Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 130
estate 1985


Rivista Anarchica Online

L'anomalia ripugnante
di Pino Bertelli

1. I "fenomeni da baraccone", gli "scherzi di natura" e l'"anomalia ripugnante" sono i "mostri quotidiani" che hanno popolato i nostri sogni ed afferrato le nostre paure.
Nani, giganti, esseri deformi, persone singolari, svantaggiati di ogni razza, tipo o sesso sono stati per lungo tempo letture, visioni o immagini edulcorate nella pietà cristiana e cristallizzate nella mitologia accademica come "cattivi pensieri", curiosità e morbosa attrazione di ragazzi devianti verso tutto ciò che è trasgressivo.
L'ostilità dei "normali" verso i freaks, handicappati, "mostri quotidiani", ecc., è una proiezione demonizzante del proprio "doppio", l'altro taglio della maschera. Così Jacques Lacan: "l'io dell'uomo moderno ha assunto la propria forma nella impasse dialettica dell'anima bella che non riconosce la ragione stessa del suo essere nel disordine che essa denuncia nel mondo" (1). La devastazione, l'eliminazione, l'osteggiamento di tutto ciò che è "norma" contro tutto quanto è "malformazione".
Ogni "anomalia" è ricevuta nel tessuto sociale come disgregazione. Il "peccato" è l'estrema funzione del rituale. Tutto ciò che è ripugnante è la confessione in pubblico della propria "diversità", l'atto mancato di un codice esteriore che non ammette deformità. La cultura dei simulacri (che di tutto parla perché di niente sa) è ancora arroccata ad affermazioni di questo tipo: la natura non ama le eccezioni; cerca di farle sparire; si preoccupa prima di tutto della uniformità della razza, che è essenzialmente democratica e livellatrice.
Briganti e poeti, rivoluzionari e prostitute, zingari e Attrazioni sono disturbatori della Salute Pubblica, il loro comportamento abnorme è estraneo al corpo sociale. Vanno neutralizzati ristabilendo scientificamente la legalità della selezione naturale". (2)
I "freaks" bruciati nei forni di Hitler o gli omosessuali scomparsi nei campi di lavoro della Siberia sovietica sono esempi da non dimenticare. In fondo i "pinheads" (teste di spillo) che si agitano sui palcoscenici della politica non sono poi tanto diversi dagli svantaggiati di ogni razza e colore: sono soltanto più pericolosi, perché pieni di rancore e forti della loro immagine dilatata a dismisura (dagli addetti stampa) che promettono tesori (che non ci sono) per conquistare e controllare l'ebetudine popolare.
Re, sacerdoti, politici, gli scriba della cultura hanno tabuizzato l'"anomalia" come pericolo. L'esempio da non seguire o da sopprimere. Si considera tutto quello che è cagione e fonte di questa misteriosa forza, sia le persone che i luoghi, gli oggetti e le circostanze occasionali. Così, è tabù anche la prescrizione che da questa proprietà procede. È tabù, infine, nel senso vero della parola, tutto ciò che allo stesso tempo può ritenersi santo, al di sopra del normale, ed anche pericoloso, impuro, misterioso e sinistro" (3). Si teme sempre ciò che incrina le nostre paure, che lacera le nostre illusioni.
I reietti di ogni fogna suburbana (drogati, alcolizzati, ladri, disoccupati, ecc.), i deformi, gli infermi, i folli, gli scemi, i "fuori gioco" di ogni tipo (gli scherzi di natura, gli incubi viventi) sono l'"anomalia ripugnante" che la società del bello (e del vuoto) è costretta ad ingozzare. I Freaks sono i nostri fratelli che con la loro feroce esistenza minacciano l'esistenza di Dio e l'umanità dell'uomo.
La bava del loro dolore interroga l'orrore degli sguardi che gli gettiamo addosso. Solo in un circo, in un baraccone, in un museo o in un istituto protetto non ci fanno schifo; eppure dietro quei pezzi di uomo, quelle mostruosità, quell'innocenza pazza esistono teologie e programmi che i "normali" abusano (con sospetto) per delimitare il confine fra realtà e incubo.
