Rivista Anarchica Online
Le Chernobyl
prossime venture
di Maria Teresa Romiti
Certo, la nostra
vita è tutta un rischio. Ma c'è una bella differenza tra il rischio
individuale, liberamente scelto, e il rischio catastrofico imposto a
tutti, volenti o nolenti.
In queste settimane
siamo stati bombardati in continuazione da unità di misura diverse e
spesso sconosciute e da parole complesse: emissioni, legami nucleari,
ecc... Insomma una nuvola di informazioni che è riuscita a far
capire meno, forse per niente, ciò che realmente stava succedendo. Quello che è
apparso chiaro, fin troppo chiaro, al di là dei paroloni, delle tesi
contrastanti, delle diatribe scientifiche, è che quello che era
stato ritenuto impossibile è successo e che la posta in gioco è, e
sarà per molti anni a venire, la vita: la nostra vita o almeno la
vita di alcuni (quanti è difficile stabilirlo) di noi. Non è possibile
spiegare in poche pagine la problematica nucleare, ma forse, una
volta di più, un po' di chiarezza, pochi parametri, possono riuscire
a rendere il problema comprensibile. Sappiamo tutti dai
banchi di scuola che la materia è fatta di atomi, i mattoni
dell'universo, particelle ritenute un tempo indivisibili che si sono
poi rivelate composte da particelle ancora più piccole. Gli atomi
non sono tutti uguali e i più pesanti sono anche i più instabili,
tendono a trasformarsi in altri atomi scindendosi in due parti
(fissione nucleare) e durante il processo di fissione liberano una
quantità notevole di energia. Gli atomi prodotti sono a loro volta
radioattivi, emettono cioè particelle atomiche. Le più importanti
sono: le particelle alfa, nuclei di elio non molto penetranti,
pericolose per la loro massa e la carica elettrica che producono una
forte ionizzazione dissipando l'energia in percorsi estremamente
brevi, particelle beta, praticamente elettroni, e raggi gamma,
altamente penetranti che possono poi convertirsi in una coppia
elettrone-positrone. Il problema
principale degli atomi radioattivi (isotopi radioattivi) è che non
sono distinguibili, dal punto di vista chimico, dagli atomi non
radioattivi: la differenza è solo a livello di nucleo atomico. In
particolari condizioni il processo di fissione si alimenta da solo
(reazione a catena) cioè l'energia emessa, catturata da altri atomi
fissili, è sufficiente a scinderli. La fissione di un atomo, in
questo caso, provoca la fissione di uno o più altri atomi secondo un
certo coefficiente moltiplicativo che dipende dalla quantità di
materiale fissile e da altre caratteristiche fisiche. La fissione
degli atomi procede secondo una progressione geometrica che in
pochissimo tempo libera quantità incredibili di energia. Basta pensare che i
livelli energetici a cui siamo abituati nella vita quotidiana
(agitazioni termiche molecolari), quelli che sono emessi da normali
processi di riscaldamento, si misurano in centesimi di elettrovolt,
che l'energia liberata nelle reazioni chimiche va dalle decine di
elettrovolt alle centinaia di migliaia, mentre le reazioni nucleari
liberano energie dell'ordine di milioni, delle decine di milioni di
elettrovolt. Sono queste immense energie in gioco che fanno sì che
le scorie radioattive, i prodotti nucleari, siano praticamente
ineliminabili: solo energie superiori potrebbero "bruciare"
i rifiuti nucleari. Il principio su cui
si basa la bomba atomica è di innescare la reazione a catena:
avvicinare velocemente due masse di uranio o altro materiale fissile
in modo che s'instauri questo processo. La fissione dei nuclei
produce fissione di altri nuclei seguendo una progressione geometrica
che ovviamente libera energie elevatissime provocando l'esplosione. Anche in una
centrale nucleare ci si basa sullo stesso principio. Ovviamente in
questo caso, però, non si deve cercare di far fissionare tutto il
materiale nel più breve tempo possibile, ma invece si deve
controllare la reazione a catena perché il coefficiente
moltiplicativo non scenda sotto il valore uno (ciò infatti
porterebbe allo spegnimento della centrale), né salga sopra il
valore uno per non innescare il processo esplosivo. Una situazione
che si potrebbe paragonare al tentativo di tenere una bottiglia in
equilibrio su un'asta posta su un dito.
