Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 146
maggio 1987


Rivista Anarchica Online

La pratica dell'azione diretta
di Andrea Papi

È stato il primo a venire condannato in Italia per azioni di sabotaggio contro gli strumenti atti alla cattura degli uccelli. In quest'intervista Roberto Duria racconta com'è nata e come si è sviluppata in Friuli la lotta contro i roccoli. La "scoperta" della nonviolenza. La questione del rapporto con le istituzioni, i politici e... i carabinieri.

Tu sei il primo in Italia che è stato condannato da un tribunale per azioni di sabotaggio contro strumenti atti alla cattura di uccelli, i roccoli, e, se non erro, il primo che ha organizzato azioni fattive di sabotaggio in funzione della liberazione di animali. Puoi parlarne in breve?

Forse sono stato il primo, insieme ad altri sei, ad essere condannato per atti di sabotaggio a strumenti di morte per gli uccelli, ma non sono stato né il primo, né l'unico a compiere tali atti. L'unica differenza è che noi volevamo dare un significato politico al sabotaggio, per distinguerlo dal semplice vandalismo, mentre le centinaia di sabotatori occasionali che mettono fuori uso capanni da caccia o uccellande non lasciano alcun messaggio di rivendicazione. Per la verità, presso i quattro o cinque roccoli che sabotammo nei primi mesi dell'82 non lasciammo alcun volantino, come invece decidemmo di fare in giugno con lo stand di tiro al piccione di S. Gottardo, vicino ad Udine. Eravamo andati per fare delle scritte sui muri, ma, una volta entrati e trovata della benzina, facemmo il resto. Non c'erano case intorno e i miei compagni, prima di tornare a casa, telefonarono ai vigili del fuoco. Ci presero dopo una settimana mentre eravamo diretti, a mezzanotte, verso un roccolo. Le imputazioni erano: associazione per delinquere, incendio doloso e danneggiamento. Il processo, al tribunale di Udine, si svolse nel febbraio dell'85. Le prime due accuse furono derubricate anche se il volantino, firmato Fronte per la Liberazione Animale, poteva dare una parvenza di organizzazione. Il P.M. chiese per me sei mesi. Il giudice me ne diede tre con la condizionale e 500 mila lire di multa. I due compagni che avevano partecipato all'incendio del tiro al piccione ebbero tre mesi e 300 mila lire di multa a testa; gli altri solo pene pecuniarie.

Assieme al tuo gruppo, sostieni la pratica dell'azione diretta come strumento fondamentale nella lotta animalista. Potresti dire come intendete l'azione diretta e come la vedete collocata all'interno del movimento più generale a favore dei diritti degli animali, che opera in Italia?