È la vampata di rivolta culturale degli anni '60 a scuotere il mondo della "normalità". Ovunque si respira il linguaggio della scollatura, la presenza della sovversione figura i propri balli in America, Grecia, Francia, Cecoslovacchia, Italia... i gendarmi del sapere tremano... si teme una nuova Rivoluzione sociale... la Comune di Parigi e la Guerra di Spagna non sono mai morte nelle teste insofferenti dei ribelli della terra... il debutto per la conquista dell'uguaglianza sulle macerie di ogni Stato è solo rimandato!
Così Edmond Jabès: "La rivolta di un'ombra affretta l'arrivo della luce, così come l'illeggibilità, indirizzata contro se stessa, ci dispone alla perfetta leggibilità" (4). La memoria dei bastonati sanguina rabbia nell'insolenza diffusa della difformità visuale. Dai bordi dell'esistenza si fanno sotto i soggetti dell'"anomalia" che rivendicano il proprio diritto alla vita. I fantasmi di Polifemo, di Golia, di Gargantua sono dissipati nella guerriglia urbana di minoranze ardite che sconfessano l'impermeabilità cattedratica del potere centrale. Neri, rossi, gialli, bianchi, giudei impertinenti e cani rognosi insorgono contro la moderna Babilonia e in America, Rap Brown, scriveva per "Black Power": Dichiarazione: occhio per occhio.
"...Le masse del nostro popolo si muovono, combattono il nemico colpo per colpo, rispondendo alla violenza controrivoluzionaria con la violenza rivoluzionaria, occhio per occhio, dente per dente, vita per vita. Queste rivolte non sono che prove per la vera rivoluzione... Più forte della mia paura dei terribili maltrattamenti a cui potrei esser soggetto in carcere è il mio odio per le condizioni terribili a cui è soggetta la mia gente dappertutto in questo paese. Odio la pratica della discriminazione razziale... Non c'è niente che un qualsiasi tribunale possa fare per cambiare in qualsiasi modo quell'odio in me; può solo essere eliminato eliminando le ingiustizie e l'inumanità che esiste in questo paese..." (5).
I "mostri quotidiani" non sono solo i "fenomeni da baraccone". I soggetti della devianza mondiale rappresentano la demonizzazione della quiete sociale. La sovversione dell'ordine costituito. Carcerati, torturati, uccisi, le figure dello scollamento e della separazione, evidenziano le tracce d'un antagonismo (anche disperato) che comunque e sempre inalbera la spaccatura con la comune morale.
Tutto s'impara: mediocri si nasce! Ogni "diavolo" è l'artificio retorico per innalzare il "dio" di turno a simulacro del divenire. Ogni fede è cieca. Ogni libertà obbligatoria. La democrazia è il sacerdozio del terrore diffuso con altri mezzi. Chi non s'intona al canto generale è l'anomalia. La "mela marcia". Ma di cosa hanno paura i potenti? Di un coltello sotto la gola? Di una pistola in bocca? Di un mitra dopo la funzione religiosa? Di una bomba che esplode nel bel mezzo di un consiglio di amministrazione? No! I potenti della terra hanno paura del tremito delle labbra degli oppressi: "tremare è facile; ma saper dirigere il proprio tremito è un'arte: da qui derivano tutte le ribellioni" (6).
E l'anarchia? Segna la fine della soggezione dell'uomo per mezzo dell'utopia capitalista. L'orgoglio della sfida è la rottura del confine fra individuo e massa. Tra soggettività e anonimia. I nostri carcerati sono i costruttori famelici d'una umanità ammaestrata; "questi giganti, dall'anima e dal corpo folgorati, ci terrificano. Se li stiamo a guardare ci vergogniamo di essere nient'altro che uomini. E se sono loro a guardarci, intuiamo le parole che la nostra mediocrità ispira alla loro misericordia. Povere creature, che non avete il coraggio di diventare unici, di diventare mostri" (7). La "diversità" aderisce alla storia degli oppressi. Il "mostro" che è in noi morde la facciata sociale; è lo spavento metafisico dell'ironia figurale che ha segnato i nostri sogni, le nostre paure, le nostre illusioni.... Di là dal recinto la stupidità è feconda... Ogni tipo di sopravvivenza incrina la menzogna amministrata e la miseria elettorale... La vita (vera) è fuori dalla vita.

