Rivista Anarchica Online
Anticacciatori in
campo
di Massimo Panizza
Ecco che Orso
tornò con due conigli selvatici. Li arrostirono sulla brace e li
mangiarono con pane e ghiande, poi distesero al suolo le loro coperte
di pelli di coniglio. Allora Orso recitò: "Buona notte Montagne.
Voi dovete proteggerci, questa notte. Noi siamo stranieri, ma siamo
brava gente. Non vogliamo far male a nessuno. Buona notte signor
Pino. Ci siamo accampati sotto di te. Tu devi proteggerci, questa
notte. Buona notte signor Gufo. Mi sa tanto che ci siamo accampati in
casa tua. Siamo brava gente, non cerchiamo guai, è solo che siamo in
viaggio. Buona notte Capo Serpente a Sonagli. Buona notte a tutti.
Buona notte popolo delle Erbe; abbiamo steso i nostri giacigli
proprio sopra di voi. Buona notte, Terra, siamo sdraiati proprio
sulla tua faccia. Devi prenderti cura di noi, vogliamo vivere a
lungo". (da "Racconti
indiani", Jaime de Angulo)
Cos'è la caccia in
una società dove non serve per sopravvivere? La caccia può
costituire parte del sostentamento per una popolazione in equilibrio
in un ciclo alimentare. Esistono tuttora in qualche sperduto angolo
terrestre popoli cacciatori sempre più incalzati dalla civiltà. I
pellerossa delle pianure del Nord America sono stati annientati anche
con lo sterminio dei bisonti di cui vivevano ricavando pelli e carni.
Il rapporto che gli indiani avevano con la morte dei bisonti era
imprescindibile. Quello che è cambiato è il rapporto con la morte.
Dopo aver ucciso un animale erano tristi e cantavano alla sua ombra
per pacificarla: "Per favore non essere arrabbiato con noi:
abbiamo fame. La nostra gente ha fame e così abbiamo dovuto dargli
da mangiare. Non essere arrabbiato con noi". Il ringraziamento
rituale, lo sporcarsi del sangue dell'animale ucciso era, è tuttora
per un popolo cacciatore, una sorta di rispetto, la consapevolezza di
essere parte integrante di una natura generosa, ma da non sfruttare,
né dominare. Nella civiltà dei computer distinguiamo un segno, un
barlume di tanta saggezza? Quanti luoghi
comuni si leggono e si sentono di questi tempi. Sembra degno di
considerazione solo l'anticaccia vegetariano, perché coerente. Non sono
vegetariano, ma cerco di essere coerente. Una sola ragione può
autorizzarmi ad agire contro i cacciatori: la tutela della mia vita e
della vita su questo pianeta. Gli animali selvatici sono concatenati
in equilibri delicati (ecosistemi) all'interno dei quali le cose
viventi sono interdipendenti e giocano ruoli complementari nel
perpetuare la stabilità dell'ordine sociale ("L'ecologia
della libertà", Murray Bookchin). Altro è la violenza
sugli animali, altro sono gli animali allevati. Non lasciamoci
incantare da chi accusa il "carnivoro" cittadino di non
saper egli stesso uccidere. Come se i milioni di metropolitani
potessero organizzare battute di caccia nel Bronx o a Brera. Neanche
i gatti, i cani o i piccioni basterebbero. Liberiamo polli e tacchini
nei supermercati. Gli si tira il collo facendo la spesa, dentro il
naso nelle viscere e via, alla cassa! Altro è
l'industria delle armi. La sua produzione non ha bisogno della caccia
per giustificarsi: non saranno certo i guerrafondai a preoccuparsi di
una briciola di umano consenso. Nemmeno demonizziamo i cacciatori,
come unici responsabili di una situazione che sta precipitando.
L'ecosistema è attaccato da più parti e quel che è peggio spesso
irreversibilmente. Povero cacciatore! Baluardo superstite di un certo
coraggio "maschio": una vera forza della natura. Nulla può
fermarlo, accecato com'è dal desiderio di sottomettere, di stanare,
di vincere. Il "vero
cacciatore" è in estinzione tanto quanto la selvaggina.
