Rivista Anarchica Online
La pratica
dell'azione diretta
di Andrea Papi
È stato il primo a venire condannato in Italia per azioni di
sabotaggio contro gli strumenti atti alla cattura degli uccelli. In
quest'intervista Roberto Duria racconta com'è nata e come si è
sviluppata in Friuli la lotta contro i roccoli. La "scoperta"
della nonviolenza. La questione del rapporto con le istituzioni, i
politici e... i carabinieri.
Tu sei il primo
in Italia che è stato condannato da un tribunale per azioni di
sabotaggio contro strumenti atti alla cattura di uccelli, i roccoli,
e, se non erro, il primo che ha organizzato azioni fattive di
sabotaggio in funzione della liberazione di animali. Puoi parlarne in
breve?
Forse sono stato il
primo, insieme ad altri sei, ad essere condannato per atti di
sabotaggio a strumenti di morte per gli uccelli, ma non sono stato né
il primo, né l'unico a compiere tali atti. L'unica differenza è che
noi volevamo dare un significato politico al sabotaggio, per
distinguerlo dal semplice vandalismo, mentre le centinaia di
sabotatori occasionali che mettono fuori uso capanni da caccia o
uccellande non lasciano alcun messaggio di rivendicazione. Per la
verità, presso i quattro o cinque roccoli che sabotammo nei primi
mesi dell'82 non lasciammo alcun volantino, come invece decidemmo di
fare in giugno con lo stand di tiro al piccione di S. Gottardo,
vicino ad Udine. Eravamo andati per fare delle scritte sui muri, ma,
una volta entrati e trovata della benzina, facemmo il resto. Non
c'erano case intorno e i miei compagni, prima di tornare a casa,
telefonarono ai vigili del fuoco. Ci presero dopo una settimana
mentre eravamo diretti, a mezzanotte, verso un roccolo. Le
imputazioni erano: associazione per delinquere, incendio doloso e
danneggiamento. Il processo, al tribunale di Udine, si svolse nel
febbraio dell'85. Le prime due accuse furono derubricate anche se il
volantino, firmato Fronte per la Liberazione Animale, poteva dare una
parvenza di organizzazione. Il P.M. chiese per me sei mesi. Il
giudice me ne diede tre con la condizionale e 500 mila lire di multa.
I due compagni che avevano partecipato all'incendio del tiro al
piccione ebbero tre mesi e 300 mila lire di multa a testa; gli altri
solo pene pecuniarie.
Assieme al tuo
gruppo, sostieni la pratica dell'azione diretta come strumento
fondamentale nella lotta animalista. Potresti dire come intendete
l'azione diretta e come la vedete collocata all'interno del movimento
più generale a favore dei diritti degli animali, che opera in
Italia?
Le persone con cui
attuai le azioni di sabotaggio nell'82 non potevano e non possono
definirsi un gruppo, anche perché in seguito ci perdemmo di vista.
Inoltre, non posso affermare con certezza che tale esperienza sia da
loro considerata positiva. Oggi, per quanto mi riguarda, mi sono
rifatto una verginità, infatti subito dopo i tredici giorni di
carcere preventivo la Lega per l'Abolizione della Caccia mi nominò
delegato regionale per il Friuli Venezia Giulia, carica che mantengo
tutt'ora. Dopo quattro anni
di apprendistato dei metodi classici e legalisti di protezionismo
sono venuto scoprendo la Non Violenza e la sua notevole capacità, se
ben applicata, di risolvere i problemi. Tu dirai: "Hai scoperto
l'acqua calda!". È
vero, ma quanti in Italia si stanno preoccupando di applicare il
metodo dell'azione diretta nonviolenta in difesa dei diritti degli
animali? Siamo pochi e soltanto all'inizio, in questo campo. Cinque
anni fa non sapevo chi fosse Gandhi e i nostri sabotaggi erano
dettati dall'istinto. Oggi scopro che perfino Aldo Capitini, uno dei
teorici italiani della Non Violenza, riconosce il sabotaggio come
gesto estremo, purché non rechi danno alle persone. Rimane, nel
nostro caso, il grosso handicap per cui lottare per la Liberazione di
nostri simili oppressi è meritevole, ma preoccuparsi dei diritti
delle altre specie è stravagante e risibile. Ma questo è un
problema culturale che si risolverà con il tempo. Per quanto riguarda
le azioni dirette, tolto quello spiacevole episodio dell'ottobre
dell'83 in cui io e quattro ragazze tedesche fummo picchiati dagli
uccellatori presso il cui roccolo eravamo andati a far rumore, si può
dire che il 5 ottobre 1986 rappresenti una svolta epocale nella
