Rivista Anarchica Online
Votate gente,
votate
di Andrea Papi
A che pro scrivere
della crisi di governo in atto su una rivista anarchica dal momento
che, se uscirà, ciò che sto scrivendo (a metà marzo) potrà esser
letto solo fra circa venti giorni? In fondo il pensiero degli
anarchici sui governi, le eventuali crisi, i tentativi di risolverle
e tutte le belle facezie che ruotano attorno a questo tema, è già
fatto e definito da almeno un secolo, immutabile, tenace e
caparbiamente resistente alle erosioni del tempo, a qualsiasi
cambiamento si manifesti in tale direzione o versante. Sembrerebbe
sufficiente riproporlo nudo e crudo, così com'è da sempre, tanto
appare ogni volta una chiave di lettura validissima, graniticamente
solida e inalterabile. Il fatto è che non
vogliamo parlare della cosa in sé, cioè dello svolgersi
dell'attuale crisi governativa. Questa sì rispecchia in pieno la
nostra immutabile interpretazione, perché "purtroppo"
ripropone i soliti e vecchissimi giochetti politici, le desolanti
manovre di corridoio di sempre, gli squallidi accordi sottobanco tra
i partiti, in modo che la spartizione delle "irresponsabilità"
e dei posti di potere corrisponda agli effettivi rapporti di forza.
Fra l'altro, al momento, è letteralmente impossibile sapere quali
astrusi bizantinismi escogiteranno i politici in passerella per dare
soluzione a questa loro crisi. Non ci è dato di conoscere se verrà
messo in piedi un governo-ponte utile a portare a compimento i cinque
anni di legislatura previsti, se sarà lo scaltro Giulio
democristiano a condurlo, se avrà luogo la votazione referendaria,
oppure se ci verrà riproposto il rituale spettacolo "delegativo"
delle elezioni anticipate.
Un pentapartito
davvero esilarante
Siccome non
crediamo né alla cartomanzia né alla sfera magica, non le
interpelleremo per conoscere cosa succederà e farvelo sapere in
anteprima (sarebbe comunque un bello scoop giornalistico). Neppure ci
interessa esprimere quelle che possono essere le nostre supposizioni
in proposito, tirando a indovinare e sperando di prenderci; non siamo
commentatori politici addetti ai lavori, magari addentro alle voci
del "Palazzo", non ne abbiamo né la mentalità né la
stoffa. Ciò che vorremmo tentare di sviluppare è invece un breve
ragionare sui metodi, sul senso e sulla logica che secondo noi stanno
dietro a tutta questa crisi/spettacolo governativa, delle cui
informazioni dettagliate ci bombardano quotidianamente i padroni del
campo, i mass-media. Un primo dato ci
sembra appaia inequivocabilmente e, almeno per ora, nell'estrapolarlo
appositamente non useremo un criterio anarchico di valutazione: ciò
che ha determinato questa crisi non è stata né una particolare
inefficienza governativa, né tanto meno insuperabili insufficienze
programmatiche. Questo stato ha conosciuto ben di peggio senza che si
producessero crisi di governo. In effetti il post-moderno Bettino ha
ragioni da vendere nel vantare di aver retto, con vero
"decisionismo", una coalizione litigiosa e difficile per il
più lungo arco di tempo da quando è stata sancita la costituzione
repubblicana. Come ha ragione quando mette in campo l'aumentato
prestigio del look "Italia" all'estero. Ed anche di esser
riuscito ad inserire la macchina economica nazionale in una
congiuntura internazionale favorevole, fino a far sì che la "sua"
Nazione abbia raggiunto il quinto posto nella classifica mondiale del
benessere collettivo, misurato occidentalmente in capacità medie di
consumi, superando la tatcheriana Gran Bretagna. Sono tutti dati nei
confronti dei quali sono estremamente sensibili le orecchie, ma anche
i portafogli, dell'élite che conta, di chi ha la capacità di
assicurare consenso, stabilità e continuità. Ci troviamo dunque di
fronte a un governo che entra in crisi non perché, come vorrebbe la
logica dei padri fondatori della repubblica, sia stato incapace di
governare, almeno confrontando la sua opera con quella dei
precedenti, ma per qualcosa d'altro che si sovrappone al fatto stesso
di governare. E questo qualcosa d'altro è la lotta per la supremazia
politica, sia di tipo leaderistico personale, che di corrente, che di
partito, condotta all'interno della coalizione governativa al punto
da sopravanzarla. In altre parole ci troviamo di fronte a una tipica
manifestazione, neanche tanto sotterranea, di quella che, usando un
