Rivista Anarchica Online
Cambiare i valori
Ho firmato e mi
sono fatto promotore di una raccolta di firme contro la legge per la
donazione degli organi, e mi sento in dovere di "rispondere" alla
bella e intelligente critica di Fausta Bizzozzero apparsa sul numero
di aprile della rivista. Mi limito, per mie carenze personali, a
delle noterelle sparse, senza pretese di dare/avere certezze. In
effetti il mio punto di vista è più in generale contro i trapianti
d'organo che contro la specifica legge, ma è proprio per questo che
la campagna promossa dall'AED-femminismo mi ha trovato d'accordo. Mi sembra talmente
assurdo dare etichette che faccio fatica a sentirmi pienamente
qualcosa, qualcuno, appartenente a... Nonostante questo non è
una bugia se dico di essere anarchico e, in quanto tale, di essere
buddhista. Ragioni entrambe
che hanno influito nella mia scelta su questo argomento e da cui però
cercherò di astrarmi per mettere a nudo, sotto queste che considero
sovrastrutture, il nocciolo del mio punto di vista sul problema. E
parlo del mio punto di vista perché è l'unico che conosco. Mi ha fatto un po'
rabbrividire l'idea riportata nell'introduzione di Fausta, di un
suicidio come momento di libertà, di scelta. Perché comunque
motivato, comunque deciso, con lucidità o meno, il suicidio mi
appare come una fuga. Una fuga dalle difficoltà della vita presente
o da quelle di un ipotetico futuro (che non è mai certo, proprio
perché è futuro): perché vecchiaia e malattia ci devono
spaventare? Al punto da suicidarsi? Non è forse questo un
attaccamento narcisistico verso il proprio corpo? La paura di vederlo
decadere? Non voglio
assolutamente entrare nel merito del suicidio di quel compagno che
avrà avuto certo mille buone ragioni per farlo, e non sta a me né a
noi disputare su quello che solo lui poteva sapere: mi interessa
l'interpretazione che ne dà Fausta. Tra parentesi, che cos'è lo
spirito o la volontà che invecchierebbe con il corpo? Forse un
relitto di quell'anima che in altra parte dello scritto si è voluto
far credere di avere definitivamente abolito? Non conosco bene tutta
la storia del movimento anarchico e perciò non vorrei essere
inesatto nel dire che i suoi rapporti con il positivismo filosofico
sono sempre stati contraddittori. Il positivismo e il
conseguente mito del progresso come processo storico inarrestabile è
(stato) alla base sia dell'affermazione del modo di produzione
capitalistico sia dello sviluppo dei movimenti ad esso antagonisti. Dentro questa
visione del mondo abbiamo anche lo sviluppo della medicina ufficiale
moderna, la quale vede l'uomo come un sistema di organi assimilato ad
una macchina, senza tenere in alcun conto le relazioni profonde che
potremmo definire "del sé". Siamo sicuri che
trapiantare un organo sia l'unico modo per salvare quella vita? O non
ci vorrebbe forse un'opera di medicina totalmente diversa, che
tenesse conto anche delle varie congiunture di ordine sociale,
affettivo e psicologico? Ci sono molti sistemi "alternativi" di
medicina che partono da ottiche diverse e secondo me più confacenti
al pensiero anarchico: perché il rapporto ufficiale tra medico e
paziente è un rapporto univoco, gerarchico e di potere, mentre
quello "alternativo" presuppone un punto di vista più
paritetico. Il problema è
sempre quello di spostare l'ottica dal positivismo ad un sistema di
valori in grado di considerare sia l'uomo che l'ambiente che le
relazioni intercorrenti tra loro in un modo più olistico. Sappiamo bene tutti
che un confine netto tra la vita e la morte non è definibile. E
sappiamo anche bene che un organo trapiantato non può essere morto,
altrimenti il paziente ricevente morirebbe. Perciò non si tratta
dell'uso del mio corpo dopo la mia morte, ma dell'uso del mio corpo
ancora da vivo. Anche solo in parte ma vivo. Del mio corpo morto
fatene ciò che vi pare, ma solo quando sarà tutto bello
morto e allora non si potrà più usare per i trapianti. E come
farete a stabilire che sono morto? Se il mio corpo non è una
macchina bisogna che stabiliamo anzitutto perché lo definiamo vivo.
Dobbiamo stabilire cos'è la vita, che cosa la differenzia dal resto,
e poi potremo definire qual'è il suo punto finale. Solo allora io
non potrò più sentirmi defraudato se farete uso del mio corpo, solo
allora usare il corpo non sarà un atto di potere e una violenza nei
miei confronti. Ma temo che allora sarà buono solo per vermi e
avvoltoi. Occorre operare per
mutare il sistema di valori esistente, mentre invece il puro avallo
alle metodologie della medicina ufficiale e alla sua pretesa (e
infondata) unicità non fa che sottolinearne l'arroganza. La svolta
"copernicana" si dovrebbe operare su un punto: portare l'etico a
un livello di importanza maggiore del produttivo (cfr. Bookchin). E
questo significa che è più importante la qualità della quantità,
cioè, venendo al punto particolare in discussione, che non importa
tanto quante persone vengono salvate (d'altronde il numero delle
persone salvate dagli antibiotici, per esempio, ce lo potrà dire una
qualche statistica, ma quello delle persone uccise direttamente o
indirettamente dagli stessi chi ce lo dirà? Le malattie iatrogene
sono un'invenzione della medicina e non possono essere nascoste da
chi si vuole porre criticamente il problema), ma come,
perché il prezzo di una vita non può mai essere un'altra vita anche
se agonizzante, e perché la società non deve mai prevalere
sull'individuo.
Ivan Zerlotti (carcere di Parma)
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