battaglia contro l'uccellagione in Friuli. Fu in tale data che un
pullman di una sessantina di ecologisti milanesi venne in Friuli per
attuare una azione di disturbo all'uccellagione, con fischietti e
altri strumenti acustici, così come fanno i protezionisti tedeschi
ai confini con il Belgio, dove l'aucupio è consentito. Fu
entusiasmante. Nelle cinque
domeniche successive ripetemmo le azioni di disturbo ma senza
liberare gli uccelli presi nelle reti, dato l'esiguo numero di
partecipanti. I protezionisti locali disponibili per questo genere di
azioni sono una trentina. I nostri timori circa la reazione degli
uccellatori si dissolsero, ma emerse prepotentemente un problema
imprevisto: la legalità. Lega Ambiente e L.I.P.U. si dissociarono
subito dopo l'azione del 5 ottobre, nonostante sia stata condotta del
tutto pacificamente (furono però fatti piccoli buchi nelle reti per
liberare dei tordi) ma anche in seguito la violazione della proprietà
privata (il roccolo) turbò non poche coscienze. Un caso esemplare
si presentò quando, in preparazione di un'azione contro i cacciatori
capannisti, la L.A.V. richiese specificatamente la presenza dei
carabinieri, pena la non partecipazione, mentre il gruppo per
l'Ecologia Sociale della Bassa Friulana non avrebbe aderito se ci
fossero stati i Militi. Alla fine, i membri dell'Ecologia Sociale, di
matrice prevalentemente anarchica, parteciparono in massa dando prova
di una positiva elasticità mentale. La mia opinione in proposito è
quella dell'opportunismo: se ci sono utili, utilizziamo anche i
carabinieri. Dato che è nostra
intenzione continuare con le azioni dirette, a scadenza possibilmente
mensile, cambiando magari obiettivi (quagliodromi, allevamenti,
circhi, ecc.) i problemi di natura legale potranno essere risolti di
volta in volta, poiché, per quanti sforzi si facciano per non
lasciare nulla all'improvvisazione, ogni situazione ha in sé
qualcosa di inedito e imprevisto. Rimane ben chiara comunque la base
non violenta su cui deve poggiare l'azione. Così, posto come
obiettivo la liberazione animale, sia filosofica che letterale,
nessuno esiterà ad aprire una gabbia, o anche a distruggerla, ma ci
fermeremo di fronte a nostre azioni che potrebbero recare pregiudizio
all'incolumità fisica dei nostri, chiamiamoli così, interlocutori
antagonisti. Praticamente, così come abbiamo fatto volare gli
aquiloni e un aereo telecomandato sopra i roccoli, vorremmo
quest'estate giocare a frisbee o a bocce nei quagliodromi o fare una
catena umana attorno ad un capanno da caccia. Lo scopo ultimo è la
"conversione" dei persecutori degli animali. Circa l'importanza
che le azioni dirette vanno assumendo all'interno del movimento
animalista, va detto che la bocciatura dei referendum anticaccia ha
prodotto in Italia un effetto Chernobyl, nel senso di acuire il
disagio delle persone responsabili ai problemi della fauna e di porle
di fronte alla necessità, data la perdita di credibilità delle
istituzioni, di scegliere nuove vie più efficaci per la tutela della
natura. Il convegno di Firenze del 21 e 22 marzo, dal titolo "Noi
e gli altri animali", ha sancito questa esigenza.
Pensi che ci sia
un collegamento tra questo tipo di lotta e un discorso più generale
che si allaccia alla liberazione delle società umane
dall'oppressione e dallo sfruttamento, oppure pensi che la
liberazione degli animali sia una cosa a sé
stante?
È stato più volte
affermato che vi sono strette analogie tra la lotta di liberazione
dei negri e di altre etnie oppresse e la liberazione animale, così
come anche l'emancipazione della donna ha molte similitudini con il
riconoscimento dei diritti degli animali. In una visione globale,
ecologica ed interdisciplinare ciò è senz'altro vero, ma a guastare
i rapporti sociali, sul piano etico, tra i vari movimenti di
emancipazione umana e di liberazione animale interviene lo specismo,
una dimensione culturale così radicata da porre sia gli animali, sia
gli umani che si battono per essi in un universo alieno troppo
astruso e distante da qualsiasi "buon senso". Per molti
anni a venire, secondo me, il movimento di liberazione animale sarà
confinato, suo malgrado, nel limbo delle assurdità, così da essere
per esempio paragonabile al G.A.R.B.G. (Gruppo Armato Rivoluzionario
del Bambin Gesù) di un noto film di Luis Bunuel.
