Rivista Anarchica Online
Come i tedeschi?
di Fausta Bizzozzero
In
quest'intervista Franco La Cecla, uno degli iniziatori del movimento
per l'autocostruzione, spiega come vede la realtà e le
prospettive del movimento verde. E indica
nell'assenza di modelli diversi da quello esistente uno dei suoi
limiti.
Secondo te in
quale misura questo convegno è rappresentativo dell'arcipelago
verde?
È
rappresentativo perché l'atmosfera che c'è qui è
quella dell'arcipelago verde, nel senso che è come se ci fosse
una grossa componente di adolescenti, una componente delle solite
facce (quelli che portano avanti un discorso politico di impegno da
dieci anni), mentre manca una fascia di professionisti biologi,
fisici, ecc. - cioè di persone che legano l'attività
verde al proprio lavoro e alla crisi che questo pone loro. Certo
questo potrebbe essere un aspetto positivo se non mancasse anche una
serie di persone che svolgono attività di base. L'impressione
è che molti dei presenti siano venuti per interesse personale
per capirne di più. Insomma sembra di essere a una università
verde più che a un convegno.
Una cosa che mi
ha colpito è la diversità rispetto a Pescara: per
l'atmosfera che vi si respira ma anche per il tipo di partecipanti.
Ad esempio ho trovato molte persone che conoscono e leggono "A",
che hanno letto Kropotkin o Bookchin.
Sicuramente il
fatto che siano stati i nonviolenti ad organizzare il convegno ha
fatto da boomerang per tutta un'area che a Pescara non è
venuta essenzialmente per motivi geografici: il triveneto è
una zona di moltissima cultura antimilitarista, di realtà di
base, dove esiste una fascia cattolico-libertaria molto forte che ha
dato vita al movimento non-violento. Vedi, in realtà questo
convegno era pensato per far vedere che esiste un altro tipo di verdi
che non sono quelli "romani" (cioè quelli che si
pongono sempre il problema di come fare politica al centro) ma
secondo me questo non è emerso sufficientemente.
Ma il fatto che
il tema del convegno fosse il potere mi sembra importante e
significativo, non ti pare?
Certo la questione
del potere è venuta fuori abbastanza bene ed è
interessante sottolineare che quasi tutti hanno fatto un discorso
molto attento al localismo; se c'è una parola d'ordine che è
emersa è proprio questa, che i verdi dovrebbero avere il
compito di animare la realtà locale; inoltre è venuto
fuori il problema dello stato in maniera molto bella, con tutti i
dubbi giusti: che lo stato non c'entri, che la politica sia una
deformazione del potere d'emergenza, cioè che già il
mettersi a far politica significa rientrare in un certo modello.
Tu hai sostenuto
nel tuo intervento di ieri la falsità della definizione "tutto
è politica". Puoi spiegarne il senso?
Io avevo il
problema di indirizzarmi al pubblico e allora ho pensato che era
molto importante fare una cosa che nessuno dei relatori aveva fatto,
vale a dire richiamarsi a una storia recente. Tutti i discorsi che i
verdi fanno su se stessi evidenziano il fatto che è come se i
verdi nascessero oggi, per questo io ho esordito dicendo che noi
siamo usciti da una nuvola che non è la nube di Chernobyl, ma
è una nuvola per cui nessuno, nessuno di noi è più
convinto che la politica sia tutto perché se c'è un
motivo per cui noi siamo qui è per difendere cose che non sono
politiche: ambiti di relazioni (sessuali, di amicizia, ecc.), ambiti
di rapporti con la natura che non sono definibili in chiave politica.
I verdi quindi devono difendere dallo stato e dalla messa in politico
molte cose tra cui la natura e i rapporti. Per me il termine politica
non è disgiunto dal termine potere: i politici nascono quando
si disgregano i legami tradizionali, comunitari ed etnici e con la
nascita della politica nasce anche il potere. Mentre quando non
esiste questa disgregazione, come in tante popolazioni "primitive"
coi loro riti, i loro legami sociali, la loro cultura, la leadership
- che pure esiste - viene però svuotata e diventa un simbolo a
cui non viene riconosciuto nessun potere. Il problema che
quindi oggi si pone ai verdi è che essi non dovrebbero
diventare politici perché è esattamente l'opposto di
quello che i verdi sostanzialmente sono e cioè l'affermazione
che esistono delle realtà non riducibili alla politica.
Se parli di
politica intesa in senso istituzionale sono d'accordo,
ovviamente. Ma mi sembra che esista un
altro modo di far politica che significa opporsi e agire per tentare
di cambiare le cose.
No, anche questo
non va bene. Ci siamo troppo abituati negli anni '70 a considerare la
politica come impegno mentre sempre e comunque la politica significa
mettersi nell'ottica di inventarsi una parte straordinaria del
proprio tempo e della propria vita per fare cose che non sono quelle
che normalmente fai.
Ma questo è
ciò che fanno anche i verdi e tutti quelli che
tendono in qualche modo a trasformare la realtà.