Segni e sogni dell'emarginazione
2. L'"anomalia ripugnante" è quanto sborda dalle pagine di Lewis Carrol (Alice nel paese delle meraviglie), Mark Twain (Le avventure di Huckleberry Finn), Carlo Collodi (Le avventure di Pinocchio), L. Frank Bauml (Il mago di Oz), Jonathan Swift (I viaggi di Gulliver)... Qui la follia è un gioco, la "diversità" - la ragione di esistere -, la norma - l'esecuzione capitale delle soggettività in processo -; il delirio generale si misura sui cadaveri degli eretici e nel massacro al rialzo dei cospiratori.
Ai bordi del nanismo assoggettato di Walt Disney o del perbenismo autoritario degli Hobbit di J.R.R. Tolkien i fumetti radicali americani fiondano la distruzione dei simulacri. Pubblicazioni (o fanzine) come "Los Angeles Free Press", "East Village other", "Yellow Dog", "The Rag", "Gothic Blimp Works", "The Rat", "Radical America Komoks", "Zap Comics", "Hydrogen Bomb Funnies" (qui appaiono a puntate i fumetti di Gilbert Shelton - "Those Fabulous Furry Freaks Brothers" -, conosciuti ovunque come "fumetti Head"), deturpano l'ufficialità delle apparenze, mettono fuori gioco ogni raffigurazione simbolica della società statuale. I "Freaks Brothers" ad es., incarnano la smagliatura, la soggettività dei "diversi" che si contrappone all'ordine dei simulacri. Rapine, droga, omosessualità, rivoluzione... tutto va bene per combattere l'ostilità dell'apparenza simulacrale: Famiglia, Chiesa, Patria e tutto il resto sono concime per "gente pulita". L'insulto denuncia la realtà opprimente, l'immaginario sociale orchestrato nella violenza delle mitologie disfunzionali dello Stato di diritto di polizia. A portare avanti il "buoncostume" statuale ci provano con grande efficacia i "Marwel Comics" di Stan Lee, e "L'incredibile Hulk", "L'uomo ragno", "I Fantastici 4", "Capitan America", insieme a "Superman" di Joe Shuster e Jerome Siegel formano una corporazione di "super-eroi" che si adoperano per l'affermazione del trinomio fascista di matrice evoliana: "Autorità, Ordine, Giustizia"! (8). Siamo ancora dentro una realtà spettacolarizzata che denuncia la mancanza del reale. I "super-eroi" di ogni tempo sono gli apologeti del divenire ammanettato. Afflitti da turbe di probità cronica, i "super-eroi" di ogni razza sono al servizio di ogni potere/sapere che dedichi loro un monumento o una pagina nei libri di storia.
L'uomo non ha più nulla da mordere non ha nemmeno ragione di esistere.
La demonizzazione della paura e la ribellione dell'"anomalia" sono parte importante della "memoria" del cinema. La tela bianca (per niente immacolata) ha rappresentato il mostro, il folle o il "diverso" come anticipazione o prodotto d'una rottura con la società che li ghettizza come appendici o escrezioni della propria farsa conviviale: "abbiamo reso perfetta l'immagine del divenire, ma non siamo approdati oltre l'immagine, dietro l'immagine" (9). Lì dove lo "strappo" è inqualificabile, dove ogni affermazione della differenza o devianza interroga la putrefazione dell'universo borghese che ha fatto dell'apparenza lo splendore della propria idiozia.
Così Robert Musil: "... quello che si dice un bello spirito sarebbe al tempo stesso un bello stupido... senza stupidità l'uomo non arriverebbe neanche a nascere... la stupidità... sopisce ogni sospetto: essa disarma... Il più debole cerca il suo scampo nel fingersi più stupido di quello che è... la volontà di un uomo è tanto più malvagia quanto più valida è la sua intelligenza" (10). Né "differenza" né "normalità" dunque! L'inconciliazione del pensiero negativo con la dialettica dell'elemosina e della carità, non importa se cristiana o marxista, scaturisce dalla conoscenza dei gendarmi del presente: qui e dappertutto tutto ciò che si raffigura come "anomalia" comporta la comprensione del disgusto. L'orrore della borghesia industriale è affittare la morale disinfestante di Hitler e di Stalin per bruciare i cadaveri bollenti della smagliatura radicale che sbordano numerosi ai fianchi e sugli altari della simulazione e della falsificazione.
