Rivista Anarchica Online
Primo: ricordare
di Peppe Sini
A pochi mesi
dalla scomparsa del più lucido testimone dell'universo
concentrazionario, la sua opera si conferma un riferimento
imprescindibile sulla via della liberazione degli uomini e dei
popoli. In questo
articolo, alcuni appunti su Levi di Peppe Sini, promotore del
"Comitato democratico contro l'emarginazione" e del Convegno
su Primo Levi tenutosi a Viterbo lo scorso 25 luglio.
È
mia profonda convinzione che tanta parte dei nuovi movimenti di
liberazione, e particolarmente alcune esperienze che si sono
contraddistinte per consapevolezza e impegno (come il movimento di
psichiatria democratica) debbano molto a Primo Levi, e che in un
confronto serrato con la sua opera possano e debbano trovare motivo,
occasione e strumenti di ulteriore approfondimento della propria
riflessione, di ulteriore radicalizzazione della propria prassi. Perché Primo Levi
è il militante e il testimone, il resistente, il disvelatore, l'uomo
con cui tutti ci siamo identificati e nel profondo, e con dolore, e
con orgoglio; il Primo Levi della deportazione e del lager, della
memoria e della riflessione sul lager e la violenza che non
finiscono; il Primo Levi di Se questo è un uomo, La
tregua, di alcuni racconti del Sistema periodico e di
Lilit, di alcune poesie del magro e acuto canzoniere; il Primo
Levi, infine, de I sommersi e i salvati. È
l'autore indimenticabile di opere ineludibili: sa poco del nostro
tempo e della nostra condizione chi non le ha lette. Ma vi sono anche
altri aspetti dell'opera di Primo Levi di cui vogliamo parlare: del
maestro cordiale, del pensatore rigoroso e onesto, dell'uomo "a
cui molte cose vengono raccontate"; le varie sfaccettature,
insomma, che contribuiscono a rendercene la pienezza, la dignità, la
statura umana.
Contro il dolore
La
lotta contro il dolore, contro la violenza, è uno dei punti
focali dell'opera di Levi, e la sua visione del mondo ne è la
scaturigine al pari della sua vissuta esperienza. Una visione del
mondo laica, razionale e fraterna, materialistica; è caratteristico
di questa limpidezza di sguardo, un breve articolo, incluso ne
L'altrui mestiere ed intitolato appunto Contro il dolore,
in cui Levi svolge alcune semplici e serene considerazioni in
fraterna discussione con Enrico Chiavacci (teologo prestigioso ed
uomo di pace, impegnato nei movimenti pacifisti e non violenti,
autore di un libro come Teologia morale e vita economica,
Cittadella, Assisi, '86 che anch'io - materialista rigoroso - ho
molto apprezzato) concludendo che è "difficile compito di ogni
uomo diminuire per quanto può la tremenda morale di questa
"sostanza" che inquina ogni vita, il dolore in tutte le sue
forme; ed è strano, ma bello, che a questo imperativo si giunga a
partire da presupposti radicalmente diversi". La laica
tolleranza di Levi, e la maturità del suo materialismo, emergono
nitidi nell'intera sua opera, come emerge una visione del mondo che
ripudia le illusioni e le mistificazioni, che lotta contro il male e
fonda questa lotta su presupposti saldissimi perché veritieri, non
alienati, senza maschere e senza utopismi, ma anche senza
disperazioni di maniera, con serena consapevolezza e con strazio
profondo - tanto costa la dignità umana -; sono memorabili queste
parole de La tregua (riprese anche nell'ultimo grande libro)
sulla vergogna "che il giusto prova davanti alla colpa commessa da
altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta
irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, o che la sua
volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa";
e ancora ne I sommersi e i salvati troviamo, ad
esempio, che "è compito dell'uomo giusto fare guerra ad ogni
privilegio non meritato, ma non si deve dimenticare che questa è una
guerra senza fine". Contro il dolore,
contro l'inganno, contro l'oppressione, lungo una linea di resistenza
che si snoda da Lucrezio (il grande poeta-filosofo, poeta-scienziato,
"considerato pericoloso - scrive Levi - perché cercava
un'interpretazione puramente razionale della natura, perché voleva
liberare l'uomo dalla sofferenza e dalla paura, perché si ribellava
contro ogni superstizione, e descriveva con lucida poesia l'amore
terrestre") all'illuminismo radicale, a Leopardi, a Marx; una
linea di resistenza che propone agli uomini anche la ricerca di un
parco edonismo, la sobrietà di Epicuro: nell'"antologia personale"
La ricerca delle radici (da cui abbiamo citato
il giudizio su Lucrezio) Levi esemplifica questa posizione riportando
con caldo consenso un passo di Bertrand Russell. E ancora, a
definire questa visione del mondo, la weltanschauung materialista di
Levi, concorrono appieno i quattro filoni di ricerca, i quattro
itinerari che egli delinea con le sue letture nello schema che apre
La ricerca delle radici: la salvazione del riso, l'uomo soffre
ingiustamente, statura dell'uomo, la salvazione del capire. La dialettica del
raccontare è un elemento saliente della consapevolezza di scrittore
di Primo Levi. Perché raccontare
è in primo luogo testimonianza e comunicazione: comunicazione,
che significa riconoscimento di umanità, dignità dell'io e del tu,
ascoltarti ed essere ascoltato, riconoscerti ed essere riconosciuto,
e così - in questo atto, in questa relazione - riconoscermi; è un
capitolo fortissimo de I sommersi e i salvati quello
intitolato Comunicare, e appunto dedicato a questo nodo
estremo dell'esperienza del lager ("abbiamo avuto modo di capire
bene, allora, che del grande continente della libertà la libertà di
comunicare è una provincia importante"). Ma si veda anche quello
stupendo racconto che è Decodificazione, nel libro Lilit.