Attualmente il
movimento a favore degli animali in Italia si muove soprattutto su un
piano estremamente legalista (referendum, denunce, petizioni,
proposte di legge, ecc.) relegando di fatto l'azione diretta a
momento di pressione in funzione di quello legalista. Pensi che in un
futuro abbastanza breve possa assumere maggior importanza l'azione
diretta, più consona ad un allargamento culturale e più efficace
sul piano operativo della logica delle sanzioni e dei codici penali?
Ritengo che le
azioni dirette stiano diventando sempre più una forza trainante per
le esigenze di un nuovo rapporto con la natura. D'altra parte le
azioni dirette non hanno successo se non c'è il consenso popolare.
Per certi problemi, come caccia e uccellagione, i tempi sono maturi
per le azioni dirette, anzi, queste ultime sono la logica conseguenza
di una lunga attività legalista giunta ad un vicolo cieco. Per altri
problemi, come i circhi, la vivisezione, il consumo di carne, non c'è
ancora il consenso dell'opinione pubblica e le eventuali azioni
dirette non sarebbero capite. Con ciò non sto dicendo che non vadano
fatte. Il consenso
popolare, fino a prova contraria, si ottiene con la cosiddetta
sensibilizzazione, cioè usando la metodologia classica (referendum,
petizioni, ecc.). Questa situazione, impostata sui tempi lunghi, non
deve portare alla rassegnazione e al fatalismo, giacché anche gli
articoli sulla stampa che seguono le azioni dirette sono
sensibilizzazione. Anzi, l'intervento diretto è una marcia in più e
forse la più veloce per ottenere i risultati che cl siamo prefissi.
Ad ogni modo, azioni dirette, più o meno legali, e iniziative
legaliste svolgono un effetto sinergico e non mi sembra determinante
ricercare una superiorità metodologica delle une sulle altre. C'è il problema
dei politici e della loro capacità di cambiare le cose a favore
della natura. Lasciando da parte il disgusto che molti personaggi
politici provocano in noi per la loro inettitudine (volendo usare un
eufemismo), ci sembra di capire che l'animale politico è molto
sensibile alla quantità di voti che può racimolare. Se noi ci
presentiamo con una petizione firmata da migliaia di cittadini, il
politico, a prescindere dal contenuto, pensa che l'iniziativa parta
da una minoranza, da un'élite e, in molti casi, per le associazioni
ecologiste, è vero. Quindi pochi voti. Anche se legge la notizia di
un'azione diretta sospetta che si tratti di un'iniziativa
minoritaria, ma quando si accorge che c'è il consenso popolare, che,
la sua domestica e il suo autista sono d'accordo, allora capisce che
il vento tira da quella parte, che si è aperto un nuovo, inesplorato
serbatoio di voti e, con un po' di coraggio, può anche sfidare i
suoi antichi padroni, i detentori del potere economico, emanando
leggi in favore della natura, degli animali umani e di quelli non
umani. Se questa ipotesi meteo-politologica è vera a noi conviene
cercare di sfruttarla fino in fondo. Tutto ciò è il risultato di
delicatissimi equilibri, ed anche delle buone leggi non sono un fine,
ma un mezzo. Quello che gli
animalisti vogliono ottenere è la fine dello specismo, il trionfo
della tolleranza ed il rispetto del diverso. Per ottenere ciò, ogni
metodo che porti alla sensibilizzazione può essere utile. Però,
forse, i protezionisti dovrebbero cominciare a rivedere la validità
delle denunce alla magistratura. Le facevamo più che altro per
ottenere articoli sulla stampa, giacché nella maggior parte dei casi
non avevamo seguito, ma ponendosi esse all'interno di una logica
repressiva non sono poi tanto coerenti con la filosofia Verde. Noi tutti sogniamo
una società in cui non ci sia bisogno di codici penali. Penso, a
questo punto, che il nostro opportunismo di fondo può alle volte
diventare immorale, infatti fintanto che continuiamo a servirci dei
carabinieri e magistratura diamo il nostro contributo alla loro
perpetuazione. Chissà, forse un giorno i Verdi faranno azioni
dirette nonviolente contro le Forze dell'ordine.
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