Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 143
febbraio 1987


Rivista Anarchica Online

Arcobaleno, rainbow, arco iris...
di Fausta Bizzozzero / Massimo Panizza

A colloquio con Sandra Comneno e Alberto Ruz Buenfil, della comunità messicana Huehuecoyotl, sulla loro esperienza in Centro America, sul recente viaggio in alcune comunità europee, su Christiania, ecc. ecc.

È stato bello reicontrare Sandra e Alberto della comunità Huehuecoyotl (ne abbiamo parlato su "A" 128). Sono tornati nel vecchio continente dopo due anni lunghi e intensi per stringere nuovi contatti e approfondire quelli già esistenti, e per questo hanno attraversato l'Europa visitando comunità, partecipando al Rainbow europeo sui Pirenei e concludendo il loro viaggio attraverso l'arcipelago comunitario a Christiania, dove Alberto era stato quindici anni fa e di cui era curioso di conoscere direttamente gli sviluppi.
Prima che ripartissero ci siamo fatti raccontare di Huehuecoyotl, della "rete" comunitaria di cui fanno parte in Messico, del terremoto, del loro viaggio, nel corso di una chiacchierata che è durata sino a notte fonda.


Cos'è successo in questi due anni a Huehuecoyotl sul piano del lavoro e dell'economia?

Alberto - Il processo di cominciare a lavorare in piccoli gruppi affinitari è andato di meglio in meglio. Prima non eravamo in grado di garantire la qualità dei prodotti finiti, ora anche il mercato sta rispondendo positivamente ai nostri sforzi. Abbiamo un margine di tempo libero superiore che ci permette di rivolgerci ad altre attività, come costruire case. Sono nati nuovi laboratori come quello che produce strumenti musicali preispanici. Questo laboratorio si sta specializzando sempre più nella ricerca musicale e il gruppo viene chiamato in varie parti del Messico per corsi, scambi di esperienze, concerti. In questo momento stanno viaggiando tra la Danimarca e la Svezia e presentano la loro musica. A fine settembre parteciperanno per una settimana ad un viaggio in treno con altri musicisti e poeti: nelle città dell'itinerario sono previsti spettacoli e "happening" per tutto il tempo.
I laboratori di Huehuecoyotl producono pasta integrale, conserve, marmellate, miele, vetri colorati saldati al piombo, artigianato, fotografia. Il fatto di disporre di molti prodotti della comunità e della rete di comunità ha suggerito di allestire un punto di vendita a Tucuxclan, il paese vicino, dove, oltre a questi prodotti, vendiamo stampa alternativa di tutto il mondo.
Per ora l'iniziativa è in embrione e comunque nelle nostre intenzioni è volta a fermare il grande flusso di persone che continuamente si riversa sulla comunità intralciando il nostro lavoro e a creare un punto di riferimento per i contatti con il tessuto sociale nel quale viviamo.
Un ultimo laboratorio importantissimo, perché costituisce il punto di incontro tra i vari laboratori, è il teatro. Finalmente dopo qualche anno di difficoltà la gente di Huehuecoyotl è nuovamente pronta ad investire forze ed entusiasmo per l'attività teatrale. Ultimamente abbiamo prodotto due rappresentazioni: la prima destinata ai bambini è stata portata in diverse scuole, piazze pubbliche e villaggi vicini alla comunità, l'altro spettacolo, più sofisticato, è rivolto a un pubblico più adulto ed è stato realizzato con persone di tutta la rete. È uno spettacolo ecologico che per la prima volta è stato rappresentato al primo convegno nazionale di ecologia (novembre '85).
Questa attività è fondamentale per le connessioni e i contatti di Huehuecoyotl con l'esterno. Un'altra iniziativa che sta crescendo è la scuola autogestita comunitaria (asilo-nido, asilo e scuola elementare) che comprende, oltre ai bimbi delle comunità vicine, molti figli di rifugiati guatemaltechi e anche, ma sono pochi ancora, alcuni bimbi degli indios.

Questa maggiore stabilità economica ha comportato dei cambiamenti nella dinamica di gruppo? Esiste conflittualità tra i componenti della comunità?

Sandra - Da una parte, essendosi creato un clima più sereno, anche i nostri rapporti sono migliorati e le tensioni si sono allentate e lasciano spazio ad una maggiore disponibilità. D'altra parte alcune persone, come spesso accade nei gruppi, hanno manifestato apertamente problemi di tipo personale. In questi casi il problema individuale è estremamente pericoloso per la comunità, perché il rischio è il coinvolgimento di tutto il gruppo. Così per queste persone si è reso necessario un allontanamento anche solo momentaneo e in qualche caso la sperimentazione di altre realtà comunitarie. Nello stesso tempo persone nuove si sono avvicinate ed hanno portato energie e contenuti più freschi.

