Rivista Anarchica Online
L'anomalia
ripugnante
di Pino Bertelli
1. I "fenomeni da
baraccone", gli "scherzi di natura" e l'"anomalia ripugnante"
sono i "mostri quotidiani" che hanno popolato i nostri sogni
ed afferrato le nostre paure. Nani, giganti,
esseri deformi, persone singolari, svantaggiati di ogni razza, tipo o
sesso sono stati per lungo tempo letture, visioni o immagini
edulcorate nella pietà cristiana e cristallizzate nella mitologia
accademica come "cattivi pensieri", curiosità e morbosa
attrazione di ragazzi devianti verso tutto ciò che è trasgressivo. L'ostilità dei
"normali" verso i freaks, handicappati, "mostri quotidiani",
ecc., è una proiezione demonizzante del proprio "doppio",
l'altro taglio della maschera. Così Jacques Lacan: "l'io dell'uomo
moderno ha assunto la propria forma nella impasse dialettica
dell'anima bella che non riconosce la ragione stessa del suo essere
nel disordine che essa denuncia nel mondo" (1). La devastazione,
l'eliminazione, l'osteggiamento di tutto ciò che è "norma"
contro tutto quanto è "malformazione". Ogni "anomalia"
è ricevuta nel tessuto sociale come disgregazione. Il "peccato"
è l'estrema funzione del rituale. Tutto ciò che è ripugnante è la
confessione in pubblico della propria "diversità", l'atto
mancato di un codice esteriore che non ammette deformità. La cultura
dei simulacri (che di tutto parla perché di niente sa) è ancora
arroccata ad affermazioni di questo tipo: la natura non ama le
eccezioni; cerca di farle sparire; si preoccupa prima di tutto della
uniformità della razza, che è essenzialmente democratica e
livellatrice. Briganti e poeti,
rivoluzionari e prostitute, zingari e Attrazioni sono disturbatori
della Salute Pubblica, il loro comportamento abnorme è estraneo al
corpo sociale. Vanno neutralizzati ristabilendo scientificamente la
legalità della selezione naturale". (2) I "freaks"
bruciati nei forni di Hitler o gli omosessuali scomparsi nei campi di
lavoro della Siberia sovietica sono esempi da non dimenticare. In
fondo i "pinheads" (teste di spillo) che si agitano sui
palcoscenici della politica non sono poi tanto diversi dagli
svantaggiati di ogni razza e colore: sono soltanto più pericolosi,
perché pieni di rancore e forti della loro immagine dilatata a
dismisura (dagli addetti stampa) che promettono tesori (che non ci
sono) per conquistare e controllare l'ebetudine popolare. Re, sacerdoti,
politici, gli scriba della cultura hanno tabuizzato l'"anomalia"
come pericolo. L'esempio da non seguire o da sopprimere. Si
considera tutto quello che è cagione e fonte di questa misteriosa
forza, sia le persone che i luoghi, gli oggetti e le circostanze
occasionali. Così, è tabù anche la prescrizione che da questa
proprietà procede. È
tabù, infine, nel senso vero della parola, tutto ciò che allo
stesso tempo può ritenersi santo, al di sopra del normale, ed anche
pericoloso, impuro, misterioso e sinistro" (3). Si teme sempre
ciò che incrina le nostre paure, che lacera le nostre illusioni. I reietti di ogni
fogna suburbana (drogati, alcolizzati, ladri, disoccupati, ecc.), i
deformi, gli infermi, i folli, gli scemi, i "fuori gioco" di
ogni tipo (gli scherzi di natura, gli incubi viventi) sono
l'"anomalia ripugnante" che la società del bello (e del
vuoto) è costretta ad ingozzare. I Freaks sono i nostri fratelli che
con la loro feroce esistenza minacciano l'esistenza di Dio e
l'umanità dell'uomo. La bava del loro
dolore interroga l'orrore degli sguardi che gli gettiamo addosso.
Solo in un circo, in un baraccone, in un museo o in un istituto
protetto non ci fanno schifo; eppure dietro quei pezzi di uomo,
quelle mostruosità, quell'innocenza pazza esistono teologie e
programmi che i "normali" abusano (con sospetto) per delimitare
il confine fra realtà e incubo. È la vampata di
rivolta culturale degli anni '60 a scuotere il mondo della
"normalità". Ovunque si respira il linguaggio della scollatura,
la presenza della sovversione figura i propri balli in America,
Grecia, Francia, Cecoslovacchia, Italia... i gendarmi del sapere
tremano... si teme una nuova Rivoluzione sociale... la Comune di
Parigi e la Guerra di Spagna non sono mai morte nelle teste
insofferenti dei ribelli della terra... il debutto per la conquista
dell'uguaglianza sulle macerie di ogni Stato è solo rimandato! Così Edmond Jabès:
"La rivolta di un'ombra affretta l'arrivo della luce, così come
l'illeggibilità, indirizzata contro se stessa, ci dispone alla
perfetta leggibilità" (4). La memoria dei bastonati sanguina rabbia
nell'insolenza diffusa della difformità visuale. Dai bordi
dell'esistenza si fanno sotto i soggetti dell'"anomalia"
che rivendicano il proprio diritto alla vita. I fantasmi di Polifemo,
di Golia, di Gargantua sono dissipati nella guerriglia urbana di
minoranze ardite che sconfessano l'impermeabilità cattedratica del
potere centrale. Neri, rossi, gialli, bianchi, giudei impertinenti e
cani rognosi insorgono contro la moderna Babilonia e in America, Rap
Brown, scriveva per "Black Power": Dichiarazione: occhio per
occhio. "...Le masse del
nostro popolo si muovono, combattono il nemico colpo per colpo,
rispondendo alla violenza controrivoluzionaria con la violenza
rivoluzionaria, occhio per occhio, dente per dente, vita per vita.