Hitler: 11 milioni di morti scannati dalla storia. Stalin: "x" milioni di morti incensati dalla ragione (non sono disponibili i libri contabili dell'epurazione staliniana, ma le atrocità e le follie dei timonieri dell'odio non possono essere taciute a lungo).
Il cinema ha coperto molto i deliri dell'equazione Capitale/Barbarie. Dove c'è il cinema c'è soggezione e stupidità. Il cinema è metafora della storia, critica del visibile o merce organizzata di distruzione del reale.
Il fantastico, l'orrifico, l'anormale sono punti di fuga dal reale che il cinema ha esaltato come generi e banalizzato come "differenze". In principio le ingenue favole di Georges Méliès, Ferdinand Zecca o Alice Guy assolvevano con diligenza il compito moralistico di intrattenimento e socializzazione dell'immaginario entro statuti di conoscenze armonizzate con le ideologie dominanti.
"Le manoir du diable" (1896) di Méliòs, "À la conquéte de l'air" (1901) di Zecca, "Voyage dans la lune" (1906) della Guy segnavano infatti la nascita dell'iperrealismo fantastico che i bottegai di Hollywood porteranno al massimo splendore commerciale con "Apocalipse now" (1979) di Francis Ford Coppola, "E. T. l'extra terrestre" (E. T. the extraterrestrial) (1982) di Steven Spielberg, l'intera saga di "Guerre stellari" (Star wars, 1977) di George Lucas; qui veramente il cinema è divenuto "una baldracca, la più grossa e pericolosa baldracca del XX secolo" (11).
A dissolvere il reale nel feticcio mercantile ci provano anche la Factory di Edison con "Love by the light of the moon" (1902), Edwin S. Porter, "She" (1908) o Roland W. Paul, "Voyage of the arctic" (1903); ma è più tardi che il "fantastico quotidiano" viene messo a fuoco e i mostri dello specchio sociale varcano i confini dell'immaginario tormentato/turbolento e si schiantano nelle coscienze di ognuno: l'"anomalia", il mostro, il "diverso" è parte dello spettacolo iconografico che siamo avvezzi digerire. In un mondo di fenomeni da baraccone, qualcuno è più fenomeno di altri e sulla sua ripugnanza o mostruosità l'iconografia dell'umanità ha forgiato/codificato il termine "norma".
Così Sigmund Freud: "...la nostra civiltà è edificata sulla repressione delle pulsioni. Ogni individuo ha rinunciato a una parte dei suoi averi, del suo potere assoluto e delle tendenze aggressive e vendicative della sua personalità; da questi apporti ha avuto origine il patrimonio comune di beni materiali e ideali della civiltà. Oltre la necessità vitale, hanno indotto i singoli individui a questa rinuncia i sentimenti, derivati dall'erotismo, per i propri familiari. La rinuncia è stata graduale nel corso dell'evoluzione civile; ogni passo innanzi veniva sanzionato dalla religione; la parte di soddisfacimento pulsionale cui si era rinunciato veniva offerta alla divinità; il bene comune cosi conquistato veniva dichiarato sacro. Colui che in virtù della sua costituzione indomita non può adeguarsi a questa repressione pulsionale, diventa un criminale, un fuorilegge di fronte alla società, a meno che la sua posizione sociale e le sue eccezionali capacità non gli permettano di affermarsi all'interno di essa come un grand'uomo, come un eroe" (12). Anche l'imbecillità più innocente sborda sull'insieme conviviale e il mostruoso si rovescia come colpa nel nostro senso del bizzarro e del mistero.

