Rivista Anarchica Online
Musica & idee
a cura di Marco Pandin (marcpan@tin.it)
MIMI Festival '87
...E due! La
rassegna organizzata dall'associazione Mouvement International des
Musiques Innovatrices, più brevemente conosciuta come il MIMI
Festival, è giunta quest'anno alla seconda edizione. Ai primi di luglio,
quattro giornate dedicate ad alcune delle espressioni musicali più
atipiche, anticonvenzionali e sotterranee della musica contemporanea
"altra", quella non-commerciale e marginale. I "generi"
proposti sono andati dal rock al jazz al nuovo classico (per quanto
poco possano valere queste etichette), provenienti un po' da tutta
Europa, dal Nord America, e arrivando fino al lontano Giappone. Visto
il successo della precedente rassegna, Ferdinand Richard
(responsabile dell'organizzazione e musicista alternativo da sempre)
e compagni hanno ben pensato di riproporre anche quest'anno, ed in
più grande stile, il loro progetto, però con alcuni interessanti
cambiamenti. La struttura generale del MIMI Festival è rimasta
pressappoco la stessa: quattro appuntamenti serali di due concerti
ciascuno, e a metà mattina incontri "tecnici" con i vari
musicisti partecipanti, in pratica dei workshop durante i
quali ci si scambiavano informazioni, esperienze, consigli e
suggerimenti. La bella novità di
quest'anno sono stati i concerti pomeridiani, durante i quali ci sono
state alcune "code" alle performance della serata precedente,
ma che essenzialmente sono stati costruiti attorno ad improvvisazioni
collettive (qualcuna sinceramente insostenibile, altre invece
emozionanti ed indimenticabili) fatte da alcuni dei musicisti
partecipanti e gente del pubblico, composto quest'ultimo, com'era
successo la volta scorsa, quasi interamente da altri musicisti, da
"addetti ai lavori" o da un nutrito codazzo di aficionados. Questi appuntamenti
pomeridiani, come dicevo, a volte sono stati addirittura più
entusiasmanti dei concerti serali, ed hanno riscosso un notevole
successo sin dall'inizio, vista la sempre più lunga lista d'attesa
degli iscritti alle performance. I gruppi più strampalati si sono
così venuti a formare nel giro di un quarto d'ora, gli strumenti più
diversi si sono trovati ad intrecciare i loro suoni, la Svezia si è
trovata musicalmente confinante con il Canada, gli Stati Uniti con la
Germania, l'Italia (un solo e bravo batterista, intrufolatosi nel bel
mezzo di una buffa improvvisazione) con la Gran Bretagna e col paese
del Sol Levante... Dopo avermi
diligentemente accompagnato per quasi tutto il viaggio, a settanta
chilometri da St. Remy de Provence la mia macchina ha unilateralmente
deciso di prendersi un periodo di vacanza, rovinando così le mie.
Preoccupazioni, misteri (non distinguo uno spinterogeno da un
tritacarne), una discreta e variegata collezione di imprecazioni e
bestemmie (che non sono comunque servite a far ripartire l'auto...),
poi un fortunato autostop e una doccia liberatoria. La disavventura
iniziale mi ha fatto perdere la performance d'apertura, quindi non vi
parlerò di GHEDALIA TAZARTES, cantante dalla voce definita
"multirazziale ed elettronico-acustica, che intona inni che
potrebbero provenire dal terzo come dal ventesimo secolo...". Definizioni e
propagande a parte, l'unica cosa che posso onestamente fare è
rimandarvi all'ascolto del suo album omonimo, pubblicato di recente
dall'intraprendente Ayaa Disques di Reims. L'impatto coi
successivi giapponesi AFTER DINNER è stato piuttosto curioso
e sconcertante, quasi una vera collisione di culture, non solo
musicali. La loro performance quadrifonica si è mantenuta in un
equilibrio pericoloso ed instabile fra passato e presente, tradizione
ed avanguardia, "religiosità" (occhio alle virgolette) e
trasgressione. Una misteriosa cerimonia d'apertura: il
percussionista, mascherato, ha scacciato le influenze negative dal
palcoscenico e dall'area del MIMI Festival (non dimentichiamo che St,
Remy è la città di Nostradamus...) con l'aiuto di un campanellino
magico. Un inizio che ha contribuito non poco alla creazione di
quell'atmosfera mista di attrazione e curiosità che si è
impadronita del pubblico per tutta la durata del loro spettacolo. After Dinner, per
la prima volta in questo continente: di loro conoscevo un album
omonimo pubblicato da Recommended in Inghilterra tre anni fa,
costituito da una raccolta di singoli introvabili usciti solo in
Giappone, e un paio di altre composizioni su altrettante compilation.
