Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 148
estate 1987


Rivista Anarchica Online

Primo: ricordare
di Peppe Sini

A pochi mesi dalla scomparsa del più lucido testimone dell'universo concentrazionario, la sua opera si conferma un riferimento imprescindibile sulla via della liberazione degli uomini e dei popoli. In questo articolo, alcuni appunti su Levi di Peppe Sini, promotore del "Comitato democratico contro l'emarginazione" e del Convegno su Primo Levi tenutosi a Viterbo lo scorso 25 luglio.

È mia profonda convinzione che tanta parte dei nuovi movimenti di liberazione, e particolarmente alcune esperienze che si sono contraddistinte per consapevolezza e impegno (come il movimento di psichiatria democratica) debbano molto a Primo Levi, e che in un confronto serrato con la sua opera possano e debbano trovare motivo, occasione e strumenti di ulteriore approfondimento della propria riflessione, di ulteriore radicalizzazione della propria prassi.
Perché Primo Levi è il militante e il testimone, il resistente, il disvelatore, l'uomo con cui tutti ci siamo identificati e nel profondo, e con dolore, e con orgoglio; il Primo Levi della deportazione e del lager, della memoria e della riflessione sul lager e la violenza che non finiscono; il Primo Levi di Se questo è un uomo, La tregua, di alcuni racconti del Sistema periodico e di Lilit, di alcune poesie del magro e acuto canzoniere; il Primo Levi, infine, de I sommersi e i salvati. È l'autore indimenticabile di opere ineludibili: sa poco del nostro tempo e della nostra condizione chi non le ha lette.
Ma vi sono anche altri aspetti dell'opera di Primo Levi di cui vogliamo parlare: del maestro cordiale, del pensatore rigoroso e onesto, dell'uomo "a cui molte cose vengono raccontate"; le varie sfaccettature, insomma, che contribuiscono a rendercene la pienezza, la dignità, la statura umana.

Contro il dolore
La lotta contro il dolore, contro la violenza, è uno dei punti focali dell'opera di Levi, e la sua visione del mondo ne è la scaturigine al pari della sua vissuta esperienza.
Una visione del mondo laica, razionale e fraterna, materialistica; è caratteristico di questa limpidezza di sguardo, un breve articolo, incluso ne L'altrui mestiere ed intitolato appunto Contro il dolore, in cui Levi svolge alcune semplici e serene considerazioni in fraterna discussione con Enrico Chiavacci (teologo prestigioso ed uomo di pace, impegnato nei movimenti pacifisti e non violenti, autore di un libro come Teologia morale e vita economica, Cittadella, Assisi, '86 che anch'io - materialista rigoroso - ho molto apprezzato) concludendo che è "difficile compito di ogni uomo diminuire per quanto può la tremenda morale di questa "sostanza" che inquina ogni vita, il dolore in tutte le sue forme; ed è strano, ma bello, che a questo imperativo si giunga a partire da presupposti radicalmente diversi". La laica tolleranza di Levi, e la maturità del suo materialismo, emergono nitidi nell'intera sua opera, come emerge una visione del mondo che ripudia le illusioni e le mistificazioni, che lotta contro il male e fonda questa lotta su presupposti saldissimi perché veritieri, non alienati, senza maschere e senza utopismi, ma anche senza disperazioni di maniera, con serena consapevolezza e con strazio profondo - tanto costa la dignità umana -; sono memorabili queste parole de La tregua (riprese anche nell'ultimo grande libro) sulla vergogna "che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, o che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa"; e ancora ne I sommersi e i salvati troviamo, ad esempio, che "è compito dell'uomo giusto fare guerra ad ogni privilegio non meritato, ma non si deve dimenticare che questa è una guerra senza fine".
Contro il dolore, contro l'inganno, contro l'oppressione, lungo una linea di resistenza che si snoda da Lucrezio (il grande poeta-filosofo, poeta-scienziato, "considerato pericoloso - scrive Levi - perché cercava un'interpretazione puramente razionale della natura, perché voleva liberare l'uomo dalla sofferenza e dalla paura, perché si ribellava contro ogni superstizione, e descriveva con lucida poesia l'amore terrestre") all'illuminismo radicale, a Leopardi, a Marx; una linea di resistenza che propone agli uomini anche la ricerca di un parco edonismo, la sobrietà di Epicuro: nell'"antologia personale" La ricerca delle radici (da cui abbiamo citato il giudizio su Lucrezio) Levi esemplifica questa posizione riportando con caldo consenso un passo di Bertrand Russell.
E ancora, a definire questa visione del mondo, la weltanschauung materialista di Levi, concorrono appieno i quattro filoni di ricerca, i quattro itinerari che egli delinea con le sue letture nello schema che apre La ricerca delle radici: la salvazione del riso, l'uomo soffre ingiustamente, statura dell'uomo, la salvazione del capire.
La dialettica del raccontare è un elemento saliente della consapevolezza di scrittore di Primo Levi.
Perché raccontare è in primo luogo testimonianza e comunicazione: comunicazione, che significa riconoscimento di umanità, dignità dell'io e del tu, ascoltarti ed essere ascoltato, riconoscerti ed essere riconosciuto, e così - in questo atto, in questa relazione - riconoscermi; è un capitolo fortissimo de I sommersi e i salvati quello intitolato Comunicare, e appunto dedicato a questo nodo estremo dell'esperienza del lager ("abbiamo avuto modo di capire bene, allora, che del grande continente della libertà la libertà di comunicare è una provincia importante"). Ma si veda anche quello stupendo racconto che è Decodificazione, nel libro Lilit. Comunicazione, ma anche testimonianza: testimoniare ciò che non deve essere dimenticato, ciò che deve essere capito, ciò che deve essere riscattato dalla morte ulteriore dell'oblio, del misconoscimento, del disconoscimento; raccontare per dire la verità, per combattere la morte: per salvare, per quanto è possibile, l'esistenza di Hurbinek "che aveva tre anni e forse era nato in Auschwitz e non aveva mai visto un albero"), "Hurbinek, il senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek morì ai primi giorni del marzo 1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui: egli testimonia attraverso queste mie pagine" (La tregua, capitolo secondo).
Vi è quindi un raccontare come dovere in Levi, ma anche un raccontare come passione, e come impulso; è quello che definisce muovendo dalla figura dell'Ancient Mariner di Coleridge (non casualmente in epigrafe a I sommersi e i salvati), e nella bellissima poesia dedottane, Il superstite (raccolta in Ad ora incerta, libro che già nel titolo riprende questo decisivo motivo), dal memorabile incipit: "Since then, at un uncertain hour, / Dopo di allora, ad ora incerta, / Quella pena ritorna, / E se non trova chi lo ascolti / Gli brucia in petto il cuore". Raccontare anche per liberarsi del carico intollerabile d'angoscia, per sforzarsi di comunicare l'incomunicabile, ciò che fa gorgo nell'intimo, sapendo che al fondo il segreto orrore - l'orrido segreto -, l'enigma indicibile resta insormontabile, eppure bisogna dire, bisogna che gli uomini sappiano; ed è non solo missione civile ma anche disperata passione ciò che compulsa l'ultimo libro di Levi, e la sua intera opera (ed en passant vogliamo segnalare quell'incunabolo de I sommersi e i salvati che è l'appendice del '76 all'edizione scolastica di Se questo è un uomo).
Ma vi è anche Il piacere del raccontare: la vena fantastica e fantascientifica (sui generis), morale e umorale, di Levi, sgorga anche qui, nel gusto della fabulazione, nel piacere del conversare per cui si chiede agli amici "raccontami una storia" (e Levi lo fa esplicitamente ad esempio nel racconto Argento del Sistema periodico, ad esempio ne L'anima e gli ingegneri nella raccolta di Lilit; ed esemplare è l'intero libro di duplice affabulazione orale La chiave a stella); vi è nel raccontare un'amistà, un rasserenamento, un dar forma umana - dar lingua - alla vita che sovente umana non è, che forma e armonia non ha; sintomatico di questo atteggiamento, tenero, ironico, è ad esempio il capoverso in quarta di copertina dell'ultimo libro di racconti (Lilit), in cui presentando in breve le storie raccolte nel volume si conclude: "non ci sono, che io sappia, né messaggi né profezie fondamentali; se il lettore ce li trova, è bontà sua": e quel "bontà sua" non è forse proprio anche il cordiale invito al lettore a cooperare alla storia? A proseguire la conversazione? Raccontare e ascoltare è un atto di amicizia, è amicizia in atto.

