Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 138
giugno 1986


Rivista Anarchica Online

Le Chernobyl prossime venture
di Maria Teresa Romiti

Certo, la nostra vita è tutta un rischio. Ma c'è una bella differenza tra il rischio individuale, liberamente scelto, e il rischio catastrofico imposto a tutti, volenti o nolenti.

In queste settimane siamo stati bombardati in continuazione da unità di misura diverse e spesso sconosciute e da parole complesse: emissioni, legami nucleari, ecc... Insomma una nuvola di informazioni che è riuscita a far capire meno, forse per niente, ciò che realmente stava succedendo.
Quello che è apparso chiaro, fin troppo chiaro, al di là dei paroloni, delle tesi contrastanti, delle diatribe scientifiche, è che quello che era stato ritenuto impossibile è successo e che la posta in gioco è, e sarà per molti anni a venire, la vita: la nostra vita o almeno la vita di alcuni (quanti è difficile stabilirlo) di noi.
Non è possibile spiegare in poche pagine la problematica nucleare, ma forse, una volta di più, un po' di chiarezza, pochi parametri, possono riuscire a rendere il problema comprensibile.
Sappiamo tutti dai banchi di scuola che la materia è fatta di atomi, i mattoni dell'universo, particelle ritenute un tempo indivisibili che si sono poi rivelate composte da particelle ancora più piccole. Gli atomi non sono tutti uguali e i più pesanti sono anche i più instabili, tendono a trasformarsi in altri atomi scindendosi in due parti (fissione nucleare) e durante il processo di fissione liberano una quantità notevole di energia. Gli atomi prodotti sono a loro volta radioattivi, emettono cioè particelle atomiche.
Le più importanti sono: le particelle alfa, nuclei di elio non molto penetranti, pericolose per la loro massa e la carica elettrica che producono una forte ionizzazione dissipando l'energia in percorsi estremamente brevi, particelle beta, praticamente elettroni, e raggi gamma, altamente penetranti che possono poi convertirsi in una coppia elettrone-positrone.
Il problema principale degli atomi radioattivi (isotopi radioattivi) è che non sono distinguibili, dal punto di vista chimico, dagli atomi non radioattivi: la differenza è solo a livello di nucleo atomico. In particolari condizioni il processo di fissione si alimenta da solo (reazione a catena) cioè l'energia emessa, catturata da altri atomi fissili, è sufficiente a scinderli. La fissione di un atomo, in questo caso, provoca la fissione di uno o più altri atomi secondo un certo coefficiente moltiplicativo che dipende dalla quantità di materiale fissile e da altre caratteristiche fisiche. La fissione degli atomi procede secondo una progressione geometrica che in pochissimo tempo libera quantità incredibili di energia.
Basta pensare che i livelli energetici a cui siamo abituati nella vita quotidiana (agitazioni termiche molecolari), quelli che sono emessi da normali processi di riscaldamento, si misurano in centesimi di elettrovolt, che l'energia liberata nelle reazioni chimiche va dalle decine di elettrovolt alle centinaia di migliaia, mentre le reazioni nucleari liberano energie dell'ordine di milioni, delle decine di milioni di elettrovolt. Sono queste immense energie in gioco che fanno sì che le scorie radioattive, i prodotti nucleari, siano praticamente ineliminabili: solo energie superiori potrebbero "bruciare" i rifiuti nucleari.
Il principio su cui si basa la bomba atomica è di innescare la reazione a catena: avvicinare velocemente due masse di uranio o altro materiale fissile in modo che s'instauri questo processo. La fissione dei nuclei produce fissione di altri nuclei seguendo una progressione geometrica che ovviamente libera energie elevatissime provocando l'esplosione.
Anche in una centrale nucleare ci si basa sullo stesso principio. Ovviamente in questo caso, però, non si deve cercare di far fissionare tutto il materiale nel più breve tempo possibile, ma invece si deve controllare la reazione a catena perché il coefficiente moltiplicativo non scenda sotto il valore uno (ciò infatti porterebbe allo spegnimento della centrale), né salga sopra il valore uno per non innescare il processo esplosivo. Una situazione che si potrebbe paragonare al tentativo di tenere una bottiglia in equilibrio su un'asta posta su un dito.

