Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 145
aprile 1987


Rivista Anarchica Online

Come i tedeschi?
di Fausta Bizzozzero

In quest'intervista Franco La Cecla, uno degli iniziatori del movimento per l'autocostruzione, spiega come vede la realtà e le prospettive del movimento verde. E indica nell'assenza di modelli diversi da quello esistente uno dei suoi limiti.

Secondo te in quale misura questo convegno è rappresentativo dell'arcipelago verde?

È rappresentativo perché l'atmosfera che c'è qui è quella dell'arcipelago verde, nel senso che è come se ci fosse una grossa componente di adolescenti, una componente delle solite facce (quelli che portano avanti un discorso politico di impegno da dieci anni), mentre manca una fascia di professionisti biologi, fisici, ecc. - cioè di persone che legano l'attività verde al proprio lavoro e alla crisi che questo pone loro. Certo questo potrebbe essere un aspetto positivo se non mancasse anche una serie di persone che svolgono attività di base. L'impressione è che molti dei presenti siano venuti per interesse personale per capirne di più. Insomma sembra di essere a una università verde più che a un convegno.

Una cosa che mi ha colpito è la diversità rispetto a Pescara: per l'atmosfera che vi si respira ma anche per il tipo di partecipanti. Ad esempio ho trovato molte persone che conoscono e leggono "A", che hanno letto Kropotkin o Bookchin.

Sicuramente il fatto che siano stati i nonviolenti ad organizzare il convegno ha fatto da boomerang per tutta un'area che a Pescara non è venuta essenzialmente per motivi geografici: il triveneto è una zona di moltissima cultura antimilitarista, di realtà di base, dove esiste una fascia cattolico-libertaria molto forte che ha dato vita al movimento non-violento. Vedi, in realtà questo convegno era pensato per far vedere che esiste un altro tipo di verdi che non sono quelli "romani" (cioè quelli che si pongono sempre il problema di come fare politica al centro) ma secondo me questo non è emerso sufficientemente.

Ma il fatto che il tema del convegno fosse il potere mi sembra importante e significativo, non ti pare?

Certo la questione del potere è venuta fuori abbastanza bene ed è interessante sottolineare che quasi tutti hanno fatto un discorso molto attento al localismo; se c'è una parola d'ordine che è emersa è proprio questa, che i verdi dovrebbero avere il compito di animare la realtà locale; inoltre è venuto fuori il problema dello stato in maniera molto bella, con tutti i dubbi giusti: che lo stato non c'entri, che la politica sia una deformazione del potere d'emergenza, cioè che già il mettersi a far politica significa rientrare in un certo modello.

Tu hai sostenuto nel tuo intervento di ieri la falsità della definizione "tutto è politica". Puoi spiegarne il senso?

Io avevo il problema di indirizzarmi al pubblico e allora ho pensato che era molto importante fare una cosa che nessuno dei relatori aveva fatto, vale a dire richiamarsi a una storia recente. Tutti i discorsi che i verdi fanno su se stessi evidenziano il fatto che è come se i verdi nascessero oggi, per questo io ho esordito dicendo che noi siamo usciti da una nuvola che non è la nube di Chernobyl, ma è una nuvola per cui nessuno, nessuno di noi è più convinto che la politica sia tutto perché se c'è un motivo per cui noi siamo qui è per difendere cose che non sono politiche: ambiti di relazioni (sessuali, di amicizia, ecc.), ambiti di rapporti con la natura che non sono definibili in chiave politica. I verdi quindi devono difendere dallo stato e dalla messa in politico molte cose tra cui la natura e i rapporti. Per me il termine politica non è disgiunto dal termine potere: i politici nascono quando si disgregano i legami tradizionali, comunitari ed etnici e con la nascita della politica nasce anche il potere. Mentre quando non esiste questa disgregazione, come in tante popolazioni "primitive" coi loro riti, i loro legami sociali, la loro cultura, la leadership - che pure esiste - viene però svuotata e diventa un simbolo a cui non viene riconosciuto nessun potere.
Il problema che quindi oggi si pone ai verdi è che essi non dovrebbero diventare politici perché è esattamente l'opposto di quello che i verdi sostanzialmente sono e cioè l'affermazione che esistono delle realtà non riducibili alla politica.

Se parli di politica intesa in senso istituzionale sono d'accordo, ovviamente. Ma mi sembra che esista un altro modo di far politica che significa opporsi e agire per tentare di cambiare le cose.

No, anche questo non va bene. Ci siamo troppo abituati negli anni '70 a considerare la politica come impegno mentre sempre e comunque la politica significa mettersi nell'ottica di inventarsi una parte straordinaria del proprio tempo e della propria vita per fare cose che non sono quelle che normalmente fai.

Ma questo è ciò che fanno anche i verdi e tutti quelli che tendono in qualche modo a trasformare la realtà.

