Rivista Anarchica Online
Molte idee, anche
nostre
di Massimo Panizza
Al convegno su "I
verdi e il potere" (Verona, 6/8 marzo) hanno partecipato
centinaia e centinaia di persone. C'erano, tra gli altri, i soliti
politicanti e quelli dell'ultima ora. Ma c'era anche tanta gente,
individui, gruppi, per cui la scelta verde è innanzitutto una scelta
esistenziale. Gente che lavora
per portare avanti idee che sono anche nostre. Le nostre perplessità.
Dalla sala le
ultime parole si perdono nel brusio della partenza e dei saluti.
Gente che arriva da lontano, che si ritrova in queste occasioni,
amicizie appena allacciate, volano indirizzi, numeri telefonici, gli
ultimi accordi e intanto il convegno si scioglie. Siamo a Verona,
6/7/8 marzo con il banchetto della rivista e tanta buona voglia di
capire; titolo del convegno: "I verdi e il potere". Si svolge
presso il centro diocesano convegni Saval sul Lungadige, un
palazzaccio di cemento che racchiude l'aria mefitica degli spazi non
vissuti, le pareti bianche non incise dal passaggio dell'uomo se non
per i crocifissi e le madonne sparse qua e là. Dal pomeriggio di
venerdì le sale e le stanze hanno cominciato ad animarsi. Alle 21 i primi
interventi: L'Abate, Langer, don Zanotelli rispondono alla domanda
"Conquistare il potere o svuotarlo?". Don Alessandro
Zanotelli è il direttore della rivista Nigrizia. Si presenta come
cristiano e missionario. Il suo intervento è assai curioso, cerco di
condensare qualche frase: "Il pericolo che incombe è fare
un'ecologia europea. Il terzo mondo pone gravi interrogativi ai
verdi, a questi interrogativi si deve rispondere in chiave globale,
planetaria: non dimentichiamo armi e fame. Si può toccare con mano
il deperimento delle zone povere nel giro di tre anni. Nell'80 il 60%
viveva sotto la soglia della povertà assoluta (150.000 lire annue),
nel '95 la banca mondiale - che non ha certo interesse a gonfiare i
dati - prevede che il 100% della popolazione del "sud" del
mondo vivrà sotto questa soglia. Ogni minuto 20, 30 bambini muoiono
per fame e ogni minuto vengono spesi tre miliardi in armi. Attenzione
qualsiasi discorso sul potere deve fare i conti con questo sistema. È
questo sistema che deve essere distrutto. Ed è un cambiamento che
non può venire dall'alto, ma deve venire dal basso, dai dannati
della terra. Bisogna superare la logica di questo sistema, bisogna
andare oltre lo stato". L'intervento è arricchito da citazioni
ciascuna vibrata con forza contro la ragion di stato e il potere.
Moltissimi applausi; sono, siamo attoniti. Certo è curioso
che padre Zanotelli lanci il suo messaggio come rappresentante della
chiesa. Forse Zanotelli si impegna dall'interno per cambiare
un'istituzione che si organizza gerarchicamente e che sfrutta con
poteri occulti l'ignoranza della gente. Ma quanto, tutto sommato, il
suo discorso è funzionale a mamma chiesa contribuendo a creare una
buona immagine di tolleranza, di apertura? Possiamo stare certi che
quando non lo sarà più farà la fine di tanti altri, le fiamme
degl'inferi lo inghiottiranno. I suoi discorsi sono tanto utopici,
lontani, certo non toccano l'uomo della strada, certo non lo toccano
quanto la contraccezione, l'aborto, l'omosessualità, l'aids. Lì
bisogna essere più precisi. Ma del terzo mondo parlano proprio
tutti, è un problema grosso il terzo mondo, è un problema rimosso.