Dall'a/sociale al compatibile
3. La durezza figurale del cinema deviante si appropria dell'"anomalia ripugnante" e rovescia l'attualità del proprio dolore sulle rive aride del sociale. Non si tratta di idolatrare il trionfo del peggio ma di opporre a un meglio che non esiste il perpetuarsi della sua cecità. Mostrare dunque il bestiario scatenato dell'immaginazione at/traverso le crepe e le dissonanze della libertà repressiva.
Deposti "Dracula" (1930) e "Frankenstein" (1931), nel ripostiglio segreto delle nostre paure, delle nostre magie arroventate nel fantastico quotidiano, abbiamo accolto nei nostri desideri di liberazione il riscatto della Bestia sulla Vita. "Il piacere è desiderio, e il desiderio - lo sappiamo bene - contrasta con l'irreggimentazione sociale, con la produttività, con l'obbedienza. Il potere ha inventato il terrore. Ma per farlo non può sottrarsi a una contraddizione. Il disprezzo del corpo e della carne che esso predica trova un contraltare nell'esaltazione dello spirito: chi pecca soffrirà nello spirito (...) Il terrore è lo sguardo. La paura di essere guardati" (13).
"King Kong" (1933) di Ernest B. Schoedsack e Marian C. Cooper, "L'uomo lupo" (The wolf man, 1941) di George Waggner, "Il bacio della pantera" (Cat people, 1942) di Jacques Tourneur, "Il mostro della laguna nera" (The creature of the black lagoon, 1954) e "La vendetta del mostro" (The revenge of the creature, 1955) di Jack Arnold ad es., in parte assolvono il carattere cerimoniale dove il "diverso" muore e le forze del bene ristabiliscono la quiete sociale. Sotto un certo taglio questi mostri perturbatori dell'ordinario rappresentano anche una teologia della disperazione chiusa tra l'impossibile ingresso nella società, che li accetta solo come fenomeni da baraccone o cavie per la scienza, e la mutazione del proprio stato nella rivolta. Sanguinaria, mai cieca.
"King Kong" è la gigantizzazione di un dio perdente. Non è la Bella che uccide la Bestia, ma la macchina/Capitale che elimina la smagliatura. Kong porta nella sua violenza tribale la forza dell'erotismo trascendente, del cannibalismo ordinario, del cerimoniale forzoso dove il sogno e la morte sono la sola risposta possibile. Per Kong l'oggetto di desiderio (la Bella) è proibito. L'osceno è il suo osare oltre il rituale. Il "mostro" (la Bestia) è solo apparenza, maschera, ragione e rivelazione di una sconfitta: qui "lo sforzo della conoscenza è in prevalenza la distruzione del suo sforzo consueto, la violenza nei riguardi dell'oggetto" (14), della "cosa" che incarna l'"anomalia deviante".
La truccheria più ambiziosa di "King Kong" è il gigante che si fa nano di fronte alla potenza della civiltà tecnologica. Ferito a morte dalle mitraglie degli aerei, Kong piomba ai piedi dell'Empire State Building e muore come soggetto dissacratorio per rinascere nel mito mercantile hollywoodiano sfarinato in tante ostie/film a perpetuazione degli stati di equilibrio della società codificata. Kong è portatore di caos, "produce fratture nei punti di comunicazione tradizionali (teatro, metropolitana, strade), nelle forme di aggregazione (famiglia, folla)... Quando King Kong muore per adeguatamente collocarsi nel contesto sociale, la volontà e l'intelligenza dello spettatore appartengono a quello stesso sistema di rapporti politici. Il pubblico, dunque, produce allo stesso modo dell'industria culturale e cioè in quanto macchina automatizzata. L'innovazione non appartiene ad uno scatto qualitativo della volontà del produttore o del consumatore, ma ad uno scatto dell'organizzazione politica dei rapporti di produzione del ciclo nella sua totalità" (15). Lo spettacolo dei supplizi non è mai cessato. È cambiato solo il luogo. Ieri in piazza, oggi lo schermo. Dietro ogni utopia su un buon governo c'è sempre un crimine.
La simbolizzazione dell'immaginario allargato significa coprire un vuoto, un'insufficienza. L'epilogo di ogni "anomalia" è incartato nella morte. Si elimina l'immagine senza rompere lo specchio. I veleni della religione e i fucili della politica concordano sempre con i patiboli: nulla sfugge al controllo. Ogni elemento di perturbazione dell'ordinamento sociale viene eliminato. Lo spettacolo è una forma tra le più efficaci (ma non la più grandiosa) che riduce tutto l'a/sociale al compatibile.
La "prima" di "King Kong" avvenne il venerdì 24 marzo 1933 al Grumman's Chinese Theatre di Hollywood; al termine della proiezione "l'alta società della celluloide" esplodeva in "un'ovazione trionfale... la pellicola entrava così negli annali dei cinema mondiale" (16) e nell'immaginario pacificato di milioni di spettatori.
I mercanti dello schermo non sono mai stati teneri con le bestie che aggredivano la cornice della scena. La stabilità della famiglia o l'opacità della condizione inumana dell'ordine spettacolare. Ogni fenomeno iconografico è scrittura circoscritta a elementi mitici de/socializzanti e alla fine del film, libro o fotografia la rappresentazione del sociale (e dell'immaginario rituale) è ricomposta nei modelli assuefativi abituali.
"L'uomo lupo" uccide il licantropo, colpito dal contagio fa fuori un becchino e tenta di azzannare la sua ragazza. Il fucile del padre liquida la "faccia cattiva" della buona classe borghese ed ogni cosa torna al proprio posto. L'indisciplinata condotta della bestia conferma gli eterni valori della società simulacrale: il negativo va decimato e dalla sua morte l'ordito storico gonfia della propria ragione simulata. George Waggner (e lo sceneggiatore Curt Siodmak) disseminano il film di momenti antitetici alla chiusa del film e all'insieme dell'impalcatura. La facciona un po' scema di Lon Chaney jr. è quella di uno sconfitto, di un perdente che è fuori gioco all'interno della razionalità familiare e nulla lo lega alla realtà esterna. L'amore, gli zingari e la notte sono la magia abituale dei sognatori posticci e il lupo che è nell'uomo rivaluta non poco l'impossibilità di essere "normale".
Cosi Theodor W. Adorno: "la specie ha potuto individuarsi attraverso la mutazione, per prodursi poi attraverso l'individuazione in individui in condizioni di associazione nel singolare biologico. L'uomo è un risultato, non un éidos" (17). Non importa saccheggiare Hegel e Marx e appropriarsi dei loro studi sulla teoria della conoscenza per andare alla radice ontologica dell'individuo e insorgere contro i tabù e i totem che lo hanno ristretto nel branco. Ogni elemento deviante dissolve la vecchia società, ogni antagonismo sociale destabilizza e rovescia il vecchio potere (18).

