Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 144
marzo 1987


Rivista Anarchica Online

Ricordando Cassola
di Mauro Suttora / Paolo Finzi

Fosse stato solo uno "scrittore di grido", avrebbe avuto i suoi bravi funerali di stato, come il catto-comunista Guttuso. Ma Carlo Cassola ha speso gli ultimi anni della sua vita per combattere contro il militarismo. Il potere non gliel'ha perdonato. Noi, che pure ci trovammo anche in forte dissenso con lui, lo ricordiamo proprio per questo suo forte impegno. Ecco le testimonianze di Mauro Suttora (che di Cassola fu stretto collaboratore) e di un nostro redattore (che 10 anni fa intervistò Cassola all'inizio del suo impegno disarmista).

Un libero pensatore

Ho incontrato Carlo Cassola per la prima volta nel 1978 a Trieste, dove frequentavo l'università. Tenne una conferenza sul disarmo unilaterale nella sala più lussuosa della città, piena zeppa di signore in pelliccia e di "bel mondo". Al suo fianco sedeva il direttore del quotidiano locale "Il Piccolo", che allora faceva parte della Rizzoli, la casa editrice che pubblicava i libri di Cassola. Claudio Venza e altri anarchici del gruppo Germinal distribuirono un volantino di protesta, ricordando le censure che "Il Piccolo" effettuava ai danni delle marce e di ogni altra iniziativa antimilitarista. Rimproverarono a Cassola di aver accettato l'invito a parlare in quella sede.
Cassola rispose a Venza che lui avrebbe accettato di propagandare il disarmo unilaterale di fronte a qualsiasi uditorio: "Il problema è urgente, se gli stati non disarmano si rischia la fine del mondo". La stessa logica "ecumenica" apparentemente spregiudicata e invece soltanto pragmatica (unità sugli obiettivi concreti, non sulle astratte ideologie), lo condusse a fondare la Lega per il Disarmo Unilaterale (LDU), di cui sono stato segretario nazionale nell'82 e nell'83, gli anni caldi del pacifismo di Comiso.
Cassola sperava che attorno all'obiettivo del disarmo si riunissero tutti i pacifisti di tutte le tendenze: anarchici, radicali, cristiani, comunisti, nonviolenti. Così purtroppo non è avvenuto: la LDU arrivò a qualche migliaio di iscritti, ma tutti continuarono ad operare nei propri gruppi di appartenenza, spesso di dimensioni così ridotte da risultare inefficaci. Fu così facile per il PCI, nel 1981, egemonizzare il nascente movimento contro i missili a Comiso, condurlo al disastro e poi alla scomparsa nel 1984. Se invece gli antimilitaristi (anarchici compresi) avessero perso un po' meno tempo a litigare tra loro, non si sarebbe mancata l'occasione d'oro di far nascere un movimento pacifista indipendente e forte, come l'IKV in Olanda o il CND in Gran Bretagna.
Ai funerali di Cassola non è andato neanche un rappresentante della Rizzoli, che grazie ai suoi libri ha guadagnato miliardi. Il giorno della sua morte molti giornalisti lo hanno confuso con il Cassola senatore del PSI. Nessun giornale (neanche "l'Unità") ha ricordato con qualche serietà il suo impegno antimilitarista, che lo ha assorbito negli ultimi 12 anni della sua vita. Che differenza con i funerali di stato di Guttuso.
Rileggendo i suoi fulminanti articoli sul "Corriere della Sera", apparsi dal 1974 al 1978 (interrotti dall'arrivo della P2) e i suoi vivacissimi libretti sul disarmo unilaterale (Ultima frontiera, Il gigante cieco, Rivoluzione disarmista... tutti nella BUR Rizzoli) si viene colpiti dall'assoluta logicità del suo argomentare. Privo di ogni retorica, male così comune tra i pacifisti. Denso di riferimenti storici, ai quali Cassola attingeva con pienezza grazie alla sua vasta cultura. Soprattutto, senza quelle schifose edulcorazioni delle proprie idee radicali per renderle più appetibili al grande pubblico, vizio dei politici di professione di ogni epoca.
Conversando con Cassola, o leggendo i suoi libri (esercizio che consiglio caldamente a tutti) si provava il brivido tipico che si ha di fronte ad ogni libero pensatore, che affronta ogni problema senza pregiudizi.
Un pregiudizio, naturalmente, Cassola l'aveva: era contro il militarismo e gli eserciti. Non li considerava causati dallo stato (come dicono gli anarchici), dall'imperialismo (comunisti) o dalla cattiveria dell'uomo (cristiani): l'esercito per Cassola è "causa sui", causa di se stesso. Abolite gli eserciti e abolirete le guerre. Le analisi ormai scientifiche che sono state condotte sui "complessi militari-industriali" di tutto il mondo confermano la sua tesi.
Mi permetto di concludere con un appello pragmatico, seguendo appunto lo stile di Cassola: quest'anno, a maggio, fate l'obiezione di coscienza alle spese militari. L'obiezione fiscale, lanciata dalla LDU nell'82 insieme agli altri movimenti nonviolenti, rimane oggi in Italia la maniera più semplice e concreta di opporsi al militarismo. E di continuare l'opera di Cassola.