Stato e
campanile
Alexander Langer
(consigliere regionale della "Lista alternativa per l'altro
Sudtirolo") analizza nel suo intervento le motivazioni per cui
l'attuale democrazia rappresentativa, quale forma di governo, crea
condizioni antiecologiche piuttosto che un diffuso spirito
ecologicamente consapevole. E tra le varie cause ne sottolinea alcune
quali: la disinformazione e la rimozione dei problemi da parte del
semplice cittadino; l'abitudine interiorizzata a delegare i
responsabili delle decisioni; l'inefficacia della gestione del
controllo in quanto è nelle stesse mani di chi decide, che quindi
non rischia di essere richiamato a misurarsi con le conseguenze; il
coinvolgimento della massa nei meccanismi di distruzione
(consumismo); l'inerzia a conservare lo stato delle cose da parte dei
lavoratori delle industrie sotto processo che cedono al ricatto
occupazionale. E Langer continua: "Qualcuno ne trae che solo una
guida autoritaria può impedire la trasgressione ecologica. Solo un
governo ecologicamente illuminato può frenare il disastro. C'è
invece chi insiste per conciliare ecologia e democrazia. In molte
sedi si pensa che le scelte dovrebbero passare attraverso una griglia
che ne valuta l'impatto ambientale". Ma secondo Langer dove si
può allocare una possibile ragione ecologica? Ci sono due risposte:
la riabilitazione del "campanile" (la dimensione locale) e
l'affermazione del diritto d'intervento di chi è colpito dalle
decisioni altrui. Dunque afferma l'importanza della
decentralizzazione del potere e dello sviluppo di una rete
integrativa tra i "campanili" per una dimensione attuabile e
verificabile della democrazia attraverso l'autodeterminazione, il
diritto di veto, e un maggiore senso di responsabilità di tutti. Una
proposta sostanzialmente ambigua, che non fa i conti con la vera
natura e funzione dello stato, comunque decentrato. Alberto L'Abate
(movimento nonviolento) affronta il tema aiutandosi con due tabelle
schematiche pubblicate su "Tam Tam verde" di marzo. Nella
prima tabella mette a confronto le due strategie: conquista del
potere e svuotamento del potere. Per la conquista del potere
individua tra le altre cose una stanza dei bottoni, il voto, il
professionalismo politico, per lo svuotamento del potere la
rivoluzione non violenta, la crescita del potere alla base, il
cambiamento profondo dei valori e dei modelli di vita. Nella seconda
tabella individua gli elementi di una strategia per lo svuotamento
del potere centrale nel nostro paese a livello individuale, a livello
di gruppo, a livello di intergruppi. L'Abate è tra i fondatori del
movimento non violento in Italia, la sua formazione è marxista come
sottolinea lui stesso durante il suo intervento. Qualcuno commenta
scherzosamente: "... se fossi stato anarchico cosa mai ci avresti
proposto?". Tra gli interventi
del pubblico tre mi sono sembrati più significativi. Davide Fiorini
(che si presenta come libero pensatore): "Temo sia difficile
svuotare il potere dopo 5000 anni che si riproduce. Il potere è in
mano a chi è in grado di gestirlo, dobbiamo piegarlo all'ecologia".
