Rivista Anarchica Online
Polis, politica,
polizia
di Franco Bunçuga
La città non
coincide più con i propri luoghi: il palazzo, la piazza, la corte,
la strada sono la sua archeologia: materia destinata al restauro, ad
essere estratta da una dimensione temporale reale per divenire
simbolo di una continuità inesistente nella storia, specchio di una
comunità fittizia, che non coincide con gli uomini che camminano per
le strade. Imposizione di un
immaginario sociale che nasce dagli organi di pianificazione e dagli
uffici di polizia. Per gli antichi era
chiaro: la città coincideva con i cittadini ed i suoi luoghi erano
gli strumenti che permettevano alla comunità di riscoprire se
stessa, i propri valori, le proprie attività, di capire il reale, la
propria identità, la propria storia. Oggi la città non
è riconoscibile nelle sue dinamiche reali: le sue funzioni si stanno
sciogliendo su una rete di servizi e di canali su scala territoriale
- a tendenza planetaria - che stanno distruggendo il concetto di
comunità, di villaggio, di città, e tendono ad omogeneizzare gli
individui astraendoli dalla loro collocazione fisica e sociale, ad
atomizzare tutti i rapporti, tutti i gruppi, eliminando tutte le
relazione interpersonali. Ma in questo
tentativo di dominio totale dell'esistente, tra le maglie di questo
nuovo strumento di controllo capillare del territorio, rimangono e
sopravvivono ostinatamente aggregazioni di gruppi, coagulazioni di
immaginari collettivi minoritari nascosti nelle pieghe dell'Urbano
ufficiale, sprazzi di immaginario non-televisivo che si depositano in
angoli morti della struttura. Il tentativo di Urbanizzazione Totale
produce così, per propria natura, ghetti, luoghi non colonizzati,
trascurati, considerati inoffensivi e comunque eliminabili in
qualsiasi momento, o in via di estinzione naturale, dunque da non
considerare, da lasciar morire togliendo loro l'ossigeno: nessuna
pubblicità, cintura sanitaria, difficoltà burocratiche a non
finire, ogni tanto una piccola operazione di polizia. Poi, quando
viene il momento, ruspe o immobiliari: semplicemente oblio. Anche a Brescia
esiste una città sotterranea, o meglio esistono tante città,
villaggi, periferie, che coesistono e si mescolano negli stessi
spazi. La città non coincide soltanto con quella delle celebrazioni
ufficiali tipo "Brescia Moderna", abbiamo i poveri (quelli
relativi e quelli assoluti), abbiamo le baraccopoli (anche se in
luoghi ben nascosti), gli immigrati di colore e non, che vivono in
condizioni disperate di sopravvivenza. A Brescia a
differenza di altre città (bisogna forse andare più a sud?) non
esiste uno spazio fisico in cui povertà (relativa?) diventa dignità
e si diventa uomini (si è in piazza) anche se non si hanno soldi.
Chi non ha soldi non è uomo (non va in piazza), si nasconde, non
esce dal proprio ghetto per disturbare i "signori". Solo il
ghetto è permesso, basta che sia discreto e che si auto-elimini al
più presto, che si faccia assorbire. Siamo abituati a
leggere la città che ci circonda come un tutto compatto, come un
organismo omogeneo e non riusciamo a vedere l'estrema complessità
delle diverse culture che coesistono fianco a fianco, dove la città
diventa periferia, dove il villaggio rinasce nella metropoli, dove
culture spazialmente e temporalmente lontane si mescolano ed a volte,
miracolosamente, mantengono la propria identità e la propria
dignità. Ecco allora le
facce che spuntano da queste pagine - facce della gente
(prevalentemente zingari) che abitava in una baraccopoli ai margini
di Brescia - non sono brutte, misere, imploranti un aiuto comunale,
ma sono facce di persone orgogliose del loro essere "uomini"o
di vivere, di riconoscersi nella propria cultura. È
bastata una notte, un'operazione di polizia di quelle accuratamente
preparate in questura, ed ora quelle facce non abitano più là. Sono
state "accompagnate" - quelle facce - al confine jugoslavo. E
le ruspe, all'indomani, hanno raso al suolo l'intera baraccopoli,
senza lasciarne traccia. Hanno risparmiato una casetta, l'unica non
abusiva. Quelle facce, ora,
sono altrove. La metropoli è salva.
Foto
di Mario Bunçuga Testo
di Franco Bunçuga, con
la collaborazione del gruppo biblioteca del Centro Sociale Libertario
di Brescia Collaborazione grafica di Fabio Santin.
|