Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 145
aprile 1987


Rivista Anarchica Online

Ecologia sociale, non politica
da un opuscolo del Coordinamento Friulano per l'ecologia sociale

Il primo interesse dell'ecologia sociale non è di tipo politico. La critica al catastrofismo ecologico e al suo opposto (la convinzione, cioè, che il capitalismo possa diventare "ecologico") nell'analisi del "Coordinamento friulano per l'ecologia sociale".

(...) La "sensibilità non gerarchica" non nasce nella lotta contro lo stato, contro il capitale, contro il militarismo o contro la chiesa. Essa nasce nel rapporto uomo-donna, nel rapporto fra vecchi e giovani, fra genitori e figli, nella capacità di sviluppare l'unità fra diversi. Di conseguenza la lotta contro il "dominio oggettivizzato", sia pure necessaria, non è sufficiente per garantire lo sviluppo delle caratteristiche più importanti della libertà. Anzi spesso il continuo richiamo al "rilancio della lotta", all'azione diretta, alla sovversione sociale, determina un clima psicologico di pura coazione e ricatto morale.
I risultati di questo approccio, eticamente orientato, si collocano, oltre che in maniera esplicita sul piano della LIBERTÀ, anche su quello della conoscenza. Tutto ciò si può enunciare nel seguente modo: alla libertà necessita la forma più evoluta di conoscenza, che è inoltre quella che realizza la maggiore interdipendenza fra le forme di conoscenza storicamente sviluppate. Ne consegue che questa tensione, verso lo sviluppo di una teoria della conoscenza di tipo OLISTICO (globale, interdisciplinare, interdipendente, non settoriale, non riduzionista, ...) diventa chiaramente anche un "programma di ricerca" propositivo, dalle caratteristiche amplissime. Ecco quindi che lo sviluppo dell'ecologia sociale promette molto sotto il profilo sia della libertà che della conoscenza, ma contemporaneamente abbisogna di alcune premesse chiare per costituirsi in modo evoluto, coerente e fecondo. Per tale ragione il doppio scontro fra l'ecologia sociale e il politicismo da un lato e l'ambientalismo dall'altro, è assolutamente inevitabile vista la portata delle questioni in campo. Evitare lo scontro significa lasciare intatte le barriere epistemologiche che permettono la riproduzione del politicismo e dell'ambientalismo sorretti anch'essi da residui più o meno consistenti di sensibilità gerarchica. È assolutamente fondamentale capire questo punto.
Nella pratica ci si può anche confrontare e trovare accordi ed iniziative comuni sia con i politicisti che con gli ambientalisti. Ma nello sviluppo delle relazioni sociali e nelle forme del pensiero, ogni ambiguità, ogni opportunismo, ogni cedimento sono deleteri. Non c'è questione di metodo, non c'è questione di stile che tenga. O meglio, ogni metodo e ogni stile che siano compatibili con le fondamenta di questo discorso, possono andare bene. Unità nella diversità appunto!! Calma, passione , pazienza, irruenza, aggressività, seduzione, logica, sentimento, intuizione... sono tutte caratteristiche soggettive presenti in vario modo nelle persone e nessuna combinazione è di per sé incompatibile con le basi di questo discorso. Nella società dell'immagine, l'ecologia sociale si occupa prima di tutto della sostanza e non si pone alcun problema di "marketing".

Natura ed etica
L' azione autofondante dell'ecologia sociale deve inoltre garantire la possibilità del continuo inserimento dei nuovi livelli di realtà e di libertà in cui la nostra vita psichica e materiale dovesse venire coinvolta. È il caso di ricordare a questo punto che la totalità di cui si parla nell'ecologia sociale non deve essere confusa con il significato generalmente negativo che viene attribuito alla parola "totalizzante". Infatti si è più volte affermato che la natura non origina in modo deterministico la forma dell'etica, ma essa è una sorgente per un'etica. Ciò in primo luogo significa che l'etica che noi adotteremo non deve essere in conflitto con le caratteristiche della vita ma anzi deve cercare di rifletterle dandole la forma più coerente, sia con il nostro sentimento di libertà sociale che con il senso di libertà naturale che si ricava dalla conoscenza della natura stessa. Nella formazione di quest'etica gioca un ruolo fondamentale la conoscenza e viceversa nella formazione della conoscenza gioca un ruolo fondamentale l'etica. Ciò non è un circolo vizioso ma una relazione non lineare e non causale fra etica e conoscenza. Nondimeno lo sviluppo del tipo di razionalità libertaria fin qui delineato, richiede una condizione preliminare che è quella di orientare consapevolmente la propria psiche e il proprio essere in senso schiettamente non gerarchico.
La natura non ci obbliga a scegliere. Nondimeno essa ci invita a scegliere in un modo piuttosto che in un altro. Ciò significa che la natura è "quasi etica". Dobbiamo perciò rinunciare sia all'idea di un'etica strettamente umanistica che all'idea di un'etica strettamente naturalistica. Esiste però una ontologia etica di derivazione ecologica (mutualismo, unità nella diversità, complementarietà...) in cui si innesta la possibilità di scelta. Cioè in quanto esseri umani, possiamo formulare un progetto razionale (etico-epistemologico) sia di tipo gerarchico (in varie gradazioni) sia di tipo non gerarchico ma va anche osservato che la razionalità gerarchica sviluppa una azione di tipo antibiologico mentre quella libertaria si prefigge esplicitamente il compito di riarmonizzare società e natura (attraverso la riarmonizzazione della società al suo interno). (. .)

