Rivista Anarchica Online
Come ricordo Pino
di Paolo Finzi
Sempre pronto a
darti retta o a proporti un libro in lettura, a coinvolgerti nei suoi
interessi. Buono, allegro, attivo. Così un
redattore di "A" ricordava Giuseppe Pinelli in una testimonianza
apparsa sul mensile anarchico "L'Internazionale" del dicembre
1979, nel decennale della strage di stato e dell'assassinio di Pino.
Pino è stato uno
dei primi anarchici "in carne ed ossa" che io abbia
conosciuto. Quella sera del marzo '68, in un circolo culturale di
sinistra, Masini teneva una conferenza sulla Prima Internazionale:
oltre allo scarso pubblico, c'era un drappello di pochi giovani
anarchici (quasi tutti quelli allora attivi a Milano). Distribuivano
il volantino "chi sono gli anarchici" e cercavano nuovi
simpatizzanti; anch'io cercavo "gli anarchici", già dal giugno
dell'anno prima (dopo aver letto su Umanità Nova la presa di
posizione della FAI in merito alla guerra arabo-israeliana, posizione
che mi aveva entusiasmato al punto che avevo attaccato al muro U.N.
accanto alla foto di Che Guevara - che dopo avrei... tolto) -
anch'io, dicevo, volevo mettermi in contatto con i compagni, per cui
fui ben contento di accogliere l'invito che mi fu fatto di andare al
Circolo Ponte della Ghisolfa, che in quelle settimane si stava
mettendo in ordine in vista dell'inaugurazione pubblica che avvenne
poi il 1° maggio 1968 - proprio mentre il vento della ribellione
libertaria cominciava a soffiare in tutto il mondo. Tutte le volte che
scendevo al Circolo, sia che fosse pieno di gente sia che ci fosse
solo qualcuno a mettere in ordine, Pino era lì - indaffarato,
chiacchierone, attivo. Era con Cesare il più "vecchio" dei
giovani, eppure sembrava per la giovialità il più "ragazzone".
Se è vero (come spesso si sente dire) che conta molto, per un
"estraneo" che si avvicini al nostro movimento, il tipo di
ambiente, di calore umano, di disponibilità che incontra, allora
certamente Pino è stato moltissimo per me - insieme a pochi altri
compagni/e. Era sempre pronto a darti retta, a proporti un libro in
lettura, a coinvolgerti nei suoi interessi: la sua presenza si
sentiva. Altri compagni,
quelli che già allora erano militanti del Circolo, potrebbero
ricordare con maggior precisione le tante iniziative di cui Pino fu
partecipe e spesso promotore in quegli anni infuocati:
dall'assistenza alle vittime politiche (Pino era una delle "colonne"
della Croce nera anarchica) ai contatti con gli altri compagni e
gruppi del movimento (lo favoriva il fatto di essere ferroviere),
ecc. ecc. Personalmente lo ricordo sempre come un compagno buono,
allegro, attivo. L'ho rivisto per
l'ultima volta - questo lo ricordo bene - nelle stanze dell'ufficio
politico della questura milanese, quella notte del 12 dicembre 1969,
quando in tanti (certo più di un centinaio) ci ritrovammo là
"fermati", più o meno "sospettati"
dell'attentato alla banca dell'Agricoltura. Come quasi tutti i
fermati, fui rilasciato la sera successiva. Qualcuno fu trattenuto
più a lungo, al di là degli stessi termini previsti dalla (loro)
legge. Appresi dai mass-media la notizia della sua morte, che come a
tutti i compagni e a quanti lo avevano conosciuto non sembrò per
niente "oscura", come scrisse vilmente l'Unità (per
non parlare della grande stampa padronale, che parlò subito di
suicidio "perché capiva di esser stato scoperto"). I suoi funerali,
sabato 20 dicembre, sono stati la più significativa manifestazione
anarchica alla quale abbia partecipato: nel pieno della canea
anti-anarchica, isolati dalle altre organizzazioni della sinistra
parlamentare ed extra-parlamentare (Capanna e gli altri leader
stalinisti del Movimento Studentesco indissero un'assemblea contro la
repressione nell'Università Statale proprio in concomitanza con i
funerali di Pino), testimoniammo la vitalità del movimento
anarchico, sfilando in quel grigio e freddo pomeriggio, tipico
dell'inverno milanese, in un silenzio totale, rotto solo dal ronzio
delle cineprese degli sbirri dell'ufficio politico, appostati alle
finestre delle case di via Preneste, dove Pino abitava con la sua
famiglia e da dove partì il corteo funebre. Il ricordo del
volto buono di Pino richiama quello di un altro volto che chi ha
conosciuto non può dimenticare: quello di Franco Serantini, che ti
colpiva subito per le spesse lenti che portava, segno evidente di una
vista ridottissima. Se provo a immaginare la selvaggia bastonatura
alla quale è stato sottoposto in quella strada di Pisa, mentre gli
occhiali gli erano caduti e il mondo circostante per lui era
diventato densa nebbia e niente più, se provo a immaginare la sua
richiesta di soccorso e di assistenza nel carcere Don Bosco ed il
cinico menefreghismo delle autorità, mi ritrovo in quelle stanze
dell'ufficio politico milanese nelle quali Pino fu assassinato e
gettato giù.
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