Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 148
estate 1987


Rivista Anarchica Online

Ma quale protezione civile?
di Marco Cerutti

In Svizzera i cittadini sono tenuti a partecipare a corsi di protezione civile. Denunciandone l'inquadramento in un'ottica militare, l'anarchico ticinese Marco "Bak" Cerutti si è rifiutato di parteciparvi ed è stato multato. Ma non intende pagare e per questo sconterà in settembre 16 giorni di carcere.

Sono un antimilitarista già condannato a più riprese per rifiuto del servizio, rifiuto del pagamento della tassa di esenzione dal servizio militare, rifiuto di partecipare ai corsi di protezione civile, a più di nove mesi di carcere.
Per non essermi presentato a due Corsi introduttivi di PROTEZIONE CIVILE mi sono state inflitte dal Dipartimento Militare multe per complessivi franchi 608,80, che mi son rifiutato di pagare e commutate quindi in 16 giorni di arresto (un'ora di libertà equivarrebbe dunque a fr. 1,58, quanto una tavoletta di cioccolata...).

Secondo questa condanna, lesiva della mia libertà e dignità, non perché ritenga di aver compiuto un'azione riprovevole e nociva alla società, ma unicamente perché costretto.
Per protestare contro il mio arresto e per ribadire la mia totale opposizione a questa istituzione paramilitare che legittima, per le sue funzioni, l'esistenza dell'esercito, e che crea, mediante la sua politica di diffusione dei rifugi anti-atomici, pericolosissime illusioni sulle possibilità di sopravvivenza in caso di conflitto nucleare, ho deciso di astenermi dal cibo durante 16 giorni di detenzione (nel caso in cui, per mancanza di disponibilità di posti allo Stampino o per qualsiasi altro motivo, dovessi essere rinchiuso nelle carceri pretoriali, mi asterrò anche dall'assunzione di acqua, perché la mia dignità di essere umano si ribella al fatto che delle persone siano imprigionate in istituti "...in clamoroso contrasto con le esigenze poste sia dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo..., sia dalle regole minime europee sul trattamento dei detenuti...". (avv. Sergio Jacomella, Corriere del Ticino del 4.6.'87), quali lo sono appunto le Pretoriali).
Non ho evidentemente nessuna obiezione al fatto che la comunità si dia delle strutture di intervento nel caso di catastrofi naturali, ma tali strutture non devono essere integrate nel sistema militare.
Una vera protezione civile è quella che si adopera per eliminare le cause e le possibilità di disastri più o meno reversibili; in questo senso considero la mia azione, proprio per il suo carattere antimilitarista, un'opera di PROTEZIONE CIVILE.
Dichiaro infine di rinunciare al posto di sopravvivenza assegnatomi nei rifugi anti-atomici, e chiedo che la somma risparmiata in conseguenza a tale rinuncia venga utilizzata a sostegno di progetti autogestiti di ricerca sulla pace, a tutela dell'ambiente e a favore dell'emancipazione sociale nel III Mondo.
Saluti libertari

Marco Cerutti

P.S. Illuminante, sull'utilità dei rifugi della Protezione Civile, al di là del tragicomico episodio di Olivone durante la recente alluvione, dove il "nuovissimo rifugio collettivo dotato di 850 posti letto, non si è potuto utilizzare per l'evacuazione della popolazione perché esposto a pericolo di inondazione." (v. Interrogazione dell'On. Truaisch al CdS), è la conseguente dichiarazione del Partito Socialista Svizzero apparsa recentemente su "Libera Stampa":

Il PSS comunica.
Il Dipartimento di giustizia e polizia vuole instaurare una completa sicurezza nei rifugi. Entro il 2000 ogni cittadino/a avrà il posto riservato in un rifugio, ha recentemente comunicato il Dipartimento. Tutto ciò sarà necessario, se si intende garantire la protezione al 100% della popolazione, creare dei rifugi supplementari per 250.000 persone.
La sicurezza completa dei rifugi si basa però su un'ingannevole soluzione e serve a dare false speranze di sicurezza alla popolazione. In caso di catastrofi di tipo nucleare, i rifugi sono infatti solo parzialmente utilizzabili; detto diversamente, la protezione è senza alcuna garanzia. Lo stesso Consiglio federale ha dichiarato il 9 giugno scorso, in risposta ad un'interrogazione parlamentare, che bisognerà chiudere gli impianti di ventilazione altrimenti i "gas nobili radioattivi penetrerebbero troppo rapidamente nel rifugio".

L'11 giugno 1986, l'Ufficio federale dell'energia, responsabile del settore ha dichiarato che "con una densità d'occupazione normale, gli esseri umani possono vivere circa cinque ore in un rifugio ermeticamente chiuso". Ora, le catastrofi di reattori nucleari - l'abbiamo imparato con Chernobyl - durano ben più di cinque ore.
Secondo le indicazioni ufficiali, al momento della catastrofe chimica di Schweizerhalle del 1 novembre 1986, soltanto 2.800 dei 4.200 rifugi privati e pubblici erano utilizzabili nella città di Basilea. Inoltre la popolazione non avrebbe potuto raggiungere un rifugio di protezione in quanto è proibito uscire dalle proprie case nel caso l'aria fosse avvelenata.
Non abbiamo bisogno di una nuova ideologia del rifugio di protezione, ma dobbiamo piuttosto vigilare - come lo afferma il professor Hans B. Binswanger dell'Università di San Gallo - "affinché qualsiasi minimo rischio di grossi catastrofi come Chernobyl, Bhopal, o Basilea, sia ridotto a zero". I rifugi non ci proteggono dal deperimento delle foreste o dall'inquinamento atmosferico. La politica deve concentrarsi sulla protezione dell'ambiente e la società, e non su dei rifugi che, in caso di catastrofi, si trasformino "dopo cinque ore", come Io ammette l'Ufficio federale competente, in trappole per topi.
Ogni commento è decisamente superfluo!