Rivista Anarchica Online
Il "malato di
mente" un non-problema
di Salvatore Piromalli (responsabile dell'Associazione "L'altra pazzia" di Reggio Calabria)
La situazione
dell'assistenza psichiatrica in Calabria va letta sulla base delle
contraddizioni proprie della questione meridionale. In una
condizione generale di emarginazione e di sottosviluppo il "malato
di mente" diventa un non-problema, rimosso dalla coscienza e
dalla vita quotidiana della gente.
Nell'ambito della
ricerca nazionale sull'assistenza psichiatrica che il ministero della
Sanità ha affidato al Censis (Centro studi investimenti sociali),
veniva pubblicato nell'ottobre 1985 il Rapporto regionale sulla
situazione della psichiatrica in Calabria (1). L'indagine rappresenta
al momento il documento più completo e aggiornato disponibile, per
una disamina dell'excursus storico della psichiatria nella regione
dagli anni '60 ad oggi. Non sarebbe
possibile né corretto, da un punto di vista metodologico, tentare
una comprensione dello scenario della psichiatria nella regione
Calabria senza aver individuato preliminarmente alcuni nodi
problematici che caratterizzano il contesto più generale della
sanità e dei servizi sociali, e che senza dubbio compromettono - più
o meno direttamente - l'ambito particolare dell'assistenza
psichiatrica. In questi due settori infatti, la Calabria presenta
gravissimi ritardi e lacune, conseguenza di un costume politico e di
una gestione dei problemi collettivi in cui l'ignavia e l'insipienza
amministrativa, il clientelismo mafioso e l'inadempienza sono ormai
diventati inosservata quotidianità e norma dell'agire politico.
Problemi enormi perennemente irrisolti stanno a denunciare una
situazione gravemente deficitaria sia sul piano socio-culturale che
tecnico-organizzativo; cercherò schematicamente di indicarli. Per ciò che
concerne l'attuazione della riforma sanitaria (legge 23 dicembre
1978, n. 833), non esiste in Calabria il Piano sanitario Regionale,
che rappresenta uno strumento fondamentale per avviare una
programmazione complessiva degli interventi preventivi, curativi e
riabilitativi, e per un uso più razionale e corretto delle risorse.
L'importanza data
dalla riforma all'aspetto della "prevenzione" e del
"territorio" è stata completamente sottovalutata in una
regione dove l'aspetto predominante dell'assistenza sanitaria è
costituito dalla cura; l'ospedale e l'ospedalizzazione rappresentano
ancora oggi il paradigma dell'assistenza e dell'intervento sanitario.
"Al Sud più che altrove, e anche nella stessa fase di
programmazione, non viene ancora superata la logica che vede
nell'ospedale la struttura centrale e portante del sistema sanitario,
verificando così la nuova ottica, ad esempio nella priorità che
attribuisce alla prevenzione e al territorio..."; l'ospedale
riacquista centralità e forza, divenendo così "uno dei
principali centri di potere, di sottogoverno e di lottizzazioni
clientelari". L'incontestata
centralità dell'istituzione ospedaliera compromette inevitabilmente
anche il settore della salute mentale dove, come vedremo meglio più
avanti, l'intervento prioritario è costituito dal ricovero presso i
servizi psichiatrici degli ospedali civili, in assenza di ogni
intervento extraospedaliero di filtro, di prevenzione, di
riabilitazione. L'inefficienza, i
vuoti e il disservizio della gestione pubblica rafforzano la
privatizzazione della medicina: "Le case di cura private,
mediante il compiacente convenzionamento con le regioni, si
consolidano..." Nel settore psichiatrico, questo aspetto è
molto evidente, come avremo modo di dimostrare. A livello della
formazione, occorre dire che "I medici risentono di una formazione
teorica ed organicistica che trascura l'approccio alle scienze umane
(psicologia, sociologia, ecc.) secondo gli orientamenti più retrivi
e provinciali che prevalgono nella cultura accademica meridionale.