Le persone con cui attuai le azioni di sabotaggio nell'82 non potevano e non possono definirsi un gruppo, anche perché in seguito ci perdemmo di vista. Inoltre, non posso affermare con certezza che tale esperienza sia da loro considerata positiva. Oggi, per quanto mi riguarda, mi sono rifatto una verginità, infatti subito dopo i tredici giorni di carcere preventivo la Lega per l'Abolizione della Caccia mi nominò delegato regionale per il Friuli Venezia Giulia, carica che mantengo tutt'ora.
Dopo quattro anni di apprendistato dei metodi classici e legalisti di protezionismo sono venuto scoprendo la Non Violenza e la sua notevole capacità, se ben applicata, di risolvere i problemi. Tu dirai: "Hai scoperto l'acqua calda!". È vero, ma quanti in Italia si stanno preoccupando di applicare il metodo dell'azione diretta nonviolenta in difesa dei diritti degli animali? Siamo pochi e soltanto all'inizio, in questo campo. Cinque anni fa non sapevo chi fosse Gandhi e i nostri sabotaggi erano dettati dall'istinto. Oggi scopro che perfino Aldo Capitini, uno dei teorici italiani della Non Violenza, riconosce il sabotaggio come gesto estremo, purché non rechi danno alle persone. Rimane, nel nostro caso, il grosso handicap per cui lottare per la Liberazione di nostri simili oppressi è meritevole, ma preoccuparsi dei diritti delle altre specie è stravagante e risibile. Ma questo è un problema culturale che si risolverà con il tempo.
Per quanto riguarda le azioni dirette, tolto quello spiacevole episodio dell'ottobre dell'83 in cui io e quattro ragazze tedesche fummo picchiati dagli uccellatori presso il cui roccolo eravamo andati a far rumore, si può dire che il 5 ottobre 1986 rappresenti una svolta epocale nella battaglia contro l'uccellagione in Friuli. Fu in tale data che un pullman di una sessantina di ecologisti milanesi venne in Friuli per attuare una azione di disturbo all'uccellagione, con fischietti e altri strumenti acustici, così come fanno i protezionisti tedeschi ai confini con il Belgio, dove l'aucupio è consentito. Fu entusiasmante.
Nelle cinque domeniche successive ripetemmo le azioni di disturbo ma senza liberare gli uccelli presi nelle reti, dato l'esiguo numero di partecipanti. I protezionisti locali disponibili per questo genere di azioni sono una trentina. I nostri timori circa la reazione degli uccellatori si dissolsero, ma emerse prepotentemente un problema imprevisto: la legalità. Lega Ambiente e L.I.P.U. si dissociarono subito dopo l'azione del 5 ottobre, nonostante sia stata condotta del tutto pacificamente (furono però fatti piccoli buchi nelle reti per liberare dei tordi) ma anche in seguito la violazione della proprietà privata (il roccolo) turbò non poche coscienze.
Un caso esemplare si presentò quando, in preparazione di un'azione contro i cacciatori capannisti, la L.A.V. richiese specificatamente la presenza dei carabinieri, pena la non partecipazione, mentre il gruppo per l'Ecologia Sociale della Bassa Friulana non avrebbe aderito se ci fossero stati i Militi. Alla fine, i membri dell'Ecologia Sociale, di matrice prevalentemente anarchica, parteciparono in massa dando prova di una positiva elasticità mentale. La mia opinione in proposito è quella dell'opportunismo: se ci sono utili, utilizziamo anche i carabinieri.
Dato che è nostra intenzione continuare con le azioni dirette, a scadenza possibilmente mensile, cambiando magari obiettivi (quagliodromi, allevamenti, circhi, ecc.) i problemi di natura legale potranno essere risolti di volta in volta, poiché, per quanti sforzi si facciano per non lasciare nulla all'improvvisazione, ogni situazione ha in sé qualcosa di inedito e imprevisto. Rimane ben chiara comunque la base non violenta su cui deve poggiare l'azione. Così, posto come obiettivo la liberazione animale, sia filosofica che letterale, nessuno esiterà ad aprire una gabbia, o anche a distruggerla, ma ci fermeremo di fronte a nostre azioni che potrebbero recare pregiudizio all'incolumità fisica dei nostri, chiamiamoli così, interlocutori antagonisti. Praticamente, così come abbiamo fatto volare gli aquiloni e un aereo telecomandato sopra i roccoli, vorremmo quest'estate giocare a frisbee o a bocce nei quagliodromi o fare una catena umana attorno ad un capanno da caccia. Lo scopo ultimo è la "conversione" dei persecutori degli animali.
Circa l'importanza che le azioni dirette vanno assumendo all'interno del movimento animalista, va detto che la bocciatura dei referendum anticaccia ha prodotto in Italia un effetto Chernobyl, nel senso di acuire il disagio delle persone responsabili ai problemi della fauna e di porle di fronte alla necessità, data la perdita di credibilità delle istituzioni, di scegliere nuove vie più efficaci per la tutela della natura. Il convegno di Firenze del 21 e 22 marzo, dal titolo "Noi e gli altri animali", ha sancito questa esigenza.

Pensi che ci sia un collegamento tra questo tipo di lotta e un discorso più generale che si allaccia alla liberazione delle società umane dall'oppressione e dallo sfruttamento, oppure pensi che la liberazione degli animali sia una cosa a stante?

È stato più volte affermato che vi sono strette analogie tra la lotta di liberazione dei negri e di altre etnie oppresse e la liberazione animale, così come anche l'emancipazione della donna ha molte similitudini con il riconoscimento dei diritti degli animali. In una visione globale, ecologica ed interdisciplinare ciò è senz'altro vero, ma a guastare i rapporti sociali, sul piano etico, tra i vari movimenti di emancipazione umana e di liberazione animale interviene lo specismo, una dimensione culturale così radicata da porre sia gli animali, sia gli umani che si battono per essi in un universo alieno troppo astruso e distante da qualsiasi "buon senso". Per molti anni a venire, secondo me, il movimento di liberazione animale sarà confinato, suo malgrado, nel limbo delle assurdità, così da essere per esempio paragonabile al G.A.R.B.G. (Gruppo Armato Rivoluzionario del Bambin Gesù) di un noto film di Luis Bunuel.

