Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 138
giugno 1986


Rivista Anarchica Online

Cambiare i valori

Ho firmato e mi sono fatto promotore di una raccolta di firme contro la legge per la donazione degli organi, e mi sento in dovere di "rispondere" alla bella e intelligente critica di Fausta Bizzozzero apparsa sul numero di aprile della rivista. Mi limito, per mie carenze personali, a delle noterelle sparse, senza pretese di dare/avere certezze. In effetti il mio punto di vista è più in generale contro i trapianti d'organo che contro la specifica legge, ma è proprio per questo che la campagna promossa dall'AED-femminismo mi ha trovato d'accordo.
Mi sembra talmente assurdo dare etichette che faccio fatica a sentirmi pienamente qualcosa, qualcuno, appartenente a... Nonostante questo non è una bugia se dico di essere anarchico e, in quanto tale, di essere buddhista.
Ragioni entrambe che hanno influito nella mia scelta su questo argomento e da cui però cercherò di astrarmi per mettere a nudo, sotto queste che considero sovrastrutture, il nocciolo del mio punto di vista sul problema. E parlo del mio punto di vista perché è l'unico che conosco.
Mi ha fatto un po' rabbrividire l'idea riportata nell'introduzione di Fausta, di un suicidio come momento di libertà, di scelta. Perché comunque motivato, comunque deciso, con lucidità o meno, il suicidio mi appare come una fuga. Una fuga dalle difficoltà della vita presente o da quelle di un ipotetico futuro (che non è mai certo, proprio perché è futuro): perché vecchiaia e malattia ci devono spaventare? Al punto da suicidarsi? Non è forse questo un attaccamento narcisistico verso il proprio corpo? La paura di vederlo decadere?
Non voglio assolutamente entrare nel merito del suicidio di quel compagno che avrà avuto certo mille buone ragioni per farlo, e non sta a me né a noi disputare su quello che solo lui poteva sapere: mi interessa l'interpretazione che ne dà Fausta. Tra parentesi, che cos'è lo spirito o la volontà che invecchierebbe con il corpo? Forse un relitto di quell'anima che in altra parte dello scritto si è voluto far credere di avere definitivamente abolito? Non conosco bene tutta la storia del movimento anarchico e perciò non vorrei essere inesatto nel dire che i suoi rapporti con il positivismo filosofico sono sempre stati contraddittori.
Il positivismo e il conseguente mito del progresso come processo storico inarrestabile è (stato) alla base sia dell'affermazione del modo di produzione capitalistico sia dello sviluppo dei movimenti ad esso antagonisti.
Dentro questa visione del mondo abbiamo anche lo sviluppo della medicina ufficiale moderna, la quale vede l'uomo come un sistema di organi assimilato ad una macchina, senza tenere in alcun conto le relazioni profonde che potremmo definire "del sé". Siamo sicuri che trapiantare un organo sia l'unico modo per salvare quella vita? O non ci vorrebbe forse un'opera di medicina totalmente diversa, che tenesse conto anche delle varie congiunture di ordine sociale, affettivo e psicologico? Ci sono molti sistemi "alternativi" di medicina che partono da ottiche diverse e secondo me più confacenti al pensiero anarchico: perché il rapporto ufficiale tra medico e paziente è un rapporto univoco, gerarchico e di potere, mentre quello "alternativo" presuppone un punto di vista più paritetico.
Il problema è sempre quello di spostare l'ottica dal positivismo ad un sistema di valori in grado di considerare sia l'uomo che l'ambiente che le relazioni intercorrenti tra loro in un modo più olistico.
Sappiamo bene tutti che un confine netto tra la vita e la morte non è definibile. E sappiamo anche bene che un organo trapiantato non può essere morto, altrimenti il paziente ricevente morirebbe. Perciò non si tratta dell'uso del mio corpo dopo la mia morte, ma dell'uso del mio corpo ancora da vivo. Anche solo in parte ma vivo.
Del mio corpo morto fatene ciò che vi pare, ma solo quando sarà tutto bello morto e allora non si potrà più usare per i trapianti. E come farete a stabilire che sono morto? Se il mio corpo non è una macchina bisogna che stabiliamo anzitutto perché lo definiamo vivo. Dobbiamo stabilire cos'è la vita, che cosa la differenzia dal resto, e poi potremo definire qual'è il suo punto finale. Solo allora io non potrò più sentirmi defraudato se farete uso del mio corpo, solo allora usare il corpo non sarà un atto di potere e una violenza nei miei confronti. Ma temo che allora sarà buono solo per vermi e avvoltoi.
Occorre operare per mutare il sistema di valori esistente, mentre invece il puro avallo alle metodologie della medicina ufficiale e alla sua pretesa (e infondata) unicità non fa che sottolinearne l'arroganza. La svolta "copernicana" si dovrebbe operare su un punto: portare l'etico a un livello di importanza maggiore del produttivo (cfr. Bookchin). E questo significa che è più importante la qualità della quantità, cioè, venendo al punto particolare in discussione, che non importa tanto quante persone vengono salvate (d'altronde il numero delle persone salvate dagli antibiotici, per esempio, ce lo potrà dire una qualche statistica, ma quello delle persone uccise direttamente o indirettamente dagli stessi chi ce lo dirà? Le malattie iatrogene sono un'invenzione della medicina e non possono essere nascoste da chi si vuole porre criticamente il problema), ma come, perché il prezzo di una vita non può mai essere un'altra vita anche se agonizzante, e perché la società non deve mai prevalere sull'individuo.

Ivan Zerlotti (carcere di Parma)