Queste rivolte non sono che prove per la vera rivoluzione... Più
forte della mia paura dei terribili maltrattamenti a cui potrei esser
soggetto in carcere è il mio odio per le condizioni terribili a cui
è soggetta la mia gente dappertutto in questo paese. Odio la pratica
della discriminazione razziale... Non c'è niente che un qualsiasi
tribunale possa fare per cambiare in qualsiasi modo quell'odio in me;
può solo essere eliminato eliminando le ingiustizie e l'inumanità
che esiste in questo paese..." (5). I "mostri
quotidiani" non sono solo i "fenomeni da baraccone". I
soggetti della devianza mondiale rappresentano la demonizzazione
della quiete sociale. La sovversione dell'ordine costituito.
Carcerati, torturati, uccisi, le figure dello scollamento e della
separazione, evidenziano le tracce d'un antagonismo (anche disperato)
che comunque e sempre inalbera la spaccatura con la comune morale. Tutto s'impara:
mediocri si nasce! Ogni "diavolo" è l'artificio retorico per
innalzare il "dio" di turno a simulacro del divenire. Ogni
fede è cieca. Ogni libertà obbligatoria. La democrazia è il
sacerdozio del terrore diffuso con altri mezzi. Chi non s'intona al
canto generale è l'anomalia. La "mela marcia". Ma di cosa
hanno paura i potenti? Di un coltello sotto la gola? Di una pistola
in bocca? Di un mitra dopo la funzione religiosa? Di una bomba che
esplode nel bel mezzo di un consiglio di amministrazione? No! I
potenti della terra hanno paura del tremito delle labbra degli
oppressi: "tremare è facile; ma saper dirigere il proprio tremito è
un'arte: da qui derivano tutte le ribellioni" (6). E l'anarchia?
Segna la fine della soggezione dell'uomo per mezzo dell'utopia
capitalista. L'orgoglio della sfida è la rottura del confine fra
individuo e massa. Tra soggettività e anonimia. I nostri carcerati
sono i costruttori famelici d'una umanità ammaestrata; "questi
giganti, dall'anima e dal corpo folgorati, ci terrificano. Se li
stiamo a guardare ci vergogniamo di essere nient'altro che uomini. E
se sono loro a guardarci, intuiamo le parole che la nostra mediocrità
ispira alla loro misericordia. Povere creature, che non avete il
coraggio di diventare unici, di diventare mostri" (7). La
"diversità" aderisce alla storia degli oppressi. Il "mostro"
che è in noi morde la facciata sociale; è lo spavento metafisico
dell'ironia figurale che ha segnato i nostri sogni, le nostre paure,
le nostre illusioni.... Di là dal recinto la stupidità è
feconda... Ogni tipo di sopravvivenza incrina la menzogna
amministrata e la miseria elettorale... La vita (vera) è fuori dalla
vita.
Segni e sogni
dell'emarginazione
2. L'"anomalia
ripugnante" è quanto sborda dalle pagine di Lewis Carrol (Alice
nel paese delle meraviglie), Mark Twain (Le avventure di Huckleberry
Finn), Carlo Collodi (Le avventure di Pinocchio), L. Frank Bauml (Il
mago di Oz), Jonathan Swift (I viaggi di Gulliver)... Qui la follia è
un gioco, la "diversità" - la ragione di esistere -, la norma -
l'esecuzione capitale delle soggettività in processo -; il delirio
generale si misura sui cadaveri degli eretici e nel massacro al
rialzo dei cospiratori. Ai bordi del
nanismo assoggettato di Walt Disney o del perbenismo autoritario
degli Hobbit di J.R.R. Tolkien i fumetti radicali americani fiondano
la distruzione dei simulacri. Pubblicazioni (o fanzine) come "Los
Angeles Free Press", "East Village other", "Yellow Dog", "The
Rag", "Gothic Blimp Works", "The Rat", "Radical America
Komoks", "Zap Comics", "Hydrogen Bomb Funnies" (qui
appaiono a puntate i fumetti di Gilbert Shelton - "Those Fabulous
Furry Freaks Brothers" -, conosciuti ovunque come "fumetti
Head"), deturpano l'ufficialità delle apparenze, mettono fuori
gioco ogni raffigurazione simbolica della società statuale. I
"Freaks Brothers" ad es., incarnano la smagliatura, la
soggettività dei "diversi" che si contrappone all'ordine dei
simulacri. Rapine, droga, omosessualità, rivoluzione... tutto va
bene per combattere l'ostilità dell'apparenza simulacrale: Famiglia,
Chiesa, Patria e tutto il resto sono concime per "gente pulita".