Sussistono difficoltà e carenze nella "riconversione",
qualificazione ed aggiornamento: le regioni non sono in grado di
promuoverlo, anche per oggettive difficoltà e resistenze alla
mobilità, per resistenze corporative e per i ritardi culturali del
sindacato". Nel settore dei
servizi sociali la situazione non è diversa, in mancanza di una
legge regionale di riordino dei servizi che stabilisca precise
competenze e funzioni (la legge è in fase di approvazione da parte
del Consiglio regionale). Infine (ma non è
certo un problema secondario), va segnalata a completamento di quanto
detto finora, la mancanza di livelli di integrazione tra i servizi
sociali e quelli sanitari: "Manca l'ottica del "sociale"
innestato nel "sanitario" e viceversa, sicché, in
definitiva, si assiste alla medicalizzazione dei bisogni".
Tra privato e
istituzione
La situazione della
sanità e dei servizi sociali in Calabria, di cui abbiamo esaminato
brevemente e senza pretese di completezza i tratti essenziali,
costituisce lo sfondo in cui si colloca e in base a cui va compresa
l'assistenza psichiatrica. Il primo dato di
carattere generale che emerge chiaramente dall'analisi della realtà
regionale e dal Rapporto Censis, è la sostanziale disapplicazione
della legge di riforma (la n. 180 del 13 maggio 1978) e della legge
regionale n. 20 del 17 dicembre 1981 (disciplina delle funzioni per
la tutela della salute mentale), che aderisce, almeno sul piano
legislativo, al processo riformatore. Un'analisi
dettagliata delle caratteristiche tipologiche e organizzative dei
servizi esistenti ed operanti a 8 anni dalla 180, dimostra
chiaramente quanto si è affermato. a) Le
istituzioni pubbliche di ricovero: nella regione sono tutt'ora
presenti due grosse istituzioni manicomiali: un O.P. a Reggio Calabria
con circa 400 ricoverati e un O.P. a Girifalco (CZ) con circa 500
ricoverati. La provincia di Cosenza non ha mai avuto un proprio O.P.
e ha gestito in regime consortile (insieme alle province di Salerno,
Isernia e Campobasso) l'O.P. di Nocera Inferiore (SA), dove
attualmente i degenti "deportati" sono circa 240.
L'entità numerica della popolazione manicomiale risulta
complessivamente di oltre 1100 persone (2): un dato terribilmente
drammatico e allarmante, tuttavia molto spesso dimenticato quando si
parla di riforma, di nuovi servizi, di nuova utenza. Il Rapporto
Censis precisa che "non esiste ancora un progetto organico per
il ... superamento (degli OO.PP.), come prescrive la legge". Non
solo: i Comuni e le UU.SS.LL., per la gran parte, non dispongono
neanche dei dati elementari riguardanti l'entità e l'identità delle
persone ricoverate in manicomio, appartenenti al territorio di
propria competenza. È
vero che affrontare in modo corretto il problema del superamento
degli OO.PP. comporta delle difficoltà notevoli, a livello
culturale, organizzativo, economico (basti pensare all'assenza in
Calabria di esperienze anticipatrici in tal senso, all'incapacità e
impreparazione degli amministratori, all'incremento di spesa nel
breve periodo, ai problemi di formazione e di mobilità nel
personale, ecc.). È però
anche vero che in questi anni nessuna attenzione è stata rivolta a
questa situazione, nessun tentativo è stato fatto, a nessun livello:
quella che è mancata è la volontà politica di attuare la riforma,
a cominciare dallo smantellamento dei manicomi. Tutte le
giustificazioni della classe politica sono frutto di un atteggiamento
di ipocrisia e di malafede; ad esempio, per ciò che concerne il
fattore finanziario, la gestione di una rete di strutture alternative
sarebbe - nel lungo periodo - una soluzione economicamente più
vantaggiosa della gestione manicomiale (solo a Reggio Calabria il
manicomio assorbe ogni anno 13 miliardi). Un altro esempio ancora: si
addita la mancata qualificazione professionale di medici e infermieri
come ennesimo fattore ostacolante una diversa organizzazione dei
servizi, dimenticandosi che nessuna iniziativa di formazione è stata
avviata dagli enti pubblici (Regione in testa) in questi anni. "In sintesi -
cito dal rapporto - per la regione Calabria il paradigma asilare del
manicomio sembra essere tuttora valido, se è vero che la regione non
propone un modello alternativo (non più basato sulla delega alla
medicina, sulla risposta indifferenziata e totalizzante) e non
definisce quale servizio psichiatrico pubblico e territoriale si
vuole costituire". b) Le
istituzioni private di ricovero: il primo atto, all'emanazione
della 180, fu quello di abilitare le cliniche psichiatriche della
regione per il ricovero in trattamento sanitario obbligatorio
