Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 145
aprile 1987


Rivista Anarchica Online

Molte idee, anche nostre
di Massimo Panizza

Al convegno su "I verdi e il potere" (Verona, 6/8 marzo) hanno partecipato centinaia e centinaia di persone. C'erano, tra gli altri, i soliti politicanti e quelli dell'ultima ora. Ma c'era anche tanta gente, individui, gruppi, per cui la scelta verde è innanzitutto una scelta esistenziale. Gente che lavora per portare avanti idee che sono anche nostre. Le nostre perplessità.

Dalla sala le ultime parole si perdono nel brusio della partenza e dei saluti. Gente che arriva da lontano, che si ritrova in queste occasioni, amicizie appena allacciate, volano indirizzi, numeri telefonici, gli ultimi accordi e intanto il convegno si scioglie.
Siamo a Verona, 6/7/8 marzo con il banchetto della rivista e tanta buona voglia di capire; titolo del convegno: "I verdi e il potere". Si svolge presso il centro diocesano convegni Saval sul Lungadige, un palazzaccio di cemento che racchiude l'aria mefitica degli spazi non vissuti, le pareti bianche non incise dal passaggio dell'uomo se non per i crocifissi e le madonne sparse qua e là. Dal pomeriggio di venerdì le sale e le stanze hanno cominciato ad animarsi.
Alle 21 i primi interventi: L'Abate, Langer, don Zanotelli rispondono alla domanda "Conquistare il potere o svuotarlo?". Don Alessandro Zanotelli è il direttore della rivista Nigrizia. Si presenta come cristiano e missionario. Il suo intervento è assai curioso, cerco di condensare qualche frase: "Il pericolo che incombe è fare un'ecologia europea. Il terzo mondo pone gravi interrogativi ai verdi, a questi interrogativi si deve rispondere in chiave globale, planetaria: non dimentichiamo armi e fame. Si può toccare con mano il deperimento delle zone povere nel giro di tre anni. Nell'80 il 60% viveva sotto la soglia della povertà assoluta (150.000 lire annue), nel '95 la banca mondiale - che non ha certo interesse a gonfiare i dati - prevede che il 100% della popolazione del "sud" del mondo vivrà sotto questa soglia. Ogni minuto 20, 30 bambini muoiono per fame e ogni minuto vengono spesi tre miliardi in armi. Attenzione qualsiasi discorso sul potere deve fare i conti con questo sistema. È questo sistema che deve essere distrutto. Ed è un cambiamento che non può venire dall'alto, ma deve venire dal basso, dai dannati della terra. Bisogna superare la logica di questo sistema, bisogna andare oltre lo stato". L'intervento è arricchito da citazioni ciascuna vibrata con forza contro la ragion di stato e il potere. Moltissimi applausi; sono, siamo attoniti.
Certo è curioso che padre Zanotelli lanci il suo messaggio come rappresentante della chiesa. Forse Zanotelli si impegna dall'interno per cambiare un'istituzione che si organizza gerarchicamente e che sfrutta con poteri occulti l'ignoranza della gente. Ma quanto, tutto sommato, il suo discorso è funzionale a mamma chiesa contribuendo a creare una buona immagine di tolleranza, di apertura? Possiamo stare certi che quando non lo sarà più farà la fine di tanti altri, le fiamme degl'inferi lo inghiottiranno. I suoi discorsi sono tanto utopici, lontani, certo non toccano l'uomo della strada, certo non lo toccano quanto la contraccezione, l'aborto, l'omosessualità, l'aids. Lì bisogna essere più precisi. Ma del terzo mondo parlano proprio tutti, è un problema grosso il terzo mondo, è un problema rimosso.