Dietro il bacio della pantera
"Il bacio della pantera" è un film più lavorato, meglio diretto e fotografato de "L'uomo lupo". È anche una delle poche volte che il cinema si accosta alla misantropia femminile.
Irina e Oliver si conoscono allo zoo di Central Park, davanti alla gabbia della pantera nera. S'innamorano e si sposano. Il matrimonio non viene però consumato perché la ragazza è angosciata dall'idea che il bacio di un uomo la trasformi in pantera. Irina finisce sul divano di uno psichiatra, Oliver tra le braccia di un'amica, Alice. L'epilogo è scontato ma Tourneur ha saputo rovesciare il banale in tragico. Irina confida al medico di discendere da una setta di adoratori di animali, lui le dice "... non ho paura di te. Ti stringo fra le mie
braccia, sei così piccola, così morbida... questo profumo dei tuoi capelli, del tuo corpo... Non aver paura di me, Irina... " (19), poi la bacia; la trasformazione di Irina in pantera avviene fuoricampo; l'uomo riesce ad accoltellare la belva... intanto la ragazza torna allo zoo, libera la pantera che le balza addosso e la spinge sotto una macchina. Quando arrivano Oliver e Alice trovano in terra qualcosa di informe, nero, peloso, è ciò che è rimasto di lrina.
L'esilità della trama e i risvolti attorali non sempre soddisfacenti - Kent Smith (Oliver), Tom Conway (il medico) e Jane Randolph (Alice) sono piuttosto fuori ruolo e la sola Simone Simon (Irina Dubrovna) si muove con credibilità e aderenza alla storia - si lasciano perdonare per la sapienza affabulativa di Tourneur. Il suo film è una composizione di ammiccanti e avvincenti allusioni, insinuazioni e doppi sensi erotico/conflittuali che riservano a "Il bacio della pantera" un posto di rilievo (e un punto di ritorno) nel cinema deviante. Qui l'uso trascendente della ragione soggettiva travalica ogni referente dell'ordinamento sociale. La realtà è sempre oltre l'ipotesi di guarigione della bestia in donna. Il sociale evoca un matrimonio "normale". I buoni sentimenti debbono essere formalizzati, allora il significato del termine "amore" è davvero pronto al consumo.
Le citazioni dell'espressionismo tedesco, l'atmosfera gotica, il senso di anomalia suicida che at/traversano "Il bacio della pantera" incidono molto sulla sua catalogazione nel genere "orrifico"; una lettura meno distratta ci porta invece nel dentro di una solitudine senza rimedio, un malessere esistenziale senza destinatari se non la propria morte. L'indecenza di Tourneur è di avere sostenuto che anche una "belva" può morire per amore.
L'universo misantropo della donna/pantera risplende in questo dialogo tra lrina e Oliver:
Irina - "Oliver, oggi sono tornata dal dottore: non ho più problemi".
Oliver - "Credimi, sarei stato l'uomo più felice del mondo se tu me lo avessi detto poco tempo fa. Ma le cose sono cambiate, ho imparato molto, forse dal nostro matrimonio. Non volevo dirtelo, ma ora vedo che è necessario: amo Alice. Irina, è troppo tardi".
Irina - "Tardi?"
Oliver - "Ormai non mi resta che una cosa da fare: concederti il divorzio!Credimi, è meglio così".
Irina - "Meglio, meglio per chi?"
Oliver - "Irina, io..."
Irina - "Parla! No, non puoi parlare. Che cos'altro vuoi dire? C'è soltanto silenzio... Ma io amo il silenzio, amo la solitudine. Ti prego, esci vattene via". (20).
Oliver è un prodotto delle convenzioni sociali. Il suo puritanesimo segna la difesa più ostica dell'apparenza come cementazione dei rapporti conviviali. Gonfio di certezze, Oliver non vede che necessità esaltanti del nuovo amore; si tratta di squalificare le stranezze di Irina nell'effige/sudario perbenista di Alice: ogni solitudine lacera/frantuma i cieli del sacro abitare e popola le notti di furori indescrivibili. Ogni solitudine incrina i ponti della fede e interroga il divenire dei suoi orrori.
"Il bacio della pantera" presenta notevoli aspetti figurativi che la fotografia di Nicholas Musuraca sottolinea e a tratti enfatizza; l'insieme del lavoro risente anche del notevole contributo del montatore Mark Robson, le sue forbici e la colla hanno imposto al film un ritmo, una sobrietà discorsiva che ritroveremo soltanto nel migliore Hitchcock o in John Ford.
Due sequenze memorabili:
1°) Oliver e Irina entrano nel negozio di animali. Tutte le bestiole sono vistosamente impaurite. Solo quando la ragazza esce gli animali si calmano.
2°) Alice si sente seguita. I passi sono strani, felini. Tutti pensiamo alla pantera (che Tourneur non fa vedere), poi un autobus si ferma accanto ad Alice che monta e svanisce con la sua paura e i nostri applausi.
A tracciare un'angolazione eversiva del mito della "bella e la bestia" è il "B-movie" di Jack Arnold, "Il mostro della laguna nera".
Su toni più dimessi, a/spettacolari di "King Kong" ma non meno corroso dalla solitudine disperata di "Dracula", "Frankenstein", "Il testamento del mostro" (Le testament du docteur Cordelier, 1961), "L'uomo invisibile" (The invisible man, 1933) o "Il gabinetto del Dottor Caligari" (Das kabinett des dr. Caligari, 1919) (21) la "creatura" di Arnold figura per molti versi la delegittimazione dell'autorità fantasmata secondo gli schemi della scienza.
"Il mostro della laguna nera" è un perdente, mai uno sconfitto. Il dissidio che getta contro la società dello spettacolo è quello antico dell'immaginazione sulla ragione. A questo proposito l'opera di distruzione della società dell'opulenza si completa nella trilogia della minaccia, "La vendetta del mostro" (Revenge of the creature, 1955) sempre di Arnold e "Il terrore sul mondo" (The creature Walks among, 1956) di John Sherwood (un allievo di Arnold).
L'insieme di questi film fa saltare in aria l'immagine edulcorante del modello americano che esprime l'ideologia mercantile come sola ragione di vita. L'"uomo pesce" rigetta la retorica che giustifica tutti gli assassini (gli orrori veri) e i tipi di sfruttamento (il terrorismo economico o software) che grondano dalle fogne delle democrazia rappresentativa (non solo) americana. Del resto, scrive con puntigliosità eretica John Gerassi: "... il sistema di vita americano divenne la personificazione della moralità. All'orgoglio del proprio sistema seguì il diritto di imporre quel sistema a tutti i popoli non americani. Gli americani divennero superiori, virtuosi e puri. Il risultato finale fu che la scelta del nuovo Cristo portava la spada e la croce. La spada erano i marines dell'America e la croce la sua democrazia" (22).