Alberto - Ogni due/tre settimane abbiamo deciso di dedicare una giornata ad una sorta di psicodramma in cui uno o una di noi diventa re o regina e decide cosa si deve fare per quel giorno. Gli altri, se vogliono, possono assecondare i desideri di questa persona. Questo ci ha aiutato molto ad avvicinarci e a conoscerci ancora più profondamente.

La vostra esperienza comunitaria è stata per molti anni itinerante. Cosa è cambiato rispetto a prima? La stanzialità e la sicurezza conseguente hanno in qualche modo modificato lo spirito di rottura e di ribellione?

Sandra - Prova a pensare a un gruppo di persone che viaggiando arriva in un luogo, ci vive una settimana o tre mesi e quando ritiene che la situazione sia satura e non dia più nulla, se ne va e cerca un nuovo posto. La fortuna di un nomade è quella di poter vivere la sua mobilità. D'altra parte prova anche a pensare a una situazione come quella attuale in cui dobbiamo convivere con gli indios, cioè con persone fisicamente e culturalmente assai diverse da noi. Questo richiede una capacità di rottura molto più forte. Questo comporta grossissime difficoltà, continuamente. Un piccolo esempio significativo: ormai da due anni un indios porta il latte la mattina e da due anni sono io a ritirare il latte e a parlare con lui; ebbene, da due anni quando arriva chiama sempre Alberto! È più facile fare la valigia e scappare piuttosto che rimanere e proporre i propri contenuti.

Alberto - Con gli indios non c'è mai stata una situazione di scontro, nonostante all'inizio abbiano sentito il nostro stanziamento come una invasione. Col tempo il rispetto reciproco ha creato collaborazione e solidarietà tra noi, pur restando le diversità connaturate alla provenienza. In gran parte sono stati proprio i bambini che frequentavano le scuole pubbliche a costituire il tramite. Alla festa del paese, alla quale partecipiamo sempre con una nostra rappresentazione, ci attendono sempre incuriositi: "Chissà che inventeranno quest'anno?".
Per tutti noi è cresciuto l'attaccamento al luogo che è sempre più bello, e grazie al maggiore inserimento nella realtà locale è sempre più piacevole viverci. Ma la comunità continua a viaggiare. Oltre a noi, altre cinque persone sono in Scandinavia da 5 mesi e un altro gruppo è negli Stati Uniti da un anno. La comunità continua a viaggiare seppure in modo diverso. Cerchiamo così di aprire la strada a luoghi dove fra un anno o due anni tutta la comunità potrà andare per conoscere e farsi conoscere. Andiamo in altri paesi per continuare il lavoro della comunità all'estero. Così, ritornare tutti quanti alla comunità a ottobre significherà avere voglia di lavorare tutti insieme con nuove energie e proposte e progetti per il futuro. Un altro aspetto importante dei viaggi è che la casa di chi parte viene lasciata a gente interessata a vivere un' esperienza a Huehuecoyotl per aggregarsi in un secondo tempo o per studiare la possibilità di nuove comunità. Questo ci permette di prendere le distanze dalla comunità, per periodi anche abbastanza lunghi. Questi rapporti, che costruiamo alacremente in Messico e in tutto il mondo, la rivista, il teatro, sono strategicamente importanti. Un' esperienza autogestionaria funzionante è sempre scomoda al potere e sarebbe troppo facile farla tacere se non avesse connessioni, se non fosse conosciuta, se non mantenesse sempre vivi i propri contatti.

In occasione del terremoto come vi siete mossi?

Sandra - Il terremoto ci ha largamente coinvolti in una prima fase: dalla raccolta dei generi di prima necessità, all'organizzazione dei campi per i disastrati, all'intrattenimento dei bambini. Questo grosso investimento di energie si è poi interrotto in un secondo momento. La ricostruzione di città del Messico andava contro i nostri stessi principi di decentramento, di autocostruzione. Con questo però non ci trovavamo d'accordo con quanti volevano radere al suolo le macerie trasferendo i terremotati in altre città. La gente non può essere sradicata dal proprio luogo d'origine, ma deve esserci la possibilità di una scelta, un' autonomia decisionale. Ricostruire città del Messico significava né più né meno ripristinare la condizione invivibile pre-terremoto.
Per questo, dopo l'emergenza, il nostro impegno è stato soprattutto quello di mettere a disposizione le nostre conoscenze specifiche sull'autocostruzione, sulle tecnologie dolci, sulla medicina alternativa, sull'autoorganizzazione.