Attualmente il movimento a favore degli animali in Italia si muove soprattutto su un piano estremamente legalista (referendum, denunce, petizioni, proposte di legge, ecc.) relegando di fatto l'azione diretta a momento di pressione in funzione di quello legalista. Pensi che in un futuro abbastanza breve possa assumere maggior importanza l'azione diretta, più consona ad un allargamento culturale e più efficace sul piano operativo della logica delle sanzioni e dei codici penali?

Ritengo che le azioni dirette stiano diventando sempre più una forza trainante per le esigenze di un nuovo rapporto con la natura. D'altra parte le azioni dirette non hanno successo se non c'è il consenso popolare. Per certi problemi, come caccia e uccellagione, i tempi sono maturi per le azioni dirette, anzi, queste ultime sono la logica conseguenza di una lunga attività legalista giunta ad un vicolo cieco. Per altri problemi, come i circhi, la vivisezione, il consumo di carne, non c'è ancora il consenso dell'opinione pubblica e le eventuali azioni dirette non sarebbero capite. Con ciò non sto dicendo che non vadano fatte.
Il consenso popolare, fino a prova contraria, si ottiene con la cosiddetta sensibilizzazione, cioè usando la metodologia classica (referendum, petizioni, ecc.). Questa situazione, impostata sui tempi lunghi, non deve portare alla rassegnazione e al fatalismo, giacché anche gli articoli sulla stampa che seguono le azioni dirette sono sensibilizzazione. Anzi, l'intervento diretto è una marcia in più e forse la più veloce per ottenere i risultati che cl siamo prefissi. Ad ogni modo, azioni dirette, più o meno legali, e iniziative legaliste svolgono un effetto sinergico e non mi sembra determinante ricercare una superiorità metodologica delle une sulle altre.
C'è il problema dei politici e della loro capacità di cambiare le cose a favore della natura. Lasciando da parte il disgusto che molti personaggi politici provocano in noi per la loro inettitudine (volendo usare un eufemismo), ci sembra di capire che l'animale politico è molto sensibile alla quantità di voti che può racimolare. Se noi ci presentiamo con una petizione firmata da migliaia di cittadini, il politico, a prescindere dal contenuto, pensa che l'iniziativa parta da una minoranza, da un'élite e, in molti casi, per le associazioni ecologiste, è vero. Quindi pochi voti. Anche se legge la notizia di un'azione diretta sospetta che si tratti di un'iniziativa minoritaria, ma quando si accorge che c'è il consenso popolare, che, la sua domestica e il suo autista sono d'accordo, allora capisce che il vento tira da quella parte, che si è aperto un nuovo, inesplorato serbatoio di voti e, con un po' di coraggio, può anche sfidare i suoi antichi padroni, i detentori del potere economico, emanando leggi in favore della natura, degli animali umani e di quelli non umani. Se questa ipotesi meteo-politologica è vera a noi conviene cercare di sfruttarla fino in fondo. Tutto ciò è il risultato di delicatissimi equilibri, ed anche delle buone leggi non sono un fine, ma un mezzo.
Quello che gli animalisti vogliono ottenere è la fine dello specismo, il trionfo della tolleranza ed il rispetto del diverso. Per ottenere ciò, ogni metodo che porti alla sensibilizzazione può essere utile. Però, forse, i protezionisti dovrebbero cominciare a rivedere la validità delle denunce alla magistratura. Le facevamo più che altro per ottenere articoli sulla stampa, giacché nella maggior parte dei casi non avevamo seguito, ma ponendosi esse all'interno di una logica repressiva non sono poi tanto coerenti con la filosofia Verde.
Noi tutti sogniamo una società in cui non ci sia bisogno di codici penali. Penso, a questo punto, che il nostro opportunismo di fondo può alle volte diventare immorale, infatti fintanto che continuiamo a servirci dei carabinieri e magistratura diamo il nostro contributo alla loro perpetuazione. Chissà, forse un giorno i Verdi faranno azioni dirette nonviolente contro le Forze dell'ordine.