Proteggiamolo. Proteggiamo chi mangia carne umanamente e onestamente
autocacciata (Beniamino Placido, La Repubblica), chi è
costretto a trascinare il fardello di ataviche istintualità.
Mettiamogli a disposizione parchi, riserve, regioni. Che cancellino
una volta per tutte migratori, starne, aquile, stambecchi e che
continuino a disseminare la campagna di piombo, a sua volta ferale
per gli acquatici e per i pesci. Non ci credo all'erede dei popoli
cacciatori. Se in un cacciatore è rimasto un barlume di quell'antica
saggezza, se esistesse in qualche valle dimenticata, avrà da tempo
appeso la spingarda, primo a riconoscere e a soffrire della frattura,
del baratro che separa uomo e natura. L'altro, quello che perpetua,
fucile alla mano, il dominio cieco e distruttore, non ha la mia
comprensione. Questi sono i cacciatori, giù la maschera! Guerrino Giorgetti
insegna. Attraverso il suo libro "Memorie di un cacciatore
pentito" ripercorre le contraddizioni di chi oggi pratica
l'attività venatoria. Condivido le sue conclusioni: "Non
possono essere le leggi a riconciliare la caccia con l'ambiente. Non
si può decidere con la burocrazia quanti animali possono essere
abbattuti. La natura non è un supermercato. Meglio, molto meglio
smetterla del tutto". Se può essere
chiaro il consesso del problema, diventa complessa l'azione. Il mezzo
referendario, lo strumento a termini di legge, si rivela ambiguo,
inutile. E non può essere che così. Quale stato può covare in seno uno
strumento di controllo popolare? Essendo abrogativo, il referendum
italiano può solo eliminare leggi o articoli esistenti.
Riproducibili anche solo lievemente modificati, se ce ne fosse
bisogno. In questo caso è
particolarmente ambiguo. Trattasi dell'abrogazione della 968
(legge-quadro che delega alle regioni il potere in materia) a parte
l'art. 1 che dice: "La selvaggina è patrimonio indisponibile
dello stato". Gli altri articoli costituiscono un elenco di
regole riguardanti specie, località, stagioni cui le regioni devono
attenersi. E trattasi dell'art. 842 del codice civile che autorizza
soltanto i cacciatori a entrare nei fondi agricoli non di loro
proprietà per esercitare la caccia. Al di là del fatto che solo i
possessori di riserve di caccia o grandi possedimenti potrebbero a
questo punto usare il fucile - disgustoso! - mi sembra ridicolo
avallare un problema con un sì o un no alle urne. Chi sarebbe
davvero consapevole che il veto è imposto da un'emergenza ecologica
e non da vegetarianesimo, amore per gli animali, odio dei cani da
caccia (come Oreste Del Buono confessa sul Corriere della Sera),
boicottaggio dell'industria delle armi, contributo al paradiso
terrestre, ecc.? Nessuno di questi
motivi, più o meno condivisibili, potrebbe giustificare un divieto.
La maggiore consapevolezza di tutti - cacciatori e non - non dipende
dal referendum che si sorregge su un equivoco di fondo, e cioè sulla
persuasione della sovranità del popolo nelle scelte decisionali, una
sovranità del tutto inesistente. Certo è più comodo illudere pur
di non smascherare gli interessi che regolano le scelte in alto,
fornendo alla gente gli strumenti conoscitivi indispensabili alla
comprensione reale della necessità di una svolta. E allora non resta
che rimboccarci le maniche e combattere sul piano culturale e del
sabotaggio, ovvero contrastare il cacciatore sul suo stesso campo
distruggendo i rifugi e allontanando gli animali. Nessun divieto può
essere efficace quanto un "anti-cacciatore" in campo. È
triste ma credo che molto presto il problema della caccia ci sembrerà
secondario. Ben altro oscura l'orizzonte. I cacciatori, ne sono
sicuro, lo capiranno. Con o senza referendum.
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