Rivista Anarchica Online
Arcobaleno,
rainbow, arco iris...
di Fausta Bizzozzero / Massimo Panizza
A colloquio con
Sandra Comneno e Alberto Ruz Buenfil, della comunità messicana
Huehuecoyotl, sulla loro esperienza in Centro America, sul recente
viaggio in alcune comunità europee, su Christiania, ecc. ecc.
È stato
bello reicontrare Sandra e Alberto della comunità Huehuecoyotl
(ne abbiamo parlato su "A" 128). Sono tornati nel vecchio
continente dopo due anni lunghi e intensi per stringere nuovi
contatti e approfondire quelli già esistenti, e per questo
hanno attraversato l'Europa visitando comunità, partecipando
al Rainbow europeo sui Pirenei e concludendo il loro viaggio
attraverso l'arcipelago comunitario a Christiania, dove Alberto era
stato quindici anni fa e di cui era curioso di conoscere direttamente
gli sviluppi. Prima che
ripartissero ci siamo fatti raccontare di Huehuecoyotl, della "rete"
comunitaria di cui fanno parte in Messico, del terremoto, del loro
viaggio, nel corso di una chiacchierata che è durata sino a
notte fonda.
Cos'è
successo in questi due anni a Huehuecoyotl sul piano del lavoro e
dell'economia?
Alberto - Il
processo di cominciare a lavorare in piccoli gruppi affinitari è
andato di meglio in meglio. Prima non eravamo in grado di garantire
la qualità dei prodotti finiti, ora anche il mercato sta
rispondendo positivamente ai nostri sforzi. Abbiamo un margine di
tempo libero superiore che ci permette di rivolgerci ad altre
attività, come costruire case. Sono nati nuovi laboratori come
quello che produce strumenti musicali preispanici. Questo laboratorio
si sta specializzando sempre più nella ricerca musicale e il
gruppo viene chiamato in varie parti del Messico per corsi, scambi di
esperienze, concerti. In questo momento stanno viaggiando tra la
Danimarca e la Svezia e presentano la loro musica. A fine settembre
parteciperanno per una settimana ad un viaggio in treno con altri
musicisti e poeti: nelle città dell'itinerario sono previsti
spettacoli e "happening" per tutto il tempo. I laboratori di
Huehuecoyotl producono pasta integrale, conserve, marmellate, miele,
vetri colorati saldati al piombo, artigianato, fotografia. Il fatto
di disporre di molti prodotti della comunità e della rete di
comunità ha suggerito di allestire un punto di vendita a
Tucuxclan, il paese vicino, dove, oltre a questi prodotti, vendiamo
stampa alternativa di tutto il mondo. Per ora
l'iniziativa è in embrione e comunque nelle nostre intenzioni
è volta a fermare il grande flusso di persone che
continuamente si riversa sulla comunità intralciando il nostro
lavoro e a creare un punto di riferimento per i contatti con il
tessuto sociale nel quale viviamo. Un ultimo
laboratorio importantissimo, perché costituisce il punto di
incontro tra i vari laboratori, è il teatro. Finalmente dopo
qualche anno di difficoltà la gente di Huehuecoyotl è
nuovamente pronta ad investire forze ed entusiasmo per l'attività
teatrale. Ultimamente abbiamo prodotto due rappresentazioni: la prima
destinata ai bambini è stata portata in diverse scuole, piazze
pubbliche e villaggi vicini alla comunità, l'altro spettacolo,
più sofisticato, è rivolto a un pubblico più
adulto ed è stato realizzato con persone di tutta la rete. È
uno spettacolo ecologico che per la prima volta è stato
rappresentato al primo convegno nazionale di ecologia (novembre '85). Questa attività
è fondamentale per le connessioni e i contatti di Huehuecoyotl
con l'esterno. Un'altra iniziativa che sta crescendo è la
scuola autogestita comunitaria (asilo-nido, asilo e scuola
elementare) che comprende, oltre ai bimbi delle comunità
vicine, molti figli di rifugiati guatemaltechi e anche, ma sono pochi
ancora, alcuni bimbi degli indios.
Questa maggiore
stabilità economica ha comportato dei cambiamenti nella
dinamica di gruppo? Esiste conflittualità tra i componenti
della comunità?
Sandra - Da
una parte, essendosi creato un clima più sereno, anche i
nostri rapporti sono migliorati e le tensioni si sono allentate e
lasciano spazio ad una maggiore disponibilità. D'altra parte
alcune persone, come spesso accade nei gruppi, hanno manifestato
apertamente problemi di tipo personale. In questi casi il problema
individuale è estremamente pericoloso per la comunità,
perché il rischio è il coinvolgimento di tutto il
gruppo. Così per queste persone si è reso necessario un
allontanamento anche solo momentaneo e in qualche caso la
sperimentazione di altre realtà comunitarie. Nello stesso
tempo persone nuove si sono avvicinate ed hanno portato energie e
contenuti più freschi.