Dal vivo gli After Dinner bilanciano continuamente tecnologia di alto
livello (microfoni autocostruiti, sonorizzazione quadrifonica,
strumenti musicali di gran marca... naturalmente Made in Japan!) e
ripescamenti a piene mani dalle sonorità del pop inglese del
decennio passato in molte soluzioni ritmiche, negli arrangiamenti,
nell'uso della chitarra (iperdistorta, nel più classico stile
heavy). Su tutto, la voce esile e filiforme della conturbante ed
affascinante Haco, vestita come i suoi compagni con costumi
tradizionali. In un angolo del palcoscenico, il percussionista
picchia instancabilmente sui tamburi con gesti marziali, e ringrazia
il pubblico, incredulo, con le mani giunte e senza mai voltargli la
schiena in segno di rispetto. La musica degli
After Dinner è piuttosto difficile da descrivere e da avvicinare:
complicata, costruita da mille e mille piccole tessere, sfuggente e a
volte persino banale in alcuni suoi larghi respiri un po' troppo old
fashioned. Il pubblico, forse più per doverosa educazione che per
effettivo e motivato trasporto ed entusiasmo, ha dimostrato
caldamente di apprezzare il vento musicale dell'estremo Oriente, con
vere cascate di applausi e ripetute richieste di bis. La seconda serata
si è aperta in maniera serena, al suono di JULVERNE, gruppo
di giovani musicisti belgi di evidente estrazione colta e
conservatoriale, alle prese con quella che loro stessi hanno
presentato, non senza una punta di sarcasmo, come "musica etnica
belga". I Julverne hanno sciorinato una lunga e godibile serie
di proprie composizioni ed arrangiamenti, utilizzando al meglio la
propria abilità tecnica e senza sfociare troppo nel virtuosismo fine
a se stesso. Si sono così potute apprezzare melodie di sicura presa
e contorsioni sul pentagramma, funambolismi e labirinti vertiginosi
entro i quali si rincorrevano violini, clarinetti, oboe e, uno dopo
l'altro, tutti gli altri strumenti. Insomma, una performance
estremamente godibile e accessibile, eppure, nelle intenzioni degli
strumentisti, estremamente seria (ma come dimenticare il mezzo
sorriso dipinto sulle labbra dei musicisti, durante l'esecuzione di
scherzi come "Bon Noel, Captain Nemo"?). Sul gruppo
successivo in cartellone, i tedeschi DIE SCHWINDLER, si era
fatto un gran chiacchierare: secondo alcuni si sarebbe trattato
addirittura dell'appuntamento più interessante dell'intero MIMI
Festival. Le speranze, invece, sono state brutalmente affogate
durante i primi minuti dello show, uno spettacolo vagamente arrogante
e sciocchino, farcito di inutili atteggiamenti banali, probabilmente
ispirati al "recupero" del jazz illustrato in molti videoclip
d'oggigiorno. Penso che le corde del pianoforte di Dave Brubeck si
saranno rivoltate nella cassa durante il loro (non caldamente
richiesto) encore: una versione tristemente vocale della famosa "Take
five", che li ha definitivamente fatti precipitare nella cantina
dei brutti ricordi di una rassegna che, fortunatamente, durava altri
due giorni interi.
Ad iniziare la
terza serata una vecchia conoscenza: il batterista Rick Brown
(faccia sempre sorridente, occhi intelligenti, gran bel carattere)
con la sua nuova band FISH AND ROSES al suo debutto in Europa.