Un rappresentante di Mani Tese, Enrico: "Ciò che sta portando
il mondo alla rovina è un sempre più spinto accentramento del
potere. Sbriciolarlo sempre più e diffonderlo è forse la cosa più
semplice, ma proprio per questo non viene mai presa in
considerazione. Io sono per il villaggio gandhiano e sono contro ogni
tipo di delega. Rivalutiamo l'anarchia. Rivalutiamo Gandhi e
Tolstoj". Federica Dal Fiume: "Il potere lo conosce chi lo
subisce e non chi ce l'ha. Il potere è sapere, denaro, virilità. Il
potere va abbattuto. Chi di noi è veramente anarchico?". Sabato mattina si
sono formati dei laboratori di gruppo che hanno lavorato sulle
domande: è utile la presenza istituzionale dei verdi paragonata a
quella extra-istituzionale? Che vuol dire biodegradabilità politica
dei verdi? Che tipo di organizzazione darsi a livello locale e
nazionale? Che senso ha la nonviolenza nel movimento verde e nelle
istituzioni? La forma partito contrasta con la pratica e lo spirito
verde? Che senso ha presentare liste verdi alle politiche? Ogni gruppo doveva
scegliere un solo tema e seguire un metodo di stesura collettiva,
predisposto per far emergere le idee di tutti i partecipanti e questo
si è davvero verificato: il tempo a disposizione si è esaurito in
un clima partecipato e ricco di vivacità e di proposte. Unico neo
iniziale è stato da parte degli organizzatori l'aver sottovalutato
che i presenti non avevano alcuna familiarità con le metodologie
proposte e quindi difficoltà ad accettare una logica di lavoro
completamente nuova. Questo l'ho notato su me stesso e sugli altri
quando Filippo, il coordinatore del gruppo, ha spiegato il programma
di lavoro. I primi punti (io sono...; dispersione geo-politica; ad
occhi chiusi nel parco) che stimolavano un minimo di conoscenza e
riduzione delle barriere difensive tra noi sono stati mal digeriti da
quasi tutti. Ma del resto spiegare i fondamenti del training in pochi
minuti non era possibile. Ben riuscita è stata la parte centrale, la
discussione vera e propria. Si è discusso prima a coppie, poi tra
due coppie, poi tra due quartetti e infine, ma il tempo non l'ha
permesso, doveva essere estesa a tutto il gruppo. Ad ogni passaggio
si producevano unanimità, ampie convergenze e diversità emerse. In
chiusura c'è stato un momento per la verifica del metodo con molte
critiche in positivo e in negativo e con un diffuso compiaciuto
stupore sull'efficacia di una metodologia pensata per stimolare
l'espressione di tutto il gruppo. Peccato, il tempo a disposizione
era pochissimo, Filippo ha continuato ad aggirarsi tra i gruppi con
una sveglia e il lavoro si è dovuto interrompere bruscamente senza
la prevista visualizzazione dei risultati sui cartelloni. Nel
pomeriggio ancora dibattito nella sala grande: "Noi e il potere,
la strategia verde nel pensiero e nella pratica politica: sinistra e
destra o alto e basso?". Ma prima vorrei
spostarmi al banchetto della rivista e dei libri delle Edizioni
Antistato. Questa sala libreria-mercato è un po' fuori rotta
rispetto al passaggio dei convegnisti e quindi quaggiù si è sentito
un po' il disagio dell'isolamento e non la vivace affluenza che c'è
stata al convegno di settembre a Pescara. Purtroppo la carta stampata
non è circolata molto, così come le delizie biologiche, vino, torte
e formaggi, non sono state proprio "spazzolate".
Ma quale cultura
verde?
Due piani più
sopra è iniziato il dibattito, sta parlando Anna Donati (lista verde
di Lugo di Romagna, portavoce della federazione nazionale): "Prima
di confrontarci col potere dobbiamo definire una cultura verde.
L'aspetto ambientalista deve coniugarsi con la critica radicale al
processo di sviluppo e con l'approccio scientista, anche per creare
una nuova forza etica e per colmare il bisogno di valori. Esistono,
anche dentro ciascuno di noi, un'anima ambientalista e una
fondamentalista, ma nessuno ha in mano un modello per il futuro.
Spesso si cerca un modello che risolva tutti i problemi e che sia
valido per tutti, invece deve essere solo flessibile e adeguabile
alla nostra crescita. Dobbiamo favorire un'azione in cui tutti
possono esprimersi e fare, trovando criteri organizzativi che non
possono essere quelli di ora fondati sulla delega con riporto". In un'ottica tutta
istituzionale, Marco Boato (lista verde del Trentino) sottolinea la
necessità di una cultura di governo ecologista e della capacità di
trasformare e di intervenire anche dall'interno. Importante secondo
lui, all'interno dell'organizzazione verde, l'esercizio del potere di
veto e un leaderismo codificato e regolato per evitare un leaderismo
carismatico e profetico. "Elemento caratterizzante dei verdi -
dice - è la differenza, la diversità, la molteplicità, la presenza
di diverse strategie che comprendono in casi estremi, quando è
necessario anche la possibilità di votare. Nessuno vuole un partito,
per fortuna, ma si sente piuttosto l'esigenza di forme organizzative
da rimettere continuamente in discussone". Wolfgang Sachs, un
verde tedesco, indaga sul rapporto tra rossi (sinistra) e verdi: "È
cambiato il consesso storico, siamo in una transizione tra una
società della crescita e una società a rischio. Cosa significa fare
politica di fronte ad una società a rischio? Il conflitto della
sinistra è intorno all'uguaglianza e alla ridistribuzione dei beni.