Alberto -
Ogni due/tre settimane abbiamo deciso di dedicare una giornata ad una
sorta di psicodramma in cui uno o una di noi diventa re o regina e
decide cosa si deve fare per quel giorno. Gli altri, se vogliono,
possono assecondare i desideri di questa persona. Questo ci ha
aiutato molto ad avvicinarci e a conoscerci ancora più
profondamente.
La vostra
esperienza comunitaria è stata per molti anni itinerante. Cosa
è cambiato rispetto a prima? La stanzialità e la
sicurezza conseguente hanno in qualche modo modificato lo spirito di
rottura e di ribellione?
Sandra -
Prova a pensare a un gruppo di persone che viaggiando arriva in un
luogo, ci vive una settimana o tre mesi e quando ritiene che la
situazione sia satura e non dia più nulla, se ne va e cerca un
nuovo posto. La fortuna di un nomade è quella di poter vivere
la sua mobilità. D'altra parte prova anche a pensare a una
situazione come quella attuale in cui dobbiamo convivere con gli
indios, cioè con persone fisicamente e culturalmente assai
diverse da noi. Questo richiede una capacità di rottura molto
più forte. Questo comporta grossissime difficoltà,
continuamente. Un piccolo esempio significativo: ormai da due anni un
indios porta il latte la mattina e da due anni sono io a ritirare il
latte e a parlare con lui; ebbene, da due anni quando arriva chiama
sempre Alberto! È più
facile fare la valigia e scappare piuttosto che rimanere e proporre i
propri contenuti.
Alberto -
Con gli indios non c'è mai stata una situazione di scontro,
nonostante all'inizio abbiano sentito il nostro stanziamento come una
invasione. Col tempo il rispetto reciproco ha creato collaborazione e
solidarietà tra noi, pur restando le diversità
connaturate alla provenienza. In gran parte sono stati proprio i
bambini che frequentavano le scuole pubbliche a costituire il
tramite. Alla festa del paese, alla quale partecipiamo sempre con una
nostra rappresentazione, ci attendono sempre incuriositi: "Chissà
che inventeranno quest'anno?". Per tutti noi è
cresciuto l'attaccamento al luogo che è sempre più
bello, e grazie al maggiore inserimento nella realtà locale è
sempre più piacevole viverci. Ma la comunità continua a
viaggiare. Oltre a noi, altre cinque persone sono in Scandinavia da 5
mesi e un altro gruppo è negli Stati Uniti da un anno. La
comunità continua a viaggiare seppure in modo diverso.
Cerchiamo così di aprire la strada a luoghi dove fra un anno o
due anni tutta la comunità potrà andare per conoscere e
farsi conoscere. Andiamo in altri paesi per continuare il lavoro
della comunità all'estero. Così, ritornare tutti quanti
alla comunità a ottobre significherà avere voglia di
lavorare tutti insieme con nuove energie e proposte e progetti per il
futuro. Un altro aspetto importante dei viaggi è che la casa
di chi parte viene lasciata a gente interessata a vivere un'
esperienza a Huehuecoyotl per aggregarsi in un secondo tempo o per
studiare la possibilità di nuove comunità. Questo ci
permette di prendere le distanze dalla comunità, per periodi
anche abbastanza lunghi. Questi rapporti, che costruiamo alacremente
in Messico e in tutto il mondo, la rivista, il teatro, sono
strategicamente importanti. Un' esperienza autogestionaria
funzionante è sempre scomoda al potere e sarebbe troppo facile
farla tacere se non avesse connessioni, se non fosse conosciuta, se
non mantenesse sempre vivi i propri contatti.
In occasione del
terremoto come vi siete mossi?
Sandra - Il
terremoto ci ha largamente coinvolti in una prima fase: dalla
raccolta dei generi di prima necessità, all'organizzazione dei
campi per i disastrati, all'intrattenimento dei bambini. Questo
grosso investimento di energie si è poi interrotto in un
secondo momento. La ricostruzione di città del Messico andava
contro i nostri stessi principi di decentramento, di autocostruzione.
Con questo però non ci trovavamo d'accordo con quanti volevano
radere al suolo le macerie trasferendo i terremotati in altre città.