(T.S.O.). In tal modo la regione ha cercato di tamponare una
situazione di urgenza che la vedeva notevolmente impreparata sul
piano culturale, amministrativo, organizzativo, e in ritardo rispetto
alle altre regioni. Non si vuole fare certo un processo gratuito a
scelte politiche del passato, frutto di contingenze particolari e di
esigenze improvvise (3); quello che si critica è che ancora oggi il
regime di convenzione è in corso con 5 cliniche private (due
nell'Usl di Cosenza e tre nell'Usl 18 di Catanzaro), per un totale di
500 posti letto. In provincia di Cosenza esiste inoltre un
mega-istituto paramanicomiale convenzionato anch'esso con la regione,
in cui sono tuttora ricoverati 300 pazienti psichiatrici, in gran
parte dimessi dagli OO.PP. che non hanno trovato all'esterno risposte
adeguate ai loro bisogni; si tratta dell'istituzione denominata
"Serra D'Aiello". Se viene
considerata in totale la popolazione psichiatrica delle strutture
ospedaliere pubbliche e private, si raggiunge l'assurda cifra di
2.000 persone circa: una percentuale notevole di sofferenti mentali
costretta a tutt'oggi a subire sulla propria pelle le conseguenze
materiali e psicologiche di ricoveri prolungati (4), della perdita
della libertà e dignità personale, di metodi terapeutici rozzi e
incivili, che non rispettano i diritti umani e costituzionali delle
persone (5). c) I servizi
psichiatrici territoriali: complessivamente i pochi servizi
esistenti non solo non rappresentano un polo alternativo alla
centralità del manicomio, ma diventano essi stessi - tranne qualche
eccezione - esportatori di quel modello e di quella logica,
contaminando alle radici la progettualità dell'assistenza
territoriale. Per comodità descriveremo in questo paragrafo i
S.P.D.C. (Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura), pur trattandosi
di servizi non territoriali, per mettere in luce le interconnessioni
che esistono tra operatività territoriale e ricovero in Ospedale.
La qualità dei
servizi
La mancata
applicazione della legge che istituisce i Dipartimenti di Salute
Mentale ha fatto cadere il "punto chiave della riprogrammazione
dell'assistenza psichiatrica di un territorio", con gravissime
ripercussioni sulla qualità delle prestazioni dei vari servizi e sul
loro modello d'intervento. Potremmo sintetizzare i tratti
caratteristici dell'attuale situazione con i termini:
medicalizzazione-ospedalizzazione-abbandono; questi termini
rappresentano anche il percorso della stragrande maggioranza dei
sofferenti mentali calabresi, dal momento in cui si rivolgono al
S.S.M. territoriale, al ricovero presso il S.P.D.C., alla dimissione
che si configura come abbandono totale a se stessi e alle loro
famiglie. Ma vediamo come e perché si realizza questo percorso
distorto, analizzando più da vicino i problemi. 1) Servizi di
salute Mentale: dovrebbero svolgere "funzioni preventive,
curative e riabilitative in modo integrato con gli altri servizi
socio-sanitari e in particolare con la medicina di base a livello di
distretto sanitario" (art.8) (l.r.20). Il S.S.M. rappresenta
quindi il primo momento di aiuto e di intervento verso il cittadino
sofferente di un determinato territorio, identificato con l'area
distrettuale. Nella pratica
quotidiana, i S.S.M. si configurano come meri ambulatori diurni
dispensari di farmaci: a parte qualche intervento di sostegno
psicologico (colloqui), il modello prevalentemente è quello
medicale-farmacologico, con selezione tendenziale dell'utenza e presa
in carico di quella parte non fortemente traumatica (quando
intervengono sulla crisi, sono gli stessi S.S.M. che richiedono,
quasi sempre, il ricovero presso il S.P.D.C.). 2) Servizi
psichiatrici di diagnosi e cura ospedalieri: come
si sa, la legislazione nazionale li indica come ultima risorsa a cui
ricorrere qualora l'intervento degli altri servizi territoriali non
possa attuarsi adeguatamente (art. 2 legge 180). I nodi operativi di
questi servizi sono ben sintetizzati dal Rapporto Censis: "...molti
dei servizi di diagnosi e cura negli ospedali generali, non essendo
collegati operativamente con i servizi territoriali... e rimanendo
marginali alla stessa istituzione ospedaliera, sono da una parte
pressati dalle crisi e dall'alto numero di richieste che, senza
filtro si riversano su di essi, dall'altra, affermando un modello
medicale (...) come prevalente, spesso contribuiscono, con le
dimissioni, all'abbandono sia da un punto di vista medico
psichiatrico che assistenziale (... ), allorché le dimissioni
avvengono in assenza di riferimenti a strutture o a situazioni di
appoggio.