L'insulto denuncia la realtà opprimente, l'immaginario sociale
orchestrato nella violenza delle mitologie disfunzionali dello Stato
di diritto di polizia. A portare avanti il "buoncostume"
statuale ci provano con grande efficacia i "Marwel Comics" di
Stan Lee, e "L'incredibile Hulk", "L'uomo ragno", "I
Fantastici 4", "Capitan America", insieme a "Superman"
di Joe Shuster e Jerome Siegel formano una corporazione di
"super-eroi" che si adoperano per l'affermazione del trinomio
fascista di matrice evoliana: "Autorità, Ordine, Giustizia"!
(8). Siamo ancora dentro una realtà spettacolarizzata che denuncia
la mancanza del reale. I "super-eroi" di ogni tempo sono
gli apologeti del divenire ammanettato. Afflitti da turbe di probità
cronica, i "super-eroi" di ogni razza sono al servizio di
ogni potere/sapere che dedichi loro un monumento o una pagina nei
libri di storia. L'uomo non ha più
nulla da mordere non ha nemmeno ragione di esistere. La demonizzazione
della paura e la ribellione dell'"anomalia" sono parte
importante della "memoria" del cinema. La tela bianca (per niente
immacolata) ha rappresentato il mostro, il folle o il "diverso"
come anticipazione o prodotto d'una rottura con la società che li
ghettizza come appendici o escrezioni della propria farsa conviviale:
"abbiamo reso perfetta l'immagine del divenire, ma non siamo
approdati oltre l'immagine, dietro l'immagine" (9). Lì dove lo
"strappo" è inqualificabile, dove ogni affermazione della
differenza o devianza interroga la putrefazione dell'universo
borghese che ha fatto dell'apparenza lo splendore della propria
idiozia. Così Robert Musil:
"... quello che si dice un bello spirito sarebbe al tempo stesso un
bello stupido... senza stupidità l'uomo non arriverebbe neanche a
nascere... la stupidità... sopisce ogni sospetto: essa disarma... Il
più debole cerca il suo scampo nel fingersi più stupido di quello
che è... la volontà di un uomo è tanto più malvagia quanto più
valida è la sua intelligenza" (10). Né "differenza" né
"normalità" dunque! L'inconciliazione del pensiero negativo con
la dialettica dell'elemosina e della carità, non importa se
cristiana o marxista, scaturisce dalla conoscenza dei gendarmi del
presente: qui e dappertutto tutto ciò che si raffigura come
"anomalia" comporta la comprensione del disgusto. L'orrore
della borghesia industriale è affittare la morale disinfestante di
Hitler e di Stalin per bruciare i cadaveri bollenti della smagliatura
radicale che sbordano numerosi ai fianchi e sugli altari della
simulazione e della falsificazione. Hitler: 11 milioni
di morti scannati dalla storia. Stalin: "x" milioni di morti
incensati dalla ragione (non sono disponibili i libri contabili
dell'epurazione staliniana, ma le atrocità e le follie dei timonieri
dell'odio non possono essere taciute a lungo). Il cinema ha
coperto molto i deliri dell'equazione Capitale/Barbarie. Dove c'è il
cinema c'è soggezione e stupidità. Il cinema è metafora della
storia, critica del visibile o merce organizzata di distruzione del
reale. Il fantastico,
l'orrifico, l'anormale sono punti di fuga dal reale che il cinema ha
esaltato come generi e banalizzato come "differenze". In
principio le ingenue favole di Georges Méliès, Ferdinand Zecca o
Alice Guy assolvevano con diligenza il compito moralistico di
intrattenimento e socializzazione dell'immaginario entro statuti di
conoscenze armonizzate con le ideologie dominanti. "Le manoir du
diable" (1896) di Méliòs, "À
la conquéte de l'air" (1901) di Zecca, "Voyage dans la lune"
(1906) della Guy segnavano infatti la nascita dell'iperrealismo
fantastico che i bottegai di Hollywood porteranno al massimo
splendore commerciale con "Apocalipse now" (1979) di Francis
Ford Coppola, "E. T. l'extra terrestre" (E. T. the
extraterrestrial) (1982) di Steven Spielberg, l'intera saga di
"Guerre stellari" (Star wars, 1977) di George Lucas; qui
veramente il cinema è divenuto "una baldracca, la più grossa e
pericolosa baldracca del XX secolo" (11). A dissolvere il
reale nel feticcio mercantile ci provano anche la Factory di Edison
con "Love by the light of the moon" (1902), Edwin S. Porter,
"She" (1908) o Roland W. Paul, "Voyage of the arctic" (1903);
ma è più tardi che il "fantastico quotidiano" viene messo a
fuoco e i mostri dello specchio sociale varcano i confini
dell'immaginario tormentato/turbolento e si schiantano nelle
coscienze di ognuno: l'"anomalia", il mostro, il "diverso"