La gente non può essere sradicata dal proprio luogo d'origine,
ma deve esserci la possibilità di una scelta, un' autonomia
decisionale. Ricostruire città del Messico significava né
più né meno ripristinare la condizione invivibile
pre-terremoto. Per questo, dopo
l'emergenza, il nostro impegno è stato soprattutto quello di
mettere a disposizione le nostre conoscenze specifiche
sull'autocostruzione, sulle tecnologie dolci, sulla medicina
alternativa, sull'autoorganizzazione.
Come si è
evoluta la rete comunitaria di cui fate parte?
Alberto - Il
terremoto ha creato un gran scompiglio in tutto il settore
alternativo per cui chi era già attivo all'interno ha avuto un
grande spazio per portare avanti discorsi che prima venivano frenati.
La rete stessa ha subito una trasformazione dopo il terremoto. La
necessità di una decentralizzazione e di una maggiore
elasticità nei rapporti tra le comunità si è
concretizzata in reti più agili regionali, ciascuna delle
quali più rispondente agli effettivi bisogni. Questo ha
significato maggiore partecipazione, dovuta in gran parte al minore
investimento in tempo e denaro per gli spostamenti che prima - quando
la rete era unica e nazionale - potevano essere assai onerosi. Più
avanti sentiremo sicuramente la necessità di incontrarci
ancora tutti quanti e allora il Rainbow Gathering sarà il
momento più indicato per fondere tra loro le diverse esigenze
di scambio, di organizzazione, di studio, di ricerca, ma anche di
festa, di convivialità, di conoscenza.
E veniamo al
vostro viaggio attraverso l'Europa: il Rainbow sui Pirenei (incontro
annuale delle comunità europee) e la visita a numerose
comunità. Quali sono state le vostre impressioni? Quali
comunità avete trovato più interessanti?
Alberto -
Sui Pirenei non abbiamo trovato la presenza massiccia di comunità,
che caratterizza invece il Rainbow americano e abbiamo verificato
un'oggettiva difficoltà di comunicazione dovuta alle numerose
lingue parlate. Una delle comunità presenti era l'Arcoiris
(Spagna - 4 comunità) che ci è sembrata particolarmente
interessante e che abbiamo voluto visitare. Abbiamo scelto la più
grande, quella di Terragona.
Sandra - Ci
ha colpito la grande capacità organizzativa. In questa
comunità i lavori vengono organizzati e suddivisi ogni sei
mesi. Per sei mesi ciascuno ha la responsabilità del suo
lavoro. Mi ha colpito questo grande ingranaggio il cui funzionamento
richiede una grossa presa di coscienza individuale perché
venendo a mancare l'apporto di una sola persona tutta
l'organizzazione ne risente. La comunità è numerosa
(120 persone), penso che senza una organizzazione simile non potrebbe
sopravvivere. Io ad esempio non riuscirei a sentirmi così
legata ad una organizzazione. Questo infatti è uno dei loro
problemi: da questo ingranaggio è difficile uscire. Vedendoli
in opera nei vari laboratori, nel centro di medicina, ai corsi,
all'organizzazione, al ricevimento, ho però trovato un grande
entusiasmo. Abbiamo conosciuto persone bellissime, allegre.
Alberto -
C'è un altro aspetto. Ci sono comunità dove l'Eros è
più sviluppato di Thanatos. La comunità si definisce
"tantrica", lavora moltissimo sulla sessualità e i
rapporti sessuali sono al centro della loro ricerca e dei loro studi.
Questo aspetto si sente vibrare tra le persone, le persone sono
"belle", la situazione è seducente, la disponibilità
è grande. Così anche il lavoro viene vissuto come un
piacere. Tornando dal lavoro, una grande piscina al centro della
comunità accoglie le persone che si svestono, giocano, si
rilassano prima di mangiare tutti insieme. Mangiano molto bene, in
gran parte i loro prodotti, vivono in case semplici, ma confortevoli
e accoglienti. Noi stessi siamo stati ospitati in una bellissima
stanza in una torretta tutta di legno. Si vestono con stoffe molto
fresche e colorate, rosse, verdi, blu, arancioni.
Mentre
ascoltiamo Alberto si fa strada una sensazione di disagio: questa
comunità così "felice" non ci convince,
percepiamo una sorta di misticismo in tutta questa bellezza,
rilassatezza, efficienza. Che sia una ennesima setta e che, come
tale, abbia il suo "guru"?
Alberto -
Esiste in realtà un personaggio-guida: è quello che ha
studiato e sa più degli altri, scrive di più sulla
rivista, ha pubblicato dei libri, ma ci è sembrato solo un
leader carismatico. Viene rispettato e stimato, ma non entra
autoritariamente nella gestione della comunità. Per quello che
ho potuto vedere credo che laggiù ci sia qualcosa di molto
interessante da esplorare, da seguire nel suo sviluppo.