Comunicazione, ma anche testimonianza: testimoniare ciò che
non deve essere dimenticato, ciò che deve essere capito, ciò che
deve essere riscattato dalla morte ulteriore dell'oblio, del
misconoscimento, del disconoscimento; raccontare per dire la verità,
per combattere la morte: per salvare, per quanto è possibile,
l'esistenza di Hurbinek "che aveva tre anni e forse era nato in
Auschwitz e non aveva mai visto un albero"), "Hurbinek, il
senza-nome, il cui minuscolo avambraccio era pure stato segnato col
tatuaggio di Auschwitz; Hurbinek morì ai primi giorni del marzo
1945, libero ma non redento. Nulla resta di lui: egli testimonia
attraverso queste mie pagine" (La tregua, capitolo
secondo). Vi è quindi un
raccontare come dovere in Levi, ma anche un raccontare come passione,
e come impulso; è quello che definisce muovendo dalla figura
dell'Ancient Mariner di Coleridge (non casualmente in epigrafe
a I sommersi e i salvati), e nella bellissima poesia
dedottane, Il superstite (raccolta in Ad ora
incerta, libro che già nel titolo riprende questo
decisivo motivo), dal memorabile incipit: "Since then,
at un uncertain hour, / Dopo di allora, ad ora
incerta, / Quella pena ritorna, / E se non trova chi lo ascolti / Gli
brucia in petto il cuore". Raccontare anche per liberarsi del
carico intollerabile d'angoscia, per sforzarsi di comunicare
l'incomunicabile, ciò che fa gorgo nell'intimo, sapendo che al fondo
il segreto orrore - l'orrido segreto -, l'enigma indicibile resta
insormontabile, eppure bisogna dire, bisogna che gli uomini sappiano;
ed è non solo missione civile ma anche disperata passione ciò che
compulsa l'ultimo libro di Levi, e la sua intera opera (ed en passant
vogliamo segnalare quell'incunabolo de I sommersi e
i salvati che è l'appendice del '76 all'edizione scolastica di
Se questo è un uomo). Ma vi è anche Il
piacere del raccontare: la vena fantastica e
fantascientifica (sui generis), morale e umorale, di Levi, sgorga
anche qui, nel gusto della fabulazione, nel piacere del conversare
per cui si chiede agli amici "raccontami una storia" (e
Levi lo fa esplicitamente ad esempio nel racconto Argento del
Sistema periodico, ad esempio ne L'anima e gli
ingegneri nella raccolta di Lilit; ed esemplare è
l'intero libro di duplice affabulazione orale La chiave a stella);
vi è nel raccontare un'amistà, un rasserenamento, un dar forma
umana - dar lingua - alla vita che sovente umana non è, che forma e
armonia non ha; sintomatico di questo atteggiamento, tenero, ironico,
è ad esempio il capoverso in quarta di copertina dell'ultimo libro
di racconti (Lilit), in cui presentando in breve le storie
raccolte nel volume si conclude: "non ci sono, che io sappia, né
messaggi né profezie fondamentali; se il lettore ce li trova, è
bontà sua": e quel "bontà sua" non è forse proprio
anche il cordiale invito al lettore a cooperare alla storia? A
proseguire la conversazione? Raccontare e ascoltare è un atto di
amicizia, è amicizia in atto.
L'eredità del
lager
Noi siamo a un tempo
umani e non ancora umani, umani e già non più umani; così ci
lacera questa storia di oppressioni, così ci lacera questo tempo di
devastazioni. Di questa condizione degli uomini scissa, anfibia, Levi
è testimone e poeta grandissimo. Perché in sé l'ha vissuta
intensamente per molteplici scomposizioni e crisi, infinite catene di
contraddizioni e dialettiche: perché tecnico e poeta, scienziato e
scrittore, manipolatore di elementi chimici e di elementi
linguistici, perché testimone di una condizione di totale alterità
dall'umano, testimone del lager ("non uno degli eventi, ma
l'evento mostruoso, forse irripetibile, della storia umana",
parole di Bobbio che Levi cita nell'ultimo libro), perché
perseguitato razziale. Creatura ancipite
in molti campi della sua attività e in molte situazioni della sua
identità, e quindi testimone veritiero e profondo di situazioni
scisse, nonché felice - se il termine è lecito - creatore di figure
poetiche lacerate (si pensi ad esempio ai due racconti speculari di
Recuenco, in Vizio di forma), Levi ha
elaborato anche efficaci, illuminanti metafore di questa condizione,
riprendendo ad esempio la figura di Tiresia (ne La chiave
a stella), o creando quel magnifico racconto che è
Quaestio de Centauris (in Storie
naturali), o anche - a un livello già diverso, e ben addentro a
una riflessione sulla letteratura che muove forse dal secondo
Chisciotte - nel pur poco riuscito racconto La ragazza
del libro (in Lilit). Noi non siamo
ancora nel regno della libertà, ed energie sempre più massicce ed
alacri lavorano ad impedire che mai l'uomo possa realizzarsi, né si
possa raggiungere la liberazione delle persone e dei popoli:
l'eredità del lager, Levi lo segnalava con forza incomparabile
nell'ultimo e fondamentale libro, è ancor oggi ben viva e operante.
La testimonianza, la resistenza, la lotta sono l'eredità che Primo
Levi ci ha lasciato e che dobbiamo portare avanti. Non dobbiamo, non
possiamo sottrarci a questo compito.
|