Con l'aiuto di una graziosa bassista/cantante e di un tastierista,
Rick aggiunge dell'ottimo e freschissimo pesce e rose profumate alla
tavola imbandita del MIMI Festival. Canzoni semplici ma mai stupide,
qualche pizzico di "dissenso" politico, come del resto solo certi
americani sanno fare, quel gusto tipicamente radical della critica
sorniona e deviante. Musicalmente i tre ci sanno fare, i ritmi si
spezzano e riannodano sotto le dita precise della giovane bassista,
le tastiere (un vecchio organo elettronico ed un moderno
mini-sintetizzatore) ricamano disegni nell'aria. Subito dopo un
curiosissimo ensemble: quattro chitarristi canadesi riuniti sotto il
nome di LES 4 GUITARISTES DE L'APOCALYPS0 BAR, affiancati
(come del resto è successo nel loro omonimo album, presentato
durante i giorni del festival) da Chris Cutler. È
stata una vera rivelazione, una combinazione riuscitissima di talento
e divertimento, sia sopra che davanti al palcoscenico. L'età media dei
componenti del gruppo era senz'altro superiore a quella del pubblico,
e il vedere quei quattro signori distintissimi in giacca e cravatta
malmenare e strizzare le loro chitarre produceva un effetto
esilarante. Anche per loro si trattava della prima apparizione
europea, e meno male che c'è stata questa occasione, poiché sarebbe
stato un vero peccato non venire a conoscenza di una così
interessante e intelligente attività al di là dell'oceano. Ultima serata: ad
aprirla sono stati i francesi ART MOULU, molto giovani
e, sinceramente, poco stimolanti. Hanno intrattenuto l'audience per
un'oretta con notevole monotonia e latitanza di creatività:
probabilmente grande parte del loro fascino risiedeva nei testi, che
purtroppo non sono riuscito a capire a fondo, visto che di francese
conosco si e no una dozzina di vocaboli. Molto, molto meglio
i CASSIBER, unico nome in programma a godere di
buona fama. Christoph Anders, Heiner Goebbels (assieme
ad Alfred Hart ancora
nella bizzarra Sogenanntes Linksradikales Blasoechester)
e Chris Cutler
(fondatore di Henry
Cow ed animatore di almeno una cinquantina di formazioni e
progetti "storici" dell'avanguardia musicale inglese ed
europea), hanno chiuso in bellezza con una performance memorabile,
tesa, ricchissima di sensazioni ed ombre appena tratteggiate. Si può
paragonare la musica dei Cassiber a una sorgente d'acqua fresca, che
sgorga direttamente dal profondo della terra: l'improvvisazione gioca
un ruolo fondamentale nella attività artistica del gruppo, e da
questo si arriva ad armonie sinuose e suggestive, a una poesia
struggente e crepuscolare nascosta in mezzo a nastri pre-registrati e
alle nuvole disegnate sui tamburi della batteria di Cutler. I
Cassiber hanno il rumore del sogno, eppure raccontano di un mondo che
esiste e che non sempre è così piacevole come la loro musica. Un
concerto da non dimenticare, un ricordo bellissimo e dolce. Che dire, in
conclusione di questo secondo MIMI Festival? C'è stata più di
qualche delusione, ampiamente controbilanciata da momenti di
autentica felicità musicale. Fare dei paralleli con l'edizione
precedente? Ci potrei anche provare, ma l'aria che si respira a St.
Remy quest'anno era troppo diversa da quella della passata edizione:
più "organizzazione", molta più gente, un rapporto tecnicamente
più difficile a stabilirsi tra musicisti e pubblico, così come
anche tra pubblico e pubblico. Nonostante le difficoltà, comunque,
resta il fatto che il MIMI Festival è un momento importante
ed insostituibile per fare il punto su quel che rimane della
cultura musicale sotterranea. Il messaggio è chiaro: che i vari
intervenuti dall'intera Francia, dalla Gran Bretagna, dal Belgio,
dall'Europa intera, da tutti i vari paesi del mondo, si impegnino a
non far morire la creatività e l'alternativa. Questi discorsi
potranno anche sembrare sciocca demagogia a basso prezzo ma è tutto
ciò che rimane, proprio adesso che si rischia di dimenticare il
profumo dell'iniziativa e della libertà solo ricorrendo l'ultimo
razzo in partenza per chissà dove.
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