Sindrome cinese
Mentre la maggior parte dei sistemi con cui abbiamo a che fare è sostanzialmente stabile (di fronte ai cambiamenti tendono a ritornare in posizione di equilibrio), una centrale nucleare è un sistema completamente instabile che necessita di continue correzioni e controlli. Barre di materiale particolare, in grado di assorbire le particelle (neutroni) emesse durante la fissione, vengono continuamente affondate o tolte per mantenere quel coefficiente uguale a uno. Il controllo è ovviamente elettronico, anche perché data la grande velocità del processo le correzioni vanno apportate nel limite del minuto.
Se non si riesce, per qualsiasi motivo, a controllare in tempo la reazione a catena questa prosegue il suo corso; se era inferiore a uno il reattore si spegne, se era superiore si va, in tempi brevi, verso la fusione del reattore, si raggiungono temperature di 5000 gradi. A questo punto tutte le strutture vengono meno, abbiamo di fronte solo un ammasso fuso che continua il processo di reazione.
Bisogna chiarire che non si può parlare di esplosione nucleare poiché per avere l'esplosione è fondamentale avvicinare le due masse molto velocemente. Un avvicinamento lento aumenta la temperatura facendo fondere, evaporare o dilatare il materiale fissile. Si realizza quello che si potrebbe chiamare un piccolo sole, con delle proprie leggi di cui gli stessi ingegneri nucleari sono inesperti. In un reattore nucleare è fondamentale infatti anche la struttura spaziale. Nel caso di fusione del nocciolo interviene una serie di parametri non prevedibili, fondono sostanze diverse. Si può realizzare una situazione per cui questa massa di materiale incandescente che continua ad alimentarsi con temperature dell'ordine di 5000 gradi genera quella che si chiama "Sindrome Cinese": il materiale fuso autoalimentandosi perfora la terra. Se quindi non è esatto parlare di esplosione nucleare è pur sempre materiale che libera energie incredibili e oltretutto radioattivo. È quello ché è successo a Chernobyl.
Il reattore di Chernobyl era moderato a grafite con un nocciolo di 7 metri per 12. Un ammasso di colonne di grafite (2500) all'interno di 1600 delle quali erano ricavati dei canali a pressione in cui scorreva acqua bollente contenente l'ossido di uranio.
Forse per la caduta di una gru, come sembra dalle ultime ricostruzioni, o forse per un'interruzione all'alimentazione delle pompe del circuito di raffreddamento, la circolazione del refrigerante si è bloccata. A questo punto teoricamente dovrebbe intervenire il circuito d'emergenza o, nella peggiore delle ipotesi, l'arresto rapido del reattore. Le barre che assorbono i neutroni vengono inserite rapidamente spegnendo il reattore. Purtroppo, però, l'arresto rapido non ha funzionato e la temperatura si è elevata rapidamente. Un reattore a piena potenza ha cominciato a fondersi. Si sono prodotte grandi quantità di vapore e acqua in pressione che hanno causato un'esplosione scoperchiando il reattore. Una colonna mista di acqua, vapore ed elementi radioattivi si è liberata. Le condizioni meteorologiche particolari hanno fatto il resto: la colonna è stata trascinata negli strati alti dell'atmosfera e dispersa su tutta l'Europa. Il nocciolo del reattore, un ammasso di materiale fuso, ad alta temperatura, continuava a bruciare. L'impossibile è accaduto.