Sindrome cinese
Mentre la maggior
parte dei sistemi con cui abbiamo a che fare è sostanzialmente
stabile (di fronte ai cambiamenti tendono a ritornare in posizione di
equilibrio), una centrale nucleare è un sistema completamente
instabile che necessita di continue correzioni e controlli. Barre di
materiale particolare, in grado di assorbire le particelle (neutroni)
emesse durante la fissione, vengono continuamente affondate o tolte
per mantenere quel coefficiente uguale a uno. Il controllo è
ovviamente elettronico, anche perché data la grande velocità del
processo le correzioni vanno apportate nel limite del minuto. Se non si riesce,
per qualsiasi motivo, a controllare in tempo la reazione a catena
questa prosegue il suo corso; se era inferiore a uno il reattore si
spegne, se era superiore si va, in tempi brevi, verso la fusione del
reattore, si raggiungono temperature di 5000 gradi. A questo punto
tutte le strutture vengono meno, abbiamo di fronte solo un ammasso
fuso che continua il processo di reazione. Bisogna chiarire
che non si può parlare di esplosione nucleare poiché per avere
l'esplosione è fondamentale avvicinare le due masse molto
velocemente. Un avvicinamento lento aumenta la temperatura facendo
fondere, evaporare o dilatare il materiale fissile. Si realizza
quello che si potrebbe chiamare un piccolo sole, con delle proprie
leggi di cui gli stessi ingegneri nucleari sono inesperti. In un
reattore nucleare è fondamentale infatti anche la struttura
spaziale. Nel caso di fusione del nocciolo interviene una serie di
parametri non prevedibili, fondono sostanze diverse. Si può
realizzare una situazione per cui questa massa di materiale
incandescente che continua ad alimentarsi con temperature dell'ordine
di 5000 gradi genera quella che si chiama "Sindrome Cinese":
il materiale fuso autoalimentandosi perfora la terra. Se quindi non è
esatto parlare di esplosione nucleare è pur sempre materiale che
libera energie incredibili e oltretutto radioattivo. È quello ché è
successo a Chernobyl. Il reattore di
Chernobyl era moderato a grafite con un nocciolo di 7 metri per 12.
Un ammasso di colonne di grafite (2500) all'interno di 1600 delle
quali erano ricavati dei canali a pressione in cui scorreva acqua
bollente contenente l'ossido di uranio. Forse per la caduta
di una gru, come sembra dalle ultime ricostruzioni, o forse per
un'interruzione all'alimentazione delle pompe del circuito di
raffreddamento, la circolazione del refrigerante si è bloccata. A
questo punto teoricamente dovrebbe intervenire il circuito
d'emergenza o, nella peggiore delle ipotesi, l'arresto rapido del
reattore. Le barre che assorbono i neutroni vengono inserite
rapidamente spegnendo il reattore. Purtroppo, però, l'arresto rapido
non ha funzionato e la temperatura si è elevata rapidamente. Un
reattore a piena potenza ha cominciato a fondersi. Si sono prodotte
grandi quantità di vapore e acqua in pressione che hanno causato
un'esplosione scoperchiando il reattore. Una colonna mista di acqua,
vapore ed elementi radioattivi si è liberata. Le condizioni
meteorologiche particolari hanno fatto il resto: la colonna è stata
trascinata negli strati alti dell'atmosfera e dispersa su tutta
l'Europa. Il nocciolo del reattore, un ammasso di materiale fuso, ad
alta temperatura, continuava a bruciare. L'impossibile è accaduto.
Ma quale
sicurezza?
Si possono definire
sicure le centrali nucleari? La polemica è
divampata dopo Chernobyl, alimentata dalla potente lobby nucleare che
si è vista in pericolo. Le centrali nucleari sicure - affermano -
esistono, sono solo quelle russe a non esserlo: dimenticandosi
bellamente che la centrale di Chernobyl a grafite era di tecnologia
inglese, molto simile, se non uguale, alle nove centrali inglesi a
grafite, a quella italiana di Latina; dimenticandosi che nel 1979 a
Three Miles Island lo stesso incidente è stato evitato per un puro
caso. Tutto fumo negli
occhi come il tanto decantato secondo contenitore delle centrali
nucleari: contenitore tipico e necessario delle centrali ad acqua
leggera (come Caorso), tanto è vero che le centrali a grafite
occidentali non lo hanno esattamente come quelle russe. Del resto,
secondo i grafici dell'agenzia atomica francese, la pressione nel
secondo contenitore aumenta, in caso di incidente, da una a 6-7
atmosfere in dieci secondi. Questo è il tempo limite per riuscire a
metterlo in depressione, poiché a sette atmosfere non si può
garantire la tenuta del secondo contenitore. D'altra parte proprio
per le caratteristiche fisico-geometriche delle centrali ad acqua
leggera, la fusione del nocciolo potrebbe portare a situazioni ancora
più critiche di quelle verificatesi a Chernobyl. Infatti le barre
del nocciolo non hanno in questo caso una divisione fisica e ciò
comporta una temperatura ancora più elevata. Addirittura, nei
reattori ad acqua leggera una fessurazione delle barre può portare
all'innesco della fusione alla base del nocciolo con conseguenze
disastrose. Allora la
tecnologia non è in grado di costruire centrali nucleari sicure?
