Rivista Anarchica Online
Nell'aula bunker
dell'Ucciardone
di Salvo Vaccaro
Il processo in
corso a Palermo "contro la mafia" è un utile indicatore non
solo dello stato di salute dell'organizzazione mafiosa e dei suoi
rapporti con la Politica, ma anche - e soprattutto - delle nuove
strategie penali e giudiziarie dello Stato.
A quattro mesi
dall'inizio del maxi-processo alla mafia, è possibile tentare un
parziale bilancio dei suoi esiti, in special modo dopo i lunghi
interrogatori dei due principali protagonisti: Tommaso Buscetta, il
"boss dei due mondi", e Totuccio Contorno. Altrove ho avuto
modo di sottolineare alcune delle poste in gioco in questo processo
(Umanità Nova, n. 3 del 2-02-86, n. 5 del 16-02-86, n. 6 del
23-02-86, n. 17 dell'11-05-86); qui proverò alcune verifiche (con un
termine oggi di moda) avvalendomi anche di un resoconto stenografico
ufficioso degli interrogatori agli imputati. In buona sostanza, tre
sono i temi principali che motivano un nostro interesse alla vicenda
giudiziaria: 1) l'organizzazione
mafiosa ed il suo stato di salute;
2) la "contiguità"
tra Mafia ed alcuni luoghi o persone della Politica e, di contro, lo
scontro tra la mafia ed alcuni settori dello stato; 3) le nuove
strategie penali e giudiziarie che trasformano la Giustizia di Stato
nel periodo detto dell'"emergenza". Sotto questi punti
di vista, il maxi-processo si dipana come un processo "annunciato":
nessuna novità di rilievo rispetto a quanto emerso dall'indagine
istruttoria, già ampiamente anticipata e chiosata prima del
processo; nessun colpo di scena, nonostante il luogo della giustizia
invitasse alla teatralità; nessun clamore all'esterno, tranne i
primi giorni con la partecipazione della stampa mondiale: la dura
legge della notizia ha portato Reagan e Gheddafi, Sindona e Chernobyl
sulle prime pagine dei giornali. L'immagine che si
vuol proporre di Cosa Nostra è sicuramente letteraria; stando agli
atti acquisiti, sia Buscetta che Contorno confermano il carattere di
associazione segreta (Buscetta: "Signor Presidente,... la
Cosa Nostra è segreta ed io non ho fatto una domandina per essere
ammesso a Cosa Nostra. Io quando ho conosciuto Cosa Nostra già ero
dentro Cosa Nostra"). Però entrambi ce la dipingono in modo
estremamente romantico con caratteri oggi incredibili, introducendo
una netta cesura verticale tra "vecchia" e "nuova"
mafia, tra due stili, insomma, a loro dire senza soluzione di
continuità, in cui il nuovo ha soppiantato, stracciandolo, ogni
parvenza di legittimazione che proveniva da un codice d'onore (non si
toccano le donne, i bambini, le forze dello stato), oggi calpestato. Buscetta: "Nella
mafia una volta era bello sentirsi amico di persone che mai si erano
conosciute nella vita, perché si recava in un'altra città, in un
altro paese, e veniva accolto come un fratello con una lettera di
presentazione, con qualcuno che ti accompagnava, sentivi
quell'amicizia, quel senso profondo di rispetto, oggi non esiste
nemmeno questo; allora è finito anche quel piccolo ideale che faceva
di due uomini d'onore due fratelli, due amici, pronti a garantirsi
uno con l'altro, pronti a soccorrersi in ogni momento di bisogno
nella vita, oggi la corsa è solo al potere e al potere finanziario
che provoca maggiore potenza ancora.. . ". Contorno: "(La
Cosa Nostra) è nata nel fare bene ai poveri, si diceva, quando non
c'erano loro di mezzo, il bene si faceva veramente ai poveri, perché
la gente quando gli succedeva una cosa non se ne andava dai
carabinieri, veniva nella borgata, mi hanno rubato macchine, mi hanno
rubato la casa, e gli si facevano trovare le cose. Questo è il
beneficio di Cosa Nostra, fino a quando c'erano le sigarette. Quando
è arrivata la droga, questa Cosa Nostra chiamata Cosa Nostra si è
distrutta, perché sono Cosa Nostra personale ora, non è più Cosa
Nostra come era una volta, ora è solo per interesse personale, si
ammazza con facilità, non hanno più problemi ora". Ciò motiva il
"distacco" di Buscetta e Contorno da Cosa Nostra. Buscetta:
"Effettivamente ero entrato e rimango con lo spirito di
quando vi ero entrato. Ma dagli anni '70 in poi questa associazione
cosiddetta Cosa Nostra ha sovvertito l'ideale poco pulito per la
gente che vive dentro la legge, ma tanto bello per noi che vivevamo
in questa associazione, cominciando con delle violenze che non
appartenevano più a questo ideale". Presidente: "Lei
ha detto, mi scusi, non sono nemmeno un pentito". Buscetta:
"Esatto non sono un pentito... Io non sono un pentito perché
non ho niente di cosa pentirmi. Quello che ero rimango. Non condivido
più quella struttura a cui appartenevo. Quindi non sono un pentito.