è parte dello spettacolo iconografico che siamo avvezzi digerire. In
un mondo di fenomeni da baraccone, qualcuno è più fenomeno di altri
e sulla sua ripugnanza o mostruosità l'iconografia dell'umanità ha
forgiato/codificato il termine "norma". Così Sigmund
Freud: "...la nostra civiltà è edificata sulla repressione delle
pulsioni. Ogni individuo ha rinunciato a una parte dei suoi averi,
del suo potere assoluto e delle tendenze aggressive e vendicative
della sua personalità; da questi apporti ha avuto origine il
patrimonio comune di beni materiali e ideali della civiltà. Oltre la
necessità vitale, hanno indotto i singoli individui a questa
rinuncia i sentimenti, derivati dall'erotismo, per i propri
familiari. La rinuncia è stata graduale nel corso dell'evoluzione
civile; ogni passo innanzi veniva sanzionato dalla religione; la
parte di soddisfacimento pulsionale cui si era rinunciato veniva offerta
alla divinità; il bene comune cosi conquistato veniva dichiarato
sacro. Colui che in virtù della sua costituzione indomita non può
adeguarsi a questa repressione pulsionale, diventa un criminale, un
fuorilegge di fronte alla società, a meno che la sua posizione
sociale e le sue eccezionali capacità non gli permettano di
affermarsi all'interno di essa come un grand'uomo, come un eroe"
(12). Anche l'imbecillità più innocente sborda sull'insieme
conviviale e il mostruoso si rovescia come colpa nel nostro senso del
bizzarro e del mistero.
Dall'a/sociale
al compatibile
3. La durezza
figurale del cinema deviante si appropria dell'"anomalia
ripugnante" e rovescia l'attualità del proprio dolore sulle
rive aride del sociale. Non si tratta di idolatrare il trionfo del
peggio ma di opporre a un meglio che non esiste il perpetuarsi della
sua cecità. Mostrare dunque il bestiario scatenato
dell'immaginazione at/traverso le crepe e le dissonanze della libertà
repressiva. Deposti "Dracula"
(1930) e "Frankenstein" (1931), nel ripostiglio segreto delle
nostre paure, delle nostre magie arroventate nel fantastico
quotidiano, abbiamo accolto nei nostri desideri di liberazione il
riscatto della Bestia sulla Vita. "Il piacere è desiderio, e il
desiderio - lo sappiamo bene - contrasta con l'irreggimentazione
sociale, con la produttività, con l'obbedienza. Il potere ha
inventato il terrore. Ma per farlo non può sottrarsi a una
contraddizione. Il disprezzo del corpo e della carne che esso predica
trova un contraltare nell'esaltazione dello spirito: chi pecca
soffrirà nello spirito (...) Il terrore è lo sguardo. La paura di
essere guardati" (13). "King Kong"
(1933) di Ernest B. Schoedsack e Marian C. Cooper, "L'uomo lupo"
(The wolf man, 1941) di George Waggner, "Il bacio della pantera"
(Cat people, 1942) di Jacques Tourneur, "Il mostro della laguna
nera" (The creature of the black lagoon, 1954) e "La vendetta
del mostro" (The revenge of the creature, 1955) di Jack Arnold
ad es., in parte assolvono il carattere cerimoniale dove il "diverso"
muore e le forze del bene ristabiliscono la quiete sociale. Sotto un
certo taglio questi mostri perturbatori dell'ordinario
rappresentano anche una teologia della disperazione chiusa tra
l'impossibile ingresso nella società, che li accetta solo come
fenomeni da baraccone o cavie per la scienza, e la mutazione del
proprio stato nella rivolta. Sanguinaria, mai cieca. "King Kong" è
la gigantizzazione di un dio perdente. Non è la Bella che uccide la
Bestia, ma la macchina/Capitale che elimina la smagliatura. Kong
porta nella sua violenza tribale la forza dell'erotismo trascendente,
del cannibalismo ordinario, del cerimoniale forzoso dove il sogno e
la morte sono la sola risposta possibile. Per Kong l'oggetto di
desiderio (la Bella) è proibito. L'osceno è il suo osare oltre il
rituale. Il "mostro" (la Bestia) è solo apparenza,
maschera, ragione e rivelazione di una sconfitta: qui "lo sforzo
della conoscenza è in prevalenza la distruzione del suo sforzo
consueto, la violenza nei riguardi dell'oggetto" (14), della
"cosa" che incarna l'"anomalia deviante". La truccheria più
ambiziosa di "King Kong" è il gigante che si fa nano di fronte
alla potenza della civiltà tecnologica. Ferito a morte dalle
mitraglie degli aerei, Kong piomba ai piedi dell'Empire State
Building e muore come soggetto dissacratorio per rinascere nel mito
mercantile hollywoodiano sfarinato in tante ostie/film a
perpetuazione degli stati di equilibrio della società codificata.