Certo, ed è
un grosso errore. Perché se i verdi hanno qualcosa di nuovo da
dire è che loro, lavorando in modo diverso e avendo un
rapporto diverso con la natura sono già diversi; per cui il
loro messaggio non deve essere che alcuni andranno in parlamento, ma
che loro riescono a formare delle isole diverse in una società
che è tutta ormai ruolizzata. Il verde rinuncia al potere
perché ammette che non può esaurire il discorso della
natura, che non può capirlo perché è qualcosa di
"altro" rispetto a sé. Questo già non è
politica né può diventarlo. Perché non dobbiamo
dimenticare che se c'è una parte che è marginale
rispetto a ciò che realmente accade nel paese sono proprio i
politici.
Quello che dici
è molto stimolante, ma mi sembra di intravvedere un pericolo
in questa impostazione e cioè che si rischi di creare così
una separazione tra il discorso ecologico e i problemi legati al
sociale.
Non mi sembra di
vedere questo rischio. In realtà non esiste un sociale
equilibrato se non esiste un equilibrio a livello territoriale
rispetto alle risorse. Se tu mi ponessi il problema sociale rispetto
a una popolazione indios delle Ande dove c'è un fiume che sta
morendo io ti risponderei che se tu salvi il fiume gli indios possono
mangiare ancora, possono restare in quel posto. Credo che un impegno
verde dovrebbe sostenere la priorità assoluta del rapporto
diretto tra persone insediate in un posto e le risorse. Quello che
secondo me bisogna fare è smettere di far politica e
cominciare a ricreare tessuto sociale.
Seguendo un po'
i lavori del convegno, parlando con la gente presente abbiamo avuto
l'impressione che in realtà non vi sia un rifiuto radicale del
modello di sviluppo attuale perché forse non si riescono ad
immaginare altri modelli; secondo te esiste o non esiste una
progettualità globale in cui il discorso ecologico è
inserito?
Tralasciando il
fatto che il livello del convegno è stato abbastanza basso,
con poca elaborazione e riflessione su questi temi, a me sembra che
esistano le solite due ipotesi: quella dei "concreti" (tipo
Ermete Realacci di "Nuova Ecologia" o tipo Marco Boato) che
è poi un'ipotesi sindacalista il cui meccanismo è:
catastrofe, allarme, risposta alla catastrofe, oppure impediamo le
catastrofi ponendo dei limiti; questo è un modello ed è
quello più efficiente e che in questo momento dà dei
frutti . L'altro modello è quello di un cambiamento che si
pone anche problemi di economia e di organizzazione sociale e
politica, un modello federativo (che è poi quello di Giannozzo
Pucci e dei non-violenti, e di Wolfgang Sachs) che però non è
stato molto approfondito e di cui non è stato detto come si
possa realizzare. Ho l'impressione che esista un riferimento ideale
molto più ampio in questi altri verdi ma che poi non si
concretizza in aspetti propositivi.
Un'altra cosa
che mi ha incuriosito del tuo intervento è che a un certo
punto hai detto che se ci saranno dei verdi in parlamento dovranno
però essere dei burattini, svuotati di ogni rappresentatività
e decisionalità. Mi sembra un po' assurdo: che necessità
c'è di avere dei burattini in parlamento, che senso ha?
Io ho citato le
culture indiane per spiegare che a volte esiste la necessità
di avere un simbolo ma esistono anche meccanismi per svuotare questo
simbolo di ogni potere reale facendogli fare però tutto il
gioco delle rappresentanze: il capo di una tribù Yanoama ha la
funzione di continuare a ripetere cose ma nessuno lo ascolta.
Già ma
c'è una piccola differenza rispetto alle tribù
"primitive" e cioè che mentre quelle avevano un
controllo diretto sul "capo" non mi sembra che la stessa
cosa si possa dire per chi sta in parlamento.
No, ma ci
potrebbero essere forme di controllo se esistesse un coordinamento
delle realtà locali in cui c'è molto potere, se si
evita che i rappresentanti creino un gruppo e se si mantiene una
delega diretta dal gruppo da cui provengono. Certo esiste il pericolo
di entrare in una logica perversa, come esiste il pericolo che si
creino i portavoce, cioè gente slegata da ogni realtà
di base che fa il libero giocatore, ma non è detto che questi
pericoli si concretizzino. D'altra parte non vedo molte possibilità:
o i verdi si presentano e sono capaci di gestire in modo diverso
questi meccanismi oppure potrebbero decidere di non presentarsi
affatto proprio quando tutti se lo aspettano e questo avrebbe un
grosso significato simbolico. Una via di mezzo non esiste. Il problema vero è
che non esiste una strutturazione del potere di base per cui, anche
in questo caso, il potere di vertice è solo. Questa è
una debolezza intrinseca che deriva dal fatto che in Italia non si è
mai creata la coscienza che ci vuole una alternativa organizzativa,
che potrebbe essere una organizzazione di rete. Questo
significherebbe anche fare del professionismo di base, cosa che in
Italia esiste solo a livello di mondo cattolico, delle parrocchie. Il
fatto è che i verdi italiani non si pongono il problema reale
di quello che possono e non possono essere perché è
come se avessero già la strada segnata, come se dovessero
essere realisti e realismo significasse due cose: diventare come i
tedeschi ed entrare nel modello già esistente. Il fatto che
altrove siano già esistiti movimenti verdi paradossalmente si
risolve in un dato negativo, nel non sapersi immaginare diversi da
ciò che è già esistito. Quello che c'è da
augurarsi è che in qualche modo si riesca a inventarlo questo
modello diverso.
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