Mauro Suttora

Il dissenso tra noi

Impegnatosi recentemente nella lotta contro gli eserciti ed il militarismo, Cassola propone come primo obiettivo l'abolizione unilaterale dell'esercito italiano - L'evoluzione del suo pensiero in senso libertario - Dall'antimilitarismo all'antistatalismo: un passaggio inevitabile che Cassola non ha ancora saputo compiere - Importanza e limiti del suo contributo alla lotta contro gli eserciti. Un po' lungo, forse, ma ancor oggi sottoscrivibile ci pare il sommarietto che mettemmo a completamento del titolo Antimilitarismo e potere statale dell'intervista con Carlo Cassola, pubblicata su "A" (giugno/luglio 1977).


Avevamo letto Il gigante cieco e Ultima frontiera, usciti a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro. Ci avevano colpito, per l'impeto con cui vi si affrontava una tematica alla quale siamo sempre stati particolarmente sensibili (l'antimilitarismo), per il carattere aperto, onesto, emotivamente coinvolto del suo argomentare, per la tensione etica che li sottendeva. Ma c'erano anche punti - non pochi - che non ci convincevano. Su alcuni, poi, il dissenso ci appariva netto. Gli telefonammo e, alla fine, riuscimmo a fissare un appuntamento nella hall di un albergo, nel centro di Parma, qualche ora prima di una sua conferenza. Era la primavera di dieci anni fa.
La lunga chiacchierata, poi riassunta nel testo pubblicato sulla rivista, toccò innanzitutto la questione della lotta contro il militarismo e gli eserciti. La battaglia, chiaramente, ci accomunava, ma abbagliato dall'importanza della posta in gioco (la salvezza dell'umanità) e dall'urgenza della vittoria (se no, ripeteva Cassola, tra due o tre decenni al massimo il mondo sarà finito), a nostro avviso non coglieva alcune questioni fondamentali - quali il nesso inscindibile tra autorità e violenza, potere e forze armate - che non debbono essere trascurate. Per comprendere, per lottare efficacemente, per vincere. Già, la vittoria.
Per ottenerla, o meglio sperando di ottenerla, Cassola era disposto a venire a patti con il diavolo. In una sua conferenza a Milano, alla libreria Utopia, arrivò a sostenere che si sarebbe accordato anche con Hitler, se questo gli fosse parso utile nella battaglia per il disarmo. Insorgemmo, polemizzammo.
Non era questione astratta di antifascismo (Cassola, d'altronde, era stato attivo militante del Partito d'Azione mentre tanti intellettuali super-antifascisti post '45 lustravano le scarpe al duce), ma indicava - per paradossale che la sua tesi fosse - la pericolosa unilateralità della sua impostazione. La sua evoluzione in senso libertario si era fermata. Il dissenso tra noi rimase: a proposito dei rapporti con le istituzioni, con i partiti (Cassola accettò di candidarsi nelle liste di Democrazia Proletaria), con i movimenti, oltre che sul piano teorico e analitico.
Cassola continuò la sua battaglia, sempre più isolato anche perché sul piano pratico indisponibile a quei "patteggiamenti" che pure, paradossalmente o meno, teorizzava. Voleva l'unità delle sinistre, anzi l'unità di tutte le forze disponibili all'antimilitarismo. Ma le sinistre, i partiti, le forze su cui contava puntavano e puntano al potere. Non potevano e non possono essere antimilitaristi. Se non, a volte, a parole.
Non è un caso che a ricordarlo siamo rimasti davvero in pochi: citiamo qui Umanità Nova, che ha pubblicato in prima pagina un appassionato ricordo di Cassola, firmato da Leonardo Di Giorgio. A ricordare il Cassola più vero, intendiamo non quello macchina-che-fa-libri, scrittore-di-grido. Se si fosse limitato a ricoprire quel ruolo, avrebbe avuto anche lui i suoi bravi funerali di stato.
La sua ruvida intransigenza disarmista gli ha risparmiato quell'ultimo oltraggio, da quelle autorità e da quella lobby editoriale che non gli hanno perdonato il suo impegno e lo hanno bollato come "utopista" e "anarchico".

Paolo Finzi