Stato e campanile
Alexander Langer (consigliere regionale della "Lista alternativa per l'altro Sudtirolo") analizza nel suo intervento le motivazioni per cui l'attuale democrazia rappresentativa, quale forma di governo, crea condizioni antiecologiche piuttosto che un diffuso spirito ecologicamente consapevole. E tra le varie cause ne sottolinea alcune quali: la disinformazione e la rimozione dei problemi da parte del semplice cittadino; l'abitudine interiorizzata a delegare i responsabili delle decisioni; l'inefficacia della gestione del controllo in quanto è nelle stesse mani di chi decide, che quindi non rischia di essere richiamato a misurarsi con le conseguenze; il coinvolgimento della massa nei meccanismi di distruzione (consumismo); l'inerzia a conservare lo stato delle cose da parte dei lavoratori delle industrie sotto processo che cedono al ricatto occupazionale. E Langer continua: "Qualcuno ne trae che solo una guida autoritaria può impedire la trasgressione ecologica. Solo un governo ecologicamente illuminato può frenare il disastro. C'è invece chi insiste per conciliare ecologia e democrazia. In molte sedi si pensa che le scelte dovrebbero passare attraverso una griglia che ne valuta l'impatto ambientale". Ma secondo Langer dove si può allocare una possibile ragione ecologica? Ci sono due risposte: la riabilitazione del "campanile" (la dimensione locale) e l'affermazione del diritto d'intervento di chi è colpito dalle decisioni altrui. Dunque afferma l'importanza della decentralizzazione del potere e dello sviluppo di una rete integrativa tra i "campanili" per una dimensione attuabile e verificabile della democrazia attraverso l'autodeterminazione, il diritto di veto, e un maggiore senso di responsabilità di tutti. Una proposta sostanzialmente ambigua, che non fa i conti con la vera natura e funzione dello stato, comunque decentrato.
Alberto L'Abate (movimento nonviolento) affronta il tema aiutandosi con due tabelle schematiche pubblicate su "Tam Tam verde" di marzo. Nella prima tabella mette a confronto le due strategie: conquista del potere e svuotamento del potere. Per la conquista del potere individua tra le altre cose una stanza dei bottoni, il voto, il professionalismo politico, per lo svuotamento del potere la rivoluzione non violenta, la crescita del potere alla base, il cambiamento profondo dei valori e dei modelli di vita. Nella seconda tabella individua gli elementi di una strategia per lo svuotamento del potere centrale nel nostro paese a livello individuale, a livello di gruppo, a livello di intergruppi. L'Abate è tra i fondatori del movimento non violento in Italia, la sua formazione è marxista come sottolinea lui stesso durante il suo intervento. Qualcuno commenta scherzosamente: "... se fossi stato anarchico cosa mai ci avresti proposto?".
Tra gli interventi del pubblico tre mi sono sembrati più significativi. Davide Fiorini (che si presenta come libero pensatore): "Temo sia difficile svuotare il potere dopo 5000 anni che si riproduce. Il potere è in mano a chi è in grado di gestirlo, dobbiamo piegarlo all'ecologia". Un rappresentante di Mani Tese, Enrico: "Ciò che sta portando il mondo alla rovina è un sempre più spinto accentramento del potere. Sbriciolarlo sempre più e diffonderlo è forse la cosa più semplice, ma proprio per questo non viene mai presa in considerazione. Io sono per il villaggio gandhiano e sono contro ogni tipo di delega. Rivalutiamo l'anarchia. Rivalutiamo Gandhi e Tolstoj". Federica Dal Fiume: "Il potere lo conosce chi lo subisce e non chi ce l'ha. Il potere è sapere, denaro, virilità. Il potere va abbattuto. Chi di noi è veramente anarchico?".
Sabato mattina si sono formati dei laboratori di gruppo che hanno lavorato sulle domande: è utile la presenza istituzionale dei verdi paragonata a quella extra-istituzionale? Che vuol dire biodegradabilità politica dei verdi? Che tipo di organizzazione darsi a livello locale e nazionale? Che senso ha la nonviolenza nel movimento verde e nelle istituzioni? La forma partito contrasta con la pratica e lo spirito verde? Che senso ha presentare liste verdi alle politiche?
Ogni gruppo doveva scegliere un solo tema e seguire un metodo di stesura collettiva, predisposto per far emergere le idee di tutti i partecipanti e questo si è davvero verificato: il tempo a disposizione si è esaurito in un clima partecipato e ricco di vivacità e di proposte. Unico neo iniziale è stato da parte degli organizzatori l'aver sottovalutato che i presenti non avevano alcuna familiarità con le metodologie proposte e quindi difficoltà ad accettare una logica di lavoro completamente nuova. Questo l'ho notato su me stesso e sugli altri quando Filippo, il coordinatore del gruppo, ha spiegato il programma di lavoro. I primi punti (io sono...; dispersione geo-politica; ad occhi chiusi nel parco) che stimolavano un minimo di conoscenza e riduzione delle barriere difensive tra noi sono stati mal digeriti da quasi tutti. Ma del resto spiegare i fondamenti del training in pochi minuti non era possibile. Ben riuscita è stata la parte centrale, la discussione vera e propria. Si è discusso prima a coppie, poi tra due coppie, poi tra due quartetti e infine, ma il tempo non l'ha permesso, doveva essere estesa a tutto il gruppo. Ad ogni passaggio si producevano unanimità, ampie convergenze e diversità emerse. In chiusura c'è stato un momento per la verifica del metodo con molte critiche in positivo e in negativo e con un diffuso compiaciuto stupore sull'efficacia di una metodologia pensata per stimolare l'espressione di tutto il gruppo. Peccato, il tempo a disposizione era pochissimo, Filippo ha continuato ad aggirarsi tra i gruppi con una sveglia e il lavoro si è dovuto interrompere bruscamente senza la prevista visualizzazione dei risultati sui cartelloni. Nel pomeriggio ancora dibattito nella sala grande: "Noi e il potere, la strategia verde nel pensiero e nella pratica politica: sinistra e destra o alto e basso?".
Ma prima vorrei spostarmi al banchetto della rivista e dei libri delle Edizioni Antistato. Questa sala libreria-mercato è un po' fuori rotta rispetto al passaggio dei convegnisti e quindi quaggiù si è sentito un po' il disagio dell'isolamento e non la vivace affluenza che c'è stata al convegno di settembre a Pescara. Purtroppo la carta stampata non è circolata molto, così come le delizie biologiche, vino, torte e formaggi, non sono state proprio "spazzolate".