Quindi questo conflitto si gioca all'interno del sistema produttivo.
Invece il conflitto dei verdi è intorno al limite di questo sistema
produttivo: la produzione efferata di beni per tutti causerà la
catastrofe. Dunque la ricerca dell'uguaglianza cozza con i problemi
ambientali. Il principio del limite deve prevalere su quello
dell'uguaglianza. Ma i verdi non possono più considerare lo stato
come centro del cambiamento. Una sfida per i verdi è trovare nuove
forme di lotta con l'obiettivo di non produrre un ulteriore
rafforzamento dello stato". Michele Boato
(consigliere regionale della lista verde del Veneto) è tra i pochi a
sostenere chiaramente la non partecipazione dei verdi alle elezioni
(ora la penso così - dice -). Le motivazioni della sua scelta sono
contenute nell'intervista che segue in questo dossier. Molto
articolato l'intervento di Franco La Cecla, eccone una parte: "Mi
sembra che qui si voglia arrivare ad una sintesi e cioè che qualcuno
dovrà "sacrificarsi" in parlamento mentre gli altri
continueranno il loro lavoro. Attenzione non è così facile fare una
sintesi, dobbiamo riaprire il dibattito. Nessuno ci convincerà più
che tutto è politica: la natura non può essere rappresentata in
parlamento (cit. da Gary Snyder). Uno dei motivi per cui siamo
diversi dagli anni '70 è che noi sappiamo che ci sono cose su cui
non si può esercitare il potere: non è vero che che tutto è
politica. Com'è possibile battersi per cose che non sono politiche
volendo discuterne in parlamento? Lo stato non deve sostituirsi ai
valori locali. Non dobbiamo parlare di un'etica ambientalista, ma di
territorialità, ogni territorio ha le sue regole. In parlamento
faremmo esattamente il contrario. Vogliamo mantenere lo stato delle
cose o essere portatori di valori diversi da quelli dello stato e dei
partiti? Stiamo troppo presto perdendo la nostra autonomia. Siamo
l'unica voce in Italia che può ribaltare la truffa delle minoranze:
i politici sono l'unica vera minoranza".
Le nostre
perplessità
Giannozzo Pucci
(lista verde di Firenze e redattore dei Quaderni di Ontignano)
interviene sulla dicotomia del movimento verde ovvero sulla
separazione esistente tra realisti e fondamentalisti: "Si può
essere realisti senza essere mangiati dalla realtà solo se si è
fondamentalisti ovvero non facendo propria la logica delle
istituzioni. Esiste la necessità d'impegnarsi nelle istituzioni, ma
che tipo d'impegno? La linea, la ragione per cui siamo fuori e dentro
le istituzioni deve essere la stessa. Dunque è necessaria una
strategia. Dobbiamo concepire la nostra presenza nelle istituzioni
pensando di cambiare lo stato, rivoluzionarlo, trasformarlo in una
serie di comuni, città/stato, ecc... Tutto deve avvenire
gradualmente, ma deve essere chiaro. La gradualità è necessaria per
la crescita di una realtà alternativa al potere centralizzato che si
sovrapponga come una rete all'attuale modello organizzativo". Il convegno è
proseguito il giorno seguente con gruppi di riflessione guidata su
una serie di temi legati all'area verde e non-violenta. E per tutto
il pomeriggio i lavori sono continuati presso la sala grande con la
presentazione delle indicazioni dei gruppi di riflessione e il
dibattito conclusivo. Alla fine si sente una certa stanchezza dovuta
anche alla densità del programma e si perde un po' la
concentrazione. Ce ne andiamo con
tutte le nostre perplessità. La sensazione è che fosse presente
solo la parte del movimento verde più sensibilizzata sul tema
(Pescara mi è sembrata più rappresentativa delle diversità del
movimento) e che la mancanza di una presenza anarchica - e quindi di
persone che potrebbero con la propria cultura e la propria
sensibilità mantenere viva l'anima libertaria del movimento - in un
arcipelago dove esiste spazio per fare, debba costituire motivo di
riflessione. Una presenza che non dovrebbe ridursi a stigmatizzare o
sottolineare che gli anarchici sono verdi da sempre attraverso
pensatori come Kropotkin o Bookchin. A Verona c'era
molta gente. Ce n'era di vari tipi. C'erano i soliti politicanti e
quelli dell'ultima ora, uniti nell'amplificare la sirena elettorale e
istituzionale. Ma c'era anche tanta gente, individui, gruppi, per cui
la scelta verde è innanzitutto una scelta esistenziale. Gente che
lavora - e spesso lavora bene e sodo - per portare avanti idee che
sono anche nostre. E, per fortuna, non solo nostre.
