Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 142
dicembre 1986 - gennaio 1987


Rivista Anarchica Online

Che cos'è l'arte?
di AA. VV.

Domanda difficile, se non impossibile. Forse si possono identificare alcuni aspetti che, pur legati alla soggettività, contribuiscono a tracciare i segni significanti dei molteplici immaginari possibili.

L'arte del saper fare

Aut-Art, gruppo polivalente di Forlì composto da Gherardo Chiadini, Guerriero Cortini, Giorgio Fiumi, Paolo Silvestri e Marco Tadolini.

È una curiosità, o meglio, una necessità adolescenziale. Quella necessità che formulata nell'ambito di una legge universale, si pone all'inizio delle fasi evolutive dell'arte. Giambattista Vico delineò questa evoluzione con una consequenzialità simile: necessario, utile, comodo, piacere, lusso e bizzarria. È proprio nella fase del necessario che il giovane si pone tutte le domande e in particolare modo quella sulla identificazione dell'arte. Chi non si è posto tale domanda? Talvolta anche nei bar, veri luoghi di riflessioni peripatetiche, s'ode un fruscio od un accenno sulla definizione dell'arte.
Non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Eppure tutti, in età giovanile abbiamo almeno una volta cercato di definirla. Si può tentare di ridefinirla ad un'età matura, come in questo caso, quando viene riproposta la domanda ad un gruppo associazionistico che ha inserito la parola arte nella sua denominazione e che in tal caso non può sottrarsi ad un accenno di definizione.
Una definizione primordiale della parola arte non si perde mai, anzi convive in ogni definizione: techne, che significa appunto arte e tecnica. Essa esprime la bontà del fare in qualunque attività umana, un fare pratico che appare arte quand'è saper fare e quindi un fare bene: un miglioramento del mezzo tecnico che vuole adeguarsi al fine. La scienza si occupa del sapere, l'arte del saper fare. È comodo, a questo punto, riportare la definizione dell'arte di E. Gombrich, leggermente ampliata: "Non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti: uomini che un tempo con terra colorata tracciavano alla meglio le forme del bisonte sulla parete di una caverna (...) Non c'è alcun male a definire arte tutte codeste attività, purché si tenga presente che questa parola può significare cose assai diverse a seconda del tempo e del luogo e ci si renda conto che non esiste l'Arte con l'A maiuscola". Gombrich giustamente pone l'attenzione sulle attività umane e le inscrive nel tempo.
Ecco il punto! Tranne queste splendide definizioni d'arte e poche altre, si sono date all'arte sempre definizioni inerenti un'unica dimensione, quella dello spazio, generalmente fisso, il quale ha reso possibile solo le mitiche definizioni di "opera d'arte" e "artista".
Noi abbiamo tentato di smuovere questa situazione e rivalutare quell'infinita quantità di toni grigi, che si interpone tra l'uomo e l'opera, che è l'azione. L'azione è la materializzazione del tempo; l'arte è la materializzazione di un tempo migliore: un tempo piuttosto movimentato, fluttuante, intermittente e scintillante, pronto a considerarsi provvisorio: caduto al mondo in veste di suggeritore.

Materie seconde

Mirella Bentivoglio, nata a Klagenfurt nel 1922, vive a Roma. Protagonista dalla metà degli anni '60 della poesia visiva, ha esposto in mostre personali e collettive in tutto il mondo. Collabora a numerose riviste d'arte.

In passato, il concetto di arte implicava un atto di natura "primaria" connesso al concetto demiurgico di creazione. Oggi, per le operazioni più vitali, non è più così. Oggi non si usano materie prime ma materie seconde, ossia materie già culturalizzate, unità preesistenti che contengono un valore semiologico. Quindi oggi il concetto di arte è legato semmai al concetto alchemico di trasformazione. Per concludere: per me l'arte oggi non è più il riscatto culturale della materia, bensì piuttosto il riscatto "materiale" della cultura.

Per costruire, malgrado tutto

Vinicio Berti, vive e lavora a Firenze. Nel 1946 fonda con altri pittori e letterati il movimento "Arte d'oggi" e successivamente si mantiene coerente con una impostazione di astrattismo classico. Ha esposto in numerose mostre in tutto il mondo.

L'arte è sempre nata come forma rappresentativa della disperata condizione dell'uomo, oppresso da un potere sempre più negatore di libertà, di verità; è nata, come ribellione a questo potere, come ricerca di nuove realtà, come scoperta di nuovi spazi, per costruire malgrado tutto. Arte dunque come forma dichiarativa di ribellione e lotta contro il sistema oppressivo e come forma di nuova conoscenza, nuova spazialità, come anelito alla libertà, alla costruzione dell'avvenire.