Quel messaggio dalla laguna nera
Ne "Il mostro della laguna nera" una spedizione di scienziati americani scopre un preistorico "uomo-pesce" nelle acque dimenticate di una laguna dell'Amazzonia. La cattura del "mostro" fallisce. L'"uomo-pesce" uccide alcuni marinai, rapisce l'unica donna del gruppo, tenta di affondare il battello degli intrusi nelle acque del suo regno.
Davvero intelligenti si leggono alcune sequenze. Ad es., il bagno della ragazza nella laguna. La macchina da presa filma in controluce , sott'acqua, la dottoressa che nuota e il "mostro" proprio sotto di lei, quasi a sfiorarla, che mima i suoi movimenti.
Il corpo della ragazza è inguantato in un costume bianco e nel contrappunto visuale con la figura nera squamosa del "mostro" disegnano nell'acqua un balletto erotico, un'allusione scoperta dell'amplesso interrotto dall'avvicinarsi del battello.
Anche il rapimento della donna è interessante. L'"uomo-pesce" depone la sua preda svenuta su una specie di talamo roccioso nel buio acquoso della sua caverna. La consumazione di quel corpo è lo sgarro che gli costerà la morte. La proprietà dei potenti non si tocca né si desidera. "Lo spettacolo è la falsa coscienza del tempo" (Guy Debord) e il "mostro della laguna nera", crivellato dai proiettili degli scienziati, sparisce nel buio delle acque ma non dal nostro immaginario.
Ricordiamolo: "l'immaginario contro la vita corrente" (Bernard Rosenthal) ha per obiettivo la de/valorizzazione dell'utopia/Capitale. La messa in distruzione dei suoi oracoli massmediali. Il "deturnamento" del significante brucia il contenuto della sua mediocrità asservita alla perpetuazione dell'età simulacrale. Ogni rottura con i sorveglianti della soggezione allargata è l'inizio della filosofia differenzialista che si fa strada fuori dal condizionamento dei mass-media a colpi di eresie e critica radicale del vissuto.
La "creatura" della laguna nera è scaltra, simpatica, spesso intelligente ma anche violenta e vendicativa. Tutte le attenzioni del pubblico (non solo infantile) sono sbilanciate dalla sua parte. Ciò è dovuto anche per la scelta degli attori; un po' grigi, a/personali, abbastanza precisi come corredo filmico o sfondo necessario per la comprensione della favola (23).
Ne "Il mostro della laguna nera" si colgono citazioni di pellicole più "nobili" o meglio smerciate come "pezzi" irripetibili di cinefilia orrifica. Il rimando più aperto riguarda la caverna dell'"uomo-pesce". L'asciuttezza spettrale, il designer anticipatorio/post-moderno del covo del "mostro" sono l'appropriazione contenuta dell'atmosfera ambientale che si "respira" negli scantinati allagati de "Il fantasma dell'opera"; il fatto più sostanziale è lo "sguardo" della macchina da presa sul "mostro"; protettivo e malinconico insieme e sotto un certo taglio (crepuscolare/decadente) riporta il sentimentalismo circolare/complicitario di "La mummia" (The mummy, 1932) di Karl Freund.
La "creatura" della laguna nera risorge nel "La vendetta del mostro". L'"uomo-pesce" viene catturato ed esposto in un acquario per turisti. Fugge, uccide, porta il caos nella ridente cittadina della Florida. Ferito a morte, il "mostro" riesce a sottrarsi all'esecuzione finale. Sparisce in mare. Nella notte.
Nel film successivo, "Il terrore sul mondo", l'"uomo-pesce" è di nuovo catturato, imprigionato, sfigurato con il fuoco. La scienza interviene sul suo corpo. Il "mostro" viene operato per adattarlo a vivere sulla terraferma, in società. Magari in un'aula universitaria, in uno zoo o in un museo viaggiante. Ancora una volta il "mostro" è parte integrante dello spettacolo: "Ma l'inverso dei "belli e dannati" non sono i brutti. Belle e brutti possono essere comprimari, la conflittualità è sempre tra buoni e cattivi, le varianti risentono sempre del corso delle ideologie (le ideologie in corso), i conflitti vanno così da quelli generazionali, quelli per il pane a quelli sentimentali, ma su tutto domina la predestinazione a essere o l'uno o l'altro" (24).
Il "mostro" della laguna nera sconvolge i rituali, i segni orrifici d'aggregazione sociale. Quando torna alla sua laguna sarà ucciso e non ne sapremo più nulla fino al prossimo remake.
Tutto il bestiario che si scaglierà contro l'uomo dopo "Il mostro della laguna nera" non saranno che sbiadite copie di una morale - quella di Jack Arnold - particolarmente rivolta al messaggio catastrofico dell'umanità scientista e militarista; topi, gatti, rospi, uccelli, draghi, lupi, alligatori, formiche, ecc., sono l'armamentario orrifico del cinema d'evasione che risplenderà del suo nulla fino ai mostriciattoli reazionari della marca di "E.T. l'extra-terrestre" e tutto il ciarpame mercantile che la fabbrica dell'effimero hollywoodiana sfornerà negli anni '80.
Il "New horror" americano rappresenta il "superlativo" della vita quotidiana. Rotti i confini della realtà, dei baracconi del cinema mercantile non restano che i nostri desideri di trasgressione a cogliere alla fine della spettacolarità demonizzata (sullo schermo e altrove) i segni (o i sogni/desideri) che non evadono il problema (che è sempre quello di una maggioranza assoggettata alla pedagogia della paura e della punizione orchestrata dalla canaglia borghese), ma lo contano, ricacciando in gola ai costruttori dell'immaginario artificiale i pezzi del loro regno espropriato.
Solo un differente modo di guardare abolirà tutte le forme e i codici del terrore pedagogico dominante; si tratta di non permettere a nessuno di educarci, di non permettere a nessuno di governarci. Il godimento della vita implica l'abbattimento e la distruzione dell'origine del male. E ogni società repressiva non potrà sottrarsi alla propria fine.

