Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 15 nr. 129
giugno 1985


Rivista Anarchica Online

È di scena la pace
di Maria Teresa Romiti

"Ginevra, show della distensione" il titolo a tutta pagina del quotidiano è fin troppo realistico. Ginevra è il grande show che tutti, volenti o nolenti, seguono, uno show fatto di piccoli passi, di riunioni amichevoli, di bruschi cambiamenti d'umore. La commedia continua alla prossima puntata.
Ma lo spettacolo non può essere il solo motore di riunioni che continuano da anni, decenni. Anche se la sua importanza fa parte del gioco, c'è da chiedersi cosa cercano veramente di ottenere i grigi funzionari, insieme a brillanti scienziati che passano ore intorno a tavoli di mogano. Non pretendo di entrare nel cervello e nelle elucubrazioni politiche dei "massimi dirigenti mondiali", troppo lontane dal mio essere, ma non riesco ad immaginarle dettate solo da necessità di spettacolo. La concretezza fa parte della loro formazione e visto che il fine dei colloqui di Ginevra non è certamente la pace, bisogna chiedersi cosa sia. L'immagine nella società dello spettacolo è molto, ma non è tutto.
Forse la risposta è in un aforisma di Aron, filosofo conservatore francese: "guerra improbabile, pace impossibile". La preoccupazione dei dirigenti delle superpotenze è rendere improbabile una guerra totale che, anche se non li distruggerebbe come persone (hanno certamente considerato il modo per salvarsi, loro!), li distruggerebbe come ruoli. Che senso avrebbe dirigere società ormai inesistenti, esseri umani a malapena sopravvissuti, spaventati, la cui unica preoccupazione sarebbe il quotidiano cercare di non morire? Il problema non è da poco: trovare i metodi per evitare che il sistema sfugga di mano, che, per errore, per necessità d'immagine, la Guerra Totale debba scoppiare, senza però dover rinunciare alla guerra giornaliera, ai piccoli fuochi che scoppiano ovunque, oggi qui, domani là, sempre attentamente limitati. È ancora Orwell che viene alla mente: la guerra è necessaria al dominio, ma non deve distruggere i dominati.
Oggi il pericolo che qualcosa non funzioni, che un incidente si trasformi nella Guerra è realistico. La risposta nucleare deve essere immediata, forse anche automatica. Fino a quando sarà possibile bloccarla dal centro?
Un filo di rasoio su cui camminiamo da troppo tempo. Un filo che forse ci sta cambiando senza che riusciamo a rendercene conto.
È sempre difficile e semplicistico fare ragionamenti che coinvolgono milioni di persone senza tener presente le diversità di condizioni sociali, di cultura, di situazioni, ma vorrei tentare lo stesso a lanciare un'ipotesi tenendo ben presente che è solo un modello molto semplicistico. L'idea mi è stata donata da una ragazza a cui avevo chiesto il motivo per cui i giovani sembrano apatici, preoccupati solo di se stessi, quasi incapaci di vedere il mondo con un più ampio respiro. "Abbiamo paura" mi ha risposto "potremmo essere tutti morti prima del duemila, fra solo quindici anni! Come vuoi che possiamo pensare o lavorare per il domani?".
Non è forse solo quel filo di rasoio, quella paura inconscia (ma quanto profonda?) di un domani inesistente. Esistono altri problemi: la mancanza di possibilità di lavoro, l'inquinamento, le mille possibilità di morte, ma questo rimane il più terrorizzante. In effetti i giovani d'oggi sembrano essere per la maggior parte apatici, amorfi, preoccupati solo del quotidiano, del domani ristretto di casa, lavoro, divertimento, chiusi ai grandi problemi che solo una generazione fa (quanto tempo è passato!) erano al centro delle idee e delle discussioni. Bloccati perché incapaci di pensare alla possibile catastrofe o così occupati a spendere energie per rimuoverne anche la sola idea da non avere più nulla da spendere?
È forse un caso che le nascite continuano a diminuire? Gli antropologi risponderebbero di no. Esse sono il segno della vitalità di una società. Quando si smette di fare figli è perché in fondo la società ha deciso di morire (muta protesta di donne? la vita che cede alla morte?). E non è certo grande psicologia leggere le musiche sempre più forti, il divertimento ad ogni costo come la ricerca dell'ottundimento dei sensi, droga perché il cervello non debba pensare. Così come la violenza gratuita, le risse negli stadi e nelle discoteche sono il segno del disagio, della paura.
Perfino tra i giovani americani, la generazione che viene definita culturalmente rivoluzionaria, non alberga più il "sogno americano". Giovani ansiosi di guadagnare molto denaro, ma più edonisti dei loro genitori, più preoccupati della qualità della vita e desiderosi di sicurezza sociale; giovani labili, se non capricciosi, nelle loro idee e incapaci di ribellarsi. È l'ansia di riuscire perché forse domani non si potrà più? È la ricerca della sicurezza nella religione, nella famiglia? Chissà? Vasco Rossi, l'idolo delle nuove generazioni italiane dice che i giovani "non seguono più nessuno, non hanno più rispetto, per niente e per nessuno. Perché hanno paura del buio. Come me. E cantano per farsi coraggio".
Non sono tutti bloccati, non tutti cantano per farsi coraggio. C'è anche chi agisce per farsi coraggio. Variegate piccole minoranze che abbracciano ideologie anche fondamentalmente diverse tra loro. Mentre il resto è amorfo, aspetta. Ma non sarà sempre così. Non si può restare bloccati tutta la vita come statue. Prima o poi si sceglierà perché fare qualcosa, qualsiasi cosa è meglio che non fare nulla. E quale sarà la scelta: la vita o la morte?