L'arte è...

Lino Cringoli, 28 anni, originario di S. Agata di Puglia, vive e lavora a Milano. Ha iniziato a dipingere nel 1972.

L'ARTE... È creare un'"aurora" che ti incanta.
È aspettare che la notte si consumi.

È l'attimo che rinnega le madri (o i padri)
e ti mette in armonia con l'universo.

È silenzio!...
Se la vita è rumore l'arte non può che essere ...silenzio.
(...un silenzio di suoni)

L'arte...
...è un po' come sotterrarsi
affondare in sé.
Scavare.

È lo sforzo di scavare e di portare in superficie.
È pescare...
negli oceani della memoria.

... (tra i pensieri che penso ce ne sono alcuni
che mi piace render noto).
... oppure è semplicemente cogliere.

È una necessità
(un vizio).

È l'urgenza di riconquistare
una dimensione perduta.
O forse solo sognata; che importanza ha?

È aggirare e conquistare i momenti di magia.

È quello che c'è tra i punti di sospensione.
È dare senso ad ogni traccia.

È la dimensione in cui senti che le "cose"
ti appartengono, e tu appartieni ad esse.
È quando ti vedi "scrivere"
...quando vedi l'ombra delle tue dita.

L'artista giullare

Kiki Franceschi, nata a Livorno nel 1945, vive a Firenze dove fa parte del gruppo di artisti libertari INI che edita "I Kuaderni INI". Si occupa in particolare di poesia concreta, teatro e pittura sperimentale.

Se è vero che la storia va avanti col passo del gambero, è anche vero che dopo lo slancio in avanti sulla strada della sperimentazione degli anni '60 e '70, c'è il colpo di coda all'indietro.
La paura tradizionale dell'anno mille, che si è tradotta nella paura che l'arte fosse finita, che tutto fosse stato sperimentato e consumato, di provenienza hegeliana, ha riportato in auge la figura dell'artista ed il suo ruolo nella società; ruolo che era stato oggetto di discussione per 50 anni e spesso negato "tout court" dalla avanguardia. Nel momento storico del balzo all'indietro, l'artista necessariamente ritorna ad essere lo specialista del pennello e della tecnica. L'impegno, i contenuti, i messaggi, le provocazioni dell'azione artistica, sono demodé. Il consenso è verso l'artista giullare, che va a tuffarsi alienato nella tradizione più digerita. Ed ecco i percorsi del Minotauro, i fauni che chissà perché debbono sempre rincorrersi, i falsi totem, tutta una cultura di souvenir, di oggettini Kitch. È l'arte tranquillizzante per il consumo di massa. La cultura Classica talvolta può essere usata come gendarme della storia.

Quelle muraglie invalicabili

Mario Persico, pittore e scenografo, è nato nel 1930 a Napoli dove vive e lavora. Alla sua esperienza di pittore molto hanno contribuito i suoi interessi per il terzo mondo e la sua militanza politica.

