Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 138
giugno 1986


Rivista Anarchica Online

Anticacciatori in campo
di Massimo Panizza

Ecco che Orso tornò con due conigli selvatici. Li arrostirono sulla brace e li mangiarono con pane e ghiande, poi distesero al suolo le loro coperte di pelli di coniglio. Allora Orso recitò: "Buona notte Montagne. Voi dovete proteggerci, questa notte. Noi siamo stranieri, ma siamo brava gente. Non vogliamo far male a nessuno. Buona notte signor Pino. Ci siamo accampati sotto di te. Tu devi proteggerci, questa notte. Buona notte signor Gufo. Mi sa tanto che ci siamo accampati in casa tua. Siamo brava gente, non cerchiamo guai, è solo che siamo in viaggio. Buona notte Capo Serpente a Sonagli. Buona notte a tutti. Buona notte popolo delle Erbe; abbiamo steso i nostri giacigli proprio sopra di voi. Buona notte, Terra, siamo sdraiati proprio sulla tua faccia. Devi prenderti cura di noi, vogliamo vivere a lungo".
(da "Racconti indiani", Jaime de Angulo)

Cos'è la caccia in una società dove non serve per sopravvivere? La caccia può costituire parte del sostentamento per una popolazione in equilibrio in un ciclo alimentare. Esistono tuttora in qualche sperduto angolo terrestre popoli cacciatori sempre più incalzati dalla civiltà. I pellerossa delle pianure del Nord America sono stati annientati anche con lo sterminio dei bisonti di cui vivevano ricavando pelli e carni. Il rapporto che gli indiani avevano con la morte dei bisonti era imprescindibile. Quello che è cambiato è il rapporto con la morte. Dopo aver ucciso un animale erano tristi e cantavano alla sua ombra per pacificarla: "Per favore non essere arrabbiato con noi: abbiamo fame. La nostra gente ha fame e così abbiamo dovuto dargli da mangiare. Non essere arrabbiato con noi". Il ringraziamento rituale, lo sporcarsi del sangue dell'animale ucciso era, è tuttora per un popolo cacciatore, una sorta di rispetto, la consapevolezza di essere parte integrante di una natura generosa, ma da non sfruttare, né dominare. Nella civiltà dei computer distinguiamo un segno, un barlume di tanta saggezza?
Quanti luoghi comuni si leggono e si sentono di questi tempi. Sembra degno di considerazione solo l'anticaccia vegetariano, perché coerente.
Non sono vegetariano, ma cerco di essere coerente. Una sola ragione può autorizzarmi ad agire contro i cacciatori: la tutela della mia vita e della vita su questo pianeta. Gli animali selvatici sono concatenati in equilibri delicati (ecosistemi) all'interno dei quali le cose viventi sono interdipendenti e giocano ruoli complementari nel perpetuare la stabilità dell'ordine sociale ("L'ecologia della libertà", Murray Bookchin). Altro è la violenza sugli animali, altro sono gli animali allevati.
Non lasciamoci incantare da chi accusa il "carnivoro" cittadino di non saper egli stesso uccidere. Come se i milioni di metropolitani potessero organizzare battute di caccia nel Bronx o a Brera. Neanche i gatti, i cani o i piccioni basterebbero. Liberiamo polli e tacchini nei supermercati. Gli si tira il collo facendo la spesa, dentro il naso nelle viscere e via, alla cassa!
Altro è l'industria delle armi. La sua produzione non ha bisogno della caccia per giustificarsi: non saranno certo i guerrafondai a preoccuparsi di una briciola di umano consenso. Nemmeno demonizziamo i cacciatori, come unici responsabili di una situazione che sta precipitando. L'ecosistema è attaccato da più parti e quel che è peggio spesso irreversibilmente. Povero cacciatore! Baluardo superstite di un certo coraggio "maschio": una vera forza della natura. Nulla può fermarlo, accecato com'è dal desiderio di sottomettere, di stanare, di vincere.
