Rivista Anarchica Online
La maschera
gettata
di Nino Siclari
Il nucleare ha
mostrato il suo vero volto. Dopo Chernobyl non è più possibile
continuare a sostenere che simili incidenti sono altamente
improbabili. Lo spiega Nino Siclari, ingegnere nucleare, co-autore di
una lettura critica del "rapporto Rasmussen" e
collaboratore di un gruppo di ricerca sulla sicurezza nucleare.
La fusione del
nocciolo nei reattori nucleari, evento da sempre giudicato
"tecnologicamente impossibile" è diventato "improbabile"
in seguito ad uno studio sulla sicurezza dei reattori americani del
1975 (il Rapporto Rasmussen). L'incidente di Three Miles Island nel
1979 ha poi dimostrato che questo evento è "probabile".
Infine oggi, con il disastro di Chernobyl, è diventato "reale".
È con questa realtà che
il nucleare deve fare i conti. Questa volta non si
può più far finta di niente: circa 300 milioni di europei sono
stati forzatamente sottoposti dall'industria nucleare ad un test
radiologico senza precedenti. I mercati interni e quello
internazionale del continente sono stati sconvolti da provvedimenti
di interdizione dal consumo di verdure e latte allo scopo di tutelare
la salute di una innumerevole quantità di cavie umane. Il nucleare ha
gettato la maschera dimostrando al mondo intero che le stime finora
fatte sulla probabilità di incidenti catastrofici non solo erano
realistiche, ma forse anche ottimistiche. Il disastro
nucleare ha la tremenda caratteristica della massificazione del danno
biologico, ciò garantisce in un futuro neanche troppo lontano
l'evidenza dei suoi effetti nefasti: tumori, leucemie, danni
genetici, malformazioni nei neonati. La stessa Commissione
Internazionale per la Protezione Radiologica (ICRP) conferma la
corrispondenza del rischio di danni biologici in proporzione alle
dosi di radiazione subite. Non è ancora provato, quindi, che le dosi
di bassa entità non causino nel lungo periodo una certa probabilità
di effetti sulla salute: ciò comporta in pratica l'inesistenza di
una soglia di dose al di sotto della quale non vi siano danni. L'Agenzia Atomica
Internazionale di Vienna (IAEA) riconosce che una popolazione che
abbia subito 1 rem incorre nella probabilità che 120-130 persone su
un milione contraggano un tumore mortale a causa di quella dose. È
quindi chiaro che la radiazione subita in questi giorni avrà degli
effetti individuali che si evidenzieranno, come danno subito dalla
collettività, nel giro di una ventina d'anni, ma che d'altra parte
saranno difficilmente rilevabili da un punto di vista statistico, in
quanto l'innalzamento della mortalità da tumori sarà relativamente
basso. La stima della
radiazione subita da ogni singolo a causa del passaggio della nube
sull'Italia si può quantificare mediamente, anche se il dibattito è
ancora in corso, in circa 100 millirem in 10 giorni. Questo
comporterà quindi un aumento di tumori e leucemie dell'ordine di
qualche centinaio sulla popolazione italiana e di qualche migliaio a
parità di dose a livello europeo. Questo valore di
dose, riportato su scala giornaliera, corrisponde a 10 millirem al
giorno, un valore cioè 30-40 volte superiore a quello del fondo
naturale di radioattività, che è di circa 0,3 millirem al giorno.
La Protezione Civile ha continuato invece ad affermare che il paese
stava subendo solo una dose doppia rispetto al fondo naturale.
Per un paio di
generazioni
A conferma di
questo inganno giunge poi la notizia di una fuga di dati, mai
pubblicati, sulla presenza in quantità rilevanti di Cesio 137 e 134,
isotopi radioattivi con tempi di dimezzamento di anni. Il territorio
italiano non resterà quindi contaminato per un mese o due, come
sarebbe stato a causa del solo Iodio 131, ma addirittura per un paio
di generazioni. Il governo si è
trovato a scegliere tra la salute della gente e la credibilità della
scelta nucleare, cosa che, tra l'altro, ha portato ad un evidente
contrasto operativo tra la Protezione Civile ed il Ministero della
Sanità. Ammettere un diffuso irraggiamento della popolazione voleva
dire mettere in aperta discussione il Piano Energetico Nazionale,
compresa tutta l'industria nucleare italiana ed i rapporti economici
riguardanti l'acquisto dei nuovi reattori di tipo statunitense in
programma di costruzione. In questa guerra
informativa abbiamo visto schierati non solo il nostro governo ma
l'Europa intera, come ad esempio il governo francese che, tacendo le
dosi causate dalla nube radioattiva, tentava di salvare l'esistenza
di ben 44 centrali atomiche, oppure il governo sovietico, che nemmeno
di fronte ad un'emergenza nazionale ed internazionale, ha dimostrato
di aver superato il timore della diffusione dell'informazione. Il nucleare non
porta con sé solo il segreto militare, come tutte le produzioni nate
da scopi bellici, ma con i suoi fallimenti ha favorito la
consapevolezza di quanto sia inaccettabile il rischio per la propria
salute in cambio di un mito consumistico ormai in declino. Infatti la
realtà dell'inquinamento ambientale è diventata drammatica per
ognuno di noi, e non può più essere giustificata in nome delle
esigenze di sviluppo, poiché le proiezioni dei consumi energetici ci
segnalano che non solo questi tendono a saturarsi, ma anche a
diminuire.