Quando parliamo di Arte e/o creatività la prima ragionevole domanda da porsi è: di quale Arte e/o creatività parliamo? L'arte ufficializzata (emblema della cultura occidentale), codificata entro spazi di un "Sapere" che ci domina e per la cui comprensione occorre un'apoditticità strutturale anche se non del tutto estranea ad un certo intuizionismo psicologico, oppure quell'energia vitale-naturale disseminata ovunque nella vita, ma priva di alcuna codificazione?
È mia convinzione che la difficoltà dipenda dall'interdizione provocata nei confronti di quest'ultima da quel "Sapere" che privilegiando la razionalità, ha finito per erigere muraglie invalicabili fra arte e/o creatività normalmente intesa e il manifestarsi di quel flusso ineluttabile dell'inconscio che pur si fa rientrare entro la stessa definizione.
Non intendo, ovviamente, svuotare di senso il ruolo e la funzione importantissima della facoltà raziocinante, ma semplicemente rilevare come l'uso fattone nel nostro sistema culturale abbia insterilito altre possibilità comunicative e interpretative che pure fanno parte del nostro patrimonio umano. La sfiducia diffusa oramai nei confronti di quella ragione che indicava lo stato come luogo della emancipazione dell'uomo e che, attraverso le sue molteplici ritualità, ne controllava la sfera irrazionale ed istintuale, non ci permette di pronunciare verità su qualunque oggetto sottoposto alla nostra attenzione.
L'Arte per la quale io qui faticosamente raccoglierò parole, parole non ha, assimilabile com'è a quella "categoria paradossale che, pensata fino in fondo, si rivela capace di far saltare il costrutto teorico dell'arte". "La differenza fra intenzione e realizzazione" che probabilmente ne costituisce la forma materiale, è priva di oralità e pertanto si sottrae a qualunque definizione che pretenda d'essere esaustiva e comprensiva.
Come pittore non ho mai saputo, né so, se ho realizzato qualche cosa che possa essere definita arte. Ho tracciato segni, ho usato colori, ed altri materiali; ho provato suggestioni, ho amato opere non mie; ho rubacchiato qua e là con o senza talento. Ho lavorato in complicità col caso, ne ho colto i suggerimenti, la seduzione, la logica in esso riposta, e con questi elementi ho costruito figure. Poi, come qualunque altro produttore di immagini o finzioni, ho riflettuto su questo mio atto, ma molto, certamente la parte più importante, mi sfugge.
Via, allora, a darci dentro con frenesia, come un paranoico, un forsennato, rincorrendo le stesse ombre e gli stessi fantasmi di sempre, mentre i corpi del "tradimento" inevitabile si ammassano inerti lungo il mio cammino, o sonnecchiano in salotti "bene", in depositi di galleria, e, più raramente, in qualche museo.

Un equivoco da sfatare

Giangiacomo Spadari, pittore figurativo è nato a San Marino nel 1938. Vive e lavora a Milano e a Parigi. Ha esposto in varie mostre personali e collettive in Italia e all'estero.

È vero che chi non si è mai occupato di arte, di fronte a un quadro o ad altre espressioni della creatività si trova in difficoltà. Ma questo vale per ogni manifestazione del pensiero. È difficile entrare nel pensiero filosofico o nel mondo della matematica senza conoscerne gli elementi, le tesi o i personaggi.
Ma se per la filosofia, per la matematica o altre discipline chiunque voglia parlarne o interessarsi sa bene che la conoscenza della materia specifica è necessaria, invece per l'arte una sorta di equivoco alla base, fa credere che chiunque possa interessarsi oppure peggio ancora si considera l'arte come comunicante a tutti i livelli, e comunque al livello più basso della capacità culturale di usufruirne.

L'arte è vita

Nico Taminto, nato a Gragnano (Na) nel 1949 vive a Napoli dove svolge la sua attività di pittore.

Provate ad immaginare un mondo senza colori né forme, senza musica e senza poesia; chi avrebbe il coraggio di viverci? Ecco, per me l'Arte è vita!
Per quanto mi riguarda posso dire che l'Arte è un bisogno fisiologico, come ho bisogno di mangiare, bere, dormire, andare al cesso, così ho bisogno di dipingere. Se mi negassero la libertà di dipingere, dovrebbero negarmi anche la vita.
L'Arte è stata per secoli solo per i ricchi, e siccome i ricchi sono sempre stati pochi, essa è stata fruita da pochi. Oggi che la cultura è di massa, l'Arte è rimasta ancora incompresa dai più. Una volta il figlio del contadino non poteva fare il medico e non capiva nulla di Arte, oggi fa il medico e non capisce comunque di Arte, eventualmente è stato educato alla medicina e maleducato all'Arte.
Mai come oggi l'Arte è oggetto di lottizzazione politica, se sei tesserato al Partito Socialista Italiano non hai problemi, diventerai un transavanguardista e avrai vita facile. Fino ad oggi abbiamo avuto tutte le forme e tendenze espressive che potevamo immaginare, tutto è stato fatto, non c'è più nulla da "inventare" nelle arti visive, quindi anche nelle ultime tendenze non c'è nulla di nuovo, guai a quell'Artista che vuole a tutti i costi il "nuovo".

Anarchici, sveglia!

S. M. Martini, nato nel 1934, dal 1958 è stato redattore di una ininterrotta serie di riviste e fogli d'avanguardia italiani e stranieri.

