Rivista Anarchica Online
E la scuola si
accontenta
di Carlo Oliva
A Carlo Oliva,
docente del liceo "Parini" a Milano, collaboratore di Linus,
abbiamo chiesto una testimonianza sugli effetti della nube nel mondo
scolastico.
La scuola, come è
noto, in Italia è abbandonata a se stessa. È
inserita in uno schema rigoroso (beh, quasi rigoroso) di controllo
pubblico; sottoposta ad una articolata gerarchia di tipo piramidale e
collegata alla realtà sociale mediante una ricca strumentazione di
organismi di "gestione", ma fondamentalmente è abbandonata a se
stessa. I controlli si riducono ad un puro e semplice sistema di
divieti, per lo più formalistici; la gerarchia non è in grado di
applicarli, né, salvo eccezioni, ne ha la volontà; gli organismi di
gestione sono stati a suo tempo concepiti con il preciso scopo di non
farli funzionare e, in effetti, non funzionano. Il fatto che
l'istituzione si adegui, salvo rare eccezioni, ai desiderata e ai
progetti dei detentore del potere è un effetto, più che altro,
della solida formazione ideologica dei suoi operatori. Tutto ciò,
naturalmente, è noto. Ma vale la pena di richiamarlo in breve ad uso
di chi si chiede che cosa la scuola ha fatto in occasione
dell'emergenza da nube nucleare. Non ha fatto, in effetti, niente.
Non ha trasmesso informazioni, aperto dibattiti, stabilito principi.
Nessuno ha disposto che si facesse alcunché del genere, ed una
delle conseguenze implicite della condizione di abbandono a se stessi
è un fortissimo senso di inerzia. Sovrintendenze, provveditorati e
presidenze hanno doverosamente trasmesso le varie comunicazioni
(prefettizie, dell'ufficiale sanitario, di quel genitore di terza L
che lavora all'ENEA o di chi altro) relative all'opportunità di
prendere la pioggia senza ombrello o di organizzare passeggiate
ecologiche nell'erba, ma è stato più o meno tutto. In qualche sede
(anche a Milano, credo) si sono regolarmente svolti outdoor i
campionati studenteschi di atletica e altre attività sportive.
Qualsiasi discorso sulla radioattività è restato rigidamente
confinato ai programmi di fisica, ove la materia fosse prevista dai
vigenti programmi e ove fosse possibile affrontare anche questo
capitolo, visto lo stato del calendario scolastico. Se la scuola non ha
fatto niente, non è detto - tuttavia - che a scuola non si sia
fatto niente. C'è stato, in molti istituti, un frenetico e
scarsamente coordinato intrecciarsi d'iniziative, di solito di tipo
informativo: incontri con esperti, conferenze, qualche raro
dibattito, qualche polemica di vario livello (il record negativo va
assegnato a quel preside di liceo milanese che ha diffuso una
circolare in cui attaccava con durezza gli studenti in quanto
filosovietici, visto che loro non avevano attaccato l'URSS dopo
Chernobyl). Nulla di speciale, ma forse qualcosa. Dovuto
all'iniziativa personale, certo, e all'improvvisazione, è ovvio, ma
molte cose, anche interessanti, potrebbero svilupparsi nelle nostre
scuole se all'iniziativa personale e all'improvvisazione si desse un
po' di spazio. Il problema è un
altro. Ed è, ovviamente, un problema culturale (anche se al fatto
che la scuola dovrebbe avere qualche cosa a che fare con la cultura
non pensa mai nessuno). Quale che sia l'età e il grado d'istruzione
degli insegnanti, la scuola ha una cultura complessiva in cui
problemi come quello energetico o come quello ambientale non hanno
fondamentalmente senso: possono essere introdotti solo dal di fuori e
con dei punti di riferimento esterni. Il progetto culturale della
scuola italiana è, diciamolo pure, senza ironia, prenucleare, nel
senso che si è sviluppato in epoche e ambiti in cui un discorso
sull'atomo, per forza di cose, cominciava e finiva con Democratico. E non
bastano gli aggiornamenti dei programmi o dei libri di testo per
modificare questa realtà di fondo. Non sono i programmi, le materie
o i libri che definiscono la maggiore o minore attualità
dell'ipotesi culturale di fondo della scuola italiana: è il suo
sistema di priorità e di validificazioni, considerato globalmente
nella pratica didattica di ogni giorno. Di fatto, a scuola
possono convivere molte cose. Un ecologismo d'attacco, vissuto
naturalmente nel suo significato più deteriore, è largamente
diffuso a livello d'istruzione primaria: dai pensieri degli alunni
delle elementari ai temi della scuola media e del biennio è più
facile trovare sbrodolate sui fiorellini, gli animaletti, la natura
in pericolo e
il-pericolo-che-il-progresso-tecnologico-aduggi-la-natura-dell'-Uomo-(mi-raccomando-la-maiuscola-a-Uomo)
che altro. E d'altro canto allo stesso livello (e a quello superiore)
s'incontra, se non l'ideologia del progresso a qualsiasi costo, tutta
una serie di formulazioni che la sottintendono e la presuppongono.
Un'occhiata ai libri di storia dell'ultimo anno delle superiori può
essere utile. La contraddizione è
solo apparente. O meglio, c'è, ma è indifferente: non sono quei
contenuti che alla scuola interessano. Una scuola pre-tecnologica
(anche se con garbato umorismo definisce "tenici" alcuni suoi
istituti) non potrà considerare oggetto di contraddizione, e quindi
di dibattito e di definizione culturale, problemi nati con lo
sviluppo della tecnologia. Potrà dargli spazio, con cortesia o con
indifferenza e sarà già tanto. Chiedere di più significherebbe
mostrarsi incontentabili. Quanto a una scuola
in grado di far cultura a partire dalle contraddizioni dell'oggi, e
capace di evidenziarle anche nell'attualità, beh, quella è un
progetto ancora tutto da costruire. E non sono sicuro, dopo un paio
di decenni di riflessione, che sia compatibile con la realtà d'oggi.
Ma per ora, lasciamo pure perdere.
|