(...) Io non sono un delatore, né sono spione; io lo faccio
pubblicamente, perché la mafia non ha più ragione d'esistere. È un'incoerenza e anche quelli che stanno dietro di me, che ascoltano,
che lo ascoltino bene, è un'incoerenza essere mafiosi. Una volta si
andava orgogliosi di essere uomini d'onore, oggi si è uomini di
disonore". Contorno: "La
mia decisione di collaborare con la giustizia è maturata per le
tante cose malvagie che essi facevano e non per paura perché mi
potevano ammazzare, una volta sola si muore. Io proprio
sono venuto a questa determinazione perché tutte le brutte cose che
ora fanno, quando io ero nella vera mafia non si facevano. Perciò io
queste brutte cose le devo distruggere, tutto quello che so devo
dire". Come si vede, una
dichiarazione precisa di non pentimento, sulla quale l'Accusa ha
ambiguamente giocato per tessere la sua trama accusatoria.
Come sta Cosa
Nostra?
Un riscontro
sull'attuale stato di salute di Cosa Nostra è impossibile ottenerlo
direttamente dal processo, a conferma che nell'aula-bunker si sta
processando una mafia dei primi anni '80 "scaricata", già
bruciata dalla stessa organizzazione. Si possono ricavare alcuni
indizi con tutto beneficio d'inventario. Sembrerebbe che
l'attacco di Magistratura e Forze dell'Ordine abbia consigliato un
trasloco del mercato dell'eroina fuori Sicilia; alcuni latitanti di
grido sembrano essersi dissolti nell'aria, chi li vuole trasferiti
negli USA, chi ancora nell'isola ma con sempre minor ossigeno.
L'arresto del "Papa" è arrivato dopo che il cerchio stretto
attorno a lui aveva visto la cattura di diverse persone a lui vicine.
Sembra che lo stesso stia avvenendo per il boss di Catania Nitto
Santapaola, "leader" del fatturato mafioso di commercio
d'armi, inquisito per il delitto Dalla Chiesa. L'ostruzionismo degli
imputati al processo, alcuni dei quali sperano di uscire prima della
sentenza per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva (la
quale è sempre una aberrazione, chiunque colpisca) ha indicato
l'accettazione del terreno giudiziario come campo di sfida. Se è
vero, come è vero, che Cosa Nostra controlla da vicino le attività
commerciali e imprenditoriali nei quartieri dove è potente, come
attestano queste battute: Buscetta: "Ho
saputo che le persone hanno dovuto abbandonare le case e andare via.
Tutte quelle persone che a loro non convenivano, nella borgata".