"L'artista è anarchico per definizione o non è": difficile non essere d'accordo, in assoluto. Dunque non si tratta del rapporto artista-anarchia che sarebbe bello poter riallacciare. Si tratterebbe, se mai, di concordare finalmente una definizione di anarchia identificata come il clima proprio dell'estetica, il dominio proprio di essa, e di smettere definitivamente di considerare l'anarchia una delle tante concezioni politico-economiche. Anche se siamo tenuti al rispetto nei confronti di ciò che comunemente s'intende per storia del movimento anarchico, resta che la subalternità storica della concezione (e della pratica) anarchica è dovuta al fatto che si è sempre cercato di mutarne i termini (e i mezzi) alla politica quasi che l'anarchia non avesse una propria visione del mondo e, per conseguenza, mezzi propri.
Come si comprende, già a questo punto il questionario appare fondato su una visione parcellizzata e settoriale della realtà e delle semplici risposte alle singole questioni non sarebbero plausibili. Se chi non si è mai occupato d'arte (un non addetto ai lavori?) si trova in difficoltà davanti a un quadro o ad altre espressioni della creatività ed abbisogna di una chiave di lettura, ciò avviene per quel che indicate voi stessi nella seconda domanda, e cioè che per molti secoli il messaggio artistico è stato fruito da pochi privilegiati. Dunque ciò appare acquisito, e allora non deve sorprendere se, chi privilegiato non è, sia in cerca della chiave di lettura, che propriamente consiste nel privilegio, né più né meno.
Nell'ottica tradizionale la differenza tra il prodotto di un ottimo artigiano e quello di un artista sta nel fatto che l'opera del primo non può evitare di configurarsi come un oggetto di natura utilitaria e quella del secondo invece evita questo handicap, che relega ai livelli minori le opere utilitarie. Che differenza passa tra uno scrittoio di ebano e avorio e un quadro di paesaggio? Ma, se oggi il messaggio artistico s'inserisce nel fenomeno della produzione e del consumo di massa della cultura, e tuttavia ancora occorre l'accesso ad un linguaggio necessario per la lettura, ciò significa solo che il prodotto artistico è considerato merce, di lusso, ma merce, e la questione resta identica a prima e tutto quello che riuscite ad augurarvi è che in una società utopica il divario possa essere almeno in parte colmato.
Non è troppo poco? Ma allora non c'è che da domandarsi dove è finita quella natura necessariamente anarchica dell'artista di cui si diceva. Questa natura, che non è tanto dell'artista quanto dell'estetica, perde infatti il suo valore (di rottura) originario una volta canalizzata nella produzione di un oggetto-opera, che davvero non è altro che merce. Ma, cari compagni, avete mai sentito parlare di una estetica gestuale, comportamentale, di una performance, di un happening? È vero che si tenta di commercializzarne le foto, i film, le partiture quando queste cose esistono, ma il fatto estetico non sta in tali oggetti ma solo nell'azione dell'artista, nel momento in cui la realizza e sempre più spesso vuole coinvolgere in pari dignità i presenti. Si tratta di accadimenti del tutto defunzionalizzati ed espressi negli spazi ormai residui della libertà originaria.
Se dunque una società utopica deve essere pensata, potrà solo essere quella in cui l'estetica come comportamento quotidiano e comune svolga finalmente il suo ruolo tra il dominio della necessità e quello delle pulsioni primarie. Quanto al movimento anarchico (uomini, circoli, riviste ecc.) sarebbe davvero ora che colmi i suoi ritardi e persegua coraggiosamente tali vie, che non sono nuove, prima che sia troppo tardi.


NOTA: Le riproduzioni che accompagnano questo dossier sono di Lorenzo Viani. Di questo pittore viareggino (1881-1936) si tiene nella sua città natale (a Palazzo Paolina, 23 dicembre '86 - 22 gennaio '87) una mostra antologica - la stessa che si è appena conclusa a Roma e che successivamente sarà allestita a Milano, Parigi e Firenze. Cresciuto nell'ambiente proletario della Versilia, profondamente segnato dall'anarchismo, dall'antimilitarismo e dall'impegno di lotta sociale, Viani vi si impegna per anni con entusiasmo, subendo processi e frequentando anarchici e sovversivi di mezza Europa. Nel 1911 cura con Alceste de Ambris un opuscolo antibellicista, contro l'avventura militare libica. Interventista nella Grande Guerra, abbandona l'anarchismo e finisce la sua traiettoria politica con l'adesione al fascismo (pur rimanendone tutto sommato ai margini).
Dal punto di vista artistico Viani è ormai generalmente considerato una figura di notevole originalità e rilievo, unico "esempio" di espressionismo italiano. Gran parte della sua opera - anche dopo l'abbandono dell'anarchismo - è dedicata alla rappresentazione del mondo degli sfruttati, degli emarginati, dei "vageri".