Kong è portatore di caos, "produce fratture nei punti di
comunicazione tradizionali (teatro, metropolitana, strade), nelle
forme di aggregazione (famiglia, folla)... Quando King Kong muore per
adeguatamente collocarsi nel contesto sociale, la volontà e
l'intelligenza dello spettatore appartengono a quello stesso sistema
di rapporti politici. Il pubblico, dunque, produce allo stesso modo
dell'industria culturale e cioè in quanto macchina automatizzata.
L'innovazione non appartiene ad uno scatto qualitativo della volontà
del produttore o del consumatore, ma ad uno scatto
dell'organizzazione politica dei rapporti di produzione del ciclo
nella sua totalità" (15). Lo spettacolo dei supplizi non è mai
cessato. È cambiato solo il luogo. Ieri in piazza, oggi lo schermo.
Dietro ogni utopia su un buon governo c'è sempre un crimine. La simbolizzazione
dell'immaginario allargato significa coprire un vuoto,
un'insufficienza. L'epilogo di ogni "anomalia" è incartato
nella morte. Si elimina l'immagine senza rompere lo specchio. I
veleni della religione e i fucili della politica concordano sempre
con i patiboli: nulla sfugge al controllo. Ogni elemento di
perturbazione dell'ordinamento sociale viene eliminato. Lo spettacolo
è una forma tra le più efficaci (ma non la più grandiosa) che
riduce tutto l'a/sociale al compatibile. La "prima"
di "King Kong" avvenne il venerdì 24 marzo 1933 al Grumman's
Chinese Theatre di Hollywood; al termine della proiezione "l'alta
società della celluloide" esplodeva in "un'ovazione
trionfale... la pellicola entrava così negli annali dei cinema
mondiale" (16) e nell'immaginario pacificato di milioni di
spettatori.
I mercanti dello
schermo non sono mai stati teneri con le bestie che aggredivano la
cornice della scena. La stabilità della famiglia o l'opacità della
condizione inumana dell'ordine spettacolare. Ogni fenomeno
iconografico è scrittura circoscritta a elementi mitici
de/socializzanti e alla fine del film, libro o fotografia la
rappresentazione del sociale (e dell'immaginario rituale) è
ricomposta nei modelli assuefativi abituali. "L'uomo lupo"
uccide il licantropo, colpito dal contagio fa fuori un becchino e
tenta di azzannare la sua ragazza. Il fucile del padre liquida la
"faccia cattiva" della buona classe borghese ed ogni cosa
torna al proprio posto. L'indisciplinata condotta della bestia
conferma gli eterni valori della società simulacrale: il negativo va
decimato e dalla sua morte l'ordito storico gonfia della propria
ragione simulata. George Waggner (e lo sceneggiatore Curt Siodmak)
disseminano il film di momenti antitetici alla chiusa del film e
all'insieme dell'impalcatura. La facciona un po' scema di Lon Chaney
jr. è quella di uno sconfitto, di un perdente che è fuori gioco
all'interno della razionalità familiare e nulla lo lega alla realtà
esterna. L'amore, gli zingari e la notte sono la magia abituale dei
sognatori posticci e il lupo che è nell'uomo rivaluta non poco
l'impossibilità di essere "normale". Cosi Theodor W.
Adorno: "la specie ha potuto individuarsi attraverso la mutazione,
per prodursi poi attraverso l'individuazione in individui in
condizioni di associazione nel singolare biologico. L'uomo è un
risultato, non un éidos" (17). Non importa saccheggiare Hegel e
Marx e appropriarsi dei loro studi sulla teoria della conoscenza per
andare alla radice ontologica dell'individuo e insorgere contro i
tabù e i totem che lo hanno ristretto nel branco. Ogni elemento
deviante dissolve la vecchia società, ogni antagonismo sociale
destabilizza e rovescia il vecchio potere (18).
Dietro il bacio
della pantera
"Il bacio della
pantera" è un film più lavorato, meglio diretto e fotografato de
"L'uomo lupo". È
anche una delle poche volte che il cinema si accosta alla misantropia
femminile. Irina
e Oliver si conoscono allo zoo di Central Park, davanti alla
gabbia della pantera nera. S'innamorano e si sposano. Il matrimonio
non viene però consumato perché la ragazza è angosciata dall'idea
che il bacio di un uomo la trasformi in pantera. Irina finisce sul
divano di uno psichiatra,
Oliver tra le braccia di un'amica, Alice. L'epilogo
è scontato ma Tourneur ha saputo rovesciare il banale in tragico.