Come si è evoluta la rete comunitaria di cui fate parte?

Alberto - Il terremoto ha creato un gran scompiglio in tutto il settore alternativo per cui chi era già attivo all'interno ha avuto un grande spazio per portare avanti discorsi che prima venivano frenati. La rete stessa ha subito una trasformazione dopo il terremoto. La necessità di una decentralizzazione e di una maggiore elasticità nei rapporti tra le comunità si è concretizzata in reti più agili regionali, ciascuna delle quali più rispondente agli effettivi bisogni. Questo ha significato maggiore partecipazione, dovuta in gran parte al minore investimento in tempo e denaro per gli spostamenti che prima - quando la rete era unica e nazionale - potevano essere assai onerosi. Più avanti sentiremo sicuramente la necessità di incontrarci ancora tutti quanti e allora il Rainbow Gathering sarà il momento più indicato per fondere tra loro le diverse esigenze di scambio, di organizzazione, di studio, di ricerca, ma anche di festa, di convivialità, di conoscenza.

E veniamo al vostro viaggio attraverso l'Europa: il Rainbow sui Pirenei (incontro annuale delle comunità europee) e la visita a numerose comunità. Quali sono state le vostre impressioni? Quali comunità avete trovato più interessanti?

Alberto - Sui Pirenei non abbiamo trovato la presenza massiccia di comunità, che caratterizza invece il Rainbow americano e abbiamo verificato un'oggettiva difficoltà di comunicazione dovuta alle numerose lingue parlate. Una delle comunità presenti era l'Arcoiris (Spagna - 4 comunità) che ci è sembrata particolarmente interessante e che abbiamo voluto visitare. Abbiamo scelto la più grande, quella di Terragona.

Sandra - Ci ha colpito la grande capacità organizzativa. In questa comunità i lavori vengono organizzati e suddivisi ogni sei mesi. Per sei mesi ciascuno ha la responsabilità del suo lavoro. Mi ha colpito questo grande ingranaggio il cui funzionamento richiede una grossa presa di coscienza individuale perché venendo a mancare l'apporto di una sola persona tutta l'organizzazione ne risente. La comunità è numerosa (120 persone), penso che senza una organizzazione simile non potrebbe sopravvivere. Io ad esempio non riuscirei a sentirmi così legata ad una organizzazione. Questo infatti è uno dei loro problemi: da questo ingranaggio è difficile uscire. Vedendoli in opera nei vari laboratori, nel centro di medicina, ai corsi, all'organizzazione, al ricevimento, ho però trovato un grande entusiasmo. Abbiamo conosciuto persone bellissime, allegre.

Alberto - C'è un altro aspetto. Ci sono comunità dove l'Eros è più sviluppato di Thanatos. La comunità si definisce "tantrica", lavora moltissimo sulla sessualità e i rapporti sessuali sono al centro della loro ricerca e dei loro studi. Questo aspetto si sente vibrare tra le persone, le persone sono "belle", la situazione è seducente, la disponibilità è grande. Così anche il lavoro viene vissuto come un piacere. Tornando dal lavoro, una grande piscina al centro della comunità accoglie le persone che si svestono, giocano, si rilassano prima di mangiare tutti insieme. Mangiano molto bene, in gran parte i loro prodotti, vivono in case semplici, ma confortevoli e accoglienti. Noi stessi siamo stati ospitati in una bellissima stanza in una torretta tutta di legno. Si vestono con stoffe molto fresche e colorate, rosse, verdi, blu, arancioni.

Mentre ascoltiamo Alberto si fa strada una sensazione di disagio: questa comunità così "felice" non ci convince, percepiamo una sorta di misticismo in tutta questa bellezza, rilassatezza, efficienza. Che sia una ennesima setta e che, come tale, abbia il suo "guru"?

Alberto - Esiste in realtà un personaggio-guida: è quello che ha studiato e sa più degli altri, scrive di più sulla rivista, ha pubblicato dei libri, ma ci è sembrato solo un leader carismatico. Viene rispettato e stimato, ma non entra autoritariamente nella gestione della comunità. Per quello che ho potuto vedere credo che laggiù ci sia qualcosa di molto interessante da esplorare, da seguire nel suo sviluppo.