Fonti
alternative: una scelta possibile
La filosofia
secondo cui la crescita sociale e quella tecnologica vanno di pari
passo perde di significato di fronte alle conseguenze catastrofiche
di incidenti gravi in reattori nucleari che l'ENEA (ex CNEN) vorrebbe
fossero accettati al pari di una fatalità: "L'esperienza
suggerisce che la probabilità di tali eventi è sufficientemente
remota e che il loro verificarsi possa essere considerato alla
stregua di una fatalità. Ed implicito in tale concetto esiste
l'altro che, di fronte ad una fatalità, si accettano con
rassegnazione conseguenze, anche catastrofiche, che vengono sentite
come ineluttabili" (da "Sicurezza delle centrali
elettronucleari ad acqua leggera", Felicetti-Galvagni, RT/DISP
1977). Ma tecnologia non
significa solamente produzioni a rischio. Investire risorse per il
perfezionamento delle tecniche di sfruttamento delle fonti
alternative, è una scelta ancora possibile per l'Italia, tenuto
conto che, almeno per quanto riguarda il nucleare civile, il nostro
non è ancora un paese nuclearizzato. Le risorse a disposizione non
sono poche: il carbone opportunamente applicato, il gas naturale in
grandi quantità, l'energia eolica che, secondo uno studio del CNR,
può far fronte a 9 volte la domanda attuale di energia elettrica, le
risorse idroelettriche che da sole potrebbero coprire l'attuale
produzione di energia da fonte nucleare, l'energia solare con le
favorevoli condizioni di sfruttamento alle nostre latitudini e infine
una seria programmazione del risparmio energetico. La scelta più
urgente però consiste nell'intervenire garantendo che siano tutelate
le popolazioni attualmente soggette a rischio nucleare. Questo
comporta un adeguamento alle norme sull'emergenza che altri paesi
adottano ormai da tempo. L'inammissibilità
dei parametri italiani di intervento in caso di incidente è
veramente rilevante. Tanto per cominciare, il massimo incidente
ipotizzato non è la fusione del nocciolo. Basta infatti osservare i
dati relativi al Piano d'Emergenza della Centrale di Caorso (PC) per
rendersi conto che il rilascio di radioattività massimo ipotizzato è
di migliaia di volte inferiore a quello di paesi fortemente
nuclearizzati. Questo comporta che
anche le distanze dalla centrale, alle quali vengono effettuati
l'evacuazione della popolazione, il controllo della catena alimentare
e la decontaminazione sono largamente inferiori, cosa che comporta
minori costi sociali ed economici di intervento, ma maggiori oneri
per la salute della popolazione effettivamente esposta alle
radiazioni. Il dato allarmante
consiste poi nella dose che gli abitanti della zona a rischio possono
subire prima che si dichiari l'emergenza nucleare: i valori sono di
25-50 volte superiori a quelli degli altri paesi. Chernobyl, ci ha
costretto a riconsiderare quel pericoloso concetto di "affidabilità
nucleare" un tempo mitizzato, ha incrinato le convinzioni e le
certezze che lo supportavano. Ma fino a che punto?
Confronto dei
parametri per l'emergenza nucleare.
|
CAORSO
|
USA
|
FRANCIA
|
SPAGNA
|
GIAPPONE
|
Distanza entro cui si prevede l'evacuazione (km )
|
2
|
16
|
10
|
10
|
10
|
Zona a rischio per la catena alimentare (km)
|
40
|
80
|
non precisata
|
non precisata
|
non precisata
|
Rilasci previsti (curie di iodio 131 equivalente)
|
1000
|
100 milioni
|
molto grave (non precisato)
|
180 milioni
|
molto grave (non precisato)
|
Dosi di riferimento per l'emergenza (rem)
|
25
|
1
|
0,5
|
0,5
|
1
|
|