Ma quale cultura verde?
Due piani più sopra è iniziato il dibattito, sta parlando Anna Donati (lista verde di Lugo di Romagna, portavoce della federazione nazionale): "Prima di confrontarci col potere dobbiamo definire una cultura verde. L'aspetto ambientalista deve coniugarsi con la critica radicale al processo di sviluppo e con l'approccio scientista, anche per creare una nuova forza etica e per colmare il bisogno di valori. Esistono, anche dentro ciascuno di noi, un'anima ambientalista e una fondamentalista, ma nessuno ha in mano un modello per il futuro. Spesso si cerca un modello che risolva tutti i problemi e che sia valido per tutti, invece deve essere solo flessibile e adeguabile alla nostra crescita. Dobbiamo favorire un'azione in cui tutti possono esprimersi e fare, trovando criteri organizzativi che non possono essere quelli di ora fondati sulla delega con riporto".
In un'ottica tutta istituzionale, Marco Boato (lista verde del Trentino) sottolinea la necessità di una cultura di governo ecologista e della capacità di trasformare e di intervenire anche dall'interno. Importante secondo lui, all'interno dell'organizzazione verde, l'esercizio del potere di veto e un leaderismo codificato e regolato per evitare un leaderismo carismatico e profetico. "Elemento caratterizzante dei verdi - dice - è la differenza, la diversità, la molteplicità, la presenza di diverse strategie che comprendono in casi estremi, quando è necessario anche la possibilità di votare. Nessuno vuole un partito, per fortuna, ma si sente piuttosto l'esigenza di forme organizzative da rimettere continuamente in discussone".
Wolfgang Sachs, un verde tedesco, indaga sul rapporto tra rossi (sinistra) e verdi: "È cambiato il consesso storico, siamo in una transizione tra una società della crescita e una società a rischio. Cosa significa fare politica di fronte ad una società a rischio? Il conflitto della sinistra è intorno all'uguaglianza e alla ridistribuzione dei beni. Quindi questo conflitto si gioca all'interno del sistema produttivo. Invece il conflitto dei verdi è intorno al limite di questo sistema produttivo: la produzione efferata di beni per tutti causerà la catastrofe. Dunque la ricerca dell'uguaglianza cozza con i problemi ambientali. Il principio del limite deve prevalere su quello dell'uguaglianza. Ma i verdi non possono più considerare lo stato come centro del cambiamento. Una sfida per i verdi è trovare nuove forme di lotta con l'obiettivo di non produrre un ulteriore rafforzamento dello stato".
Michele Boato (consigliere regionale della lista verde del Veneto) è tra i pochi a sostenere chiaramente la non partecipazione dei verdi alle elezioni (ora la penso così - dice -). Le motivazioni della sua scelta sono contenute nell'intervista che segue in questo dossier. Molto articolato l'intervento di Franco La Cecla, eccone una parte: "Mi sembra che qui si voglia arrivare ad una sintesi e cioè che qualcuno dovrà "sacrificarsi" in parlamento mentre gli altri continueranno il loro lavoro. Attenzione non è così facile fare una sintesi, dobbiamo riaprire il dibattito. Nessuno ci convincerà più che tutto è politica: la natura non può essere rappresentata in parlamento (cit. da Gary Snyder). Uno dei motivi per cui siamo diversi dagli anni '70 è che noi sappiamo che ci sono cose su cui non si può esercitare il potere: non è vero che che tutto è politica. Com'è possibile battersi per cose che non sono politiche volendo discuterne in parlamento? Lo stato non deve sostituirsi ai valori locali. Non dobbiamo parlare di un'etica ambientalista, ma di territorialità, ogni territorio ha le sue regole. In parlamento faremmo esattamente il contrario. Vogliamo mantenere lo stato delle cose o essere portatori di valori diversi da quelli dello stato e dei partiti? Stiamo troppo presto perdendo la nostra autonomia. Siamo l'unica voce in Italia che può ribaltare la truffa delle minoranze: i politici sono l'unica vera minoranza".