Contorno: "Se io
sono di Cosa Nostra e controllo tutta la situazione
delle borgate e dei rioni, già conoscono me, conoscono
altri personaggi. Non è che io sono "estraneo" e dico:
dammi i soldi (il pizzo, cioè
S.V.) e quelli me li danno". Allora se ci vado io me
li danno, se ci dovesse andare lei non glieli danno". Giudice a
latere: "Come fa la popolazione a capire che chi si presenta
proviene da quella organizzazione? ". Contorno: "Se
debbono comprare un negozio prima cercano, si informano se devono
uscire i soldi per comprarselo. Allora dopo conoscono
chi comanda in quella borgata. La gente lo sa, la gente nel
rione le sa queste cose, sa tutto". Giudice a latere:
"Quindi si sa bene che c'è questa organizzazione che
controlla il territorio. E se qualcuno non sa che c'è questa
organizzazione e vuole impiantare un'attività che cosa succede?". Contorno: "Gli
succede che gli danno fuoco, gli mettono le bombe, ammazzano; dipende
il fatto che così può essere. Gli può succedere di
tutto". È
anche però vero che tale controllo non è pervasivo e totale; e ciò
non come deficit ma come sua ragionevole fisiologia organizzativa. Contorno: "Ma
non è che i rapinatori conoscono tutti a Cosa Nostra,
allora escono dalla borgata e vanno a fare una rapina, chi lo sa? Si
deve cercare chi è che è andato, perché loro non è che la mattina
hanno il permesso per andare a fare la rapina, escono per i cavoli
loro... Non si può controllare, è chiaro, perché i
ragazzini sono tanti che vanno fuori la mattina, perciò". La caduta della
violenza mafiosa (numero dei delitti) indica allora una possibile
riorganizzazione delle file mafiose che fanno quadrato intorno ad una
nuova dirigenza; d'altro lato, il rallentamento del ritmo economico
del mercato dell'eroina che a Palermo, si stimava, facesse vivere
circa duecentomila persone (che non sono direttamente organiche a
Cosa Nostra) ha provocato un'escalation della criminalità comune
(rapine, scippi, estorsioni, ecc.), come se fosse stato dato il via
ad una ondata "liberistica" ed ad una "gestione privata"
del piccolo crimine. In conclusione, non
sarà questo processo, lo dicono in molti ormai, a sconfiggere la
mafia; c'è da dubitare che altri processi potranno debellarla, sia
per le "contiguità" tra Stato e Mafia, come vedremo, sia per
la genesi sociale della sua formazione e della sua persistenza. Non è
un caso che in recenti cortei di disoccupati si siano visti cartelli
inneggiare alla "Mafia che dà lavoro mentre lo Stato dà
disoccupazione". Significativa la
risposta del nuovo look delle istituzioni decentrate: il Comune di
Palermo, a guida democristiana con giunta pentapartitica, ha assunto
con chiamata nominale 53 edili, principali esponenti di questa lotta
"para-mafiosa", con un atto di sopraffazione della DC sugli
alleati di governo: il clientelismo con funzione preventiva
all'ordine pubblico.
Mafia e politica:
boh?
Nulla è invece
emerso per quanto riguarda i rapporti di "contiguità" tra Cosa
Nostra e Politica - il termine è specifico dell'Ufficio Istruzione,
che rigetta la teoria del "Terzo livello" -, eccetto i nomi
dei fratelli Salvo e di Ciancimino, sul quale si vuol far ricadere
tutto il peso del complesso sistema e intreccio di relazioni
pubbliche e di rapporti economici. Tra parentesi, l'ex-sindaco di
Palermo, al soggiorno obbligato comunque e non dentro le mura di un
carcere (questo si chiama trattamento differenziato...), dopo le
minacce di vuotare il sacco, si è chiuso nell'omertà, pardon, nel
silenzio più totale, così come, anni fa e in un altro caso
scottante, Giannettini ex-spia del SID: l'analogia ardita può esser