Irina confida al medico di discendere da una setta di adoratori di
animali, lui le dice "... non ho paura di te. Ti stringo fra le mie
braccia, sei così piccola, così morbida... questo profumo
dei tuoi capelli, del tuo corpo... Non aver paura di me, Irina... "
(19), poi la bacia; la trasformazione di Irina in pantera avviene
fuoricampo; l'uomo riesce ad accoltellare la belva... intanto la
ragazza torna allo zoo, libera la pantera che le balza addosso e
la spinge sotto una macchina. Quando arrivano Oliver e Alice trovano
in terra qualcosa di informe, nero, peloso, è ciò che è rimasto di
lrina. L'esilità della
trama e i risvolti attorali non sempre soddisfacenti - Kent Smith
(Oliver), Tom Conway (il medico) e Jane Randolph (Alice) sono
piuttosto fuori ruolo e la sola Simone Simon (Irina Dubrovna) si
muove con credibilità e aderenza alla storia - si lasciano perdonare
per la sapienza affabulativa di Tourneur. Il suo film è una
composizione di ammiccanti e avvincenti allusioni, insinuazioni e
doppi sensi erotico/conflittuali che riservano a "Il bacio della
pantera" un posto di rilievo (e un punto di ritorno) nel cinema
deviante. Qui l'uso trascendente della ragione soggettiva travalica
ogni referente dell'ordinamento sociale. La realtà è sempre oltre
l'ipotesi di guarigione della bestia in donna. Il sociale evoca un
matrimonio "normale". I buoni sentimenti debbono essere
formalizzati, allora il significato del termine "amore" è
davvero pronto al consumo. Le citazioni
dell'espressionismo tedesco, l'atmosfera gotica, il senso di anomalia
suicida che at/traversano "Il bacio della pantera" incidono molto
sulla sua catalogazione nel genere "orrifico"; una lettura meno
distratta ci porta invece nel dentro di una solitudine senza rimedio,
un malessere esistenziale senza destinatari se non la propria morte.
L'indecenza di Tourneur è di avere sostenuto che anche una "belva"
può morire per amore. L'universo
misantropo della donna/pantera risplende in questo dialogo tra lrina
e Oliver: Irina - "Oliver,
oggi sono tornata dal dottore: non ho più problemi". Oliver - "Credimi,
sarei stato l'uomo più felice del mondo se tu me lo avessi detto
poco tempo fa. Ma le cose sono cambiate, ho imparato molto, forse dal
nostro matrimonio. Non volevo dirtelo, ma ora vedo che è necessario:
amo Alice. Irina, è troppo tardi". Irina - "Tardi?" Oliver - "Ormai
non mi resta che una cosa da fare: concederti il divorzio!Credimi, è
meglio così". Irina - "Meglio,
meglio per chi?" Oliver - "Irina,
io..." Irina - "Parla!
No, non puoi parlare. Che cos'altro vuoi dire? C'è soltanto
silenzio... Ma io amo il silenzio, amo la solitudine. Ti prego, esci
vattene via". (20). Oliver è un
prodotto delle convenzioni sociali. Il suo puritanesimo segna la
difesa più ostica dell'apparenza come cementazione dei rapporti
conviviali. Gonfio di certezze, Oliver non vede che necessità
esaltanti del nuovo amore; si tratta di squalificare le stranezze di
Irina nell'effige/sudario perbenista di Alice: ogni solitudine
lacera/frantuma i cieli del sacro abitare e popola le notti di furori
indescrivibili. Ogni solitudine incrina i ponti della fede e
interroga il divenire dei suoi orrori. "Il bacio della
pantera" presenta notevoli aspetti figurativi che la fotografia di
Nicholas Musuraca sottolinea e a tratti enfatizza; l'insieme del
lavoro risente anche del notevole contributo del montatore Mark
Robson, le sue forbici e la colla hanno imposto al film un ritmo, una
sobrietà discorsiva che ritroveremo soltanto nel migliore Hitchcock
o in John Ford. Due sequenze
memorabili: 1°) Oliver e Irina
entrano nel negozio di animali. Tutte le bestiole sono vistosamente
impaurite. Solo quando la ragazza esce gli animali si calmano. 2°) Alice si sente
seguita. I passi sono strani, felini. Tutti pensiamo alla pantera
(che Tourneur non fa vedere), poi un autobus si ferma accanto ad
Alice che monta e svanisce con la sua paura e i nostri applausi. A tracciare
un'angolazione eversiva del mito della "bella e la bestia" è il
"B-movie" di Jack Arnold, "Il mostro della laguna nera". Su toni più
dimessi, a/spettacolari di "King Kong" ma non meno corroso dalla
solitudine disperata di "Dracula", "Frankenstein", "Il
testamento del mostro" (Le testament du docteur Cordelier, 1961),
"L'uomo invisibile" (The invisible man, 1933) o "Il gabinetto
del Dottor Caligari" (Das kabinett des dr. Caligari, 1919) (21) la
"creatura" di Arnold figura per molti versi la delegittimazione
dell'autorità fantasmata secondo gli schemi della scienza. "Il mostro della
laguna nera" è un perdente, mai uno sconfitto. Il dissidio che
getta contro la società dello spettacolo è quello antico
dell'immaginazione sulla ragione. A questo proposito l'opera di
distruzione della società dell'opulenza si completa nella trilogia
della minaccia, "La vendetta del mostro" (Revenge of the
creature, 1955) sempre di Arnold e "Il terrore sul mondo" (The
creature Walks among, 1956) di John Sherwood (un allievo di Arnold). L'insieme di questi
film fa saltare in aria l'immagine edulcorante del modello americano
che esprime l'ideologia mercantile come sola ragione di vita. L'"uomo
pesce" rigetta la retorica che giustifica tutti gli assassini (gli
orrori veri) e i tipi di sfruttamento (il terrorismo economico o
software) che grondano dalle fogne delle democrazia rappresentativa
(non solo) americana. Del resto, scrive con puntigliosità eretica
John Gerassi: "... il sistema di vita americano divenne la
personificazione della moralità. All'orgoglio del proprio sistema
seguì il diritto di imporre quel sistema a tutti i popoli non
americani. Gli americani divennero superiori, virtuosi e puri. Il
risultato finale fu che la scelta del nuovo Cristo portava la spada e
la croce. La spada erano i marines dell'America e la croce la sua
democrazia" (22).
