Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 145
aprile 1987


Rivista Anarchica Online

Votate gente, votate
di Andrea Papi

A che pro scrivere della crisi di governo in atto su una rivista anarchica dal momento che, se uscirà, ciò che sto scrivendo (a metà marzo) potrà esser letto solo fra circa venti giorni? In fondo il pensiero degli anarchici sui governi, le eventuali crisi, i tentativi di risolverle e tutte le belle facezie che ruotano attorno a questo tema, è già fatto e definito da almeno un secolo, immutabile, tenace e caparbiamente resistente alle erosioni del tempo, a qualsiasi cambiamento si manifesti in tale direzione o versante. Sembrerebbe sufficiente riproporlo nudo e crudo, così com'è da sempre, tanto appare ogni volta una chiave di lettura validissima, graniticamente solida e inalterabile.
Il fatto è che non vogliamo parlare della cosa in sé, cioè dello svolgersi dell'attuale crisi governativa. Questa sì rispecchia in pieno la nostra immutabile interpretazione, perché "purtroppo" ripropone i soliti e vecchissimi giochetti politici, le desolanti manovre di corridoio di sempre, gli squallidi accordi sottobanco tra i partiti, in modo che la spartizione delle "irresponsabilità" e dei posti di potere corrisponda agli effettivi rapporti di forza. Fra l'altro, al momento, è letteralmente impossibile sapere quali astrusi bizantinismi escogiteranno i politici in passerella per dare soluzione a questa loro crisi. Non ci è dato di conoscere se verrà messo in piedi un governo-ponte utile a portare a compimento i cinque anni di legislatura previsti, se sarà lo scaltro Giulio democristiano a condurlo, se avrà luogo la votazione referendaria, oppure se ci verrà riproposto il rituale spettacolo "delegativo" delle elezioni anticipate.

Un pentapartito davvero esilarante
Siccome non crediamo né alla cartomanzia né alla sfera magica, non le interpelleremo per conoscere cosa succederà e farvelo sapere in anteprima (sarebbe comunque un bello scoop giornalistico). Neppure ci interessa esprimere quelle che possono essere le nostre supposizioni in proposito, tirando a indovinare e sperando di prenderci; non siamo commentatori politici addetti ai lavori, magari addentro alle voci del "Palazzo", non ne abbiamo né la mentalità né la stoffa. Ciò che vorremmo tentare di sviluppare è invece un breve ragionare sui metodi, sul senso e sulla logica che secondo noi stanno dietro a tutta questa crisi/spettacolo governativa, delle cui informazioni dettagliate ci bombardano quotidianamente i padroni del campo, i mass-media.
Un primo dato ci sembra appaia inequivocabilmente e, almeno per ora, nell'estrapolarlo appositamente non useremo un criterio anarchico di valutazione: ciò che ha determinato questa crisi non è stata né una particolare inefficienza governativa, né tanto meno insuperabili insufficienze programmatiche. Questo stato ha conosciuto ben di peggio senza che si producessero crisi di governo. In effetti il post-moderno Bettino ha ragioni da vendere nel vantare di aver retto, con vero "decisionismo", una coalizione litigiosa e difficile per il più lungo arco di tempo da quando è stata sancita la costituzione repubblicana. Come ha ragione quando mette in campo l'aumentato prestigio del look "Italia" all'estero. Ed anche di esser riuscito ad inserire la macchina economica nazionale in una congiuntura internazionale favorevole, fino a far sì che la "sua" Nazione abbia raggiunto il quinto posto nella classifica mondiale del benessere collettivo, misurato occidentalmente in capacità medie di consumi, superando la tatcheriana Gran Bretagna.
Sono tutti dati nei confronti dei quali sono estremamente sensibili le orecchie, ma anche i portafogli, dell'élite che conta, di chi ha la capacità di assicurare consenso, stabilità e continuità. Ci troviamo dunque di fronte a un governo che entra in crisi non perché, come vorrebbe la logica dei padri fondatori della repubblica, sia stato incapace di governare, almeno confrontando la sua opera con quella dei precedenti, ma per qualcosa d'altro che si sovrappone al fatto stesso di governare. E questo qualcosa d'altro è la lotta per la supremazia politica, sia di tipo leaderistico personale, che di corrente, che di partito, condotta all'interno della coalizione governativa al punto da sopravanzarla. In altre parole ci troviamo di fronte a una tipica manifestazione, neanche tanto sotterranea, di quella che, usando un gergo radicaleggiante, viene definita la partitocrazia. Ecco sul palcoscenico lo spettacolo del pentapartito che, vantandosi della propria efficienza governativa, si sfascia per le faide interne.
In questo gioco, abbastanza esilarante, si è inserito un elemento politico, diciamo oggettivo, il quale ha avuto la capacità di mettere completamente a nudo il dilaniarsi interpentapartitico. Si tratta dei cinque referendum ammessi dalla corte costituzionale: due sulla giustizia, tre sul problema delle installazioni delle centrali nucleari. La necessità di doversi confrontare col voto referendario, in un certo senso, ha estremizzato gli scontri interni, in particolare tra il PSI e la DC, che fino a prima erano stati abbastanza controllati. Infatti, davanti a questi, i due maggiori partiti in lizza esprimono valutazioni diverse, se non addirittura contrapposte, sia rispetto alla loro accettazione, sia rispetto alle indicazioni di voto.
Su questo tessuto estremamente contorto, attorno al quale ruota la crisi governativa, si innestano le volontà effettive delle forze politiche in campo, dettate dal bisogno di supremazia che è alla base di tutto. Volendo imporre la propria tattica per essere più forte degli altri senza esporsi, ognuno agisce in modo ambiguo, se non addirittura strisciante. Al momento sembra che la DC sia l'unica ad avere veramente interesse alle elezioni anticipate, perché alcuni sondaggi di opinione la danno sicuramente vincente. Il PSI invece, che pare rischi di rimanere elettoralmente stabile al di là delle sue speranze, preferisce lo scontro referendario, col quale prevede una sconfitta delle scelte democristiane. Così De Mita esige che, nell'eventuale accordo per un nuovo governo, venga preventivamente definito come evitare i referendum con leggi adeguate, mentre Craxi sembra disponibile ad accordarsi, a patto però di farli ugualmente.