Ma quale sicurezza?
Si possono definire sicure le centrali nucleari?
La polemica è divampata dopo Chernobyl, alimentata dalla potente lobby nucleare che si è vista in pericolo. Le centrali nucleari sicure - affermano - esistono, sono solo quelle russe a non esserlo: dimenticandosi bellamente che la centrale di Chernobyl a grafite era di tecnologia inglese, molto simile, se non uguale, alle nove centrali inglesi a grafite, a quella italiana di Latina; dimenticandosi che nel 1979 a Three Miles Island lo stesso incidente è stato evitato per un puro caso.
Tutto fumo negli occhi come il tanto decantato secondo contenitore delle centrali nucleari: contenitore tipico e necessario delle centrali ad acqua leggera (come Caorso), tanto è vero che le centrali a grafite occidentali non lo hanno esattamente come quelle russe. Del resto, secondo i grafici dell'agenzia atomica francese, la pressione nel secondo contenitore aumenta, in caso di incidente, da una a 6-7 atmosfere in dieci secondi. Questo è il tempo limite per riuscire a metterlo in depressione, poiché a sette atmosfere non si può garantire la tenuta del secondo contenitore. D'altra parte proprio per le caratteristiche fisico-geometriche delle centrali ad acqua leggera, la fusione del nocciolo potrebbe portare a situazioni ancora più critiche di quelle verificatesi a Chernobyl. Infatti le barre del nocciolo non hanno in questo caso una divisione fisica e ciò comporta una temperatura ancora più elevata. Addirittura, nei reattori ad acqua leggera una fessurazione delle barre può portare all'innesco della fusione alla base del nocciolo con conseguenze disastrose.
Allora la tecnologia non è in grado di costruire centrali nucleari sicure? Teoricamente sarebbe possibile avere centrali sicure. Solo teoricamente però, perché al rischio zero corrispondono costi infiniti. Ovviamente un costo infinito non è possibile per cui il rischio è legato indissolubilmente alle centrali, un rischio che dipende da diversi fattori.
Proprio per la tecnologia estremamente sofisticata che richiedono, le centrali nucleari hanno bisogno di materiali con standard specifici. Standard che possono essere anche particolarmente onerosi e che quindi possono, per ragioni economiche, non essere rispettati. Una tecnologia raffinata deve comunque fare i conti con il fattore umano. Un fattore che rimane per forza di cose imprevedibile.
Se l'errore umano deve sempre essere ipotizzato, in società dove il lavoro è parcellizzato e gerarchizzato la sua probabilità aumenta. Aumenta anche la possibilità che, per le stesse ragioni, i piccoli danni non siano segnalati. Una situazione che certamente è peggiore in URSS dove la gerarchizzazione è maggiore, ma che non salva l'Occidente da rischi analoghi.
Del resto il rischio centrale non è solo la probabilità di un incidente più o meno grave, ma la centrale stessa. Una centrale nucleare infatti diffonde nell'atmosfera, nel corso normale della sua attività, circa un chilo di plutonio all'anno oltre a molti altri prodotti radioattivi che si depositano via via sul terreno. Il solo plutonio, oltre che altamente radioattivo (ha un periodo di dimezzamento di 24.400 anni), è estremamente tossico (la massima dose ammissibile è di sei milionesimi di grammo). Non è certo una coincidenza che i casi di cancro aumentino intorno alle centrali.
A questo punto, visto che la sicurezza di una centrale è una questione puramente ipotetica, si sostiene che il rischio è legato alla vita umana stessa. Che, dopotutto, si muore di più per il tabacco, il vino, gli incidenti stradali e ancora non so cosa. Che il progresso esige il suo prezzo e le sue vittime.
È vero che tutta la nostra vita è un rischio, che rischiamo di morire nel momento stesso in cui veniamo alla luce, ma c'è una bella differenza tra il rischio individuale, liberamente scelto, e il rischio catastrofico imposto, volenti o nolenti, a tutti.
E se si vuole considerare un incidente nucleare alla stregua di una catastrofe naturale (ma il rischio continuo durante l'attività della centrale come va classificato, incoscienza?) bisogna anche rendersi conto che mentre gli effetti di una tragedia naturale non vanno mai oltre un tempo ben limitato (poche settimane) qui gli effetti sono a lunga scadenza: generazioni future pagheranno per questi incidenti. Non solo perché le morti radioattive continuano per decenni, non solo per le mutazioni genetiche che si ripercuotono per secoli o perché il plutonio è pericoloso per almeno 50.000 anni, ma soprattutto perché stiamo stivando qua e là materiali tossici e radioattivi che non sappiamo dove mettere e che non siamo capaci di distruggere. Rifiuti radioattivi su cui sappiamo ancora troppo poco e che sono la nostra poco invidiabile eredità per i nostri nipoti e pronipoti.
Un giornale ha riportato l'intervista di uno dei pompieri di Chernobyl, gravemente colpito dalle radiazioni. Dopo, nessuno ne ha più parlato, non so più nulla di quell'uomo ma nel momento stesso in cui leggevo la sua storia sapevo che stavano intervistando uno zombie: la sua morte era stata decretata giorni prima da quei fumi radioattivi. Solo il momento preciso, una, due, forse quattro settimane, era incerto. Forse per altri la dilazione sarà maggiore: qualche anno, anche venti magari, non di più.
Quanti sono oggi gli zombie che girano per l'Europa? Lo sapremo nei prossimi vent'anni: a dircelo saranno i numeri delle statistiche di morti per cancro, sempre che nel frattempo qualche altra Chernobyl non sballi i calcoli o li renda inutili.