Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 138
giugno 1986


Rivista Anarchica Online

La fede in noi stessi

Se religione è "il credere in un ordine superiore delle cose" (Durkheim: Dizionario Filosofico) non è nemmeno lontanamente pensabile che gli anarchici possano nutrire sentimenti religiosi verso alcunché senza cadere in una contraddizione senza soluzione.
Se a volte l'anarchismo ha rischiato di cadere nel dogmatismo è stato proprio dove e quando il sentimento religioso, ancora latente, ha spinto gli anarchici a vederlo quale sostituto delle religioni perdute. L'anarchismo resta l'unica valida barriera ai misticismi idealistici e religiosi proprio quando il suo nocciolo duro, la sua visione unicista e antiarchista mette a nudo, in perfetta sintonia coi fenomeni biologici e fisici, la materiale realtà del tutto e l'unicità d'ogni individuo facente parte di quella dimensione del vivente che dall'amorfità del tutto è per un caso fortuito emerso.
È nell'ambito del pensiero anarchico che noi possiamo trovare risposte alle nostre domande e non soltanto a quelle inerenti il campo sociopolitico, ma anche a quelle di ordine esistenziale tese ad indagare l'essenza, l'esistenza e il significato. Sempre che detto pensiero non si autolimiti restando circoscritto alla pura concezione volontaristica malatestiana che nel timore di creare preclusioni teoriche e nella necessita storica di svincolarlo dagli inquinamenti scientifici di derivazione positivista e/o dal naturalismo Kropotchiniano, finì per definirlo quale semplice "proposta" negandogli così ogni patente di ideale e/o di filosofia.
Il filone unicista contiene tanto materiale atto a dotarlo di una filosofia profonda, conforme alle vie della natura, basata sul fenomeno materiale stesso attraverso la cui osservazione, sorretta dai lumi della ragione e dal buon senso, percepisce la vita. È dunque questo nocciolo duro dell'anarchismo che, seppur non potrà darci tutte le risposte, cosa assurda da supporre, ci fornisce la giusta chiave per decodificare e interpretare sia i vari tipi di risposte che vengono fornite alla nostra coscienza e alla nostra ragione dalle scienze della natura e dalle scienze umane, sia quelle che ci illudiamo cogliere coi nostri voli pindarici nelle stratosfere della metafisica ove noi miseri mortali scagliamo il nostro super-io, coll'appellativo di "DIO", alla ricerca di una dimensione ritenuta più consona ai nostri incommensurabili desideri di megalomania e di evasione.
Il realismo materialista a cui ci porta la presa di coscienza unicista-anarchica non ci deve e non può spaventarci immaginandolo quale sorta di rinuncia alle esperienze della mente e dei sentimenti. Anzi direi che è proprio dell'anarchismo in toto una rivalutazione di ciò che vien definita spiritualità, dei sentimenti e delle passioni; una sana gioia di vivere derivata dal riconoscimento e dall'accettazione realistica della nostra collocazione nel mondo.
La visione realistica di questo filone del pensiero anarchico, spazzando definitivamente dalla coscienza l'immagine di "DIO" creatasi in quanto emanazione inconscia del super-io, ci riconduce integralmente all'interno dell'io consegnandoci ad una tranquillità e ad una sicurezza mai avute nell'ambito dell'Ego. Ambito ove riscopriremo un sano egoismo, quel naturale sentimento d'amore per noi stessi, che ci condurrà all'acquisizione di una dimensione tutta umana dell'amore, edulcorata dagli inquinamenti sacralizzanti religiosi; dimensione che ci renderà finalmente capaci anche di vera bontà verso gli altri, verso quei nostri simili ritrovati e accettati nella loro libera, intoccabile unicità.
L'unicismo o individualismo anarchico è l'unico che sia riuscito a valutare positivamente l'atto che recidendo il cordone ombelicale che ci legava alla madre ci ha consegnati alla nostra unicità e quindi alla nostra libertà fisico-biologica.
