Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 129
giugno 1985


Rivista Anarchica Online

Polis, politica, polizia
di Franco Bunçuga

La città non coincide più con i propri luoghi: il palazzo, la piazza, la corte, la strada sono la sua archeologia: materia destinata al restauro, ad essere estratta da una dimensione temporale reale per divenire simbolo di una continuità inesistente nella storia, specchio di una comunità fittizia, che non coincide con gli uomini che camminano per le strade.
Imposizione di un immaginario sociale che nasce dagli organi di pianificazione e dagli uffici di polizia.
Per gli antichi era chiaro: la città coincideva con i cittadini ed i suoi luoghi erano gli strumenti che permettevano alla comunità di riscoprire se stessa, i propri valori, le proprie attività, di capire il reale, la propria identità, la propria storia.
Oggi la città non è riconoscibile nelle sue dinamiche reali: le sue funzioni si stanno sciogliendo su una rete di servizi e di canali su scala territoriale - a tendenza planetaria - che stanno distruggendo il concetto di comunità, di villaggio, di città, e tendono ad omogeneizzare gli individui astraendoli dalla loro collocazione fisica e sociale, ad atomizzare tutti i rapporti, tutti i gruppi, eliminando tutte le relazione interpersonali.
Ma in questo tentativo di dominio totale dell'esistente, tra le maglie di questo nuovo strumento di controllo capillare del territorio, rimangono e sopravvivono ostinatamente aggregazioni di gruppi, coagulazioni di immaginari collettivi minoritari nascosti nelle pieghe dell'Urbano ufficiale, sprazzi di immaginario non-televisivo che si depositano in angoli morti della struttura. Il tentativo di Urbanizzazione Totale produce così, per propria natura, ghetti, luoghi non colonizzati, trascurati, considerati inoffensivi e comunque eliminabili in qualsiasi momento, o in via di estinzione naturale, dunque da non considerare, da lasciar morire togliendo loro l'ossigeno: nessuna pubblicità, cintura sanitaria, difficoltà burocratiche a non finire, ogni tanto una piccola operazione di polizia. Poi, quando viene il momento, ruspe o immobiliari: semplicemente oblio.
Anche a Brescia esiste una città sotterranea, o meglio esistono tante città, villaggi, periferie, che coesistono e si mescolano negli stessi spazi. La città non coincide soltanto con quella delle celebrazioni ufficiali tipo "Brescia Moderna", abbiamo i poveri (quelli relativi e quelli assoluti), abbiamo le baraccopoli (anche se in luoghi ben nascosti), gli immigrati di colore e non, che vivono in condizioni disperate di sopravvivenza.
A Brescia a differenza di altre città (bisogna forse andare più a sud?) non esiste uno spazio fisico in cui povertà (relativa?) diventa dignità e si diventa uomini (si è in piazza) anche se non si hanno soldi. Chi non ha soldi non è uomo (non va in piazza), si nasconde, non esce dal proprio ghetto per disturbare i "signori". Solo il ghetto è permesso, basta che sia discreto e che si auto-elimini al più presto, che si faccia assorbire.
Siamo abituati a leggere la città che ci circonda come un tutto compatto, come un organismo omogeneo e non riusciamo a vedere l'estrema complessità delle diverse culture che coesistono fianco a fianco, dove la città diventa periferia, dove il villaggio rinasce nella metropoli, dove culture spazialmente e temporalmente lontane si mescolano ed a volte, miracolosamente, mantengono la propria identità e la propria dignità.
Ecco allora le facce che spuntano da queste pagine - facce della gente (prevalentemente zingari) che abitava in una baraccopoli ai margini di Brescia - non sono brutte, misere, imploranti un aiuto comunale, ma sono facce di persone orgogliose del loro essere "uomini"o di vivere, di riconoscersi nella propria cultura.
È bastata una notte, un'operazione di polizia di quelle accuratamente preparate in questura, ed ora quelle facce non abitano più là. Sono state "accompagnate" - quelle facce - al confine jugoslavo. E le ruspe, all'indomani, hanno raso al suolo l'intera baraccopoli, senza lasciarne traccia. Hanno risparmiato una casetta, l'unica non abusiva.
Quelle facce, ora, sono altrove. La metropoli è salva.

Foto di Mario Bunçuga
Testo di Franco Bunçuga, con la collaborazione del gruppo biblioteca del Centro Sociale Libertario di Brescia
Collaborazione grafica di Fabio Santin.