gergo radicaleggiante, viene definita la partitocrazia. Ecco sul
palcoscenico lo spettacolo del pentapartito che, vantandosi della
propria efficienza governativa, si sfascia per le faide interne. In questo gioco,
abbastanza esilarante, si è inserito un elemento politico, diciamo
oggettivo, il quale ha avuto la capacità di mettere completamente a
nudo il dilaniarsi interpentapartitico. Si tratta dei cinque
referendum ammessi dalla corte costituzionale: due sulla giustizia,
tre sul problema delle installazioni delle centrali nucleari. La
necessità di doversi confrontare col voto referendario, in un certo
senso, ha estremizzato gli scontri interni, in particolare tra il PSI
e la DC, che fino a prima erano stati abbastanza controllati.
Infatti, davanti a questi, i due maggiori partiti in lizza esprimono
valutazioni diverse, se non addirittura contrapposte, sia rispetto
alla loro accettazione, sia rispetto alle indicazioni di voto. Su questo tessuto
estremamente contorto, attorno al quale ruota la crisi governativa,
si innestano le volontà effettive delle forze politiche in campo,
dettate dal bisogno di supremazia che è alla base di tutto. Volendo
imporre la propria tattica per essere più forte degli altri senza
esporsi, ognuno agisce in modo ambiguo, se non addirittura
strisciante. Al momento sembra che la DC sia l'unica ad avere
veramente interesse alle elezioni anticipate, perché alcuni sondaggi
di opinione la danno sicuramente vincente. Il PSI invece, che pare
rischi di rimanere elettoralmente stabile al di là delle sue
speranze, preferisce lo scontro referendario, col quale prevede una
sconfitta delle scelte democristiane. Così De Mita esige che,
nell'eventuale accordo per un nuovo governo, venga preventivamente
definito come evitare i referendum con leggi adeguate, mentre Craxi
sembra disponibile ad accordarsi, a patto però di farli ugualmente.
Ma quale
partecipazione?
Non procediamo
oltre nella descrizione delle dichiarazioni e delle prese di
posizione dei politici, perché le sentiamo estremamente noiose e in
sé non ci interessano più di tanto. Al contrario ci interessa
sottolineare che qualsiasi cosa dicano e qualsiasi posizione
assumano, non vanno valutati tanto per le cose espresse quanto per
gli interessi non detti, che traspaiono dietro le valutazioni e le
affermazioni. La loro arte di far politica è talmente infarcita di
bizantinismi, di falsità e di sotterfugi che ormai si è costruita
un'etica, accettata e propagandata, che ne sancisce la liceità a
livello culturale. Questi signori hanno talmente normalizzato la
propria mente nel condurre in tal modo le loro battaglie politiche,
che agiscono nel pantano del "Palazzo" con la massima
disinvoltura e trovandosi a loro agio. Lo dice il fatto
che le consultazioni di voto, unico minimo momento di pacata
partecipazione popolare, sono viste e valutate non tanto per il senso
di partecipazione di base, che se pur blandissimamente in qualche
modo esprimono, quanto come esclusivo momento di consenso e di
manipolazione. Sia le elezioni che i referendum vengono svuotati del
tutto dalla loro valenza partecipativa, per essere immessi
all'interno della logica e dell'etica intriganti, che
contraddistinguono i movimenti e le scelte dentro i corridoi del
"Palazzo". Così si svolgeranno elezioni anticipate o
referendum, a seconda di come lor signori valuteranno l'utilità di
quelle consultazioni in riferimento ai loro giochetti e ai loro
loschi scambi contrattuali. Il voto, qualunque sia, servirà soltanto
come fatto manipolativo e consensuale, perdendo ogni valenza di tipo
consultativo e partecipativo, che pur in teoria dovrebbe contenere,
ammesso che effettivamente l'abbia mai posseduta. Di fronte a questo
panorama poco edificante sembrano cadere anche le illusioni della
sinistra, una volta cosiddetta estrema, promotrice dei tre referendum
sul tema nucleare. Lo svuotamento progressivo che, da parte dei
faccendieri della politica partitocratica, di giorno in giorno vien
fatto di questo strumento di consultazione popolare, sta vanificando,
ormai del tutto, le illusioni contrabbandate di disinnescare i piani
energetici predisposti dalla tecnocrazia dominante. I piani sono
veramente già stati fatti dietro le quinte, legittimati anche dalla
farsa spettacolo della conclusa conferenza nazionale sull'energia.