Quel messaggio
dalla laguna nera
Ne "Il mostro
della laguna nera" una spedizione di scienziati americani scopre un
preistorico "uomo-pesce" nelle acque dimenticate di una laguna
dell'Amazzonia. La cattura del "mostro" fallisce. L'"uomo-pesce"
uccide alcuni marinai, rapisce l'unica donna del gruppo, tenta di
affondare il battello degli intrusi nelle acque del suo regno. Davvero
intelligenti si leggono alcune sequenze. Ad es., il bagno della
ragazza nella laguna. La macchina da presa filma in controluce ,
sott'acqua, la dottoressa che nuota e il "mostro" proprio sotto
di lei, quasi a sfiorarla, che mima i suoi movimenti. Il corpo della
ragazza è inguantato in un costume bianco e nel contrappunto visuale
con la figura nera squamosa del "mostro" disegnano nell'acqua un
balletto erotico, un'allusione scoperta dell'amplesso interrotto
dall'avvicinarsi del battello. Anche il rapimento
della donna è interessante. L'"uomo-pesce" depone la sua preda
svenuta su una specie di talamo roccioso nel buio acquoso della sua
caverna. La consumazione di quel corpo è lo sgarro che gli costerà
la morte. La proprietà dei potenti non si tocca né si desidera. "Lo
spettacolo è la falsa coscienza del tempo" (Guy Debord) e il
"mostro della laguna nera", crivellato dai proiettili degli
scienziati, sparisce nel buio delle acque ma non dal nostro
immaginario. Ricordiamolo:
"l'immaginario contro la vita corrente" (Bernard Rosenthal) ha
per obiettivo la de/valorizzazione dell'utopia/Capitale. La messa in
distruzione dei suoi oracoli massmediali. Il "deturnamento" del
significante brucia il contenuto della sua mediocrità asservita alla
perpetuazione dell'età simulacrale. Ogni rottura con i sorveglianti
della soggezione allargata è l'inizio della filosofia
differenzialista che si fa strada fuori dal condizionamento dei
mass-media a colpi di eresie e critica radicale del vissuto. La "creatura"
della laguna nera è scaltra, simpatica, spesso intelligente ma anche
violenta e vendicativa. Tutte le attenzioni del pubblico (non solo
infantile) sono sbilanciate dalla sua parte. Ciò è dovuto anche per
la scelta degli attori; un po' grigi, a/personali, abbastanza precisi
come corredo filmico o sfondo necessario per la comprensione della
favola (23). Ne "Il mostro
della laguna nera" si colgono citazioni di pellicole più "nobili"
o meglio smerciate come "pezzi" irripetibili di cinefilia
orrifica. Il rimando più aperto riguarda la caverna
dell'"uomo-pesce". L'asciuttezza spettrale, il designer
anticipatorio/post-moderno del covo del "mostro" sono
l'appropriazione contenuta dell'atmosfera ambientale che si "respira"
negli scantinati allagati de "Il fantasma dell'opera"; il fatto
più sostanziale è lo "sguardo" della macchina da presa sul
"mostro"; protettivo e malinconico insieme e sotto un certo
taglio (crepuscolare/decadente) riporta il sentimentalismo
circolare/complicitario di "La mummia" (The mummy, 1932) di Karl
Freund. La "creatura"
della laguna nera risorge nel "La vendetta del mostro".