La presa di coscienza della esatta derivazione della "libertà" dalla unicità fisico-biologica introduce per conseguenza logica ad una visione umanistica della libertà una volta per tutte sradicata dalla concezione assurda di "ritorno alla madre" (La parola "libertà" apparve per la prima volta nella storia umana scritta in una tavola cuneiforme Sumera che narra di una rivolta popolare vittoriosa ed è espressa con la parola "Amargi" che significa "ritorno alla madre". Da allora in poi la "libertà" ha conservato questo suo carattere originario, - da Murray Bookchin, "L'ecologia della libertà") che sottintende un desiderio di appartenenza ad una natura-madre generosa e ad una società organica gravida di sviluppi reazionari.
La libertà senza condizionamenti mistico-idealistici viene ad assurgere ad una dimensione realmente emancipatrice e costruttiva per l'uomo, nel senso di "uguaglianza degli ineguali", quale conquista specificamente umana che poggia sulla volontà degli individui di soddisfare i propri bisogni-desideri in piena libertà d'azione.
Sta quindi a noi accettare come un fatto compiuto questa nostra realtà di solitari bionauti, senza cadere in crisi di appartenenza per rimpianto dell'ovattata dimensione del grembo generante annullatrice della nostra unicità, se vogliamo costruirci giorno dopo giorno la nostra libertà nella città dell'uomo. Città dell'uomo che per rispondere ai nostri desideri dovrà essere edificata sulla differenza e sulla molteplicità delle apparenze, al contrario della città di "Dio" che la si vuole costruita sull'unità più totalizzante quale copia di un originale trascendente, il quale impone platonicamente gerarchie e ascesi.
Certamente una tale città dell'uomo per essere edificata richiederà individui totalmente liberati dall'inconscio desiderio di morte insito nell'assurda ricerca umana di unità e totalità, che sul piano metafisico conduce all'annullamento dell'IO nella totalità dell'essere e conseguentemente porta l'individuo sul piano pratico ad annullarsi nello Stato e/o nella Società (...)
Se per vivere la cruda realtà del mondo da veri uomini occorre coraggio, viverla da anarchici ne richiede una buona dose supplementare che in parte dobbiamo pur avere acquisita; ma ciò nonostante può accaderci transitoriamente di annaspare col fiatone alla ricerca di aria più ossigenata per non soffocare nei miasmi inquinati della cultura della viltà ove nostro malgrado siamo immersi.
Non siamo del resto dei super uomini e anche in noi può generarsi momentaneamente sgomento e un senso di ansia infinita alla constatazione che con la perdita dell'"Assoluto" portatoci dall'oblio dell'essere proclamato dal Cogito cartesiano, noi uomini erriamo raminghi nel mondo che definisce i nostri limiti e la nostra moralità.
È proprio a questo punto che ci si può giocare ogni speranza di emancipazione personale e sociale se si finisse per cedere al richiamo consolante di una qualsiasi religione o "giustificazione sostitutiva"; anche in quelle filosofie orientali che pur non avendo come corollario la proiezione d'una figura paterna scagliata nell'infinito e nell'eternità, restano vere e proprie religioni trascendentali, come l'autentico e antico buddismo dimostra.
A questo bivio ove siamo giunti nel nostro pellegrinaggio dobbiamo saper scegliere la giusta strada, estremamente importante per chi come noi sa come i mezzi condizionino i fini. Non possiamo che accettare la nostra situazione di "eterni dannati" con quel tanto di stoicismo che occorre per poi passare alla successiva fase di "ribellione" come il nostro dirci anarchici richiede.
Non ci resta che stare ben saldi sulle barricate erette con le nostre idee di libertà e di giustizia, forti della mutua solidarietà coi compagni, dei legami fraterni che uniscono il popolo della nostra tribù, dei vincoli affettivi che ci saremo saputi creare durante il periplo del nostro viaggio nella sfera del vivente. E CHE LA FORZA derivataci dalla fede in noi stessi (unica fede che conosciamo) SIA CON NOI.

Nik (Rimini)