Teoricamente sarebbe possibile avere centrali sicure. Solo
teoricamente però, perché al rischio zero corrispondono costi
infiniti. Ovviamente un costo infinito non è possibile per cui il
rischio è legato indissolubilmente alle centrali, un rischio che
dipende da diversi fattori. Proprio per la
tecnologia estremamente sofisticata che richiedono, le centrali
nucleari hanno bisogno di materiali con standard specifici. Standard
che possono essere anche particolarmente onerosi e che quindi
possono, per ragioni economiche, non essere rispettati. Una
tecnologia raffinata deve comunque fare i conti con il fattore umano.
Un fattore che rimane per forza di cose imprevedibile. Se l'errore umano
deve sempre essere ipotizzato, in società dove il lavoro è
parcellizzato e gerarchizzato la sua probabilità aumenta. Aumenta
anche la possibilità che, per le stesse ragioni, i piccoli danni non
siano segnalati. Una situazione che certamente è peggiore in URSS
dove la gerarchizzazione è maggiore, ma che non salva l'Occidente da
rischi analoghi. Del resto il
rischio centrale non è solo la probabilità di un incidente più o
meno grave, ma la centrale stessa. Una centrale nucleare infatti
diffonde nell'atmosfera, nel corso normale della sua attività, circa
un chilo di plutonio all'anno oltre a molti altri prodotti
radioattivi che si depositano via via sul terreno. Il solo plutonio,
oltre che altamente radioattivo (ha un periodo di dimezzamento di
24.400 anni), è estremamente tossico (la massima dose ammissibile è
di sei milionesimi di grammo). Non è certo una coincidenza che i
casi di cancro aumentino intorno alle centrali. A questo punto,
visto che la sicurezza di una centrale è una questione puramente
ipotetica, si sostiene che il rischio è legato alla vita umana
stessa. Che, dopotutto, si muore di più per il tabacco, il vino, gli
incidenti stradali e ancora non so cosa. Che il progresso esige il
suo prezzo e le sue vittime. È
vero che tutta la nostra vita è un rischio, che rischiamo di morire
nel momento stesso in cui veniamo alla luce, ma c'è una bella
differenza tra il rischio individuale, liberamente scelto, e il
rischio catastrofico imposto, volenti o nolenti, a tutti. E se si vuole
considerare un incidente nucleare alla stregua di una catastrofe
naturale (ma il rischio continuo durante l'attività della centrale
come va classificato, incoscienza?) bisogna anche rendersi conto che
mentre gli effetti di una tragedia naturale non vanno mai oltre un
tempo ben limitato (poche settimane) qui gli effetti sono a lunga
scadenza: generazioni future pagheranno per questi incidenti. Non
solo perché le morti radioattive continuano per decenni, non solo
per le mutazioni genetiche che si ripercuotono per secoli o perché
il plutonio è pericoloso per almeno 50.000 anni, ma soprattutto
perché stiamo stivando qua e là materiali tossici e radioattivi che
non sappiamo dove mettere e che non siamo capaci di distruggere.
Rifiuti radioattivi su cui sappiamo ancora troppo poco e che sono la
nostra poco invidiabile eredità per i nostri nipoti e pronipoti. Un giornale ha
riportato l'intervista di uno dei pompieri di Chernobyl, gravemente
colpito dalle radiazioni. Dopo, nessuno ne ha più parlato, non so
più nulla di quell'uomo ma nel momento stesso in cui leggevo la sua
storia sapevo che stavano intervistando uno zombie: la sua morte era
stata decretata giorni prima da quei fumi radioattivi. Solo il
momento preciso, una, due, forse quattro settimane, era incerto.
Forse per altri la dilazione sarà maggiore: qualche anno, anche
venti magari, non di più. Quanti sono oggi
gli zombie che girano per l'Europa? Lo sapremo nei prossimi
vent'anni: a dircelo saranno i numeri delle statistiche di morti per
cancro, sempre che nel frattempo qualche altra Chernobyl non sballi i
calcoli o li renda inutili.
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