Rivista Anarchica Online
Ma quale
protezione civile?
di Marco Cerutti
In Svizzera i
cittadini sono tenuti a partecipare a corsi di protezione civile. Denunciandone
l'inquadramento in un'ottica militare, l'anarchico ticinese Marco
"Bak" Cerutti si è rifiutato di parteciparvi ed è stato
multato. Ma non intende
pagare e per questo sconterà in settembre 16 giorni di carcere.
Sono un
antimilitarista già condannato a più riprese per rifiuto del
servizio, rifiuto del pagamento della tassa di esenzione dal servizio
militare, rifiuto di partecipare ai corsi di protezione civile, a più
di nove mesi di carcere. Per non essermi
presentato a due Corsi introduttivi di PROTEZIONE CIVILE mi sono
state inflitte dal Dipartimento Militare multe per complessivi
franchi 608,80, che mi son rifiutato di pagare e commutate quindi in
16 giorni di arresto (un'ora di libertà equivarrebbe dunque a fr.
1,58, quanto una tavoletta di cioccolata...).
Secondo questa
condanna, lesiva della mia libertà e dignità, non perché ritenga
di aver compiuto un'azione riprovevole e nociva alla società, ma
unicamente perché costretto. Per protestare
contro il mio arresto e per ribadire la mia totale opposizione a
questa istituzione paramilitare che legittima, per le sue funzioni,
l'esistenza dell'esercito, e che crea, mediante la sua politica di
diffusione dei rifugi anti-atomici, pericolosissime illusioni sulle
possibilità di sopravvivenza in caso di conflitto nucleare, ho
deciso di astenermi dal cibo durante 16 giorni di detenzione (nel
caso in cui, per mancanza di disponibilità di posti allo Stampino o
per qualsiasi altro motivo, dovessi essere rinchiuso nelle carceri
pretoriali, mi asterrò anche dall'assunzione di acqua, perché la
mia dignità di essere umano si ribella al fatto che delle persone
siano imprigionate in istituti "...in clamoroso contrasto con le
esigenze poste sia dalla Convenzione europea dei diritti
dell'uomo..., sia dalle regole minime europee sul trattamento dei
detenuti...". (avv. Sergio Jacomella, Corriere del Ticino del
4.6.'87), quali lo sono appunto le Pretoriali). Non ho
evidentemente nessuna obiezione al fatto che la comunità si dia
delle strutture di intervento nel caso di catastrofi naturali, ma
tali strutture non devono essere integrate nel sistema militare. Una vera protezione
civile è quella che si adopera per eliminare le cause e le
possibilità di disastri più o meno reversibili; in questo senso
considero la mia azione, proprio per il suo carattere
antimilitarista, un'opera di PROTEZIONE CIVILE.
Dichiaro infine di
rinunciare al posto di sopravvivenza assegnatomi nei rifugi
anti-atomici, e chiedo che la somma risparmiata in conseguenza a tale
rinuncia venga utilizzata a sostegno di progetti autogestiti di
ricerca sulla pace, a tutela dell'ambiente e a favore
dell'emancipazione sociale nel III Mondo. Saluti libertari
Marco Cerutti
P.S.
Illuminante, sull'utilità dei rifugi della Protezione Civile, al di
là del tragicomico episodio di Olivone durante la recente alluvione,
dove il "nuovissimo rifugio collettivo dotato di 850 posti
letto, non si è potuto utilizzare per l'evacuazione della
popolazione perché esposto a pericolo di inondazione." (v.
Interrogazione dell'On. Truaisch al CdS), è la conseguente
dichiarazione del Partito Socialista Svizzero apparsa recentemente su
"Libera Stampa":
Il PSS comunica. Il Dipartimento
di giustizia e polizia vuole instaurare una completa sicurezza nei
rifugi. Entro il 2000 ogni cittadino/a avrà il posto riservato in un
rifugio, ha recentemente comunicato il Dipartimento. Tutto ciò sarà
necessario, se si intende garantire la protezione al 100% della
popolazione, creare dei rifugi supplementari per 250.000 persone.
La sicurezza
completa dei rifugi si basa però su un'ingannevole soluzione e serve
a dare false speranze di sicurezza alla popolazione. In caso di
catastrofi di tipo nucleare, i rifugi sono infatti solo parzialmente
utilizzabili; detto diversamente, la protezione è senza alcuna
garanzia. Lo stesso Consiglio federale ha dichiarato il 9 giugno
scorso, in risposta ad un'interrogazione parlamentare, che bisognerà
chiudere gli impianti di ventilazione altrimenti i "gas nobili
radioattivi penetrerebbero troppo rapidamente nel rifugio". L'11 giugno
1986, l'Ufficio federale dell'energia, responsabile del settore ha
dichiarato che "con una densità d'occupazione normale, gli esseri
umani possono vivere circa cinque ore in un rifugio ermeticamente
chiuso". Ora, le catastrofi di reattori nucleari - l'abbiamo
imparato con Chernobyl - durano ben più di cinque ore. Secondo le
indicazioni ufficiali, al momento della catastrofe chimica di
Schweizerhalle del 1 novembre 1986, soltanto 2.800 dei 4.200 rifugi
privati e pubblici erano utilizzabili nella città di Basilea.
Inoltre la popolazione non avrebbe potuto raggiungere un rifugio di
protezione in quanto è proibito uscire dalle proprie case nel caso
l'aria fosse avvelenata.
Non abbiamo
bisogno di una nuova ideologia del rifugio di protezione, ma dobbiamo
piuttosto vigilare - come lo afferma il professor Hans B. Binswanger
dell'Università di San Gallo - "affinché qualsiasi minimo rischio di
grossi catastrofi come Chernobyl, Bhopal, o Basilea, sia ridotto a
zero". I rifugi non ci proteggono dal deperimento delle foreste
o dall'inquinamento atmosferico. La politica deve concentrarsi sulla
protezione dell'ambiente e la società, e non su dei rifugi che, in
caso di catastrofi, si trasformino "dopo cinque ore", come Io
ammette l'Ufficio federale competente, in trappole per topi. Ogni commento è
decisamente superfluo!
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