimenti di facciata. Che differenza c'è infatti tra un sindaco eletto direttamente dai cittadini ed uno, com'è adesso, scelto in base agli accordi interpartitici, quando poi il modo di amministrare rimane invariato, dal momento che a decidere realmente rimangono i giochi di alleanza in seno alla giunta e al consiglio? Oppure cosa cambierà se i partiti saranno quattro invece dei nove attuali, quando i giochi parlamentari resteranno gli stessi ora, anche se aggiornati dai nuovi schieramenti? Oppure ancora se l'approvazione delle leggi passerà attraverso una camera sola, mentre la legislatura continuerà ad essere il frutto di compravendite di palazzo?
Come si può facilmente immaginare la sostanza delle cose rimarrebbe intatta. Il fatto è che ai nostri politici in realtà non interessa il distacco che, più o meno marcato, può essersi creato tra loro e il popolo rappresentato. Al contrario a loro interessa aggiornare i livelli di rappresentanza politica, adeguandoli ai bisogni di centralizzazione che i tempi richiedono. Una camera invece di due comporta un tempo minore di decisione. Il collegio uninominale è un ulteriore accentramento del potere del partito, che cancella la già esigua possibilità di partecipazione dell'elettore. Quattro partiti invece di nove permettono una maggiore possibilità di giochi politici e allo stesso tempo favoriscono un maggior afflusso di voti per ognuno di loro, aumentandone il livello di legittimazione. Una logica dunque che, più che diminuire, di fatto aumenta il distacco, proprio perché concentra più potere decisionale nelle mani di un numero più ristretto di persone, i più forti, appunto.
Forse questi signori si illudono, avendo la possibilità di decidere più in fretta e in meno, di riuscire a rendere più soddisfatti gli elettori. Il loro tentativo di accentrare maggiormente gli strumenti di decisione, serve più che altro ad aumentare il potere di chi già lo possiede. Tutta la problematica posta è all'insegna del bisogno di ristrutturazione e di aumento della capacità di dominio, contrastante con quello di avvicinare la gente comune all'alta politica. Si tratta perciò di argomenti falsi e pretestuosi, utili solo ai potentati partitocratici, che già di potere ne hanno troppo, sia personale che di apparato.

Oltre il distacco
Noi vediamo di buon occhio il temuto distacco. Temiamo solo che sia minore di quello che ci si vuol far credere. Purtroppo infatti la disaffezione dalle istituzioni da parte del cittadino, quando c'è e se c'è, è troppo passiva. Corrisponde, almeno ci sembra, a un senso legittimo di disgusto, ma non esprime il desiderio, ancora più legittimo, di togliere ogni potere e legittimità a quei signori. Soprattutto non c'è un clima generale per cui quelli che non contano si vogliano appropriare della possibilità di decidere, mentre continua ad esserci un lassismo che indica principalmente disinteresse, senza richiedere di voler intervenire direttamente.
Per noi sarebbe auspicabile che, oltre a portare il distacco alle sue estreme conseguenze, si cominciassero a creare strumenti di vera decisionalità collettiva, senza delegare più alle rappresentanze politiche di potere e ai parlamenti la possibilità di farlo per tutti noi, passando sulle nostre teste, il più delle volte contro di noi.