Le nostre perplessità
Giannozzo Pucci (lista verde di Firenze e redattore dei Quaderni di Ontignano) interviene sulla dicotomia del movimento verde ovvero sulla separazione esistente tra realisti e fondamentalisti: "Si può essere realisti senza essere mangiati dalla realtà solo se si è fondamentalisti ovvero non facendo propria la logica delle istituzioni. Esiste la necessità d'impegnarsi nelle istituzioni, ma che tipo d'impegno? La linea, la ragione per cui siamo fuori e dentro le istituzioni deve essere la stessa. Dunque è necessaria una strategia. Dobbiamo concepire la nostra presenza nelle istituzioni pensando di cambiare lo stato, rivoluzionarlo, trasformarlo in una serie di comuni, città/stato, ecc... Tutto deve avvenire gradualmente, ma deve essere chiaro. La gradualità è necessaria per la crescita di una realtà alternativa al potere centralizzato che si sovrapponga come una rete all'attuale modello organizzativo".
Il convegno è proseguito il giorno seguente con gruppi di riflessione guidata su una serie di temi legati all'area verde e non-violenta. E per tutto il pomeriggio i lavori sono continuati presso la sala grande con la presentazione delle indicazioni dei gruppi di riflessione e il dibattito conclusivo. Alla fine si sente una certa stanchezza dovuta anche alla densità del programma e si perde un po' la concentrazione.
Ce ne andiamo con tutte le nostre perplessità. La sensazione è che fosse presente solo la parte del movimento verde più sensibilizzata sul tema (Pescara mi è sembrata più rappresentativa delle diversità del movimento) e che la mancanza di una presenza anarchica - e quindi di persone che potrebbero con la propria cultura e la propria sensibilità mantenere viva l'anima libertaria del movimento - in un arcipelago dove esiste spazio per fare, debba costituire motivo di riflessione. Una presenza che non dovrebbe ridursi a stigmatizzare o sottolineare che gli anarchici sono verdi da sempre attraverso pensatori come Kropotkin o Bookchin.
A Verona c'era molta gente. Ce n'era di vari tipi. C'erano i soliti politicanti e quelli dell'ultima ora, uniti nell'amplificare la sirena elettorale e istituzionale. Ma c'era anche tanta gente, individui, gruppi, per cui la scelta verde è innanzitutto una scelta esistenziale. Gente che lavora - e spesso lavora bene e sodo - per portare avanti idee che sono anche nostre. E, per fortuna, non solo nostre.


