Rivista Anarchica Online
Macché a
senso unico
di Amedeo Bertolo / Rossella Di Leo
Ai compagni di
Eleuthera, editori de
La quinta libertà,
abbiamo fatto leggere - in anticipo sulla pubblicazione - questa
recensione del nostro redattore Paolo Finzi. Pubblichiamo qui di
seguito la loro replica.
Quando Wojtyla
stringe la mano a Pinochet si giustifica dicendo "In Polonia è
peggio" (ma è poi vero?). L'avvocato Vergés
difende Barbie... cambiando discorso e parlando dei delitti del
colonialismo (indiscutibili e indiscutibilmente orrendi, ma che
c'entrano con Barbie ed il nazismo?). Quand'è
uscito L'arcipelago Gulag i comunisti ed i filosovietici hanno
tirato in ballo... il Sud-Africa, i ghetti neri degli USA ecc.
Simmetricamente, quando gli angloamericani nel 1944 hanno bruciato
vivi, con un bombardamento a bombe incendiarie in due tempi (per fare
uscire la gente dai rifugi antiaerei dopo il primo passaggio)
trecentomila abitanti di Dresda... si sono giustificati con i crimini
nazisti. Per venire al
nostro piccolo, quando le edizioni Antistato hanno pubblicato Gli
abiti nuovi del presidente Mao, sulla rivoluzione culturale
cinese, nessuno per fortuna ci ha mai detto: "Perché S.
Leys non parla anche dello sfruttamento alla catena di montaggio
della FIAT o della dittatura brasiliana?". Ora, invece, Finzi
accusa Chomsky di fare il gioco "del nemico" (del
nemico!) perché si occupa dei crimini
USA senza anche occuparsi dei crimini URSS. Attenzione, il
libro di Chomsky non è un libro sulla malvagità umana,
bensì uno studio della politica estera americana. Certo non
s'occupa che di sfuggita delle porcherie dell'impero sovietico. (Come
non si occupa di tante altre orribili cose che sono accadute e
accadono qua e là). Però scrive, a proposito dell'uso
del termine "socialismo": "Invece ai dirigenti
dell'Unione Sovietica serve per acquistare legittimazione e consenso,
sfruttando l'aureola degli ideali socialisti e il rispetto che essi
si meritano, allo scopo di nascondere la distruzione d'ogni traccia
di socialismo da essi perpetrata fin dal primo momento del loro
sanguinario dominio" (e questo non ci sembra linguaggio "
filosovietico" da "Nuova Unità" ). Si occupa
palesemente e dichiaratamente dell'Impero d'Occidente. Proprio come
Solzenicyn s'occupava del Gulag e non, ad esempio, dei ventimila
desaparecidos argentini. Attenzione, è
facile giocare al gioco - che Finzi attribuisce, capovolto, a Chomsky -
del "ma allora perché non parlare anche di...". La quinta
libertà è un libro importante e serio.
Importante perché non si limita a dirci che gli USA si
comportano da "gendarmi del mondo libero", ma che gran
parte di quel mondo è tutt'altro che libero proprio secondo la
concezione liberal-democratica e che, soprattutto, non di poliziotti
si tratta in gran numero di situazioni ma di terroristi di
Stato: distruggere villaggi, squartare bambini a colpi di machete e
violentare donne non ci sembra normale opera di polizia. Certo... anche in
Afganistan, in Siria, in Iran, in Cambogia.... Certo Stalin... Ma non
ricominciamo con il giochetto. Tuttavia, come ben dice Chomsky,
mentre per alcuni massacri (quelli perpetrati all'esterno del nostro
"blocco") noi possiamo solo "protestare" e
"denunciare", per altri (quelli che avvengono all'interno
del nostro "blocco" ) noi possiamo agire per farli cessare.
A questo proposito Chomsky cita il caso della Cambogia e di Timor,
attaccando il servilismo dei media e degli intellettuali: "Quegli
stessi che hanno espresso grande indignazione per i massacri che,
contemporaneamente (ai massacri di Timor), venivano perpetrati da Pol
Pot, per molti versi simili a questi, ma con la differenza che per
quelli non potevano far nulla per farli cessare, mentre avrebbero
potuto far cessare immediatamente la strage di Timor se avessero
fatto pressioni perché l'appoggio americano agli aggressori
indonesiani fosse ritirato". Dunque il libro di
Chomsky è importante per almeno tre motivi. In primo luogo è
un documentatissimo catalogo di efferatezze (non occasionali bensì
sistematiche, non avvenute nel '68 bensì in corso oggi) da far
rizzare i capelli in testa. Efferatezze programmate e finanziate
consapevolmente dalle varie Amministrazioni statunitensi (e non solo
dalla famigerata CIA), anche se per lo più eseguite da bande
armate locali addestrate da "consigliori" USA, israeliani,
argentini, ecc. Efferatezze, ahinoi, che hanno una loro perversa
razionalità che Chomsky cerca di spiegare. In secondo luogo,
Chomsky ci dimostra - con la consueta abbondanza e precisione
documentaria - che sulle linee di fondo della politica estera tutto
l'establishment americano è d'accordo, liberal e reazionari
uniti nella lotta. Infine Chomsky,
riprendendo il tema a lui caro della complicità degli
intellettuali e dei mass-media, ci documenta la malafede di tutto
l'apparato "ideologico" e "propagandistico"
americano e con ciò cerca di spiegare anche il paradosso di un
Paese estremamente "libero" (Chomsky non teme di chiamarlo
"il più libero del mondo", il che beninteso non vuol
dire "il più libero possibile" dato il mondo che ci
ritroviamo) e dove tuttavia di fatto la libertà non sembra
fruibile e comunque non viene fruita dalla grande maggioranza della
popolazione, che subisce o addirittura applaude le peggiori scelte
politiche operate da una ristretta élite dominante. Di questo parla il
libro, con particolare (ma non esclusivo) riferimento all'America
Centrale. E di questo si dovrebbe discutere proficuamente.
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