un aiuto per la previsione finale. Non sarà questo
maxi-processo a far luce sui rapporti tra Mafia e Politica, anche
perché saranno oggetto di un maxi-bis; nessuno vuole andare
veramente a fondo: quando l'avvocato di parte civile della famiglia
Setti Carraro (la moglie del Gen. Dalla Chiesa) ha chiesto che
venissero invitati a testimoniare alcuni esponenti politici di
rilievo (Andreotti, Rognoni, D'Acquisto, Lima), prima del diniego
della Corte e del parere contrario del PM, è venuto il parere
ugualmente contrario e sorprendente per un verso, dell'Avv. Galasso,
ex-membro del CSM e candidato PCI "sicuro" alle prossime
elezioni regionali siciliane del 22 giugno, legale di parte civile
per la famiglia Dalla Chiesa stessa, insieme all'On. Biondi,
segretario del PLI. Gli unici accenni
alla politica da parte di Buscetta e Contorno, che per il loro
livello erano presumibilmente fuori da queste zone di reciproco
contatto, vengono per quanto riguarda appalti comunali, elezioni
(Contorno: "Di politica io sono zero. C'erano in carcere e ci
dicevano: vota per questo, ci davano i voti e allora io passavo ai
miei familiari, ai miei parenti e amici: vota per questo. Dopo se era
rosso o nero, sono zero di politica"), alcuni
contatti tra neri ed il boss Pippo Calò a Roma, inquisito per la
vicenda dei timer dati alla Camorra per la strage di Natale sul treno
Napoli-Brennero (Contorno: "Io a Roma stavo con i politici neri
e c'era un piano di un... e qualche napoletano..."), alcuni
contributi agricoli della CEE (a Strasburgo sono euro deputati DC
Salvo Lima e Vincenzo Giummarca; Giudice a latere: "Ma lei sa di
qualche episodio, ha fatto un'allusione, ha parlato di mandarini, di
contributi della CEE...". Contorno: "Di
mandarini c'era una specifica, quando macinavano i
mandarini a Favarella o quando Ii macinavano a Bagheria dal signor
Aiello". Giudice a latere:
"Lei per macinavano intende la distruzione dei mandarini per
conto...". Contorno: "Si,
ce ne arrivavano due casse, ed erano cento casse, perciò questa
era una truffa bella preparata e l'avevano nelle mani Aiello, il
signor Michele Greco, l'avevano loro la produzione in mano, entrava
un camion con le casse ed erano cento casse. Era una truffa. I
miliardi entravano, perciò si sono arricchiti con facilità"). Per il resto,
nulla: una sequenza di omicidi "eccellenti" partoriti da un
cervello ignoto, il cui livello non può esser certo quello degli
imputati dietro le sbarre, a malapena edotti della geografia
territoriale mafiosa per essere a conoscenza della complessa
geografia politica isolana e italiana. Se ci sono relazioni organiche
tra Cosa Nostra e Politica, questa ultima oggi dorme sonni
tranquilli.
Oggi a me
domani a voi
Maggiore e più
esteso rilievo acquistano le considerazioni sulle nuove strategie
penali e giudiziarie che, prima con il terrorismo politico e poi con
la Camorra, vengono sperimentate nell'aula-bunker. E non perché la
mafia sia una questione locale, anzi, ma perché questi rilievi
possono toccare, come dicono i comici demenziali napoletani del
"Drive in", "oggi a me, domani... a voi!". Tre tagli danno la
dimensione di queste strategie: 1) il taglio
dell'ordinanza istruttoria (quei 40 e passa volumi, oltre 400mila
pagine che non ho potuto visionare del tutto); 2) il taglio delle
sentenze preliminare della Corte; 3) il taglio
regolamentativo del dibattimento in aula. Vediamoli
separatamente. Innanzitutto,
nell'istruzione di processi complessi, il lavoro in equipe dei
giudici è un vantaggio, rispetto alla difesa, incolmabile, sia in
intelligenze, sia in possibilità d'indagine, sia sul piano