L'"uomo-pesce" viene catturato ed esposto in un acquario per
turisti. Fugge, uccide, porta il caos nella ridente cittadina della
Florida. Ferito a morte, il "mostro" riesce a sottrarsi
all'esecuzione finale. Sparisce in mare. Nella notte. Nel film
successivo, "Il terrore sul mondo", l'"uomo-pesce" è di nuovo
catturato, imprigionato, sfigurato con il fuoco. La scienza
interviene sul suo corpo. Il "mostro" viene operato per
adattarlo a vivere sulla terraferma, in società. Magari in un'aula
universitaria, in uno zoo o in un museo viaggiante. Ancora una
volta il "mostro" è parte integrante dello spettacolo: "Ma
l'inverso dei "belli e dannati" non sono i brutti. Belle e brutti
possono essere comprimari, la conflittualità è sempre tra buoni e
cattivi, le varianti risentono sempre del corso delle ideologie (le
ideologie in corso), i conflitti vanno così da quelli generazionali,
quelli per il pane a quelli sentimentali, ma su tutto domina la
predestinazione a essere o l'uno o l'altro" (24). Il "mostro"
della laguna nera sconvolge i rituali, i segni orrifici
d'aggregazione sociale. Quando torna alla sua laguna sarà ucciso e
non ne sapremo più nulla fino al prossimo remake. Tutto il bestiario
che si scaglierà contro l'uomo dopo "Il mostro della laguna nera"
non saranno che sbiadite copie di una morale - quella di Jack Arnold
- particolarmente rivolta al messaggio catastrofico dell'umanità
scientista e militarista; topi, gatti, rospi, uccelli, draghi, lupi,
alligatori, formiche, ecc., sono l'armamentario orrifico del cinema
d'evasione che risplenderà del suo nulla fino ai mostriciattoli
reazionari della marca di "E.T. l'extra-terrestre" e tutto il
ciarpame mercantile che la fabbrica dell'effimero hollywoodiana
sfornerà negli anni '80. Il "New horror"
americano rappresenta il "superlativo" della vita quotidiana.
Rotti i confini della realtà, dei baracconi del cinema mercantile
non restano che i nostri desideri di trasgressione a cogliere alla
fine della spettacolarità demonizzata (sullo schermo e altrove) i
segni (o i sogni/desideri) che non evadono il problema (che è sempre
quello di una maggioranza assoggettata alla pedagogia della paura e
della punizione orchestrata dalla canaglia borghese), ma lo contano,
ricacciando in gola ai costruttori dell'immaginario artificiale i
pezzi del loro regno espropriato. Solo un differente
modo di guardare abolirà tutte le forme e i codici del terrore
pedagogico dominante; si tratta di non permettere a nessuno di
educarci, di non permettere a nessuno di governarci. Il godimento
della vita implica l'abbattimento e la distruzione dell'origine del
male. E ogni società repressiva non potrà sottrarsi alla propria
fine.
La
prima puntata di quest'analisi del "cinema della diversità" è
apparsa sul numero di aprile (L'immaginario devastato, "A" 128,
pagg. 21 -25).
(1) Jacques Lacan:
Scritti I, pag. 275, Einaudi 1974.
(2) Vedi: Figura
gigante di Nico Orengo, pag. 87, Serra e Riva 1984.
(3) Sigmund Freud:
Totem e tabù, pag. 97, Newton Compton 1973.
(4) Edmond Jahès:
Il libro della sovversione non sospetta, pag. 88, Feltrinelli
1984.
(5) Vedi: L'altra
America negli anni '60, a cura di Fernanda Pivano, vol. 5°, pag.
78, Il Formichiere 1979.
(6) E.M. Cioran: La
tentazione di esistere, pag. 85. Adelphi 1984.
(7) E.M. Cioran:
Ibidem, pag. 151.
(8) Vedi: Julius
Evola, Il fascismo, saggio di un'analisi critica dal
punto di vista della destra, Volpe 1954.
(9) Friedrich
Nietzsche: La gaia scienza, Mondadori 1971, pagg. 118-119.
(10) Robert Musil:
Discorso sulla stupidità, Shakespeare & Company, 1980,
pagg. 32/34/35.
(11) Danilo Arona:
Guida al fantacinema, Gammalibri 1978, pag. 10.
(12) Sigmund Freud:
La morale sessuale "civile", in Il disagio della
civiltà, Boringhieri 1975, pagg. 16/17.
(13) Franco La
Polla: in Cinema e Cinema, ottobre/dicembre 1977, n. 13 pagg.
17/18.
(14) Theodor Adorno:
Parole chiave/ modelli critici, SugarCo 1974 pag. 224.
(15) Alberto
Abruzzese: La grande scimmia, Napoleone 1979, pag. 165.
(16) Vedi: Storia
del cinema di fantascienza I, Giovanni Mongini, Fanucci 1976.
pag. 32.
(17) Theodor W.
Adorno: op. cit. pag. 231.
(18) Abbiamo
parafrasato Marx : "Ogni rivoluzionario
dissolve la vecchia società, in questo
senso è sociale. Ogni rivoluzione rovescia il vecchio
potere: in questo senso è politica".
Vedi: Invarianza, numero unico - luglio 1969. pag. 13.
(19) Teo Mora.
Storia del cinema dell'orrore I, Fanucci 1977, pag.
230.
(20) Vedi: Storia
del cinema dell'orrore, op. cit. pag. 230.
(21) "Il
testamento del mostro" è diretto da Jean Renoir,
"L'uomo invisibile" da James Whale,
"Il gabinetto del dottor Caligari" da Robert
Wiene.
(22) Vedi:
Dialettica della liberazione di AA.VV., Einaudi 1978 pagg.
105/106.
(23) In modo
particolare, Richard Carlson, Julia Adams, Richard Denning.
(24) Carlo Romano:
Lo spettacolo e i suoi prodigi, Arcana 1975,
pag. 12.
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