La prima puntata di quest'analisi del "cinema della diversità" è apparsa sul numero di aprile (L'immaginario devastato, "A" 128, pagg. 21 -25).

(1) Jacques Lacan: Scritti I, pag. 275, Einaudi 1974.

(2) Vedi: Figura gigante di Nico Orengo, pag. 87, Serra e Riva 1984.

(3) Sigmund Freud: Totem e tabù, pag. 97, Newton Compton 1973.

(4) Edmond Jahès: Il libro della sovversione non sospetta, pag. 88, Feltrinelli 1984.

(5) Vedi: L'altra America negli anni '60, a cura di Fernanda Pivano, vol. 5°, pag. 78, Il Formichiere 1979.

(6) E.M. Cioran: La tentazione di esistere, pag. 85. Adelphi 1984.

(7) E.M. Cioran: Ibidem, pag. 151.

(8) Vedi: Julius Evola, Il fascismo, saggio di un'analisi critica dal punto di vista della destra, Volpe 1954.

(9) Friedrich Nietzsche: La gaia scienza, Mondadori 1971, pagg. 118-119.

(10) Robert Musil: Discorso sulla stupidità, Shakespeare & Company, 1980, pagg. 32/34/35.

(11) Danilo Arona: Guida al fantacinema, Gammalibri 1978, pag. 10.

(12) Sigmund Freud: La morale sessuale "civile", in Il disagio della civiltà, Boringhieri 1975, pagg. 16/17.

(13) Franco La Polla: in Cinema e Cinema, ottobre/dicembre 1977, n. 13 pagg. 17/18.

(14) Theodor Adorno: Parole chiave/ modelli critici, SugarCo 1974 pag. 224.

(15) Alberto Abruzzese: La grande scimmia, Napoleone 1979, pag. 165.

(16) Vedi: Storia del cinema di fantascienza I, Giovanni Mongini, Fanucci 1976. pag. 32.

(17) Theodor W. Adorno: op. cit. pag. 231.

(18) Abbiamo parafrasato Marx : "Ogni rivoluzionario dissolve la vecchia società, in questo senso è sociale. Ogni rivoluzione rovescia il vecchio potere: in questo senso è politica". Vedi: Invarianza, numero unico - luglio 1969. pag. 13.

(19) Teo Mora. Storia del cinema dell'orrore I, Fanucci 1977, pag. 230.

(20) Vedi: Storia del cinema dell'orrore, op. cit. pag. 230.

(21) "Il testamento del mostro" è diretto da Jean Renoir, "L'uomo invisibile" da James Whale, "Il gabinetto del dottor Caligari" da Robert Wiene.

(22) Vedi: Dialettica della liberazione di AA.VV., Einaudi 1978 pagg. 105/106.

(23) In modo particolare, Richard Carlson, Julia Adams, Richard Denning.

(24) Carlo Romano: Lo spettacolo e i suoi prodigi, Arcana 1975, pag. 12.