Sarebbe
certamente interessante conoscerla più a fondo, ma comunque è
significativa l'esistenza di questa figura di riferimento che, pur
non agendo in modo autoritario, indirizza e plasma l'intera comunità.
Non ci sembra affatto meno pericolosa, anzi.
Alberto -
Certo può essere un pericolo, ma per verificarlo bisognerebbe
viverci per un po' di tempo. Quello che noi possiamo raccontare sono
solo impressioni/sensazioni di una visita troppo breve per poter
capire realmente una situazione. Un'altra comunità visitata è
una delle comunità dell'Arche. I simboli di queste comunità
sono cristiani, in realtà i fondamenti ispiratori sono il
pacifismo, i valori gandhiani della non-violenza, l'autosufficienza.
Utilizzano solo tecnologie elementari, niente elettricità: a
parte una di queste comunità (sono 6 o 7 in tutto il mondo),
dove è in atto una piccola rivoluzione e si utilizzano energia
elettrica e trattore. Del resto la gente che fonda nuove comunità
dell'arca non è obbligata a scegliersi come modello quelle
esistenti. Non esistono regole fisse e dogmatiche a parte i valori di
pacifismo e autosufficienza che sono alla base di queste comunità.
Sandra -
Sono stata colpita soprattutto dalla sensazione di calarmi nel secolo
scorso, tutto si vede come attraverso una fotografia color seppia.
Dalle cucine un po' buie e di legno scuro, dove fumano grossi
pentoloni, alle donne col grembiulone e i bimbi attaccati al seno,
alla mietitura coi cavalli, alla lavatura dei panni sulla pietra. Il
lavoro è durissimo, ma nonostante questo c'è armonia,
il tempo segue un ciclo naturale, la dimensione comunitaria permette
anche un po' di tempo libero per la lettura o per altri
intrattenimenti come le feste danzanti. Il sesso è qui
abbastanza regolato.
Alberto -
Infine Christiania, utopizzata e demonizzata: le due componenti
continuano a convivere. C'ero già stato 15 anni fa, il primo
anno di Christiania, l'anno d'oro. Allora era l'anno dell'occupazione
(70/72), c'era l'entusiasmo, lo spirito nuovo, la situazione
politico-sociale in Europa non era ancora schiacciata dalla
repressione. Era una sfida grossissima alle istituzioni militari. Era
l'utopia, quindici anni fa. Poi la storia di Christiania tutti la
conosciamo, conosciamo le difficoltà, le lotte contro il
sistema. Ma la cosa più importante è che sono passati
quindici anni, è passato anche l'84 orwelliano e loro sono
ancora là. In questo posto,
dentro Christiania, si vive una libertà che non esiste in
nessun altra società del mondo. Ci sono circostanze
sicuramente favorevoli. La prima è che Christiania è in
Danimarca, lo stato più "liberale" d'Europa. Poi
nonostante tutte le contraddizioni che si sono prodotte in questi
anni è rimasto vivo un forte spirito d'identità e di
lotta. Sono - dicono loro per problemi di densità - mille
persone, ma probabilmente anche di più. Christiania è
cresciuta, prima erano gli edifici della base militare, poi sono
sorte piccole case, poi altre case e poi si sono aggiunti i vagoni
dei treni, poi è stato annesso il lago ed ora si gira intorno
al lago. Per fare il giro di Christiania si fanno chilometri, si
attraversano i ponti di legno sul lago, le fattorie: è grande,
davvero molto grande. È
suddivisa in quartieri, ognuno autonomo per le decisioni che lo
riguardano. I problemi che interessano tutta Christiania vengono
invece discussi in un'assemblea generale. Il problema
principale ora è il tentativo di legalizzazione da parte dello
Stato, che per altre vie non è mai riuscito a neutralizzare
Christiania. Lo Stato concederebbe autonomia e denaro per riparare le
case in cambio di una legalizzazione delle cooperative, dei posti di
lavoro, degli affitti.
Ma questo
significherebbe entrare in una logica istituzionale, con tutte le
conseguenze che ben conosciamo, non trovi?
Alberto - I
christianiti sono attirati dai vantaggi offerti, ma non sono disposti
a cedere sulla contropartita. Quindi c'è una trattativa,
tuttora in corso, ma sembra che prevalga il rifiuto delle offerte
statali che peraltro sancirebbero ciò che gli abitanti di
Christiania già si sono presi e da quindici anni ormai. Un altro grosso
problema è stata la grossa diffusione di eroina. Lo hanno
affrontato in un primo momento lasciando un periodo di tempo a
eroinomani e spacciatori per decidere di smettere o andarsene. Una
parte della gente è riuscita a smettere, altri si sono
spostati in comunità di disintossicazione nel nord della
Danimarca, altri, gli spacciatori, hanno continuato la loro attività.