3) Strutture
alternative al manicomio: l'articolo 10 della legge 20 ne parla
in modo particolareggiato: "Sono strutture di riabilitazione,
integrazione e reintegrazione sociale, operanti in stretta
connessione con il SSM, i centri riabilitativi e le strutture
alternative in funzione deistituzionalizzante e risocializzante. È stato
giustamente sottolineato come queste strutture siano fondamentali per
permettere il superamento dei manicomi; oggi, un po' dappertutto,
esse sono il principale anello mancante della riforma. Il Rapporto Censis
parla di 11 S.I.R. (strutture intermedie territoriali) presenti in
Calabria: devo a questo proposito confessare di avere finora ignorato
l'esistenza dì queste strutture, ad eccezione di quelle operanti
nella provincia di Reggio Calabria. Addirittura, per tre di queste -
ubicate in provincia di Cosenza -, è da ritenere che si tratti di
vere e proprie strutture fantasma (7 ospiti in tutto e nessun
operatore, secondo la rilevazione del Censis). In ogni caso le S.I.R.
non rappresentano, globalmente prese, una alternativa reale al
manicomio, considerando il fatto che molti ospiti (specie nella
provincia di Reggio Calabria) sono handicappati psichici più o meno
gravi, con problematiche non specificatamente psichiatriche. Si
tratta per lo più di esperienze di volontariato maturate negli anni
70-80 sulla spinta delle lotte antiistituzionali, che oggi continuano
a testimoniare la possibilità di percorrere strade nuove rispetto al
passato, e la volontà di rispondere alla povertà ideale che
caratterizza le scelte politiche regionali. Nonostante tutto, però,
pur tra mille difficoltà pratiche e organizzative, è soprattutto
grazie a queste esperienze che molti ex internati in manicomio hanno
potuto riappropriarsi di libertà, dignità e diritti, e della
possibilità di vivere rapporti umani alternativi, meno emarginanti e
stigmatizzanti. Lo scenario fin qui
descritto è ciò che risulta dalle indagini e dall'analisi della
realtà regionale, interpretata alla luce dei nodi problematici e
delle difficoltà. Sembra proprio che
la situazione dell'assistenza psichiatrica in Calabria vada letta
sulla base delle contraddizioni proprie della questione meridionale:
in una condizione generale di emarginazione e di sottosviluppo il
"malato di mente" diventa un non-problema, nella misura in
cui i suoi bisogni vengono sistematicamente sottovalutati e
allontanati dalla coscienza e dalla vita quotidiana della gente. Certamente esistono
delle esperienze positive di lavoro, sia nell'ambito di alcuni
servizi pubblici (prov. di Cosenza) sia soprattutto nell'ambito del
privato sociale, specie nella provincia di Reggio Calabria. Comunità,
gruppi di operatori, forze politiche e sociali tentano di imprimere
nuove svolte alla situazione di stallo e di involuzione, attraverso
l'opera di denuncia e di sensibilizzazione, e mediante la
sperimentazione di un nuovo approccio al sofferente mentale. "Per le
prospettive: solo il rilancio di una capacità contestativa delle
linee di politica sanitaria ed assistenziale (...), di un movimento
che, partendo dallo specifico psichiatrico, sappia catalizzare la
consapevolezza e la cultura del nuovo, potrà contrastare quella
linea di razionalizzazione dell'esistente che, oggi, sembra quella
affermantesi" (rapporto Censis).
Tabella 3
Ricoverati negli
ospedali psichiatrici di Reggio Calabria, Girifalco (CZ) e Nocera
Inferiore (SA).
