Rivista Anarchica Online
La fede in noi
stessi
Se religione è "il
credere in un ordine superiore delle cose" (Durkheim: Dizionario
Filosofico) non è nemmeno lontanamente pensabile che gli anarchici
possano nutrire sentimenti religiosi verso alcunché senza cadere in
una contraddizione senza soluzione. Se a volte
l'anarchismo ha rischiato di cadere nel dogmatismo è stato proprio
dove e quando il sentimento religioso, ancora latente, ha spinto gli
anarchici a vederlo quale sostituto delle religioni perdute.
L'anarchismo resta l'unica valida barriera ai misticismi idealistici
e religiosi proprio quando il suo nocciolo duro, la sua visione
unicista e antiarchista mette a nudo, in perfetta sintonia coi
fenomeni biologici e fisici, la materiale realtà del tutto e
l'unicità d'ogni individuo facente parte di quella dimensione del
vivente che dall'amorfità del tutto è per un caso fortuito emerso. È
nell'ambito del pensiero anarchico che noi possiamo trovare risposte
alle nostre domande e non soltanto a quelle inerenti il campo
sociopolitico, ma anche a quelle di ordine esistenziale tese ad
indagare l'essenza, l'esistenza e il significato. Sempre che detto
pensiero non si autolimiti restando circoscritto alla pura concezione
volontaristica malatestiana che nel timore di creare preclusioni
teoriche e nella necessita storica di svincolarlo dagli inquinamenti
scientifici di derivazione positivista e/o dal naturalismo
Kropotchiniano, finì per definirlo quale semplice "proposta"
negandogli così ogni patente di ideale e/o di filosofia. Il filone unicista
contiene tanto materiale atto a dotarlo di una filosofia profonda,
conforme alle vie della natura, basata sul fenomeno materiale stesso
attraverso la cui osservazione, sorretta dai lumi della ragione e dal
buon senso, percepisce la vita. È
dunque questo nocciolo duro dell'anarchismo che, seppur non potrà
darci tutte le risposte, cosa assurda da supporre, ci fornisce la
giusta chiave per decodificare e interpretare sia i vari tipi di
risposte che vengono fornite alla nostra coscienza e alla nostra
ragione dalle scienze della natura e dalle scienze umane, sia quelle
che ci illudiamo cogliere coi nostri voli pindarici nelle stratosfere
della metafisica ove noi miseri mortali scagliamo il nostro super-io,
coll'appellativo di "DIO", alla ricerca di una dimensione
ritenuta più consona ai nostri incommensurabili desideri di
megalomania e di evasione. Il realismo
materialista a cui ci porta la presa di coscienza unicista-anarchica
non ci deve e non può spaventarci immaginandolo quale sorta di
rinuncia alle esperienze della mente e dei sentimenti. Anzi direi che
è proprio dell'anarchismo in toto una rivalutazione di ciò che vien
definita spiritualità, dei sentimenti e delle passioni; una sana
gioia di vivere derivata dal riconoscimento e dall'accettazione
realistica della nostra collocazione nel mondo. La visione
realistica di questo filone del pensiero anarchico, spazzando
definitivamente dalla coscienza l'immagine di "DIO" creatasi in
quanto emanazione inconscia del super-io, ci riconduce integralmente
all'interno dell'io consegnandoci ad una tranquillità e ad una
sicurezza mai avute nell'ambito dell'Ego. Ambito ove riscopriremo un
sano egoismo, quel naturale sentimento d'amore per noi stessi, che ci
condurrà all'acquisizione di una dimensione tutta umana dell'amore,
edulcorata dagli inquinamenti sacralizzanti religiosi; dimensione che
ci renderà finalmente capaci anche di vera bontà verso gli altri,
verso quei nostri simili ritrovati e accettati nella loro libera,
intoccabile unicità. L'unicismo o
individualismo anarchico è l'unico che sia riuscito a valutare
positivamente l'atto che recidendo il cordone ombelicale che ci
legava alla madre ci ha consegnati alla nostra unicità e quindi alla
nostra libertà fisico-biologica. La presa di
coscienza della esatta derivazione della "libertà" dalla unicità
fisico-biologica introduce per conseguenza logica ad una visione
