Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 148
estate 1987


Rivista Anarchica Online

Macché a senso unico
di Amedeo Bertolo / Rossella Di Leo

Ai compagni di Eleuthera, editori de La quinta libertà, abbiamo fatto leggere - in anticipo sulla pubblicazione - questa recensione del nostro redattore Paolo Finzi. Pubblichiamo qui di seguito la loro replica.

Quando Wojtyla stringe la mano a Pinochet si giustifica dicendo "In Polonia è peggio" (ma è poi vero?). L'avvocato Vergés difende Barbie... cambiando discorso e parlando dei delitti del colonialismo (indiscutibili e indiscutibilmente orrendi, ma che c'entrano con Barbie ed il nazismo?).
Quand'è uscito L'arcipelago Gulag i comunisti ed i filosovietici hanno tirato in ballo... il Sud-Africa, i ghetti neri degli USA ecc. Simmetricamente, quando gli angloamericani nel 1944 hanno bruciato vivi, con un bombardamento a bombe incendiarie in due tempi (per fare uscire la gente dai rifugi antiaerei dopo il primo passaggio) trecentomila abitanti di Dresda... si sono giustificati con i crimini nazisti.
Per venire al nostro piccolo, quando le edizioni Antistato hanno pubblicato Gli abiti nuovi del presidente Mao, sulla rivoluzione culturale cinese, nessuno per fortuna ci ha mai detto: "Perché S. Leys non parla anche dello sfruttamento alla catena di montaggio della FIAT o della dittatura brasiliana?".
Ora, invece, Finzi accusa Chomsky di fare il gioco "del nemico" (del nemico!) perché si occupa dei crimini USA senza anche occuparsi dei crimini URSS.
Attenzione, il libro di Chomsky non è un libro sulla malvagità umana, bensì uno studio della politica estera americana. Certo non s'occupa che di sfuggita delle porcherie dell'impero sovietico. (Come non si occupa di tante altre orribili cose che sono accadute e accadono qua e là). Però scrive, a proposito dell'uso del termine "socialismo": "Invece ai dirigenti dell'Unione Sovietica serve per acquistare legittimazione e consenso, sfruttando l'aureola degli ideali socialisti e il rispetto che essi si meritano, allo scopo di nascondere la distruzione d'ogni traccia di socialismo da essi perpetrata fin dal primo momento del loro sanguinario dominio" (e questo non ci sembra linguaggio " filosovietico" da "Nuova Unità" ). Si occupa palesemente e dichiaratamente dell'Impero d'Occidente. Proprio come Solzenicyn s'occupava del Gulag e non, ad esempio, dei ventimila desaparecidos argentini.
Attenzione, è facile giocare al gioco - che Finzi attribuisce, capovolto, a Chomsky - del "ma allora perché non parlare anche di...".
La quinta libertà è un libro importante e serio. Importante perché non si limita a dirci che gli USA si comportano da "gendarmi del mondo libero", ma che gran parte di quel mondo è tutt'altro che libero proprio secondo la concezione liberal-democratica e che, soprattutto, non di poliziotti si tratta in gran numero di situazioni ma di terroristi di Stato: distruggere villaggi, squartare bambini a colpi di machete e violentare donne non ci sembra normale opera di polizia.
Certo... anche in Afganistan, in Siria, in Iran, in Cambogia.... Certo Stalin... Ma non ricominciamo con il giochetto. Tuttavia, come ben dice Chomsky, mentre per alcuni massacri (quelli perpetrati all'esterno del nostro "blocco") noi possiamo solo "protestare" e "denunciare", per altri (quelli che avvengono all'interno del nostro "blocco" ) noi possiamo agire per farli cessare. A questo proposito Chomsky cita il caso della Cambogia e di Timor, attaccando il servilismo dei media e degli intellettuali: "Quegli stessi che hanno espresso grande indignazione per i massacri che, contemporaneamente (ai massacri di Timor), venivano perpetrati da Pol Pot, per molti versi simili a questi, ma con la differenza che per quelli non potevano far nulla per farli cessare, mentre avrebbero potuto far cessare immediatamente la strage di Timor se avessero fatto pressioni perché l'appoggio americano agli aggressori indonesiani fosse ritirato".
Dunque il libro di Chomsky è importante per almeno tre motivi.
In primo luogo è un documentatissimo catalogo di efferatezze (non occasionali bensì sistematiche, non avvenute nel '68 bensì in corso oggi) da far rizzare i capelli in testa. Efferatezze programmate e finanziate consapevolmente dalle varie Amministrazioni statunitensi (e non solo dalla famigerata CIA), anche se per lo più eseguite da bande armate locali addestrate da "consigliori" USA, israeliani, argentini, ecc. Efferatezze, ahinoi, che hanno una loro perversa razionalità che Chomsky cerca di spiegare. In secondo luogo, Chomsky ci dimostra - con la consueta abbondanza e precisione documentaria - che sulle linee di fondo della politica estera tutto l'establishment americano è d'accordo, liberal e reazionari uniti nella lotta.
Infine Chomsky, riprendendo il tema a lui caro della complicità degli intellettuali e dei mass-media, ci documenta la malafede di tutto l'apparato "ideologico" e "propagandistico" americano e con ciò cerca di spiegare anche il paradosso di un Paese estremamente "libero" (Chomsky non teme di chiamarlo "il più libero del mondo", il che beninteso non vuol dire "il più libero possibile" dato il mondo che ci ritroviamo) e dove tuttavia di fatto la libertà non sembra fruibile e comunque non viene fruita dalla grande maggioranza della popolazione, che subisce o addirittura applaude le peggiori scelte politiche operate da una ristretta élite dominante.
Di questo parla il libro, con particolare (ma non esclusivo) riferimento all'America Centrale. E di questo si dovrebbe discutere proficuamente.