Sarebbe certamente interessante conoscerla più a fondo, ma comunque è significativa l'esistenza di questa figura di riferimento che, pur non agendo in modo autoritario, indirizza e plasma l'intera comunità. Non ci sembra affatto meno pericolosa, anzi.

Alberto - Certo può essere un pericolo, ma per verificarlo bisognerebbe viverci per un po' di tempo. Quello che noi possiamo raccontare sono solo impressioni/sensazioni di una visita troppo breve per poter capire realmente una situazione. Un'altra comunità visitata è una delle comunità dell'Arche. I simboli di queste comunità sono cristiani, in realtà i fondamenti ispiratori sono il pacifismo, i valori gandhiani della non-violenza, l'autosufficienza. Utilizzano solo tecnologie elementari, niente elettricità: a parte una di queste comunità (sono 6 o 7 in tutto il mondo), dove è in atto una piccola rivoluzione e si utilizzano energia elettrica e trattore. Del resto la gente che fonda nuove comunità dell'arca non è obbligata a scegliersi come modello quelle esistenti. Non esistono regole fisse e dogmatiche a parte i valori di pacifismo e autosufficienza che sono alla base di queste comunità.

Sandra - Sono stata colpita soprattutto dalla sensazione di calarmi nel secolo scorso, tutto si vede come attraverso una fotografia color seppia. Dalle cucine un po' buie e di legno scuro, dove fumano grossi pentoloni, alle donne col grembiulone e i bimbi attaccati al seno, alla mietitura coi cavalli, alla lavatura dei panni sulla pietra. Il lavoro è durissimo, ma nonostante questo c'è armonia, il tempo segue un ciclo naturale, la dimensione comunitaria permette anche un po' di tempo libero per la lettura o per altri intrattenimenti come le feste danzanti. Il sesso è qui abbastanza regolato.

Alberto - Infine Christiania, utopizzata e demonizzata: le due componenti continuano a convivere. C'ero già stato 15 anni fa, il primo anno di Christiania, l'anno d'oro. Allora era l'anno dell'occupazione (70/72), c'era l'entusiasmo, lo spirito nuovo, la situazione politico-sociale in Europa non era ancora schiacciata dalla repressione. Era una sfida grossissima alle istituzioni militari. Era l'utopia, quindici anni fa. Poi la storia di Christiania tutti la conosciamo, conosciamo le difficoltà, le lotte contro il sistema. Ma la cosa più importante è che sono passati quindici anni, è passato anche l'84 orwelliano e loro sono ancora là.
In questo posto, dentro Christiania, si vive una libertà che non esiste in nessun altra società del mondo. Ci sono circostanze sicuramente favorevoli. La prima è che Christiania è in Danimarca, lo stato più "liberale" d'Europa. Poi nonostante tutte le contraddizioni che si sono prodotte in questi anni è rimasto vivo un forte spirito d'identità e di lotta. Sono - dicono loro per problemi di densità - mille persone, ma probabilmente anche di più. Christiania è cresciuta, prima erano gli edifici della base militare, poi sono sorte piccole case, poi altre case e poi si sono aggiunti i vagoni dei treni, poi è stato annesso il lago ed ora si gira intorno al lago. Per fare il giro di Christiania si fanno chilometri, si attraversano i ponti di legno sul lago, le fattorie: è grande, davvero molto grande. È suddivisa in quartieri, ognuno autonomo per le decisioni che lo riguardano. I problemi che interessano tutta Christiania vengono invece discussi in un'assemblea generale.
Il problema principale ora è il tentativo di legalizzazione da parte dello Stato, che per altre vie non è mai riuscito a neutralizzare Christiania. Lo Stato concederebbe autonomia e denaro per riparare le case in cambio di una legalizzazione delle cooperative, dei posti di lavoro, degli affitti.

Ma questo significherebbe entrare in una logica istituzionale, con tutte le conseguenze che ben conosciamo, non trovi?

