Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 138
giugno 1986


Rivista Anarchica Online

E la scuola si accontenta
di Carlo Oliva

A Carlo Oliva, docente del liceo "Parini" a Milano, collaboratore di Linus, abbiamo chiesto una testimonianza sugli effetti della nube nel mondo scolastico.

La scuola, come è noto, in Italia è abbandonata a se stessa. È inserita in uno schema rigoroso (beh, quasi rigoroso) di controllo pubblico; sottoposta ad una articolata gerarchia di tipo piramidale e collegata alla realtà sociale mediante una ricca strumentazione di organismi di "gestione", ma fondamentalmente è abbandonata a se stessa. I controlli si riducono ad un puro e semplice sistema di divieti, per lo più formalistici; la gerarchia non è in grado di applicarli, né, salvo eccezioni, ne ha la volontà; gli organismi di gestione sono stati a suo tempo concepiti con il preciso scopo di non farli funzionare e, in effetti, non funzionano. Il fatto che l'istituzione si adegui, salvo rare eccezioni, ai desiderata e ai progetti dei detentore del potere è un effetto, più che altro, della solida formazione ideologica dei suoi operatori.
Tutto ciò, naturalmente, è noto. Ma vale la pena di richiamarlo in breve ad uso di chi si chiede che cosa la scuola ha fatto in occasione dell'emergenza da nube nucleare. Non ha fatto, in effetti, niente. Non ha trasmesso informazioni, aperto dibattiti, stabilito principi. Nessuno ha disposto che si facesse alcunché del genere, ed una delle conseguenze implicite della condizione di abbandono a se stessi è un fortissimo senso di inerzia. Sovrintendenze, provveditorati e presidenze hanno doverosamente trasmesso le varie comunicazioni (prefettizie, dell'ufficiale sanitario, di quel genitore di terza L che lavora all'ENEA o di chi altro) relative all'opportunità di prendere la pioggia senza ombrello o di organizzare passeggiate ecologiche nell'erba, ma è stato più o meno tutto. In qualche sede (anche a Milano, credo) si sono regolarmente svolti outdoor i campionati studenteschi di atletica e altre attività sportive. Qualsiasi discorso sulla radioattività è restato rigidamente confinato ai programmi di fisica, ove la materia fosse prevista dai vigenti programmi e ove fosse possibile affrontare anche questo capitolo, visto lo stato del calendario scolastico.
Se la scuola non ha fatto niente, non è detto - tuttavia - che a scuola non si sia fatto niente. C'è stato, in molti istituti, un frenetico e scarsamente coordinato intrecciarsi d'iniziative, di solito di tipo informativo: incontri con esperti, conferenze, qualche raro dibattito, qualche polemica di vario livello (il record negativo va assegnato a quel preside di liceo milanese che ha diffuso una circolare in cui attaccava con durezza gli studenti in quanto filosovietici, visto che loro non avevano attaccato l'URSS dopo Chernobyl). Nulla di speciale, ma forse qualcosa. Dovuto all'iniziativa personale, certo, e all'improvvisazione, è ovvio, ma molte cose, anche interessanti, potrebbero svilupparsi nelle nostre scuole se all'iniziativa personale e all'improvvisazione si desse un po' di spazio.
Il problema è un altro. Ed è, ovviamente, un problema culturale (anche se al fatto che la scuola dovrebbe avere qualche cosa a che fare con la cultura non pensa mai nessuno). Quale che sia l'età e il grado d'istruzione degli insegnanti, la scuola ha una cultura complessiva in cui problemi come quello energetico o come quello ambientale non hanno fondamentalmente senso: possono essere introdotti solo dal di fuori e con dei punti di riferimento esterni. Il progetto culturale della scuola italiana è, diciamolo pure, senza ironia, prenucleare, nel senso che si è sviluppato in epoche e ambiti in cui un discorso sull'atomo, per forza di cose, cominciava e finiva con Democratico. E non bastano gli aggiornamenti dei programmi o dei libri di testo per modificare questa realtà di fondo. Non sono i programmi, le materie o i libri che definiscono la maggiore o minore attualità dell'ipotesi culturale di fondo della scuola italiana: è il suo sistema di priorità e di validificazioni, considerato globalmente nella pratica didattica di ogni giorno.
Di fatto, a scuola possono convivere molte cose. Un ecologismo d'attacco, vissuto naturalmente nel suo significato più deteriore, è largamente diffuso a livello d'istruzione primaria: dai pensieri degli alunni delle elementari ai temi della scuola media e del biennio è più facile trovare sbrodolate sui fiorellini, gli animaletti, la natura in pericolo e il-pericolo-che-il-progresso-tecnologico-aduggi-la-natura-dell'-Uomo-(mi-raccomando-la-maiuscola-a-Uomo) che altro. E d'altro canto allo stesso livello (e a quello superiore) s'incontra, se non l'ideologia del progresso a qualsiasi costo, tutta una serie di formulazioni che la sottintendono e la presuppongono. Un'occhiata ai libri di storia dell'ultimo anno delle superiori può essere utile.
La contraddizione è solo apparente. O meglio, c'è, ma è indifferente: non sono quei contenuti che alla scuola interessano. Una scuola pre-tecnologica (anche se con garbato umorismo definisce "tenici" alcuni suoi istituti) non potrà considerare oggetto di contraddizione, e quindi di dibattito e di definizione culturale, problemi nati con lo sviluppo della tecnologia. Potrà dargli spazio, con cortesia o con indifferenza e sarà già tanto. Chiedere di più significherebbe mostrarsi incontentabili.
Quanto a una scuola in grado di far cultura a partire dalle contraddizioni dell'oggi, e capace di evidenziarle anche nell'attualità, beh, quella è un progetto ancora tutto da costruire. E non sono sicuro, dopo un paio di decenni di riflessione, che sia compatibile con la realtà d'oggi. Ma per ora, lasciamo pure perdere.