Certo, ed è un grosso errore. Perché se i verdi hanno qualcosa di nuovo da dire è che loro, lavorando in modo diverso e avendo un rapporto diverso con la natura sono già diversi; per cui il loro messaggio non deve essere che alcuni andranno in parlamento, ma che loro riescono a formare delle isole diverse in una società che è tutta ormai ruolizzata. Il verde rinuncia al potere perché ammette che non può esaurire il discorso della natura, che non può capirlo perché è qualcosa di "altro" rispetto a sé. Questo già non è politica né può diventarlo. Perché non dobbiamo dimenticare che se c'è una parte che è marginale rispetto a ciò che realmente accade nel paese sono proprio i politici.

Quello che dici è molto stimolante, ma mi sembra di intravvedere un pericolo in questa impostazione e cioè che si rischi di creare così una separazione tra il discorso ecologico e i problemi legati al sociale.

Non mi sembra di vedere questo rischio. In realtà non esiste un sociale equilibrato se non esiste un equilibrio a livello territoriale rispetto alle risorse. Se tu mi ponessi il problema sociale rispetto a una popolazione indios delle Ande dove c'è un fiume che sta morendo io ti risponderei che se tu salvi il fiume gli indios possono mangiare ancora, possono restare in quel posto. Credo che un impegno verde dovrebbe sostenere la priorità assoluta del rapporto diretto tra persone insediate in un posto e le risorse. Quello che secondo me bisogna fare è smettere di far politica e cominciare a ricreare tessuto sociale.

Seguendo un po' i lavori del convegno, parlando con la gente presente abbiamo avuto l'impressione che in realtà non vi sia un rifiuto radicale del modello di sviluppo attuale perché forse non si riescono ad immaginare altri modelli; secondo te esiste o non esiste una progettualità globale in cui il discorso ecologico è inserito?

Tralasciando il fatto che il livello del convegno è stato abbastanza basso, con poca elaborazione e riflessione su questi temi, a me sembra che esistano le solite due ipotesi: quella dei "concreti" (tipo Ermete Realacci di "Nuova Ecologia" o tipo Marco Boato) che è poi un'ipotesi sindacalista il cui meccanismo è: catastrofe, allarme, risposta alla catastrofe, oppure impediamo le catastrofi ponendo dei limiti; questo è un modello ed è quello più efficiente e che in questo momento dà dei frutti . L'altro modello è quello di un cambiamento che si pone anche problemi di economia e di organizzazione sociale e politica, un modello federativo (che è poi quello di Giannozzo Pucci e dei non-violenti, e di Wolfgang Sachs) che però non è stato molto approfondito e di cui non è stato detto come si possa realizzare. Ho l'impressione che esista un riferimento ideale molto più ampio in questi altri verdi ma che poi non si concretizza in aspetti propositivi.

Un'altra cosa che mi ha incuriosito del tuo intervento è che a un certo punto hai detto che se ci saranno dei verdi in parlamento dovranno però essere dei burattini, svuotati di ogni rappresentatività e decisionalità. Mi sembra un po' assurdo: che necessità c'è di avere dei burattini in parlamento, che senso ha?

Io ho citato le culture indiane per spiegare che a volte esiste la necessità di avere un simbolo ma esistono anche meccanismi per svuotare questo simbolo di ogni potere reale facendogli fare però tutto il gioco delle rappresentanze: il capo di una tribù Yanoama ha la funzione di continuare a ripetere cose ma nessuno lo ascolta.

Già ma c'è una piccola differenza rispetto alle tribù "primitive" e cioè che mentre quelle avevano un controllo diretto sul "capo" non mi sembra che la stessa cosa si possa dire per chi sta in parlamento.

No, ma ci potrebbero essere forme di controllo se esistesse un coordinamento delle realtà locali in cui c'è molto potere, se si evita che i rappresentanti creino un gruppo e se si mantiene una delega diretta dal gruppo da cui provengono. Certo esiste il pericolo di entrare in una logica perversa, come esiste il pericolo che si creino i portavoce, cioè gente slegata da ogni realtà di base che fa il libero giocatore, ma non è detto che questi pericoli si concretizzino. D'altra parte non vedo molte possibilità: o i verdi si presentano e sono capaci di gestire in modo diverso questi meccanismi oppure potrebbero decidere di non presentarsi affatto proprio quando tutti se lo aspettano e questo avrebbe un grosso significato simbolico. Una via di mezzo non esiste.
Il problema vero è che non esiste una strutturazione del potere di base per cui, anche in questo caso, il potere di vertice è solo. Questa è una debolezza intrinseca che deriva dal fatto che in Italia non si è mai creata la coscienza che ci vuole una alternativa organizzativa, che potrebbe essere una organizzazione di rete. Questo significherebbe anche fare del professionismo di base, cosa che in Italia esiste solo a livello di mondo cattolico, delle parrocchie. Il fatto è che i verdi italiani non si pongono il problema reale di quello che possono e non possono essere perché è come se avessero già la strada segnata, come se dovessero essere realisti e realismo significasse due cose: diventare come i tedeschi ed entrare nel modello già esistente. Il fatto che altrove siano già esistiti movimenti verdi paradossalmente si risolve in un dato negativo, nel non sapersi immaginare diversi da ciò che è già esistito. Quello che c'è da augurarsi è che in qualche modo si riesca a inventarlo questo modello diverso.