Per una seconda e una terza volta è stato dato l'ultimatum.
Poi un gruppo di volontari li ha cacciati fuori da Christiania. Ora
non circola più eroina anche se sicuramente c'è chi "si
fa" portandosi la roba da fuori. È rimasto il libero
commercio dell'hashish. Molta gente ha trovato questo modo per
guadagnarsi senza troppa fatica la vita. Sono soprattutto i giovani e
i giovanissimi che spacciano a Christiania e la gente che compra è
in gran parte gente che viene da fuori. Tutto questo
aspetto è molto deprimente, tutto l'aspetto commerciale è
triste; per scoprire la vera Christiania bisogna andare oltre e non è
facile. Esiste una barriera che può essere superata solo se si
hanno contatti con l'interno. Il turista non vede oltre questo
aspetto più superficiale e forse è anche una difesa che
gli stessi Christianiti hanno voluto come protezione. Quello che si
trova dietro, mi è sembrato meraviglioso: laboratori,
riciclaggio, forni, artigianato, ristoranti, bar, teatro, museo,
scuole, saune, parrucchiere, ospedale, biblioteca, tutta una vita
cooperativa all'interno per l'autosufficienza di questo luogo. I
principi che animano e che sostengono questa microsocietà sono
indubbiamente libertari come erano anarchici o libertari i fondatori;
ora queste idee sono entrate nella loro vita, sono diventate
patrimonio diffuso.
Il quarto mondo e
il quinto
Per il Convegno
internazionale "La terra ci è data in prestito dai nostri figli",
promosso dai Verdi e tenutosi a Pescara dal 19 al 21 settembre scorsi
(cfr. "A" 141), Alberto Ruz Buenfil - membro della comunità
messicana Huehuecoyotl - aveva preparato questo appunto, come
contributo alla riflessione degli ecologisti.
Non voglio accettare
questa separazione del mondo dove ci sono un primo mondo
imperialista, coloniale, industriale e un secondo e un terzo mondo
che vogliono diventare come il primo. Sono molto contrario a questa
visione del movimento ecologico italiano, ma non solo italiano, che
considera i movimenti ecologisti dell'America Latina, dell'Asia,
dell'Africa come movimenti del terzo mondo. La scoperta dell'ecologia
nei paesi "occidentali" non ha più di venticinque anni, mentre
alla base delle filosofie ecologiste ci sono le realtà che si sono
mantenute nei paesi che non hanno conosciuto lo sviluppo industriale
e che tramandano a livello popolare queste tradizioni. E tuttora
maestri, filosofi, sciamani mantengono vive queste culture che
l'"occidente" sta continuando a distruggere. Questi per me sono
i veri maestri dell'ecologia e loro non parlano dei tre mondi
post-industriali. Parlano invece di quattro mondi. Un primo mondo
delle terre e delle rocce che sta prima della vita. Un secondo mondo
è quello degli alberi, dei semi, dei fiori, dei frutti e un terzo
mondo è quello degli animali. Il quarto mondo è quello dell'uomo e
non appartiene a nessuna cultura. E la storia che ci raccontano gli
Hopi è che questo quarto mondo ha quattro divisioni, il nord, il
sud, l'est, l'ovest. E anche tra i Maya e in molte altre culture
africane e asiatiche si ritrovano sempre gli stessi quattro colori: i
popoli bianchi, i popoli neri, io popoli rossi, i popoli gialli. Queste antiche
culture parlano anche di un quinto mondo, che sarà un mondo dove
tutte le culture si fonderanno, dove non ci saranno più separazioni.
Infatti la civiltà umana grazie ai trasporti, alle comunicazioni sta
diventando una civiltà planetaria. Anche la leggenda
dell'arcobaleno (un'altra leggenda preindustriale) era una previsione
di questi saggi rispetto al fatto che un giorno tutte le culture si
sarebbero ritrovate e sarebbero sorte le tribù dell'arcobaleno.
Tutti, dall'Acquacheta, all'Arcoiris, al Rainbow americano, a
Christiania, a Green Peace, al Living Theatre, ai verdi parlamentari
europei, tutti si riconoscono "guerrieri dell'arcobaleno". Io
vedo in questi segni la consapevolezza che stiamo diventando piccole
isole-arcobaleno che portano avanti la lotta non solo per la loro
vita, ma per il pianeta intero.
Alberto Ruz Buenfil
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