Diversità
d'opinioni e d'intenti
Dal "laboratorio
di gruppo" incentrato sulla domanda " È
stata utile la presenza istituzionale dei Verdi, anche paragonandola
a quella extra-istituzionale?", è emersa la profonda diversità
tra le posizioni espresse dai verdi. A differenza del forum consimile
del convegno di Pescara ("Fare politica o che farne?") - in cui
le posizioni diverse avevano dato immediatamente vita a discussioni
"classiche" - a Verona la discussione è avvenuta in maniera
assai diversa, senza dibattiti "a due", organizzata e coordinata
com'era secondo "modelli non-violenti" di confronto che
all'inizio hanno un po' spiazzato chi è abituato (come il
sottoscritto) alle discussioni tradizionali rivelandosi però
veramente utili nel favorire la partecipazione e la piena possibilità
di espressione per tutti. Anzi, la mancanza del confronto "duro e
diretto" fra le varie posizioni, invece di appiattire il dibattito,
ha favorito il pieno emergere delle diversità di opinione e di
intenti. Così
attorno alle valutazioni su che cosa ha significato l'entrata dei
verdi nelle istituzioni, locali e non, sono immediatamente emerse
grosse differenze di opinione. E chi sosteneva l'utilità di tale
ingresso (giustificandolo come "una maggiore possibilità di
influire sulle scelte" o con la volontà di "esercitare un più
ampio controllo" ristabilendo anche "le regole del gioco
democratico"; posizione questa sostenuta - guarda caso - da
quasi tutti i consiglieri di enti locali presenti) ha potuto
immediatamente vedere quanti fossero ad avere idee radicalmente
diverse in proposito.
Numerosi partecipanti hanno anzi messo in luce come tale entrata
abbia contribuito "a far delegare ancora una volta la gente" o
"renda meno alla portata di tutti i problemi e le loro possibili
soluzioni", non mancando nemmeno coloro che temono che gli eletti
verdi possano diventare una "nuova classe politica staccata dalla
società che contribuisca a svuotare il movimento verde delle sue
potenzialità". Queste
diversità sono state ulteriormente rimarcate allorché si è passati
a discutere sul significato e sulle possibilità della presenza verde
nella società. In questo caso non sono emerse sostanziali diversità
e tutti hanno sottolineato, con maggiore o minore convinzione, come
sia questo il vero terreno d'azione del movimento ecologista dovendo
esso "impegnarsi affinché la gente risolva direttamente i suoi
problemi". Molti partecipanti si sono anche espressi a favore di
una radicale mutazione della società che dia vita ad una nuova
convivenza non solo ecologicamente rispettosa della natura ma anche
"realmente libera e giusta, basata su valori quali la libertà
individuale, l'uguaglianza fra le diversità, la non-violenza". In
sostanza, come si diceva all'inizio, Verona è stata molto diversa da
Pescara e le tensioni libertarie presenti nell'arcipelago ecologista
hanno potuto maggiormente emergere esprimendosi soprattutto sui
problemi reali e non attorno alle opinioni presentate dalle star
verdi (fra l'altro quasi del tutto assenti).
Franco
Melandri
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