economico. Se mai vi è stata una parità peraltro formale tra Accusa
e Difesa, questa va a sbilanciarsi nettamente a favore della prima,
che trova già il terreno preparato dall'istruzione del processo. Per
quanto concerne più da vicino il "maxi", comunemente
detto, centrale è la figura del "pentito", che pur non è
tale. L'istruttoria gioca ambiguamente su questa figura, dalle cui
dichiarazioni nascono le accuse di reati associativi, in cui la
posizione del singolo imputato è determinata da un'appartenenza,
supposta, ad un'associazione segreta che non rilascia tessere
(Contorno: "Ma voi nella mafia documenti ne trovate pochi e
niente, non esistono da nessuna parte") ed
il cui riscontro non è un particolare delitto o fatto criminale,
bensì la credibilità del "pentito". Il riscontro
obiettivo è pertanto tipicamente indiziario, secondo un meccanismo
perverso d'origine inquisitoriale centrato su due poli: la chiamata
di correo e l'estensione dell'indizio. Sentiamo l'opinione
di Aldo Caruso, palermitano, avvocato penalista, anarchico: "La
chiamata di correo è un particolare mezzo di prova, la cui
principale peculiarità è quella di risolversi, dal punto di vista
strutturale, in una circolarità del tutto interna al fatto da
accertare: c'è un soggetto che confessa, almeno in parte, le proprie
responsabilità e spinge la sua collaborazione fino al
punto di svelare alle autorità inquirenti i nomi dei
suoi complici. Per quel che riguarda i cosiddetti riscontri
oggettivi, per la maggior parte dei casi si tratta di elementi,
ancora una volta, interni allo schema probatorio iniziale, o che si
muovono parallelamente utilizzando per elemento di verifica esterno
la stessa fonte, come in un gioco di specchi, quando,
p.es., si moltiplicano auto-rafforzandosi
le dichiarazioni dei pentiti. Per quanto concerne l'indizio, invece,
nel linguaggio tecnico-giuridico è quella circostanza certa
dalla quale si può trarre, per induzione logica, la conclusione
circa un fatto da provarsi. L'esemplificazione
scolastica di tale schema sillogistico ricorre al caso di colui che
esce clandestinamente e di notte dall'altrui casa con
un sacco sulle spalle. L'esperienza ci dice che chi opera in simili
circostanze, opera normalmente da ladro (premessa maggiore); ora, se
è provato per testimoni che l'imputato usciva clandestinamente col
sacco sulle spalle da quella casa e quella notte in cui è avvenuto
il furto, (premessa minore), se ne deve probatoriamente
concludere che l'imputato è indiziato quale autore del furto. Ma non
sempre la realtà può essere così facilmente ingabbiata in un
simile schema razionale, ciò perché spesso si utilizzano come
premesse maggiori del sillogismo indiziario circostanze multimediali,
dalle quali cioè è possibile pervenire alle
più diverse e disparate conclusioni, appunto perché si offrono ad
interpretazioni equivoche e non più controllabili sotto il profilo
logico-probatorio". I riscontri vengono
infatti perseguiti secondo una rete astratta di rinvii inferenziali
che si materializza... nelle dichiarazioni coerentemente logiche del
"pentito". L'inferenza assume valore giudiziario specifico,
non come eventuale punto di partenza ma come punto d'arrivo del
riscontro e della prova. Ne sono testimonianza alcune dichiarazioni
rese in istruttoria e confermate negli interrogatori da Buscetta e
Contorno. Ecco un paio di battute: Buscetta: "È
il concetto di Gaetano Badalamenti... sembra che il
figlio di Salvatore Montalto abbia avuto modo di avvisare per fare
uccidere Salvatore Inzerillo"; e poco oltre lo stesso: "sembra
che a questo bambino (il figlio dell'assassinato Inzerillo S.V.)