Ammesso che si arrivi effettivamente a votare per i referendum, come
fino ad ora è sempre avvenuto, saranno trasformati in una campagna
preelettoralistica, in cui le parti-partitiche contendenti useranno
le tematiche energetiche per portare avanti ognuno la propria logica
di supremazia. Il problema reale delle soluzioni energetiche
probabilmente è già stato risolto in altra sede, senza interferenze
oppositive di base. Solo i votanti si illuderanno, col loro sincero
voto, di incidere in qualche maniera su quel problema. Ma, come
sempre, verranno gabellati. Lo stesso
drammatico rituale, con risvolti consimili, si verificherà nel caso
di elezioni anticipate. Gli elettori, come sempre, segneranno la loro
scelta sulla scheda. Il quadro politico si sposterà di poco, o
comunque non permetterà rivolgimenti reali. L'assetto
partitico-parlamentare attuale sarà più o meno riconfermato e,
un'altra volta ancora, legittimato. Gli stessi di prima si
ritroveranno nelle poltrone di prima per ricondurre il gioco di
prima, per riaffermare la stessa logica, la stessa volontà di
supremazia e la stessa etica politica intrigante.
Contro la
cultura e la logica del dominio
Le brevi
considerazioni sopra fatte riconfermano i presupposti della critica
anarchica, la quale, alla luce dei fatti, si ripropone aggiornata.
Non è la riproposizione di un pregiudizio, perché non si tratta di
una valutazione a priori. La critica anarchica si sorregge sui
principi di libertà e di uguaglianza e, di volta in volta, in base a
questi guarda la realtà e la valuta. La realtà si ripropone
identica nella sostanza e la nostra critica, che appunto va alla
sostanza delle cose, si ripropone pur'essa tenendo conto del momento
e dei fatti contingenti. I quali fatti, con lapidaria evidenza,
mostrano la volontà manipolativa che sta dietro le scelte politiche
della partitocrazia al potere, secondo la quale elezioni e referendum
sono solo strumenti ad uso e consumo dei giochi di supremazia, da cui
i votanti sono esclusi. Denunciamo perciò questa truffa,
propagandiamo di non cadere in candide illusioni e sosteniamo di non
partecipare alla giostra che, attraverso il voto, ci vorrebbe
partecipi alla sarabanda del loro potere, per esser legittimata, una
volta di più, nel continuare a gestire le trame del "Palazzo". La scelta e
l'indicazione politica che anche questa volta danno gli anarchici è
quella di astenersi sia ai referendum sia alle elezioni anticipate.
Col nostro rifiuto collettivo vogliamo delegittimare il loro operare.
È il primo passo, indispensabile per cominciare ad agire e a
riorganizzarsi, in funzione di una società veramente alternativa
basata sulla libertà, liberata soprattutto dalla cultura e dalla
logica del dominio.
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