Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 129
giugno 1985


Rivista Anarchica Online

Quel malcelato femminismo

Cari compagni,
vorrei intervenire in merito all'articolo di Fausta, dal titolo "Dietro un rogo", apparso sullo scorso numero della rivista.
Buona parte dell'articolo è portata via dal lungo panegirico di quasi esaltazione di queste due nobili figure che fanno sì parte di quel mondo di emarginati che si trova in una "squallida" baraccopoli della "magnifica" Roma (contrasto un po' aristocratico direi) ma che ne sono senz'altro al di sopra (chissà in che modo), prostituendo sì il loro corpo ma non la mente e l'anima come molte donne "perbene" (qui siamo nel regno della parapsicologia!!!).
Passo poi ad apprendere che secondo Christa Wolf (e se lo dice lei non può essere che vero) "i maschi (non uomini perché sennò verrebbe data loro la dignità di esseri umani -nota personale-), deboli ma con il prepotente bisogno di vincere, si servono di noi come vittime per poter conservare il sentimento di sé".
L'aver scoperto di essere un debole e di aver bisogno di vincere è stata per me una rivelazione anzi un vero e proprio shock, mentre l'aver scoperto che il maschio mantiene il sentimento di sé vittimizzando le donne mi ha messo in crisi perché, non avendo sottomano donne da vittimizzare, mi è sorto il dubbio di non avere sentimento di me o peggio di non essere un maschio e stai a vedere che senza saperlo ho forse cambiato sesso. È stato il crollo della mia certezza di essere maschio.
Ma ecco, subito dopo, un altro atroce colpo alle mie certezze, questa volta politiche. Per anni sono stato, e in fondo lo sono ancora, uno di quegli idioti e semplicioni (non tutti possono essere intellettuali a questo mondo, se ciò succedesse non ci sarebbe più distinzione tra élite e massa amorfa) che credono nella giustizia proletaria, non quella belluina che si concretizza nell'applicazione della legge di Lynch, ma quella che dovrebbe essere un approfondimento, un miglioramento e quindi un superamento della cosiddetta "giustizia borghese". Ma al di là di noi creduli mortali che ci crogioliamo negli slogan, ho l'impressione che anche coloro che tentano di approfondire razionalmente le più svariate tematiche cedano di quando in quando al fascino "idiota e semplicione" della giustizia proletaria, o sarebbe più giusto dire al plauso incondizionato del farsi giustizia da sé (si vedano in proposito gli articoli di Fausta apparsi su "A" dell'aprile '82 e del marzo '84), e non mi si facciano paragoni sulla diversa gravità del fatto scatenante, il risultato sembra lo stesso.
Ma, forse, il fatto che in un caso i giustizieri siano donne mentre nel secondo le donne sono le vittime cambia il valore del giudizio. È in fondo la logica atavica dell'appartenenza ai gruppi, alle logge, alle razze, ai sessi, ecc., e da che mondo è mondo si assiste a queste duplicità di valutazione: per ogni "gruppo" è un atto di giustizia colpire un proprio nemico mentre diventa un fatto atroce quando qualcuno del "gruppo" viene colpito e la cosa è inversamente valida per gli altri "gruppi".
Il fatto successo a Roma è certamente un fatto atroce e quando l'ho appreso sono rimasto con il cucchiaio a mezz'aria (stavo mangiando), sgomento e pieno di orrore nel pensare che qualcuno potesse arrivare a tanta atrocità e ancor più sgomento quando lo speaker continuava ad insistere sul fatto che le due ragazze fossero tossicodipendenti, quasi a voler trovare in questo una giustificazione all'azione compiuta contro di loro.
Un fatto della stessa dinamica ma con vittime diverse, fossero stati anche maschi e per di più fascisti, mi avrebbe riempito dello stesso orrore. Ricordo in proposito, un fatto quasi analogo successo alcuni anni fa: un barbone venne bruciato da quattro fascistelli. Non mi sembra però di ricordare che in quell'occasione ci fossero state prese di posizione tanto veementi. Tra le altre cose, il barbone era un maschietto mentre tra i suoi arrostitori c'era, guarda caso, una femminuccia.
Conosco già la classica obiezione che può essere fatta a questo punto e cioè che costei è stata una vittima della cultura maschile, che come si sa è autoritaria e violenta mentre le donne sono tendenzialmente libertarie e quindi bla-bla. Ma questa teoria può andar bene a chi parte dalla propria soggettività e pensa per questo che tutti coloro che sono simili a lui fisicamente lo siano automaticamente anche nel temperamento e nei sentimenti.
Per chi, come me, è convinto invece che l'essere libertari sia una cosa riguardante l'individuo e quindi una sua precisa scelta culturale e politica e non certo una questione di sesso, di razza, di nazionalità, di età, ecc., la storia è lì a testimoniare che la violenza è un modo di rapportarsi universale e che le donne quando hanno potuto e possono, quando cioè non ne sono state e sono esautorate dagli uomini, hanno usato e usano anch'esse e abbondantemente della violenza e dell'autorità. Quindi non è l'avere un'appendice tra le gambe che fa necessariamente essere violenti e autoritari e non è la sua mancanza che fa necessariamente essere libertari, esistono individui autoritari e individui libertari.
Concludendo. Per quel che riguarda la sottile acrimonia nei confronti della generalità del sesso maschile che pervade tutto l'articolo, questa è materia da rimandare ad uno studio psicanalitico. Per il resto mi sembra a dir poco strumentale il fatto che dietro un rogo (cioè a partire da un orrendo fatto di cronaca) si voglia far passare un discorso che, nella migliore delle ipotesi, risulta essere viziato da un malcelato femminismo dei più deteriori.
Non vorrei con questo attirarmi le ire delle compagne femministe, ma penso che una cosa sia la critica (e la lotta) radicale alla società e ai comportamenti maschilisti, in ogni loro aspetto, portata avanti con linguaggio pacato e intelligente, altra cosa sia invece la ricerca della contrapposizione a tutti i costi con l'intero genere maschile.
Salud,

Patrizio Biagi