umanistica della libertà una volta per tutte sradicata dalla
concezione assurda di "ritorno alla madre" (La parola
"libertà" apparve per la prima volta nella storia
umana scritta in una tavola cuneiforme Sumera che narra di una
rivolta popolare vittoriosa ed è espressa con la parola "Amargi"
che significa "ritorno alla madre". Da allora in poi la
"libertà" ha conservato questo suo carattere
originario, - da Murray Bookchin, "L'ecologia della libertà")
che sottintende un desiderio di appartenenza ad una natura-madre
generosa e ad una società organica gravida di sviluppi reazionari. La libertà senza
condizionamenti mistico-idealistici viene ad assurgere ad una
dimensione realmente emancipatrice e costruttiva per l'uomo, nel
senso di "uguaglianza degli ineguali", quale conquista
specificamente umana che poggia sulla volontà degli individui di
soddisfare i propri bisogni-desideri in piena libertà d'azione. Sta quindi a noi
accettare come un fatto compiuto questa nostra realtà di solitari
bionauti, senza cadere in crisi di appartenenza per rimpianto
dell'ovattata dimensione del grembo generante annullatrice della
nostra unicità, se vogliamo costruirci giorno dopo giorno la nostra
libertà nella città dell'uomo. Città dell'uomo che per rispondere
ai nostri desideri dovrà essere edificata sulla differenza e sulla
molteplicità delle apparenze, al contrario della città di "Dio"
che la si vuole costruita sull'unità più totalizzante quale copia
di un originale trascendente, il quale impone platonicamente
gerarchie e ascesi. Certamente una tale
città dell'uomo per essere edificata richiederà individui
totalmente liberati dall'inconscio desiderio di morte insito
nell'assurda ricerca umana di unità e totalità, che sul piano
metafisico conduce all'annullamento dell'IO nella totalità
dell'essere e conseguentemente porta l'individuo sul piano pratico ad
annullarsi nello Stato e/o nella Società (...) Se per vivere la
cruda realtà del mondo da veri uomini occorre coraggio, viverla da
anarchici ne richiede una buona dose supplementare che in parte
dobbiamo pur avere acquisita; ma ciò nonostante può accaderci
transitoriamente di annaspare col fiatone alla ricerca di aria più
ossigenata per non soffocare nei miasmi inquinati della cultura della
viltà ove nostro malgrado siamo immersi. Non siamo del resto
dei super uomini e anche in noi può generarsi momentaneamente
sgomento e un senso di ansia infinita alla constatazione che con la
perdita dell'"Assoluto" portatoci dall'oblio dell'essere
proclamato dal Cogito cartesiano, noi uomini erriamo raminghi nel
mondo che definisce i nostri limiti e la nostra moralità. È
proprio a questo punto che ci si può giocare ogni speranza di
emancipazione personale e sociale se si finisse per cedere al
richiamo consolante di una qualsiasi religione o "giustificazione
sostitutiva"; anche in quelle filosofie orientali che pur non
avendo come corollario la proiezione d'una figura paterna scagliata
nell'infinito e nell'eternità, restano vere e proprie religioni
trascendentali, come l'autentico e antico buddismo dimostra. A questo bivio ove
siamo giunti nel nostro pellegrinaggio dobbiamo saper scegliere la
giusta strada, estremamente importante per chi come noi sa come i
mezzi condizionino i fini. Non possiamo che accettare la nostra
situazione di "eterni dannati" con quel tanto di stoicismo che
occorre per poi passare alla successiva fase di "ribellione"
come il nostro dirci anarchici richiede. Non ci resta che
stare ben saldi sulle barricate erette con le nostre idee di libertà
e di giustizia, forti della mutua solidarietà coi compagni, dei
legami fraterni che uniscono il popolo della nostra tribù, dei
vincoli affettivi che ci saremo saputi creare durante il periplo del
nostro viaggio nella sfera del vivente. E CHE LA FORZA derivataci
dalla fede in noi stessi (unica fede che conosciamo) SIA CON NOI.
Nik (Rimini)
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