Ma quale partecipazione?
Non procediamo oltre nella descrizione delle dichiarazioni e delle prese di posizione dei politici, perché le sentiamo estremamente noiose e in sé non ci interessano più di tanto. Al contrario ci interessa sottolineare che qualsiasi cosa dicano e qualsiasi posizione assumano, non vanno valutati tanto per le cose espresse quanto per gli interessi non detti, che traspaiono dietro le valutazioni e le affermazioni. La loro arte di far politica è talmente infarcita di bizantinismi, di falsità e di sotterfugi che ormai si è costruita un'etica, accettata e propagandata, che ne sancisce la liceità a livello culturale. Questi signori hanno talmente normalizzato la propria mente nel condurre in tal modo le loro battaglie politiche, che agiscono nel pantano del "Palazzo" con la massima disinvoltura e trovandosi a loro agio.
Lo dice il fatto che le consultazioni di voto, unico minimo momento di pacata partecipazione popolare, sono viste e valutate non tanto per il senso di partecipazione di base, che se pur blandissimamente in qualche modo esprimono, quanto come esclusivo momento di consenso e di manipolazione. Sia le elezioni che i referendum vengono svuotati del tutto dalla loro valenza partecipativa, per essere immessi all'interno della logica e dell'etica intriganti, che contraddistinguono i movimenti e le scelte dentro i corridoi del "Palazzo". Così si svolgeranno elezioni anticipate o referendum, a seconda di come lor signori valuteranno l'utilità di quelle consultazioni in riferimento ai loro giochetti e ai loro loschi scambi contrattuali. Il voto, qualunque sia, servirà soltanto come fatto manipolativo e consensuale, perdendo ogni valenza di tipo consultativo e partecipativo, che pur in teoria dovrebbe contenere, ammesso che effettivamente l'abbia mai posseduta.
Di fronte a questo panorama poco edificante sembrano cadere anche le illusioni della sinistra, una volta cosiddetta estrema, promotrice dei tre referendum sul tema nucleare. Lo svuotamento progressivo che, da parte dei faccendieri della politica partitocratica, di giorno in giorno vien fatto di questo strumento di consultazione popolare, sta vanificando, ormai del tutto, le illusioni contrabbandate di disinnescare i piani energetici predisposti dalla tecnocrazia dominante.
I piani sono veramente già stati fatti dietro le quinte, legittimati anche dalla farsa spettacolo della conclusa conferenza nazionale sull'energia. Ammesso che si arrivi effettivamente a votare per i referendum, come fino ad ora è sempre avvenuto, saranno trasformati in una campagna preelettoralistica, in cui le parti-partitiche contendenti useranno le tematiche energetiche per portare avanti ognuno la propria logica di supremazia. Il problema reale delle soluzioni energetiche probabilmente è già stato risolto in altra sede, senza interferenze oppositive di base. Solo i votanti si illuderanno, col loro sincero voto, di incidere in qualche maniera su quel problema. Ma, come sempre, verranno gabellati.
Lo stesso drammatico rituale, con risvolti consimili, si verificherà nel caso di elezioni anticipate. Gli elettori, come sempre, segneranno la loro scelta sulla scheda. Il quadro politico si sposterà di poco, o comunque non permetterà rivolgimenti reali. L'assetto partitico-parlamentare attuale sarà più o meno riconfermato e, un'altra volta ancora, legittimato. Gli stessi di prima si ritroveranno nelle poltrone di prima per ricondurre il gioco di prima, per riaffermare la stessa logica, la stessa volontà di supremazia e la stessa etica politica intrigante.

Contro la cultura e la logica del dominio
Le brevi considerazioni sopra fatte riconfermano i presupposti della critica anarchica, la quale, alla luce dei fatti, si ripropone aggiornata. Non è la riproposizione di un pregiudizio, perché non si tratta di una valutazione a priori. La critica anarchica si sorregge sui principi di libertà e di uguaglianza e, di volta in volta, in base a questi guarda la realtà e la valuta. La realtà si ripropone identica nella sostanza e la nostra critica, che appunto va alla sostanza delle cose, si ripropone pur'essa tenendo conto del momento e dei fatti contingenti. I quali fatti, con lapidaria evidenza, mostrano la volontà manipolativa che sta dietro le scelte politiche della partitocrazia al potere, secondo la quale elezioni e referendum sono solo strumenti ad uso e consumo dei giochi di supremazia, da cui i votanti sono esclusi. Denunciamo perciò questa truffa, propagandiamo di non cadere in candide illusioni e sosteniamo di non partecipare alla giostra che, attraverso il voto, ci vorrebbe partecipi alla sarabanda del loro potere, per esser legittimata, una volta di più, nel continuare a gestire le trame del "Palazzo".
La scelta e l'indicazione politica che anche questa volta danno gli anarchici è quella di astenersi sia ai referendum sia alle elezioni anticipate. Col nostro rifiuto collettivo vogliamo delegittimare il loro operare. È il primo passo, indispensabile per cominciare ad agire e a riorganizzarsi, in funzione di una società veramente alternativa basata sulla libertà, liberata soprattutto dalla cultura e dalla logica del dominio.