gli abbiano tolto il braccio dicendo: "non userai questo
braccio per sparare a Salvatore Reina...". E
sull'omicidio Dalla Chiesa: "Il Badalamenti ebbe
un'espressione come dire: "eh, questo l'hanno fatto i
catanesi"...", e via di questo passo su "sembra
che...", "mi risulta che...", "ho saputo che...",
"per fede un uomo d'onore non mente mai", ecc. Quel che sorprende
è che i rari interventi del P.M. sono a sostegno delle dichiarazioni
dell'imputato, tendenti a vanificare gli appunti mossi dalla difesa
alla credibilità ed attendibilità disinteressata dello stesso, il
che ha fatto pensare a qualcuno che venissero interrogati non degli
imputati, bensì dei testimoni estranei alle vicende giudiziarie e
senza responsabilità. Avv. Buscemi: "È
una verità che gli interrogatori di Buscetta
contengono per molti versi affermazioni... anche soprattutto nei
confronti di imputati che non sono chiamati a rispondere di reati
connessi con quelli dello stesso imputato Buscetta.., il quale in
sede di interrogatorio si è permesso nei loro
confronti perversioni a carattere testimoniale"; Avv. Traina:
"Signor Presidente, noi abbiamo qui un imputato il quale
costituisce cardine e molto spesso non possiamo, o per motivi di
carattere umano, perché non sono più vivi, o perché non sono
facilmente interrogabili, non è possibile riscontrare
le sue parole. Noi dobbiamo attentamente e sarà compito di questa
Corte, con la collaborazione che noi intendiamo dare nella maniera
più appassionata, ma nello stesso tempo interessata il
più possibile ad accertare se questo imputato nel chiamare in
correità gli altri imputati sia o meno credibile". Avv. Bonsignore:
"Signor Presidente,... io gradirei che siccome Contorno è un
imputato e non un teste, gradirei che la Signoria Vostra gli
contestasse i reati, lo invitasse a discolparsi, se ha di che
discolparsi, e poi lo potrà interrogare come crede. Perché... si è
dimenticato che sia Contorno che Buscetta sono due imputati". Il secondo taglio
concerne le sentenze preliminari della Corte, che hanno visto
l'eliminazione di qualsiasi fatto attinente ai reati "politici"
di Cosa Nostra, rinviati ad un secondo maxi-processo, che toglie non
solo mordente ed interesse, ma espunge, nella definizione che
dell'Organizzazione Mafiosa si vuol dare e si darà nella sentenza
finale, ogni riferimento strutturale alla connessione
politico-mafiosa organicamente intesa. Inoltre, si è pure stralciata
la posizione riguardo Gaetano Badalamenti (indiziato, tra l'altro, di
essere il mandante dell'assassinio di Peppino Impastato, attivista di
DP a Cinisi nel 1978), imputato a New York per la "Pizza
Connection", il quale è la fonte primaria delle dichiarazioni
di Buscetta, privando così il dibattimento processuale di un
riscontro nei fatti con un confronto dei due esponenti di Cosa
Nostra. Infine, come
politica del dibattimento stesso, la cui regolazione è di esclusiva
competenza del Presidente della Corte, si è assistito ad una
conduzione del processo allineata all'istruttoria (il che non è
affatto un obbligo, basti vedere come il Presidente Santiapichi, al
contrario, ha gestito il processo "Bulgarian Connection"
per l'attentato al Papa). Le richieste di confronti con Buscetta e
Contorno sono state per la maggior parte respinte, tranne quella con
Pippo Calò, anche con la scusa della velocità impressa alle udienze
e dalla sicurezza dei due "pentiti", subito rispediti negli
USA (la cui competenza, incredibile, è stata dei servizi segreti
statunitensi, che non si sono affatto fidati delle forze dell'ordine
presenti in aula: Sindona docet...); i riscontri sono stati demandati
in sede di conclusione; la normale dialettica tra Presidente e Difesa
ha raggiunto toni elevati, specie quando si è sollevata l'istanza di
ricusazione, poi rigettata, nei confronti del primo accusato di
tendenziosità e pregiudizio. Fatto sta che certe domande, poste in
un modo particolare, contengono già una traccia della risposta
"richiesta", come il lettore può giudicare. Avvocato: "Ma
scusi, Signor Presidente, quando Lei dice all'imputato: ma Tizio è
amico di Caio?..". Presidente: "E
come devo dire?" Avvocato: "Ma
questo significa: è questa la risposta. Se tutto quel che ha detto
il signor Contorno è la verità, la può dire e non c'è bisogno che
nessuno glielo ricordi... noi abbiamo il diritto e il dovere di...