L'eredità del lager
Noi siamo a un tempo umani e non ancora umani, umani e già non più umani; così ci lacera questa storia di oppressioni, così ci lacera questo tempo di devastazioni. Di questa condizione degli uomini scissa, anfibia, Levi è testimone e poeta grandissimo. Perché in sé l'ha vissuta intensamente per molteplici scomposizioni e crisi, infinite catene di contraddizioni e dialettiche: perché tecnico e poeta, scienziato e scrittore, manipolatore di elementi chimici e di elementi linguistici, perché testimone di una condizione di totale alterità dall'umano, testimone del lager ("non uno degli eventi, ma l'evento mostruoso, forse irripetibile, della storia umana", parole di Bobbio che Levi cita nell'ultimo libro), perché perseguitato razziale.
Creatura ancipite in molti campi della sua attività e in molte situazioni della sua identità, e quindi testimone veritiero e profondo di situazioni scisse, nonché felice - se il termine è lecito - creatore di figure poetiche lacerate (si pensi ad esempio ai due racconti speculari di Recuenco, in Vizio di forma), Levi ha elaborato anche efficaci, illuminanti metafore di questa condizione, riprendendo ad esempio la figura di Tiresia (ne La chiave a stella), o creando quel magnifico racconto che è Quaestio de Centauris (in Storie naturali), o anche - a un livello già diverso, e ben addentro a una riflessione sulla letteratura che muove forse dal secondo Chisciotte - nel pur poco riuscito racconto La ragazza del libro (in Lilit).
Noi non siamo ancora nel regno della libertà, ed energie sempre più massicce ed alacri lavorano ad impedire che mai l'uomo possa realizzarsi, né si possa raggiungere la liberazione delle persone e dei popoli: l'eredità del lager, Levi lo segnalava con forza incomparabile nell'ultimo e fondamentale libro, è ancor oggi ben viva e operante. La testimonianza, la resistenza, la lotta sono l'eredità che Primo Levi ci ha lasciato e che dobbiamo portare avanti. Non dobbiamo, non possiamo sottrarci a questo compito.