I tecnici siamo noi?
Solo un po' di spazio possiamo ora dedicare a quella che si potrebbe definire "la politica dell'ecologia sociale". Vorremmo far osservare ancora una volta che il primo interesse dell'ecologia sociale non è di tipo politico. Anzi essa realizza una "secondarizzazione" della politica. E questo problema è forse la fonte di molte divergenze ed equivoci. (…)
Se senz'altro possiamo stare sicuri che non saranno i referendum a fermare il nucleare nondimeno dobbiamo nutrire molti dubbi sulla reale efficacia dell'azione diretta, in senso politico generale e ciò non solo per il suo carattere minoritario. È chiaro che hanno ragione molti compagni ad individuare nella logica dei referendum un nemico da combattere duramente in quanto reinnesca un meccanismo di delega e di attendismo e quindi porta a degli sbocchi fittizi un potenziale di dissenso che potrebbe trovare sviluppi in termini di antagonismo. Ma il discorso posto in questi termini è indubbiamente limitato e dopo Chernobyl (ma per molti versi anche prima) senza reale senso storico. A creare nuove condizioni storiche contribuisce oggi anche l'entrata in scena dell'ipotesi dell'energia di fusione verso la quale non basta una opposizione di tipo "specifico" ma è necessario che si abbia molto chiara la "questione energetica" nel suo complesso e si riesca a spiegarla alla gente. "I TECNICI SIAMO NOI" titola Umanità Nova. Sembra più realistico dire che "i tecnici dobbiamo diventare noi". Ci vorrebbero molte pagine per fare una analisi esauriente di tutte le ambiguità, i limiti, le contraddizioni dell'"antinuclearismo antagonista". La conclusione di questa analisi è comunque che non ha molto senso sviluppare un movimento "antinucleare". Questo era già abbastanza chiaro "dopo Harrisburg" e ci pare che "dopo Chernobyl" si riproponga lo stesso tipo di analisi e di impostazione in voga nella seconda metà degli anni settanta.
Per quanto riguarda gli ambientalisti, anche se in un certo senso sono più avanti dei politicisti, proviamo oggi un doppio senso di fastidio nei loro confronti a fronte del fatto che le recenti fortune elettorali dei verdi in Germania, sono in fin dei conti da attribuire a delle catastrofi ecologiche; ma comunque non pensiamo che ci sia molta differenza fra sbocco riformista e sbocco antagonista, allo stesso tipo di stato d'animo. Egualmente, abbiamo sempre detto che sono le motivazioni stesse su cui si fonda il pacifismo che vanno criticate e non il fatto che queste motivazioni non abbiano assunto una connotazione antimilitarista.
Il catastrofismo ecologico (anche se l'ipotesi della catastrofe è reale) e il suo opposto, cioè la convinzione secondo cui il capitalismo può anche diventare ecologico (anche se il capitalismo e l'industrialismo stanno realmente tentando qualcosa del genere) sono entrambe posizioni subalterne e perdenti. Il fatto drammatico è che nelle situazioni collettive di dibattito, il livello di comprensione della realtà è incredibilmente inadeguato per affrontare la situazione di SVOLTA EPOCALE a cui ci troviamo di fronte.
Su questo avremo occasione di ritornare in futuro, e per ora concludiamo affermando che siamo convinti della assoluta necessità di elaborare una strategia politica radicalmente diversa da tutte quelle storicamente esistite ed esistenti.