ricordarsele le cose". E dopo qualche
minuto; Avvocato: "Lei
un momento fa ha chiesto all'imputato se Alberti aveva acquistato una
villa, però la sua domanda è stata posta in questi termini: "Lei
sa che Lima Gaetano ha venduto una villa?" Ecco noi la
pregheremmo, e facciamo istanza in questo senso, cioè
che quando si fa una richiesta non gli si dica anche il
nome, perché questo, evidentemente sotto il profilo esclusivamente
oggettivo, per carità, non si tratta di nessun riferimento, senza
volerlo significa dare un suggerimento sulla circostanza". Ma il problema si
ripresenta, ben più grave, qualche udienza successiva. Presidente: "Lei
conosce altri Pipitone?" Contorno: "Ci
sono altri Pipitone, dell'Uditore". Avvocato: "Ce
ne sono altri Pipitone. È una domanda questa perché
io voglio essere tranquillo, non è che poi ne spuntano altri". Presidente: "Di
Villagrazia di Carini, per esempio, altri Pipitone". Avvocato: "No,
non si fanno queste domande. Questa non è una domanda. Non
si fa così!" (...) Avv. Reina: "Anche
questa mattina, nel corso dell'interrogatorio
dell'imputato Contorno, dopo che questi, in relazione a certi
fratelli Pipitone, aveva indicato per ben due volte persone diverse
dagli imputati Pipitone, il Presidente ha suggerito al Contorno la
pretesa appartenenza ad una determinata famiglia di costoro,
frustrando la genuinità dell'acquisizione della prova, suscitando
legittime ed unanimi proteste degli imputati e dei difensori e
facendo sorgere il fondato timore di un interesse personale verso un
giudizio precostituito anche per questi imputati...". Avv. D'Arle: "La
fase dibattimentale svolta sino ad oggi ha fatto emergere, specie in
coincidenza con gli interrogatori degli imputati, un metodo di
conduzione nell'istruttoria dibattimentale da parte del Presidente
della Corte, caratterizzato da interventi che in numerose occasioni
si sono manifestati lesivi degli interessi e dei
diritti della difesa degli altri imputati. Giacché spesso si è dato
luogo a domande proposte in termini tali da orientare gli interrogati
verso le posizioni già assunte nel corso dell'istruzione formale,
impedendo così l'indispensabile controllo dibattimentale delle fonti
d'accusa".
La centralità
del pentito
È chiaro che tutto
il maxi-processo si giocherà non su fatti precisi bensì sulla
credibilità delle dichiarazioni dei due "pentiti"
maggiori, che hanno cementato l'architettura del "teorema
Falcone", facendo sospettare qualcuno che Buscetta e Contorno
abbiano coperto i vuoti di un disegno indiziario progettato a monte
di prove e verifiche giudiziarie; Calò (nel confronto con Buscetta):
"Ora quanto tutto quello che stai raccontando, sono altri
fatti nuovi che ti hanno raccontato adesso? Cosa sono?" È noto, e da qui
nasce, forse, l'allusione, come Buscetta e Contorno si siano visti e
parlati durante la carcerazione negli USA e in Italia, potendo
effettuare riscontri incrociati tra le loro dichiarazioni, e poi che
entrambi vengono spesso a contatto con i giudici inquirenti e con
esponenti dei servizi segreti statunitensi e italiani dediti alla
loro sicurezza, che li potrebbero "imbeccare" su eventuali
smagliature nelle loro dichiarazioni. La centralità del
"pentito" sposta l'asse della Giustizia, sull'onda
dell'emotività, verso una più stretta connessione
operativo-efficientistica, logicamente poliziesca e
inquisitoriale, mirante non all'accertamento della verità
processuale - che è ben diversa dalla verità dei fatti, ma è
quella verità costruita artificialmente secondo le procedure
e le normative della Legge; che poi coincida o meno con la verità
banalmente intesa è un'altra questione, non più logica ma intuitiva
-, bensì all'inclusione del momento penale in una più ampia
strategia di repressione di determinati fenomeni sociali, benché
criminali come l'organizzazione mafiosa (è bene non dimenticare che
si tratta di un'organizzazione tesa al dominio, allo sfruttamento,
all'eliminazione fisica dei suoi concorrenti ed avversari). Il fatto stesso che
la Giustizia sia uscita dalle sue tradizionali aule del Palazzo di
Giustizia, per far pendant simbiotico con il Carcere, dà la nuova
dimensione di allineamento dell'asse simbolico
Giustizia+Pena=Reclusione: l'aula-bunker e l'Ucciardone, con il
cordone ombelicale che li unisce, dettato dalle necessità della
sicurezza, è più che una semplice metafora.
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