Anno
|
Reggio Calabria
|
Girifalco
|
Nocera Inferiore
|
Totale
|
1962
|
694
|
(?)
|
830
|
---
|
1965
|
752
|
1075
|
885
|
2712
|
1968
|
768
|
1054
|
899
|
2721
|
1971
|
827
|
986
|
879
|
2692
|
1976
|
692
|
852
|
639
|
2183
|
1980
|
517
|
648
|
255
|
1420
|
1984
|
447
|
512
|
246
|
1205
|
Fonte: Rapporto
Censis 1985.
(1) Il titolo del
Rapporto è: "L'attuazione della riforma psichiatrica nel quadro
delle politiche regionali e dell'offerta quantitativa e qualitativa
dei servizi".
(2) I dati riportati
nel Rapporto Censis danno cifre superiori, in quanto il censimento
dei servizi è avvenuto nel maggio 1978; si è pertanto proceduto ad
un'approssimazione per difetto, tenuto conto dei decessi sopravvenuti
nel frattempo.
(3) Ricordiamo che
la stessa legge n. 180, mentre obbliga le regioni ad individuare,
entro 60 giorni dall'entrata in vigore della riforma, gli ospedali
generali in cui devono essere istituiti i SPDC per i trattamenti
sanitari che comportino la degenza ospedaliera, dà facoltà alle
stesse regioni di individuare le istituzioni private di ricovero e
cura, in possesso dei requisiti prescritti, nelle quali possono
essere attuati trattamenti sanitari volontari e obbligatori in regime
di ricovero (art. 6).
(4) Gli anni di
degenza della grande maggioranza delle persone ricoverate in
manicomio sono dell'ordine di 20-30-40 e anche più, in alcuni casi.
(5) Molti sapranno
del largo uso che ancora si fa, anche nelle strutture pubbliche di
ricovero, della contenzione fisica. È recente invece un articolo del
settimanale "L'Espresso" (n. 47 del 30 novembre 1986), che
denuncia l'uso dell'elettrochoc in Italia: "Oggi l'elettrochoc in
Italia, e in tutto il mondo, è normale routine in moltissime
cliniche psichiatriche... Dove lo si fa? Un po' dappertutto,
soprattutto lo si fa nelle case di cura private". A Roma, "anche
nei servizi psichiatrici pubblici (università statale e ospedale S.
Giovanni e Forlanini), l'elettrochoc è praticato ordinariamente" (pag. 261).
Il ritorno
dell'elettroshock
L'elettroshock è
una crisi convulsiva provocata dalla applicazione al cranio di una
corrente alternata a 60-90 Volt e 300-600 milliampere: viene eseguita
in anestesia generale per la terapia delle psicosi depressive gravi e
dell'anoressia mentale. La terapia con elettroshock è molto discussa
(dalla
Nuova Enciclopedia Universale Garzanti,
prima ediz. novembre 1982).
Questa "terapia"
è un altro vanto della psichiatra italiana: fu infatti inventata dal
prof. Ugo Cerletti (1877-1963) nel 1938 e, dall'Italia, si diffuse in
tutto il mondo, ennesima dimostrazione dell'ingegnosità dell'italica
stirpe, come si diceva allora. Qualunque persona
dotata di buon senso può facilmente capire che questa "cura"
non è in realtà altro che una tortura: basta pensare infatti, che
il voltaggio può essere aumentato a discrezione dell'operatore
psichiatrico fino a 150 Volt e che non necessariamente viene sempre
praticata l'anestesia generale, dato che l'unico
dolore realmente sopportabile è il
dolore altrui. Inoltre questa
"terapia" è addirittura pericolosa per la salute già
minacciata del paziente, in quanto comporta elevatissimi rischi di
microemoraggie cerebrali, incidenti cardiorespiratori, lussazioni,
perdite della memoria, danni più o meno gravi e permanenti della
personalità; in ultima analisi, a ben vedere, essa si basa sulla
logica di "dare un calcio alla televisione
di casa quando non funziona
bene". Orbene, tale
"terapia", dopo un breve periodo di eclisse nella seconda
metà degli anni '70, è ora nuovamente in voga nelle nostre
istituzioni totali, siano esse manicomi pubblici o cliniche private,
a ulteriore prova dell'estrema labilità delle conquiste di libertà
e rispetto della dignità umana, se il manicomio non viene abolito
una volta per sempre.
da
un appello del CARM (comitato per l'abolizione dei regolamenti
manicomiali e dei manicomi criminali) c/o
cooperativa "Bravetta '80" via de'Jacovacci 21 - 00163 ROMA
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