Diversità d'opinioni e d'intenti

Dal "laboratorio di gruppo" incentrato sulla domanda " È stata utile la presenza istituzionale dei Verdi, anche paragonandola a quella extra-istituzionale?", è emersa la profonda diversità tra le posizioni espresse dai verdi. A differenza del forum consimile del convegno di Pescara ("Fare politica o che farne?") - in cui le posizioni diverse avevano dato immediatamente vita a discussioni "classiche" - a Verona la discussione è avvenuta in maniera assai diversa, senza dibattiti "a due", organizzata e coordinata com'era secondo "modelli non-violenti" di confronto che all'inizio hanno un po' spiazzato chi è abituato (come il sottoscritto) alle discussioni tradizionali rivelandosi però veramente utili nel favorire la partecipazione e la piena possibilità di espressione per tutti. Anzi, la mancanza del confronto "duro e diretto" fra le varie posizioni, invece di appiattire il dibattito, ha favorito il pieno emergere delle diversità di opinione e di intenti.
Così attorno alle valutazioni su che cosa ha significato l'entrata dei verdi nelle istituzioni, locali e non, sono immediatamente emerse grosse differenze di opinione. E chi sosteneva l'utilità di tale ingresso (giustificandolo come "una maggiore possibilità di influire sulle scelte" o con la volontà di "esercitare un più ampio controllo" ristabilendo anche "le regole del gioco democratico"; posizione questa sostenuta - guarda caso - da quasi tutti i consiglieri di enti locali presenti) ha potuto immediatamente vedere quanti fossero ad avere idee radicalmente diverse in proposito. Numerosi partecipanti hanno anzi messo in luce come tale entrata abbia contribuito "a far delegare ancora una volta la gente" o "renda meno alla portata di tutti i problemi e le loro possibili soluzioni", non mancando nemmeno coloro che temono che gli eletti verdi possano diventare una "nuova classe politica staccata dalla società che contribuisca a svuotare il movimento verde delle sue potenzialità".
Queste diversità sono state ulteriormente rimarcate allorché si è passati a discutere sul significato e sulle possibilità della presenza verde nella società. In questo caso non sono emerse sostanziali diversità e tutti hanno sottolineato, con maggiore o minore convinzione, come sia questo il vero terreno d'azione del movimento ecologista dovendo esso "impegnarsi affinché la gente risolva direttamente i suoi problemi". Molti partecipanti si sono anche espressi a favore di una radicale mutazione della società che dia vita ad una nuova convivenza non solo ecologicamente rispettosa della natura ma anche "realmente libera e giusta, basata su valori quali la libertà individuale, l'uguaglianza fra le diversità, la non-violenza".
In sostanza, come si diceva all'inizio, Verona è stata molto diversa da Pescara e le tensioni libertarie presenti nell'arcipelago ecologista hanno potuto maggiormente emergere esprimendosi soprattutto sui problemi reali e non attorno alle opinioni presentate dalle star verdi (fra l'altro quasi del tutto assenti).

Franco Melandri