Alberto - I christianiti sono attirati dai vantaggi offerti, ma non sono disposti a cedere sulla contropartita. Quindi c'è una trattativa, tuttora in corso, ma sembra che prevalga il rifiuto delle offerte statali che peraltro sancirebbero ciò che gli abitanti di Christiania già si sono presi e da quindici anni ormai.
Un altro grosso problema è stata la grossa diffusione di eroina. Lo hanno affrontato in un primo momento lasciando un periodo di tempo a eroinomani e spacciatori per decidere di smettere o andarsene. Una parte della gente è riuscita a smettere, altri si sono spostati in comunità di disintossicazione nel nord della Danimarca, altri, gli spacciatori, hanno continuato la loro attività. Per una seconda e una terza volta è stato dato l'ultimatum. Poi un gruppo di volontari li ha cacciati fuori da Christiania. Ora non circola più eroina anche se sicuramente c'è chi "si fa" portandosi la roba da fuori. È rimasto il libero commercio dell'hashish. Molta gente ha trovato questo modo per guadagnarsi senza troppa fatica la vita. Sono soprattutto i giovani e i giovanissimi che spacciano a Christiania e la gente che compra è in gran parte gente che viene da fuori.
Tutto questo aspetto è molto deprimente, tutto l'aspetto commerciale è triste; per scoprire la vera Christiania bisogna andare oltre e non è facile. Esiste una barriera che può essere superata solo se si hanno contatti con l'interno. Il turista non vede oltre questo aspetto più superficiale e forse è anche una difesa che gli stessi Christianiti hanno voluto come protezione. Quello che si trova dietro, mi è sembrato meraviglioso: laboratori, riciclaggio, forni, artigianato, ristoranti, bar, teatro, museo, scuole, saune, parrucchiere, ospedale, biblioteca, tutta una vita cooperativa all'interno per l'autosufficienza di questo luogo. I principi che animano e che sostengono questa microsocietà sono indubbiamente libertari come erano anarchici o libertari i fondatori; ora queste idee sono entrate nella loro vita, sono diventate patrimonio diffuso.


Il quarto mondo e il quinto

Per il Convegno internazionale "La terra ci è data in prestito dai nostri figli", promosso dai Verdi e tenutosi a Pescara dal 19 al 21 settembre scorsi (cfr. "A" 141), Alberto Ruz Buenfil - membro della comunità messicana Huehuecoyotl - aveva preparato questo appunto, come contributo alla riflessione degli ecologisti.

Non voglio accettare questa separazione del mondo dove ci sono un primo mondo imperialista, coloniale, industriale e un secondo e un terzo mondo che vogliono diventare come il primo. Sono molto contrario a questa visione del movimento ecologico italiano, ma non solo italiano, che considera i movimenti ecologisti dell'America Latina, dell'Asia, dell'Africa come movimenti del terzo mondo. La scoperta dell'ecologia nei paesi "occidentali" non ha più di venticinque anni, mentre alla base delle filosofie ecologiste ci sono le realtà che si sono mantenute nei paesi che non hanno conosciuto lo sviluppo industriale e che tramandano a livello popolare queste tradizioni. E tuttora maestri, filosofi, sciamani mantengono vive queste culture che l'"occidente" sta continuando a distruggere.
Questi per me sono i veri maestri dell'ecologia e loro non parlano dei tre mondi post-industriali. Parlano invece di quattro mondi. Un primo mondo delle terre e delle rocce che sta prima della vita. Un secondo mondo è quello degli alberi, dei semi, dei fiori, dei frutti e un terzo mondo è quello degli animali. Il quarto mondo è quello dell'uomo e non appartiene a nessuna cultura. E la storia che ci raccontano gli Hopi è che questo quarto mondo ha quattro divisioni, il nord, il sud, l'est, l'ovest. E anche tra i Maya e in molte altre culture africane e asiatiche si ritrovano sempre gli stessi quattro colori: i popoli bianchi, i popoli neri, io popoli rossi, i popoli gialli.
Queste antiche culture parlano anche di un quinto mondo, che sarà un mondo dove tutte le culture si fonderanno, dove non ci saranno più separazioni. Infatti la civiltà umana grazie ai trasporti, alle comunicazioni sta diventando una civiltà planetaria.
Anche la leggenda dell'arcobaleno (un'altra leggenda preindustriale) era una previsione di questi saggi rispetto al fatto che un giorno tutte le culture si sarebbero ritrovate e sarebbero sorte le tribù dell'arcobaleno. Tutti, dall'Acquacheta, all'Arcoiris, al Rainbow americano, a Christiania, a Green Peace, al Living Theatre, ai verdi parlamentari europei, tutti si riconoscono "guerrieri dell'arcobaleno". Io vedo in questi segni la consapevolezza che stiamo diventando piccole isole-arcobaleno che portano avanti la lotta non solo per la loro vita, ma per il pianeta intero.

Alberto Ruz Buenfil