Il "vero cacciatore" è in estinzione tanto quanto la selvaggina. Proteggiamolo. Proteggiamo chi mangia carne umanamente e onestamente autocacciata (Beniamino Placido, La Repubblica), chi è costretto a trascinare il fardello di ataviche istintualità. Mettiamogli a disposizione parchi, riserve, regioni. Che cancellino una volta per tutte migratori, starne, aquile, stambecchi e che continuino a disseminare la campagna di piombo, a sua volta ferale per gli acquatici e per i pesci. Non ci credo all'erede dei popoli cacciatori. Se in un cacciatore è rimasto un barlume di quell'antica saggezza, se esistesse in qualche valle dimenticata, avrà da tempo appeso la spingarda, primo a riconoscere e a soffrire della frattura, del baratro che separa uomo e natura. L'altro, quello che perpetua, fucile alla mano, il dominio cieco e distruttore, non ha la mia comprensione. Questi sono i cacciatori, giù la maschera!
Guerrino Giorgetti insegna. Attraverso il suo libro "Memorie di un cacciatore pentito" ripercorre le contraddizioni di chi oggi pratica l'attività venatoria. Condivido le sue conclusioni: "Non possono essere le leggi a riconciliare la caccia con l'ambiente. Non si può decidere con la burocrazia quanti animali possono essere abbattuti. La natura non è un supermercato. Meglio, molto meglio smetterla del tutto".
Se può essere chiaro il consesso del problema, diventa complessa l'azione. Il mezzo referendario, lo strumento a termini di legge, si rivela ambiguo, inutile. E non può essere che così. Quale stato può covare in seno uno strumento di controllo popolare? Essendo abrogativo, il referendum italiano può solo eliminare leggi o articoli esistenti. Riproducibili anche solo lievemente modificati, se ce ne fosse bisogno.
In questo caso è particolarmente ambiguo. Trattasi dell'abrogazione della 968 (legge-quadro che delega alle regioni il potere in materia) a parte l'art. 1 che dice: "La selvaggina è patrimonio indisponibile dello stato". Gli altri articoli costituiscono un elenco di regole riguardanti specie, località, stagioni cui le regioni devono attenersi. E trattasi dell'art. 842 del codice civile che autorizza soltanto i cacciatori a entrare nei fondi agricoli non di loro proprietà per esercitare la caccia. Al di là del fatto che solo i possessori di riserve di caccia o grandi possedimenti potrebbero a questo punto usare il fucile - disgustoso! - mi sembra ridicolo avallare un problema con un sì o un no alle urne. Chi sarebbe davvero consapevole che il veto è imposto da un'emergenza ecologica e non da vegetarianesimo, amore per gli animali, odio dei cani da caccia (come Oreste Del Buono confessa sul Corriere della Sera), boicottaggio dell'industria delle armi, contributo al paradiso terrestre, ecc.?
Nessuno di questi motivi, più o meno condivisibili, potrebbe giustificare un divieto. La maggiore consapevolezza di tutti - cacciatori e non - non dipende dal referendum che si sorregge su un equivoco di fondo, e cioè sulla persuasione della sovranità del popolo nelle scelte decisionali, una sovranità del tutto inesistente. Certo è più comodo illudere pur di non smascherare gli interessi che regolano le scelte in alto, fornendo alla gente gli strumenti conoscitivi indispensabili alla comprensione reale della necessità di una svolta.
E allora non resta che rimboccarci le maniche e combattere sul piano culturale e del sabotaggio, ovvero contrastare il cacciatore sul suo stesso campo distruggendo i rifugi e allontanando gli animali. Nessun divieto può essere efficace quanto un "anti-cacciatore" in campo.
È triste ma credo che molto presto il problema della caccia ci sembrerà secondario. Ben altro oscura l'orizzonte. I cacciatori, ne sono sicuro, lo capiranno. Con o senza referendum.